Avvocato Amministrativista a Trapani - Diritto Amministrativo - Notizie, Articoli, Sentenze

Sentenza

Cittadinanza: i requisiti per la concessione...
Cittadinanza: i requisiti per la concessione
T.A.R. Lazio Roma Sez. V bis, Sent., (ud. 12/04/2023) 30-05-2023, n. 9201
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6788 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Ersilia Maiorano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Roma, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del decreto della Prefettura di Roma comunicato in data 08/06/2020 con cui è stata dichiarata inammissibile la domanda della cittadinanza Italiana -OMISSIS- presentata in data 05/05/2019, nonché di ogni atto alla stessa preordinato, presupposto, consequenziale e connesso;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Ufficio Territoriale del Governo Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 aprile 2023 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

La ricorrente espone di aver presentato in data 5.5.2019 istanza di cittadinanza ai sensi dell'art. 9 L. n. 91 del 1992 allegando la documentazione attestante il possesso dei requisiti prescritti, ivi incluso quelli linguistici, producendo il Diploma di Laurea in Filosofia e l'Attestato del Corso di Lingua e Cultura italiana rilasciato dall'Università Pontificia Lateranense; di essere stata convocata in Prefettura per il 27.11.2019; che in tale sede veniva rilevata la mancanza dell'attestazione di competenze linguistiche di livello minimo B1 rilasciata da ente certificatore QCEL prescritta dall'art. 9 bis della L. n. 91 del 1992 - introdotto dall'art. 14 co.1 lett. b del D.L. n. 113 del 2018 conv. L. n. 132 del 2018 - ed invitata l'interessata a produrla entro 20 gg; con nota del 17.12.2019 l'Amministrazione aveva preannunciato, ai sensi dell'art. 10 bis della L. n. 241 del 1990, quale conseguenza per la mancata produzione del certificato richiesto, la declaratoria di inammissibilità dell'istanza; quest'ultimo atto veniva adottato in data 4.6.2020 senza concedere alcun differimento del termine sopraindicato.

Con il ricorso in esame impugna il decreto con cui il Prefetto di Roma in data 4.6.2020 ha dichiarato inammissibile l'istanza di cittadinanza per mancata allegazione della documentazione attestante il possesso dei requisiti linguistici in contestazione.

Il gravame è affidato ai seguenti motivi: 1) violazione dell'art. 10 bis della L. n. 241 del 1990 per non aver l'Amministrazione previamente comunicato i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza; 2) violazione dell'art. 3 L. n. 241 del 1990 e degli artt. 24 e 111 Costituzione, dell'art. 1 L. 24 novembre 1981 e del principio di legalità, eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti, difetto di motivazione; 3) violazione dell'art. 10 bis della L. n. 241 del 1990.

Si è costituta in giudizio l'Amministrazione intimata chiedendo il rigetto del gravame.

Con ordinanza n. 6127/2020 è stata respinta l'istanza cautelare rilevato, quanto al fumus boni iuris, che "l'amministrazione ha prodotto comunicazione ex art. 10 bis L. n. 241 del 1990, sottoscritta per ricevuta dall'interessata, la quale non risulta aver prodotto valida documentazione attestante il possesso del requisito della conoscenza della lingua italiana di livello non inferiore a B 1" e, quanto al periculum in mora, che "la parte ricorrente non ha dedotto alcuno specifico profilo di pregiudizio grave ed irreparabile durante il tempo necessario a giungere alla decisione sul ricorso, né è possibile desumere la sussistenza di tale pregiudizio dal corpo del ricorso".

All'udienza pubblica del 12.4.2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

Costituisce oggetto di impugnativa il decreto prefettizio del 4.6.2020 che ha dichiarato inammissibile l'istanza di naturalizzazione della parte ricorrente a causa dell'omessa produzione della documentazione attestante il possesso dei requisiti di competenza linguistica prescritta dall'art. 9.1 della L. n. 91 del 1992.

Il ricorso è infondato.

