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Sentenza

E’ rimessa all’Adunanza Plenaria la questione della natura giuridica della pronu...
E’ rimessa all’Adunanza Plenaria la questione della natura giuridica della pronuncia emessa in esito a ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e del giudice competente a pronunciarsi al riguardo, a norma dell’art. 113 c.p.a.
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - ORDINANZA 1 febbraio 2013, n.636 - Pres. Giovannini – est. De Michele

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA

sul ricorso numero di registro generale 4813 del 2012, proposto dal signor Franco Cevolani, rappresentato e difeso dall'avv. Anna Rita Moscioni, con domicilio eletto presso l'avv. Biagio Marinelli in Roma, via Acquedotto Paolo, 22;



contro

Inps - Direzione Generale, rappresentato e difeso dall'avv. Maria Morrone dell'Avvocatura Centrale dell'Ente e presso la medesima domiciliato in Roma, via Cesare Beccaria 29; 

per l'ottemperanza al decreto del presidente della repubblica in data 18.5.2010, concernente rimborso del contributo, percepito ai sensi dell'art. 11 della legge 8.4.1952, n. 212;



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Inps - Direzione Generale;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2012 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Moscioni e Morrone;

Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:



FATTO E DIRITTO

Con ricorso per ottemperanza n. 4813 – notificato il 15.6.2012 e depositato il 27.6.2012 – il Col. Franco Cevolani chiedeva “l'esecuzione del giudicato formatosi sul decreto presidenziale in data 18.5.2010, emesso in conformità al parere emesso dal Consiglio di Stato in sede consultiva, sez. III, n. 663 del 22.2.2010, a seguito di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso il mancato rimborso da parte dell'INPDAP (Istituto Nazionale di Previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica) del contributo dello 0,50%, di cui all'art. 11 della legge 8.4.1952, n. 212: rimborso previsto per gli ufficiali delle FF.AA. all'atto della cessazione del periodo di ausiliaria, in caso di mancata richiesta di erogazione del prestito, di cui all'art. 1 della legge 21.2.1963, n. 252.

Nel citato parere si confermava il precedente indirizzo della seconda sezione consultiva, circa l'illegittimità del diniego di rimborso del contributo versato, non potendosi ritenere intervenuta, per gli ufficiali in ausiliaria, l'abrogazione tacita della normativa da ultimo citata dopo l'entrata in vigore dell'art. 141 del T.U. n. 1092/1973 in materia di rimborsi; quanto sopra, per coloro che fossero stati collocati nella riserva prima dell'emanazione del D.M. n. 463/1978, abrogativo ex nunc del beneficio del rimborso e con ulteriore, analitica confutazione dell'opposto indirizzo espresso dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con sentenza n. 1725/2006.

L'accoglimento del ricorso straordinario di cui trattasi era attestato con decreto a firma del Capo dello Stato del 18 maggio 2010, trasmesso al competente ufficio dell'INPDAP con nota n. 1169 del 22.2.2010 come “sentenza del Consiglio di Stato n. 663 del 22.2.2010”, con allegato prospetto “dei conteggi effettuati per il rimborso del contributo per il Fondo Credito, trattenuto sugli arretrati liquidati al pensionato Cevolani Franco”.

Il provvedimento di liquidazione, tuttavia, non veniva emesso, con conseguente attivazione del giudizio per ottemperanza in esame.

Si costituiva nell'ambito di tale giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso, l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), quale successore ex lege dell'INPDAP, ai sensi dell'art. 21, comma 1, del d.l. 6.12.2011, n. 201, convertito in legge 22.12.2011, n. 214.

L'Ente previdenziale sottolineava, in particolare, come nell'originaria istanza di rimborso del 19.10.2005 l'attuale ricorrente avesse dichiarato di non avere contratto prestiti nel periodo di ausiliaria; tale affermazione, tuttavia, era risultata non veritiera, avendo il medesimo richiesto un piccolo prestito in data 23.10.1997: prestito erogato con ordinativo n. 001282 del 4.11.1997, con decorrenza della prima rata nel dicembre 1997 e dunque in costanza del periodo di collocamento dell'interessato in ausiliaria; veniva inoltre evidenziato come, nei più recenti pareri, il Consiglio di Stato si fosse adeguato al diverso indirizzo interpretativo della Corte di Cassazione.

Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che la questione sottoposta a giudizio presupponga una valutazione di ammissibilità, rilevabile d'ufficio, con riferimento alla natura dell'atto da eseguire, ai fini della proponibilità del giudizio stesso e dell'individuazione dell'Organo giurisdizionale competente.

Detta valutazione, in effetti, risulta già affrontata dal giudice amministrativo, ma con soluzioni non univoche.

Con sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3513 del 10.6.2011, infatti, è stata sostanzialmente affermata la piena giurisdizionalizzazione, anche ai fini dell'ottemperanza, del ricorso straordinario alla Presidenza della Repubblica, tenuto conto dell'evoluzione di tale rimedio giustiziale e della disciplina legislativa al riguardo intervenuta, al fine di assicurare “un grado di tutela non inferiore a quello conseguibile agendo giudizialmente”; nella citata sentenza veniva, quindi, ritenuto ammissibile ed accolto il ricorso per ottemperanza, proposto in unico grado innanzi al Consiglio di Stato, con nomina di un commissario ad acta in caso di perdurante inadempienza dell'Amministrazione. Nell'ordinanza del medesimo Consiglio, sez. III, n. 4666 del 4.8.2011, invece – pur ribadendosi l'esperibilità del giudizio di ottemperanza, per la piena esecuzione del “decisum” conseguente a ricorso straordinario (in conformità alla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 2065/2011) – si esprimeva un diverso avviso, anche rispetto al citato pronunciamento della Suprema Corte, per quanto riguarda l'individuazione del giudice dell'esecuzione competente, a norma dell'art. 113 c.p.a., con conclusiva riconduzione della decisione sul ricorso straordinario all'art. 112, comma 1, lettera d) c.p.a. (che sancisce la proponibilità del giudizio di ottemperanza non solo per le sentenze passate in giudicato, ma anche per “gli altri provvedimenti ad esse equiparati, per i quali non sia previsto il rimedio dell'ottemperanza, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione”). Nella citata ordinanza si sottolineava come – pur dopo le significative novità introdotte dalla legge n. 69/2009 (natura vincolante del parere del Consiglio di Stato e possibilità di sollevare questioni di legittimità costituzionale) – l'attività consultiva del medesimo Consiglio di Stato conservasse “significativi profili” di differenza rispetto a quella giurisdizionale, organizzata “secondo i canoni più rigorosi del giusto processo (v. art. 2 c.p.a.)”, senza possibilità di integrale equiparazione del ricorso straordinario a quello giurisdizionale, tenuto conto, in particolare, della “specificità e perfettibilità del rito del ricorso straordinario….con riferimento ai nodi essenziali del contraddittorio, dell'istruzione probatoria e del doppio grado di giudizio”.

Veniva altresì sottolineato come – “qualora venissero estese al procedimento straordinario tutte le garanzie e le formalità proprie del ricorso giurisdizionale, esso perderebbe le sue caratteristiche di semplicità, snellezza e concentrazione”, con sostanziale perdita di ogni relativa “ragion d'essere”.

Per tali motivi si riteneva che l'atto conclusivo del ricorso straordinario dovesse identificarsi come provvedimento amministrativo, solo per certi aspetti equiparato ad una sentenza (fattispecie ricompresa nell'art. 112, comma 1 - lettera d - c.p.a.), e non come “provvedimento esecutivo del giudice amministrativo”, ovvero come atto propriamente giurisdizionale (art. 112, comma 1 - lettera b - c.p.a.). Secondo la tesi interpretativa sopra sintetizzata, pertanto, il giudice competente per l'esecuzione avrebbe dovuto essere individuato a norma non del primo, ma del secondo comma del successivo art. 113 c.p.a., ovvero con riferimento non al “giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta” (intendendo per tale, nel caso che qui interessa, il Consiglio di Stato in unico grado), ma al “tribunale amministrativo regionale, nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui è chiesta l'ottemperanza”. A quest'ultimo riguardo, nella citata ordinanza n. 4666/11 non si trascurava di sottolineare come il termine “giudice” dovesse ritenersi richiamato nella norma in esame “in senso ampio e necessariamente atecnico”, come dimostrato dal fatto che nella categoria sono ricompresi anche gli arbitri – ex art. 112, comma 1, lettera e) c.p.a. – con conseguente assegnazione della competenza per l'ottemperanza ai ricorsi straordinari al TAR del Lazio, nella cui circoscrizione operano il Presidente della Repubblica, il Ministro proponente ed il Consiglio di Stato in sede consultiva. Nella medesima ordinanza, in conclusione, si dichiarava ex art. 16 c.p.a. il “difetto di competenza in primo grado del Consiglio di Stato in favore del TAR Lazio”, innanzi al quale la causa avrebbe dovuto essere riassunta entro un termine perentorio dato.

