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Sentenza

L’accordo sul compenso dell’avvocato, che deve essere sempre proporzionato alla ...
L’accordo sul compenso dell’avvocato, che deve essere sempre proporzionato alla attività svolta, deve essere stipulato al momento del conferimento dell’incarico e non all’esito della causa. Non solo, l’eventuale consenso del cliente non salva il professionista dalla responsabilità disciplinare.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Napoli, rel. Consales), con sentenza n. 144/2025
R.G. N. 242/24 RD n. 144 /25
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio Nazionale Forense, riunito in seduta pubblica, nella sua sede presso il Ministero



Il caso era quello di un legale che dopo aver seguito per circa vent’anni una complessa vicenda civile e penale riguardante il decesso di un neonato nel corso di un ricovero, fece firmare ai genitori un accordo che prevedeva, oltre alle spese liquidate in sentenza (circa 70mila euro), onorari aggiuntivi per 129mila euro ed ulteriori 50mila euro per l’eventuale appello, su un risarcimento totale di circa 529 000 euro. Il legale, dunque, aveva incassato la somma di 255mila euro mentre i clienti 137mila ciascuno (per complessivi € 274.000).

Secondo la valutazione del CDD l’attività espletata in favore degli assistiti non giustificava compensi così alti, come quelli previsti nell’accordo sottoscritto dall’avvocato con i suoi clienti. Per il Cnf l’assunto è corretto. Inoltre l’accordo “anziché legittimare il compenso pattuito suscita non poche perplessità”. Infatti, si legge nella decisione, l’accordo sul compenso, per quanto previsto dalla legge professionale, va stipulato al momento del conferimento dell’incarico e non al momento in cui l’incarico è concluso. L’art. 13, comma 2, della Legge n. 247/2012 prevede infatti che “Il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale”.

Inoltre, prosegue, “non si comprende che senso possa avere un accordo sul compenso stipulato all’esito del giudizio in assenza di contestazione delle parti”. Si tratta di un accordo che è stato “predisposto unilateralmente dal professionista per ottenere riconoscimenti sull’attività e sul compenso in una situazione non oggettivamente paritetica tra le parti che hanno stipulato”. Oltretutto nell’esposto il cliente afferma che la sua “scarsa scolarizzazione” e le cure presso il Dipartimento di salute mentale non gli consentivano di comprendere la documentazione sottopostagli dal legale.

Le notule prodotte, mai sottoposte agli assistiti, né validate dal Consiglio dell’ordine non potevano avere alcun valore. “Correttamente, dunque – si legge -, il CDD di Perugia ha affermato che l’incolpato ha agito nella consapevolezza della sproporzione ed infatti solo la consapevolezza della sproporzione può averlo determinato alla stipula di un accordo in assenza di contestazioni e a distanza di circa diciotto anni dal conferimento dell’incarico”. Mentre, come detto, “la presenza di un accordo tra le parti e la stessa accettazione della misura del compenso da parte del cliente non sono di per sé elementi idonei ad escludere la responsabilità sotto il profilo deontologico dell’Avvocato”.

È stata invece accolta la doglianza circa l’aggravamento della sanzione passata dalla censura, prevista dal codice deontologico, alla sospensione per tre mesi, in quanto non adeguatamente motivata.

“La tendenziale tipicità degli illeciti disciplinari – scrive il Cnf - per i quali sono previste sanzioni disciplinari tassativamente previste, non consente al giudicante di discostarsi dalla sanzione prevista se non con idonea e puntuale motivazione”, che nel caso specifico è mancata. Il Collegio ha così applicato la sanzione della censura.

della Giustizia, in Roma, presenti i Signori:
- Avv. Francesco NAPOLI Presidente f.f.