La disposizione soprarichiamata, introdotta dall'art. 14, comma 1, lett. a-bis D.L. n. 113 del 2018, conv. L. n. 132 del 2018, prevede che "La concessione della cittadinanza italiana ai sensi degli articoli 5 e 9 è subordinata al possesso, da parte dell'interessato, di un'adeguata conoscenza della lingua italiana, non inferiore al livello B1 del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER)".

Il legislatore non si è limitato ad introdurre un nuovo requisito (conoscenza della lingua italiana) per l'acquisto della cittadinanza ed a prescriverne un determinato grado di padronanza (livello B1), ma ha altresì disposto in merito alle modalità di dimostrazione del possesso di tali capacità linguistiche, dettato disposizioni relativamente all'accertamento dello stesso, riservando la potestà certificatoria ad appositi Istituti di istruzione ovvero enti certificatori accreditati, definendo le condizioni di validità del titolo e le modalità di presentazione dello stesso.

L'art. 9.1 della L. n. 91 del 1992, infatti, prosegue disponendo che "A tal fine, i richiedenti, che non abbiano sottoscritto l'accordo di integrazione di cui all'articolo 4-bis del testo unico di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, o che non siano titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo di cui all'articolo 9 del medesimo testo unico, sono tenuti, all'atto della presentazione dell'istanza, ad attestare il possesso di un titolo di studio rilasciato da un istituto di istruzione pubblico o paritario riconosciuto dal Ministero dell'istruzione, dell'Università e della ricerca e dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ovvero a produrre apposita certificazione rilasciata da un ente certificatore riconosciuto dal Ministero dell'istruzione, dell'Università e della ricerca e dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale".

Tale certificato avrebbe dovuto essere allegato all'istanza, così come gli altri documentati attestanti il possesso dei requisiti prescritti per l'acquisto della cittadinanza, come previsto dall'art. 9 comma bis della L. n. 91 del 1992, che prescrive che "Ai fini dell'elezione, acquisto, riacquisto, rinuncia o concessione della cittadinanza, all'istanza o dichiarazione dell'interessato deve essere comunque allegata la certificazione comprovante il possesso dei requisiti richiesti per legge".

La mancanza della certificazione in parola era stata rilevata dall'Autorità procedente che aveva avvertito l'istante dell'imminente adozione di un atto dichiarativo di inammissibilità della domanda qualora non l'avesse prodotta entro il termine di 10 giorni, come indicato nella "comunicazione ai sensi dell'art. 10 bis della L. n. 241 del 1990" datata 27.11.2020 e sottoscritta per ricevuta dall'istante.

L'atto impugnato, una volta riscontrata la mancata produzione della documentazione attestante il requisito in contestazione, costituiva per l'Autorità prefettizia un atto dovuto, che questa era vincolata ad adottare, non residuando alcun potere discrezionale al riguardo.

Va pertanto respinto il secondo motivo di ricorso - di cui si anticipa l'esame - con cui la parte ricorrente censura l'operato dell'Amministrazione lamentando che le sarebbe stata impedita la regolarizzazione/integrazione della documentazione in contestazione e che la richiesta di produrre il certificato in parola entro un termine breve era illegittima in quanto non le avrebbe consentito di sottoporsi agli esami presso i centri accreditati a rilasciare il certificato linguistico richiesto, data la calendarizzazione delle sessioni di esame, la sospensione delle attività dovuta alle misure emergenziali previste per contrastare la pandemia da COVID 19, i ritardi nel rilascio del titolo da parte degli Istituti certificatori (a tale riguardo precisa di aver sostenuto le prove in data 20.2.2020, ma di non aver a tutt'oggi ricevuto dagli Enti certificatori la relativa attestazione).

La prospettazione della parte ricorrente va disattesa in quanto scaturisce da un fraintendimento della natura e della finalità della "comunicazione ai sensi dell'art. 10 bis della L. n. 241 del 1990" dalla stessa ricevuta in data 27.11.2020.

Non si trattava di un invito a sottoporsi ad una futura sessione di verifica delle competenze linguistiche, bensì del rilievo della mancanza di un titolo attestante tali capacità che avrebbe dovuto essere già conseguito precedentemente alla presentazione della richiesta di cittadinanza ed a questa allegato.