Il Collegio ritiene che le diverse linee interpretative sopra sintetizzate, per i delicati profili ordinamentali coinvolti, meritino approfondimento da parte dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, tenuto conto del fatto che, nella pronuncia della medesima Adunanza n. 18/2012 del 5.6.2012, la questione qui esaminata risulta non propriamente affrontata, ma assorbita in una valutazione di ammissibilità, riferita in senso lato all'ottemperanza delle decisioni rese in sede di ricorso straordinario, ai sensi dell'art. 112, comma 2, c.p.a., senza individuazione della riconducibilità della fattispecie alle lettere b) o d) della citata norma, con le conseguenze sopra esplicitate per l'individuazione del giudice competente.

E' quest'ultima questione, dunque, che il Collegio intende rimettere alla valutazione dell'Adunanza Plenaria, sulla base di considerazioni che – ad avviso del Collegio stesso – possono ritenersi confermative del secondo indirizzo in precedenza sintetizzato, tenuto conto delle argomentazioni che, in ordine alla natura giuridica del ricorso straordinario, emergono dal parere emesso dall'Adunanza delle Sezioni riunite prima e seconda del Consiglio di Stato n. 2131/2012 del 7.5.2012.

Da tale pronuncia emerge – dopo un interessante excursus storico – una chiara (e, si ritiene, condivisibile) presa di posizione, circa la qualificazione del ricorso straordinario come “rimedio…tendenzialmente giurisdizionale nella sostanza, ma formalmente amministrativo”, per ragioni che nel medesimo parere si fanno risalire alla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di effettività della tutela e, soprattutto, all'entrata in vigore della legge 18.6.2009, n. 69.

In passato sulla natura amministrativa del provvedimento, emesso in esito a ricorso straordinario, si era espressa la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, cassando per difetto di giurisdizione una decisione del Consiglio di Stato, affermativa al riguardo dell'ammissibilità del giudizio di ottemperanza (Cass. SS.UU. n. 15978/2001); alle medesime conclusioni era giunta la Corte Costituzionale circa la possibilità di sollevare, in sede di ricorso straordinario, questioni di costituzionalità (Corte Cost. n. 254/2004). La Corte di Giustizia invece, con decisione in data 16.10.1997 (cause riunite C-69/96 e 79/96) qualificava il Consiglio di Stato in sede consultiva - nei procedimenti decisori di ricorsi straordinari – come “giudice nazionale”, in quanto tale abilitato a sollevare questioni interpretative pregiudiziali innanzi al giudice comunitario.

Quest'ultimo pronunciamento, tuttavia, risultava funzionale all'individuazione delle autorità, legittimate a proporre questioni relative all'interpretazione del Trattato a norma dell'art. 177 del medesimo; quanto sopra, al mero fine di assicurare la più ampia possibile effettività del diritto comunitario sul piano sostanziale, senza che entrassero necessariamente in discussione le norme nazionali, da cui continuava ad emergere la natura provvedimentale del decreto, emesso dal Capo dello Stato in esito a ricorso straordinario. Sotto quest'ultimo profilo restavano fermi, infatti, la natura non giurisdizionale dell'Organo, cui formalmente era affidata l'emanazione dell'atto conclusivo del procedimento, nonché il carattere non strettamente vincolante del presupposto parere del Consiglio di Stato, con conseguente riconduzione dell'atto stesso ad un pronunciamento volitivo dell'Amministrazione; anche il principio di alternatività, di cui all'art. 10, comma 1, del d.P.R. n. 1199/1971 – nel prevedere che i controinteressati potessero imporre la trasposizione del giudizio in sede giurisdizionale – sottolineava la diversità di ogni forma di ricorso amministrativo rispetto al processo, svolto innanzi agli Organi indicati nel titolo IV della Costituzione, con priorità del secondo per una piena attuazione del principio, di cui all'art. 24 della medesima carta costituzionale.