- Avv. Giovanna OLLA’ Segretario
- Avv. Enrico ANGELINI Componente
- Avv. Leonardo ARNAU Componente
- Avv. Ettore ATZORI Componente
- Avv. Giampaolo BRIENZA Componente
- Avv. Camillo CANCELLARIO Componente
- Avv. Paola CARELLO Componente
- Avv. Giampiero CASSI Componente
- Avv. Claudio CONSALES Componente
- Avv. Aniello COSIMATO Componente
- Avv. Antonio GAGLIANO Componente
- Avv. Antonino GALLETTI Componente
- Avv. Nadia Giacomina GERMANA’ TASCONA Componente
- Avv. Francesca PALMA Componente
- Avv. Alessandro PATELLI Componente
- Avv. Demetrio RIVELLINO Componente
- Avv. Federica SANTINON Componente
- Avv. Carolina Rita SCARANO Componente
- Avv. Lucia SECCHI TARUGI Componente
con l’intervento del rappresentante il P.G. presso la Corte di Cassazione nella persona del
Sostituto Procuratore Generale dott. Fulvio Baldi ha emesso la seguente
SENTENZA
Sul ricorso depositato il 12 luglio 2024 dall’Avv. [RICORRENTE] del Foro di Perugia difeso dall’Avv.
[OMISSIS], avverso la decisione del 13 giugno 2024, pubblicata il 13 giugno 2024, del Consiglio
Distrettuale di Disciplina di Perugia, notificata a mezzo PEC in data 14 giugno 2024, con la quale il
predetto CDD ha dichiarato l’Avv. [RICORRENTE] responsabile degli addebiti di cui al capo di
incolpazione ed ha applicato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della
professione per mesi tre.
Il ricorrente, avv. [RICORRENTE] è comparso;
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è presente il suo difensore avv. [OMISSIS];
Per il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Perugia, regolarmente citato, è presente l’Avv.
[OMISSIS];
Il Consigliere relatore avv. Claudio Consales svolge la relazione;
Inteso il P.G., il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
L’avv. [OMISSIS] per il COA conclude per la conferma della decisione impugnata.
Il ricorrente avv. [RICORRENTE] illustra i fatti accaduti;
il difensore avv. [OMISSIS] ribadisce i motivi di ricorso conclude chiedendo l’annullamento
della decisione e in subordine chiede una rideterminazione della sanzione
FATTO
L’Avv. [RICORRENTE] veniva tratto a giudizio disciplinare dal CDD di Perugia con il seguente
capo di incolpazione:
“Per avere, in violazione degli art. 25 comma 2 ed art. 29 comma 4 del vigente CDF, pattuito con i
propri clienti [AAA] e [BBB], all’esito positivo di una causa civile, un compenso qualificabile come
percezione di una quota del risarcimento stabilito e comunque sproporzionato rispetto all’attività
svolta ed al risultato conseguito. In Perugia, in epoca anteriore e prossima al 28 gennaio 2018”.
Il procedimento disciplinare traeva origine dall’esposto presentato in data 24 maggio 2021 al COA
di Perugia dal Sig. [AAA], il quale rappresentava quanto segue:
in seguito al decesso del proprio figlio di soli otto mesi, nato dal matrimonio con la Signora [BBB],
verificatosi il 18 settembre 1999, aveva conferito incarico professionale all’Avv. [RICORRENTE] al
fine di accertare eventuali responsabilità del personale sanitario per il decesso del neonato.
Soltanto verso la fine del 2017, in assenza di qualsiasi informazione da parte del professionista
sull’andamento della causa, era stato contattato dall’Avv. [RICORRENTE] che gli fece
sottoscrivere alcuni documenti presso il proprio studio, nonché presso lo studio del Notaio
[OMISSIS], dove veniva accompagnato dall’Avv. [OMISSIS], collaboratrice dell’Avv.
[RICORRENTE].
Conferiva unitamente all’ex moglie procura speciale all’Avv. [RICORRENTE] per incassare le
somme di cui alla intervenuta favorevole sentenza del Tribunale di Perugia n. [OMISSIS]/2017 del
14 dicembre 2017 resa nel giudizio civile per risarcimento danni RG [OMISSIS]/2004.