Come sopra ricordato, l'art. 9 comma bis della L. n. 91 del 1992 dispone che "Ai fini dell'elezione, acquisto, riacquisto, rinuncia o concessione della cittadinanza, all'istanza o dichiarazione dell'interessato deve essere comunque allegata la certificazione comprovante il possesso dei requisiti richiesti per legge".

Tale disposizione costituisce espressione di un principio fondamentale che regge i procedimenti ad istanza di parte, per cui ricade sull'istante l'onere di allegare e comprovare gli elementi a sé favorevoli, dichiarandoli nella domanda ed allegando a questa tutta la documentazione in suo possesso necessaria ad attestarne l'esistenza (in sostanza è il soggetto che ha interesse al rilascio di un determinato provvedimento a sé favorevole che ha l'onere di dimostrare l'effettiva sussistenza di tutti i presupposti e la realizzazione di tutte condizioni richiesti dalla legge per la sua adozione).

Ove sussistano carenze nella documentazione prodotta, l'Autorità procedente ha il dovere di avvertire l'interessato della necessità di integrarla e regolarizzarla, come sancito dall'art. 6 della L. n. 241 del 1990, che costituisce anch'essa espressione di un principio generale che impronta i procedimenti ad istanza di parte, che trova applicazione in via generale per tutti i procedimenti, salvo diversamente disposto da leggi speciali o ove contrasti con altri principi generali di pari rango (si pensi al principio di par condicio che regge i procedimenti concorsuali, che, peraltro, non sono inquadrati tra quelli ad iniziativa di parte).

Il "soccorso istruttorio" è espressamente previsto anche dalla normativa specifica in materia di cittadinanza, che, all'art. 2 co. 2 del D.P.R. n. 362 del 1994- Regolamento recante disciplina dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana- prevede che "Nel caso di incompletezza o irregolarità della domanda o della relativa documentazione, entro trenta giorni l'autorità invita il richiedente ad integrarla e regolarizzarla, dando le opportune indicazioni ed i termini del procedimento restano interrotti fino all'adempimento". Il successivo comma 3 precisa inoltre che "Qualora l'adempimento risulti insufficiente, o la nuova documentazione prodotta sia a sua volta irregolare, l'autorità dichiara inammissibile l'istanza, con provvedimento motivato, dandone comunicazione all'interessato ed al Ministero", in tal modo attribuendo al Prefetto (ovvero al Console), quale autorità competente a ricevere ed effettuare una prima istruttoria sulle istanze di cittadinanza, ai sensi dell'art. 1 del D.P.R. n. 362 del 1994, Regolamento recante disciplina dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana, un compito di "filtro" delle domande, in modo da assicurare che solo quelle effettivamente ricevibili ed ammissibili, nonché complete della documentazione prescritta, siano trasmesse al Ministro, al quale sono riservate le valutazioni (discrezionali) "di merito" sull'accoglimento o meno dell'istanza stessa, ai sensi dell'Art. 5 del D.P.R. n. 572 del 1992 che precisa che "L'autorità competente a respingere con proprio provvedimento motivato l'istanza prodotta ai sensi dell'art. 9 è il Ministro dell'Interno" (vedi, sul riparto di funzioni tra le Autorità periferiche del Ministero dell'Interno ed il vertice politico, TAR Lazio, sez. V bis, n. 8273/2023).

Com'è noto il soccorso istruttorio è volto a sanare esclusivamente irregolarità o carenze formali della domanda e della relativa documentazione, e non può essere invocato - come pretenderebbe la parte ricorrente - per sopperire alla carenza di condizioni o requisiti sostanziali prescritti, che devono essere già rispettivamente soddisfatte e maturati al momento della presentazione della domanda e la cui mancanza impedisce l'accoglimento dell'istanza.

Si tratta di un principio fondamentale che regge i procedimenti ad istanza di parte, per cui i presupposti prescritti dalla legge per conseguire un determinato beneficio (ammissione ad un concorso pubblico, autorizzazione allo svolgimento di un'attività, concessione di beni, servizi o incentivi, attribuzione di status etc.) devono risultare "attuali", cioè essere posseduti dal richiedente al momento della presentazione di un'istanza - oltre che persistere perlomeno fino al momento della decisione sulla stessa da parte dell'Autorità competente e, nei procedimenti di attribuzione della cittadinanza, anche successivamente, fino alla prestazione del giuramento, come prescritto dall'art. 4 comma 7 del D.P.R. n. 572 del 1992 - Regolamento di esecuzione della L. n. 91 del 1992, n. 91.