In tale contesto sono intervenute, innovativamente, le disposizioni dettate nella citata legge n. 69/2009 (il cui articolo 69 consente eccezioni di incostituzionalità sollevate in sede di ricorso straordinario e rende vincolante il parere conclusivo del Consiglio di Stato), nonché nel d.lgs. 2.7.2010, n. 104 (codice del processo amministrativo, nel cui art. 112 si ammette l'azione di ottemperanza, oltre che per le sentenze passate in giudicato, anche per “provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo” ed “altri provvedimenti”, da ritenere equiparati a dette sentenze).

Si deve quindi ammettere che, dalla data di entrata in vigore della legge n. 69/2009, sia stata compiuta una svolta ordinamentale, per l'esigenza – che emerge dagli atti parlamentari, nell'ambito dell'iter approvativo del ricordato c.p.a. – di dare attuazione agli articoli 6 e 13 CEDU, che richiedono effettività della tutela “per le decisioni la cui cogenza è equiparata a quella delle sentenze del Consiglio di Stato irrevocabili”.

Nel parere n. 2131/2012 qui sintetizzato, tuttavia, si sottolinea come l'art. 6 della CEDU non sia ritenuto dalla Corte di Strasburgo applicabile al ricorso straordinario (Corte CEDU, caso Nardella), essendo il decreto decisorio del ricorso di cui trattasi impugnabile innanzi al tribunale Amministrativo Regionale; detto ricorso, inoltre, continua a presentare significative differenze rispetto al processo amministrativo, cui non appare pienamente equiparabile: quanto sopra, per l'improponibilità di azioni di mero accertamento, accesso ai documenti, contestazione del silenzio-inadempimento dell'Amministrazione, nonché per la presenza di una fase istruttoria effettuata dalle strutture ministeriali, senza contraddittorio orale delle parti, senza possibilità di consulenze tecniche d'ufficio e senza pubblicità del dibattimento. Lo stesso, attuale carattere vincolante del parere del Consiglio di Stato dovrebbe ritenersi non assoluto, ma soggetto a possibili richieste di riesame dell'atto conclusivo, per vizi di legittimità o in presenza di ragioni revocatorie.

Le considerazioni in precedenza illustrate aprono scenari meritevoli di approfondimento, in merito all'ottemperanza delle decisioni assunte in esito ai ricorsi straordinari al Capo dello Stato.

Ad avviso del Collegio, debbono infatti considerarsi le seguenti circostanze, confermative dell'esperibilità del giudizio di esecuzione per detta tipologia di ricorsi, ma preclusive di un'acritica equiparazione di questi ultimi ai ricorsi, proposti in sede giurisdizionale e conclusi con sentenza:

a) appare innegabile che – per i pareri emessi dal Consiglio di Stato in sede di ricorso straordinario, dopo l'emanazione della legge n. 69/2009 – sia configurabile un'accezione nuova e non meramente provvedimentale dell'atto, conformemente emesso in forma di decreto presidenziale;

b) la piena assimilazione di tale atto ad una sentenza risulta, d'altra parte, da escludere, per i delicati interrogativi che dovrebbero porsi, in caso contrario, in rapporto all'art. 111 della Costituzione e all'art. 6 CEDU;

c) appare ragionevole ritenere che – in considerazione della natura giustiziale del predetto ricorso straordinario e dell'autorevolezza del parere, emesso in posizione neutra e a garanzia oggettiva dell'ordinamento dal Consiglio di Stato – la presa d'atto, ormai vincolata, proveniente dall'Amministrazione e formalmente espressa dal Capo dello Stato sia da considerare non “provvedimento esecutivo del giudice amministrativo”, ma provvedimento equiparato a sentenza ai fini dell'esecuzione (nei limiti delle statuizioni nel parere stesso contenute), con conseguente riconducibilità della fattispecie all'art. 112, comma 2, lettera d) c.p.a..