Inoltre sottoscriveva sempre con l’ex moglie un accordo con il quale venivano pattuite le spettanze
dell’Avv. [RICORRENTE], sia nell’ipotesi di riscossione totale che parziale della somma liquidata
con la sentenza. Nel primo caso l’Avv. [RICORRENTE] avrebbe trattenuto, oltre alla somma
liquidata dal Tribunale a titolo di spese legali, ammontanti ad euro 77.707,09 (incluse spese
precettate), ulteriori euro 200.000,00 a titolo di compenso forfettario, comprensivo di qualunque
onere, spesa o compenso per il procedimento penale, per la causa civile o le procedure
stragiudiziali, nonché degli onorari spettanti ad altri professionisti, ed un onorario forfettario di €
50.000,00 per la prevedibile fase di appello. Nel caso di riscossione parziale (ad esempio se si
fosse ottenuto il pagamento delle sole somme ingiunte a Zurich PLC e [OMISSIS] pari ad €
529.140,01), l’Avv. [RICORRENTE] avrebbe trattenuto, oltre alle spese liquidate in sentenza pari
ad € 75.919,17, ulteriori € 129.000,00 a titolo di onorario ed € 50.000,00 (€ 25.000,00 per ciascun
assistito) per il giudizio di appello, cosi bonificando a ciascun assistito la residua somma di €
137.000,00. Esponeva ancora che in data 29 gennaio 2018 aveva ricevuto sul proprio conto
corrente un bonifico di euro 137.000,00, che in base all’accordo ritiene che abbia ricevuto anche
l’ex moglie, a fronte di una somma incassata dal professionista di € 529.000,00, parte del
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maggiore importo indicato in sentenza e quantificato complessivamente nell’accordo sottoscritto in
€ 702.874,25 oltre al pagamento delle spese legali pari ad € 76.707,09, comprensive di precetto.
L’esposto veniva, dunque, inviato dal COA di Perugia al CDD di Perugia.
L’Avv. [RICORRENTE], nelle memorie difensive depositate l’01 luglio 2021 ed il 19 novembre
2021, assumeva che le somme richieste, pur di entità considerevole, erano congrue e
proporzionate all'attività prestata in quanto l’incarico si era protratto per parecchi anni, riguardando
diversi giudizi anche penali, nonché di aver assunto su di sé l’onere del pagamento di altri
professionisti e le spese vive, senza mai percepire alcuna somma.
All’esito del procedimento disciplinare, il CDD di Perugia con decisione del 13 giugno 2024 statuiva
di non esservi luogo a provvedimento disciplinare in merito alla violazione dell’art. 25 comma 2,
CDF, mentre, riguardo alla contestazione della violazione di cui all’art. 29, comma 4, CDF del capo
di incolpazione, affermava la responsabilità disciplinare dell’incolpato ed infliggeva allo stesso, ai
sensi dell’art. 22, comma, 2 lettera B, la sanzione disciplinare aggravata di mesi tre di sospensione
dall’esercizio della professione forense.
L’Avv. [RICORRENTE] ha impugnato tempestivamente la decisione del CDD di Perugia
articolando due motivi di ricorso:
Con il primo motivo il ricorrente ha esposto che non è ravvisabile, nel caso in esame, alcuna
violazione del divieto di richiedere compensi o acconti manifestamente sproporzionati all’attività
svolta o da svolgere previsto dall’art. 29, comma 4, del CDF.
A sostegno di tale assunto il ricorrente deduce che le somme pattuite con i clienti erano del tutto
proporzionate in considerazione dell’attività professionale svolta per oltre un ventennio, la
complessità della lite, il valore della causa, l’assunzione del rischio e di tutte le obbligazioni
contratte con i vari avvocati e consulenti che hanno collaborato con lui nei vari giudizi. L’importo
indicato nella decisione impugnata, infatti, quale compenso percepito dal [RICORRENTE] da parte
del [AAA] e della Sig.ra [BBB] pari ad € 254.919.00 (importo omnicomprensivo) non è relativo ad
una singola pratica ma è derivante dalla sommatoria di più compensi dovuti, da entrambi gli
assistiti, per più procedimenti, ovvero: a) per l’attività stragiudiziale resa; b) per il procedimento
penale definito a seguito di incidente probatorio; c) per il procedimento civile e i relativi sub
procedimenti; d) per il procedimento esecutivo per l’ottenimento delle somme liquidate nella
sentenza di primo grado; e) per il giudizio di appello.
Con il secondo motivo il ricorrente si duole dell’eccessività della sanzione inflitta dal CDD
contestando le ragioni che l’organo di disciplina ha addotto, nella decisione impugnata, a sostegno
della scelta di aggravare la sanzione edittale della censura nella sospensione per tre mesi.
Ha concluso formulando le seguenti richieste: in via principale l’annullamento, con ogni
consequenziale provvedimento della decisione emessa in data 13.06.2024 dal Consiglio
Distrettuale di Disciplina Forense di Perugia e in via subordinata la riconduzione della sanzione
disciplinare, con applicazione delle attenuanti, nelle forma dell’avvertimento o in quella, prevista
dall’art. 29 CDF per la fattispecie contestata, della censura.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il CDD di Perugia ha correttamente e motivatamente riconosciuto la violazione da parte dell’Avv.
[RICORRENTE] della norma contenuta nell’art. 29, comma 4, del CDF.
Ha sostenuto il CDD di Perugia che è pacifico in atti e riconosciuto dallo stesso incolpato che,
verificatasi la seconda ipotesi di cui all’accordo sottoscritto presso lo studio dell’Avv.
[RICORRENTE], su un importo risarcitorio spettante agli attori, poi effettivamente riscosso
dall’incolpato in virtù della procura conferitagli, pari ad € 529.140,01, lo stesso incassava
complessivamente le seguenti somme: € 129.000,00 a titolo di onorario, € 75.919,17 quali spese
liquidate in sentenza e successivo precetto, ed € 50.000,00 per l’eventuale giudizio in Corte di
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Appello, per un totale di € 254.919,00 e che l’Avv. [RICORRENTE] successivamente accreditava ai
clienti la somma di € 137.000 ciascuno, per complessivi € 274.000.
Secondo la valutazione del CDD di Perugia l’attività espletata in favore degli assistiti non giustifica
compensi così alti, come quelli previsti nell’accordo sottoscritto dall’avvocato [RICORRENTE] con i
suoi clienti.
L’assunto sostenuto dal CDD è corretto e sul punto si deve aggiungere che l’accordo in questione,
anziché legittimare il compenso pattuito suscita non poche perplessità sulla condotta tenuta dal
ricorrente nella vicenda in esame.
Infatti, l’accordo sul compenso, per quanto previsto dalla legge professionale, va stipulato al
momento del conferimento dell’incarico e non al momento in cui l’incarico è concluso.
L’art. 13, comma 2, della Legge n. 247/2012 prevede infatti che “Il compenso spettante al
professionista è pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale”.
L’assunto è stato richiamato dalla Corte di Cassazione che con ordinanza n. 24213 dell’08.09.2021
ha stabilito che: “A pena di nullità, il patto di determinazione del compenso dell'avvocato deve
essere redatto in forma scritta ai sensi dell'art.2233, comma 3, c.c., prescrizione che non può
ritenersi implicitamente abrogata dalla L. 31/12/2012, n. 247, art.13, comma 2, la quale stabilisce
che il compenso spettante al professionista sia pattuito di regola per iscritto, norma, questa, che
non si riferisce alla forma del patto, ma indica che il momento in cui stipularlo è quello del
conferimento dell'incarico.”
Infatti, non si comprende che senso possa avere un accordo sul compenso stipulato all’esito del
giudizio in assenza di contestazione delle parti.
Dalla lettura dell’accordo e dall’istruttoria espletata non emerge che sia sorto tra il professionista e
gli assistiti una divergenza o un contrasto che possa giustificare il contenuto dell’accordo in esame.
Si legge nell’accordo: “Le parti riconoscono la straordinaria complessità della questione trattata e
l’impegno straordinario profuso dall’avvocato e l’assoluto risultato vantaggioso sinora conseguito in
termini risarcitori.......Gli assistiti hanno da sempre rappresentato di non essere in grado di
sostenere gli oneri economici né per la difesa nell’ambito del procedimento penale e né gli oneri
della causa civile. In conseguenza di ciò all’Avvocato [RICORRENTE] non è stato mai versato
alcunché ed anzi l’Avvocato [RICORRENTE] ha sostenuto personalmente per 17 anni ogni spesa
necessaria alle difese. Tali spese sono state di rilevante entità (oltre alle spese vive di procedura si
considerino le spese necessarie all’interessamento di tutti i diversi consulenti medici ………….”
È evidente che l’accordo è stato predisposto unilateralmente dal professionista per ottenere
riconoscimenti sull’attività e sul compenso in una situazione non oggettivamente paritetica tra le
parti che hanno stipulato l’accordo.
Le modalità con cui si è proceduto alla sottoscrizione dell’accordo ed il lungo lasso di tempo
intercorso tra il conferimento dell’incarico e la sottoscrizione dell’accordo rendono significativi i
rilievi svolti dal sig. [AAA] con l’esposto che ha dato origine al procedimento disciplinare.
Si legge nell’esposto: “Faccio altresì presente che a causa della mia scarsa scolarizzazione e delle
patologie per le quali da molti anni sono in cura al Dipartimento di salute mentale della ASL
Umbria 1, senza una chiara spiegazione verbale non sarei riuscito a comprendere il contenuto dei
documenti che l’avvocato mi chiedeva di firmare neanche leggendoli, ma l’avvocato non mi ha
consentito di leggerli, non me ne ha rilasciata copie ed appena firmati la sua collaboratrice si è
affrettata a portarli via …… L’avvocato non mi ha spiegato nulla, mi ha solo detto che c’erano da
prendere dei soldi e che avrei dovuto dargli gli estremi del mio conto corrente; di lui mi fidavo o
almeno fino a quel momento non avevo nessun sospetto.”
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Ai fini della decisione non possono rivestire nessun rilievo probatorio le notule giustificative del
compenso redatte unilateralmente dal ricorrente nel corso del giudizio disciplinare, sulla notula
penale è infatti indicata la data del 18.07.2022, mai sottoposte ai propri assistiti e non richiamate
nell’accordo sottoscritto.
Quanto meno le notule prodotte, per poter assumere un rilievo probatorio, dovevano essere
preventivamente sottoposte al vaglio di congruità del Consiglio dell’Ordine di appartenenza.
Correttamente, dunque, il CDD di Perugia ha affermato che l’incolpato ha agito nella
consapevolezza della sproporzione ed infatti solo la consapevolezza della sproporzione può averlo
determinato alla stipula di un accordo in assenza di contestazioni e a distanza di circa diciotto anni
dal conferimento dell’incarico.
La presenza di un accordo tra le parti e la stessa accettazione della misura del compenso da parte
del cliente non sono di per sé elementi idonei ad escludere la responsabilità sotto il profilo
deontologico dell’Avvocato, come ha avuto modo di chiarire il CNF con la Sentenza n. 286/2024,
stabilendo che: “L’avvocato che chieda compensi eccessivi e anche sproporzionati rispetto alla
natura e alla quantità delle prestazioni svolte pone in essere un comportamento
deontologicamente rilevante (art. 29 cdf) perché lesivo del dovere di correttezza e probità a cui
ciascun professionista è tenuto. Peraltro, l’illecito in parola non è escluso dal fatto che vi sia un
accordo sul compenso ovvero che il cliente accetti di provvedere al relativo pagamento.”
Con riferimento più specifico ai rilievi formulati dal ricorrente nell’atto di impugnazione sulla non
adeguata considerazione dei documenti prodotti, si evidenzia che nel procedimento disciplinare
vige il principio del c.d. libero convincimento in sede disciplinare, sicché il Giudice della
deontologia ha ampio potere discrezionale nel valutare la rilevanza e la conferenza delle prove.
Principio questo affermato anche dalle SS.UU della Corte di Cassazione che con la sentenza n.
6277/2019 hanno statuito: “Anche in tema di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, il
giudice non ha l’obbligo di confutare esplicitamente le tesi non accolte né di effettuare una
particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, essendo sufficiente a
soddisfare l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame
logico e coerente, non di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì di
quelle ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo; in altri termini, non si richiede al
giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o
comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed
adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla,
ovvero la carenza di esse.”
Per i rilievi esposti la decisione del CDD di Perugia va quindi confermata nella parte in cui
riconosce la responsabilità disciplinare dell’Avv. [RICORRENTE].
Il ricorrente ha inoltre impugnato la decisione del CDD, in via subordinata, sotto il profilo
dell’eccessività della sanzione adottata.
La sanzione espressamente prevista per la violazione dell’art. 29, comma 4, del CDF è quella della
censura, che il CDD di Perugia ai sensi dell’art. 22 del CDF ha ritenuto di aumentare comminando
la sanzione della sospensione di mesi tre dall’esercizio della professione.
La possibilità di aumentare la sanzione è prevista nei casi più gravi, ma il CDD per motivare
l’aumento della sanzione espone considerazioni non idonee a giustificarlo.
La tendenziale tipicità degli illeciti disciplinari per i quali sono previste sanzioni disciplinari
tassativamente previste, non consente al giudicante di discostarsi dalla sanzione prevista se non
con idonea e puntuale motivazione.
Nel caso in esame il CDD non ha fornito una motivazione adeguata a giustificare l’aumento
rispetto alla sanzione prevista dalla norma violata, ricorrendo a considerazioni sicuramente
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significative ai fini dell’accertamento della responsabilità, ma non tali da giustificare l’aggravamento
previsto dall’art. 22 CDF.
La decisione del CDD di Perugia non offre una motivazione adeguata così da fare ritenere la
violazione commessa dall’incolpato più grave rispetto a quella prevista dall’art. 29, comma 4, del
CDF.
Per quanto esposto, la sanzione disciplinare applicabile nella vicenda in esame è la censura in
sostituzione della sanzione disciplinare della sospensione dalla professione per la durata di mesi
tre comminata dal CDD di Perugia.
P.Q.M.
visti gli artt. 36 e 37 L. n. 247/2012 e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22.1.1934, n. 37;
il Consiglio Nazionale Forense in riforma parziale dell’impugnata decisione del CDD di Perugia, per
quanto sopra deciso e specificato, applica all’Avv. [RICORRENTE] la sanzione disciplinare della
censura.
Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità
di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione
elettronica sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli
interessati riportati nella sentenza.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 22 febbraio 2025;
IL SEGRETARIO IL PRESIDENTE f.f.
f.to Avv. Giovanna Ollà f.to Avv. Francesco Napoli
Depositata presso la Segreteria del Consiglio nazionale forense,
oggi 26 Maggio 2025.
IL CONSIGLIERE SEGRETARIO
f.to Avv. Giovanna Ollà
Copia conforme all’originale
IL CONSIGLIERE SEGRETARIO
Avv. Giovanna Ollà
Avv. Antonino Sugamele

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