Sono del tutto eccezionali - e non estensibili al di fuori i casi tassativamente previsti - quelle disposizioni che consentono che i requisiti possano essere conseguiti successivamente (cioè che le condizioni necessarie si avverino eventualmente nel futuro) e principalmente finalizzate a tutelare interessi prevalenti di natura pubblicistica (ad esempio nel caso del permesso di soggiorno degli stranieri, per evitare che la condizione di clandestinità possa favorirne l'impiego da parte della criminalità organizzata).

Nei procedimenti di concessione della cittadinanza, invece, ove l'istante risulti privo dei requisiti prescritti, l'Autorità procedente è tenuta a rifiutare l'atto richiesto, previa comunicazione all'interessato che tale carenza costituisce motivo ostativo all'accoglimento dell'istanza, ai sensi dell'art. 10 bis della L. n. 241 del 1990 (come appunto avvenuto nel caso in esame) e non, come pretenderebbe la parte ricorrente, concedere un termine per consentire la possibilità di maturarli nel futuro, nelle more della decisione dell'istanza.

Nei procedimenti di concessione della cittadinanza, infatti, le sopravvenienze favorevoli possono essere fatte valere solo presentando una nuova istanza, ai sensi dell'Art. 5 del D.P.R. n. 572 del 1992, che prevede che, in caso di rigetto della domanda, questa "può essere riproposta dopo un anno dall'emanazione del provvedimento stesso".

In conclusione, il secondo motivo di ricorso, con cui si censura l'Amministrazione per non aver, una volta rilevata la carenza del titolo prescritto dall'art. 9.1 per l'acquisto della cittadinanza italiana, sospeso il procedimento in attesa dello svolgimento degli esami presso un Ente certificato accreditato e, in caso di eventuale superamento degli stessi, del rilascio del certificato, risulta infondato in quanto non solo non trova alcuna base normativa, ma, anzi, contrasta con i principi e le disposizioni sopra richiamate.

Risultava pertanto inevitabile la pronuncia di inammissibilità dell'istanza in parola, che costituiva per l'Autorità procedente un atto dovuto, che questa era vincolata ad adottare, una volta constatata la mancanza della documentazione attestante la competenza linguistica prescritta.

Per completezza va precisato che il certificato richiesto dall'art. 9.1 della L. n. 91 del 1992 è esclusivamente quello rilasciato da enti accreditati QECR per espressa previsione legislativa, sicché l'Autorità periferica non poteva arbitrariamente stimare autonomamente il grado di padronanza della lingua italiana della ricorrente basandosi su altri titoli.

È appena il caso di ricordare che il sistema di certificazione delle lingue straniere previsto dall'art. 9.1 della L. n. 91 del 1992 è quello istituito, in base alla raccomandazione del Consiglio d'Europa del 28.9.2001, cioè al Quadro comune europeo di riferimento per le lingue straniere (CEFR Common European Framework of Reference for Languages), cui fa riferimento la raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio 23.4.2008 sulla costituzione del "Quadro europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente", indirizzata tra l'altro ai datori di lavoro (riconosciuti anche dai decreti M.I.U.R. del 12.7.2012; del 21.5.2013 e del 17.6.2014). La Raccomandazione predetta, che ha istituito l'European Qualification Framework (EQF), con l'obiettivo "di istituire un quadro di riferimento comune che funga da dispositivo di traduzione tra i diversi sistemi delle qualifiche e i rispettivi livelli, sia per l'istruzione generale e superiore sia per l'istruzione e la formazione professionale", impegna gli Stati membri ad usare il Quadro europeo delle qualificazioni come strumento di riferimento per confrontare i livelli delle competenze linguistiche, per cui l'EQF costituisce la "griglia di riferimento" che consente di comparare le diverse certificazioni di competenze linguistiche rilasciate nei Paesi membri basandosi su livelli comuni di padronanza linguistica (da A1 a C2).