Nell'ottica di cui al precedente punto c), le decisioni rese in esito a ricorso straordinario non perderebbero il formale carattere di provvedimento amministrativo, ma risulterebbero rafforzate sul piano dell'esecutorietà (in via ordinaria – ovvero per la generalità dei provvedimenti – rimessa all'Autorità amministrativa, ma nel caso di specie affidata al Plesso giurisdizionale di riferimento, risultando già effettuata dall'Organo di vertice di quest'ultimo la richiesta valutazione di legittimità, benché senza le integrali garanzie del processo per la valutazione della fattispecie concreta).

A sostegno della tesi anzidetta si pongono considerazioni, che attengono alla natura del giudicato, ai limiti di competenza interna delle sezioni del Consiglio di Stato e al principio generale del doppio grado di giurisdizione.

Sotto il primo profilo, infatti, suscita perplessità la piena equiparazione, che si volesse ritenere introdotta fra pronuncia – emessa in esito a ricorso straordinario – e sentenza conclusiva del processo, con anomalo riconoscimento di un “doppio binario” giurisdizionale, nell'ambito del quale potrebbero acquisire la forza propria del giudicato (indiscutibile per principio risalente al diritto romano: “facit de albo nigrum, aequat quadrata rotundis….”) anche pronunce non assistite dalle previe garanzie del “giusto processo”, così come oggi scolpite nell'art. 111 della Costituzione.

Quanto sopra con conseguenze che – per i limiti istruttori sottolineati nel citato parere n. 2131/2012 – implicherebbero un giudizio di esecuzione vincolato non solo dai principi di diritto, espressi nel parere del Consiglio di Stato, ma anche dai presupposti di fatto, nel medesimo parere talvolta non compiutamente accertati, come evidenziato dall'Amministrazione nel caso di specie.

Ove, inoltre, il pronunciamento emesso a seguito di ricorso straordinario avesse la medesima natura giuridica di una sentenza, non si vede perché – a livello di competenza interna – detto ricorso non potrebbe essere esaminato (anche) dalle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, così come risulta anomalo che – per l'ottemperanza al medesimo – venga chiamata a pronunciarsi una sezione giurisdizionale, anziché la sezione consultiva che abbia emesso il parere; in altri termini, la possibile configurazione del parere in questione come “ius dicere”, non distinguibile dalla pronuncia giurisdizionale, porrebbe evidenti problemi di rilevanza costituzionale e comunitaria, ove le scarne indicazioni, contenute nell'art. 112 c.p.a., fossero da considerare introduttive di una totale equiparazione fra attività consultiva di tipo giustiziale e attività giudicante in senso proprio (riconducibili, rispettivamente, agli articoli 100 e 103 della Costituzione). .

Ugualmente ardua appare la riconducibilità alle medesime indicazioni codicistiche della soppressione del doppio grado di giurisdizione, pacificamente riconosciuto anche per le sentenze emesse in sede di ottemperanza quando il gravame non investa mere questioni esecutive, con effetto devolutivo pieno in relazione alla regolarità del rito instaurato, alle condizioni soggettive ed oggettive dell'azione ed alla fondatezza della pretesa azionata (cfr. in tal senso per il principio, Cons. St., sez. V, 8.7.2002, n. 3789; Cons. St., sez. VI, 27.1.2012, n. 385); quanto sopra, oltre tutto, per una decisione che non perderebbe la propria natura di provvedimento amministrativo, continuandosi a ritenere ammissibile al riguardo anche l'ordinario ricorso giurisdizionale (cfr. in tal senso il citato parere n. 2131/2012).

Per tutte le ragioni enunciate, il Collegio ritiene opportuno rimettere all'Adunanza Plenaria la questione della natura giuridica della pronuncia emessa in esito a ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e del giudice competente a pronunciarsi al riguardo, a norma dell'art. 113 c.p.a..

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all'adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
Avv. Antonino Sugamele

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