Il funzionamento del sistema si basa su una serie di centri accreditati che assicurano che lo svolgimento degli esami e l'apprezzamento delle prove avvenga secondo determinati standard al fine di assicurare l'uniformità, attendibilità e validità della valutazione,

In tale prospettiva è evidente che il legislatore nazionale, nel far riferimento a tale strumento di definizione dei livelli di competenza linguistica, ha operato una scelta metodologica, che non avrebbe potuto essere arbitrariamente disattesa dall'Autorità Prefettizia sulla base di una presunta capacità linguistica maturata grazie alla lunga permanenza in Italia oppure ritenendo il certificato in parola equipollente eventuali altri titoli non previsti dalla normativa, quali il possesso di titoli accademici vantati dalla ricorrente, laureata in teologia e filosofia presso l'Università San Anselmo di Roma, (che potrebbero semmai indicare la padronanza delle capacità di lettura ed eventualmente di scrittura in specifiche branche del sapere, ma non consentono di presupporre il possesso di tutte e quattro le capacità comunicative attive e passive - ascolto, lettura, scrittura, produzione orale - nel linguaggio generale richieste per il livello B1), ovvero l'aver seguito nel lontano 2003 un corso di lingua e cultura italiana di 120 ore presso un Ateneo Pontificio (peraltro superando l'esame finale con il voto di appena 18/30, senza l'indicazione del livello di padronanza linguistica conseguito).

Vanno pertanto disattese anche le censure dedotte con il primo ed il terzo mezzo di gravame, con cui si lamenta la violazione delle garanzie procedimentali sancite dall'art. 10 bis della L. n. 241 del 1990.

Come già anticipato, la doglianza è comunque infondata in fatto, essendo l'adozione dell'atto impugnato stata preceduta dal preavviso di rigetto in contestazione, come documentato in giudizio dall'Amministrazione mediante il deposito della copia della "comunicazione ai sensi dell'art. 10 bis della L. n. 241 del 1990" - datata 27.11.2020 e firmata in pari data per ricevuta dall'istante (all. 1 delle produzioni della resistente del 24.9.2020) - nella quale veniva preannunciata la dichiarazione di inammissibilità dell'istanza in caso di omessa integrazione della documentazione mancante con la produzione dell'attestazione della conoscenza linguistica livello B1 in contestazione.

In ogni caso, va ricordato che, anche a seguito della recente modifica dell'art. 21 octies L. n. 241 del 1990, nella versione riformulata dall'art. 12 comma 1 lett. I D.L. n. 76 del 2020 conv. L. n. 120 del 2020 - che ha introdotto un terzo periodo che, con riferimento (esclusivo) al periodo precedente, ha eliminato la possibilità della PA di evitare l'annullamento dell'atto impugnato mediante la dimostrazione in giudizio dell'inevitabilità delle decisioni discrezionali assunte senza comunicare al destinatario il preavviso di rigetto - resta invece ferma la previsione del primo periodo che esclude l'annullamento di atti affetti da meri vizi formali o procedimentali "qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato" (vedi, tra tante, da ultimo, TAR Campania, sez. VI, n.752/2023, Cons. Stato, sez. II, n.1790/2022; Cons. Stato, sez. III, n.11289/2022; n.11044/2022 ove si precisa che "In caso di provvedimento discrezionale - e solo in questo - l'omessa comunicazione del preavviso di rigetto comporta la caducazione dell'atto viziato"); quest'ultima previsione, d'altronde, costituisce l'espressione di un principio di ragionevolezza e proporzionalità che impronta la disciplina del procedimento amministrativo nei diversi ordinamenti giuridici degli Stati Europei.

In conclusione, il ricorso risulta infondato alla stregua delle censure dedotte e va pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, lo rigetta.

Condanna la ricorrente a rifondere alla resistente le spese di lite liquidate nella misura di complessive E. 1.500,00 oltre agli oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati:

Floriana Rizzetto, Presidente, Estensore

Antonino Masaracchia, Consigliere

Gianluca Verico, Referendario
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza