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Sentenza

Differenze tra restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione. Il Consigl...
Differenze tra restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione. Il Consiglio di Stato fa il punto.
Cons. Stato Sez. II, Sent., (ud. 17/11/2020) 26-12-2020, n. 8337
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9871 del 2011, proposto dalla Società I. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Luigi Marcialis, con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Giorgio Vasi in Roma, via Sardegna, n. 29,

contro

il Comune di Teulada, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda) n. 288/2011, resa tra le parti, concernente l'annullamento d'ufficio di una concessione edilizia maturata per silenzio assenso.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 25 del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137 e l'art. 4 del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con L. 25 giugno 2020, n. 70;

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 17 novembre 2020, in collegamento da remoto in videoconferenza, il Cons. Antonella Manzione;
Svolgimento del processo

1.La Società I. S.r.l. (d'ora in avanti solo la Società), proprietaria di una piccola isola denominata "Isola Rossa" nel territorio del Comune di Teulada ove insistono i ruderi di una antica tonnara, impugna la sentenza del T.A.R. per la Sardegna n. 288 del 2011 con la quale è stato respinto il suo ricorso per l'annullamento dell'atto di autotutela n. 10/04 del 5 maggio 2004 avente ad oggetto una concessione edilizia ritenuta formata per silenzio assenso ai sensi della L. n. 94 del 25 marzo 1982. Il Tribunale adito fondava la propria decisione sulla qualificazione giuridica dell'intervento come ristrutturazione, e non quale restauro o risanamento conservativo, ovvero manutenzione straordinaria, siccome ipotizzato dalla parte, con conseguente applicabilità delle limitazioni rivenienti dalla vigente disciplina urbanistica, in particolare la necessità di rispettare la prevista distanza di 2 chilometri dalla linea di battigia. Non sussisterebbe alcun giudicato con riferimento alla salvezza del corpo est del fabbricato riveniente dalla sentenza n. 734 del 1997 del medesimo T.A.R. per la Sardegna, che aveva ritenuto legittima l'ordinanza n. 14 del 1992 (decisione riformata dalla sentenza n. 7819 del 17 giugno 2003 di questo Consiglio di Stato, ma avuto riguardo alla sola omissione della comunicazione di avvio del procedimento, cui ha fatto seguito il reiterato annullamento d'ufficio oggi in controversia).

2. Con l'odierno appello la società, premessa la ricostruzione in fatto della complessa vicenda, contesta la sentenza con sei articolati motivi, sostanzialmente corrispondenti a quelli già proposti in primo grado, seppure accorpati:

a) non sarebbe stato esplicitato l'interesse pubblico sotteso ad un annullamento in autotutela sopravvenuto a distanza di oltre dieci anni dal provvedimento sul quale l'ordinanza impugnata è andata ad incidere, sulla base peraltro di una errata qualificazione dell'intervento progettato, che non terrebbe nemmeno conto del mutamento della declinazione della "ristrutturazione edilizia" di cui all'art. 1, comma 1, del D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 301, che la consente anche in caso di "ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma" dell'edificio preesistente (motivo sub I);

b) sarebbero errati i presupposti di fatto dell'ordinanza e del sotteso parere della Commissione edilizia, siccome documentalmente dimostrato con le perizie versate in atti, relative alla consistenza, anche storica, della tonnara. D'altro canto, il fatto che in loco insistano solo ruderi -ammesso e non concesso che la relativa dicitura sia corretta con riferimento al caso di specie- non ne implica la inesistenza e quindi l'impossibilità di recuperarne l'originaria consistenza per come ricostruita attraverso fotografie e progetti (motivo sub II);

c) nell'annullare la concessione edilizia complessivamente intesa si sarebbe dovuto "stralciare" il corpo est del manufatto, in quanto già fatto salvo dalla sentenza n. 734 del 1997 del T.A.R. che ne aveva riconosciuto la rispondenza alla disciplina edilizia e urbanistica vigente (motivo sub III);

d) malgrado il provvedimento del 1992 fosse stato annullato per violazione dell'art. 7 della L. n. 241 del 1990, nell'adozione del successivo non sarebbe stata sviluppata alcuna istruttoria aggiuntiva, avuto riguardo in particolare al tetto a copertura, oggetto di contestazione meramente assertiva (motivo sub IV);

e) non si sarebbe tenuto conto che l'istanza della Società si riferiva ad un'autorizzazione edilizia, e non ad una concessione, tale essendo il titolo necessario per l'intervento progettato ai sensi della l.r. 11 ottobre 1985, n. 23, che all'art. 13, corrispondente all'art. 8 del D.L. n. 9 del 1982, per la manutenzione straordinaria, il restauro e il risanamento conservativo prevede la maturazione del silenzio assenso decorso il termine di 60 giorni dalla richiesta. Neppure sarebbe stato valutato il parere positivo sotto il profilo paesistico dell'Assessorato regionale, cui il Comune si era rivolto in data 26 luglio 1991, facendo riferimento ad un intervento di restauro conservativo ed allegando copia del progetto esecutivo e della documentazione fotografica dello stato dei luoghi (motivo sub V). Con "considerazioni finali" lamenta infine, ancorché in maniera implicita, disparità di trattamento rispetto all'avallo di strutture turistico ricettive di ben più consistenti dimensioni, non a caso oggetto di un'indagine penale documentata mediante la produzione di copiosa rassegna stampa.

3. Il Comune di Teulada non si è costituito in giudizio.

4. Con successiva memoria versata in atti il 15 ottobre 2020 la Società ribadiva la propria prospettazione, insistendo sulla serietà delle indagini ricostruttive effettuate e documentate mediante aerofotogrammetrie e carte storiche, comprovanti che il progetto era volto ad ottenere un organismo edilizio esattamente conforme a quello preesistente nel volume, nella sagoma, nei prospetti e nelle superfici, così come filologicamente ricostruito sulla scorta dei rilievi degli esperti.

5. Alla pubblica udienza del 17 novembre 2020, svoltasi con modalità da remoto ai sensi dell'art. 25, comma 2, del D.L. n. 137 del 28 ottobre 2020, la causa è stata trattenuta in decisione
Motivi della decisione

6. Il Collegio ritiene l'appello infondato e come tale da respingere.

7. Al fine di perimetrare correttamente i confini dell'odierna controversia ne è in primo luogo opportuna una breve ricostruzione in fatto.

Con istanza depositata il 30 aprile 1991 la Società avanzava richiesta di concessione edilizia per un intervento di "restauro conservativo e consolidamento" di una preesistente struttura destinata a tonnara ubicata sull' "Isola Rossa", censita catastalmente al Foglio (...), sez. G, mappale (...), con rifacimento della copertura completamente crollata.

Rivendicando l'avvenuta formazione del silenzio assenso previsto dall'art. 8 della L. 25 marzo 1982, n. 94, comunicava al Comune, in data 5 marzo 1992, l'inizio dei lavori. Con ordinanza n. 14 del 18 maggio 1992 il Comune, facendo seguito peraltro a interlocuzioni documentali di analogo contenuto, annullava ridetta concessione edilizia "tacita", e successivamente ordinava la sospensione delle opere e la demolizione di quanto già edificato. Con sentenza n. 7819 del 17 giugno 2003 la sez. V di questo Consiglio di Stato, in riforma della sentenza del T.A.R. per la Sardegna n. 734 del 3 giugno 1997, accoglieva il ricorso con riferimento al mancato inoltro della previa comunicazione di avvio del procedimento, assorbendo tutte le residue censure. Il provvedimento oggi in controversia, pertanto, consegue alla riedizione del medesimo potere da parte del Comune di Teulada, emendato dal vizio riscontrato, ma confermativo nel merito dell'opzione interpretativa precedente.

8. Rileva il Collegio come la ricostruzione effettuata neutralizzi completamente qualsivoglia censura correlata ai tempi di esercizio dell'autotutela, stante che nel caso di specie l'Amministrazione si è attivata con la dovuta solerzia sia in occasione dell'adozione della prima ordinanza (n. 14 del 1992), che con riferimento a quella in controversia, che in quanto fondata sul precedente giudicato non poteva che conseguire cronologicamente allo stesso.

Nel caso di specie, peraltro, l'atto impugnato va ad incidere su una invocata ipotesi di silenzio assenso a carattere eccezionale e originariamente transitorio, la cui portata limitata, non estensibile alla fattispecie in controversia, rende del tutto legittimo -recte, doveroso- l'intervento interdittivo e ripristinatorio posto in essere dal Comune di Teulada. La Società ha infatti comunicato di iniziare i lavori sulla base di una concessione tacita riconducibile all'art. 8 del D.L. 23 gennaio 1982, n. 9, convertito con modificazioni nella L. 25 marzo 1992, nr. 94, che prevede il formarsi della stessa per silenzio assenso decorso il termine di novanta giorni dalla presentazione della domanda senza che sia intervenuto e comunicato il provvedimento motivato con cui viene negato il rilascio. L'istituto ha avuto in origine carattere transitorio con efficacia temporale dapprima limitata al 31 dicembre 1984, con successive leggi prorogata al 31 dicembre 1991, sino all'entrata in vigore della L. 17 febbraio 1992, n. 179, con cui è stato definitivamente acquisito nell'ordinamento con norma a regime (cfr. Cons. Stato, sez. V, 28 dicembre 2001, n. 6438; id., 28 febbraio 1995, n. 295; sez. IV, n. 3582 del 13 giugno 2011). Invero, la giurisprudenza ha ammesso che detto silenzio assenso si potesse addirittura formare anche su istanze di concessione in astratto rigettabili (p. es., per realizzare una volumetria superiore a quella assentibile), ma purché ricorrano i seguenti requisiti essenziali: a) presentazione di un'istanza per un intervento di edilizia residenziale; b) l'avvenuto decorso del termine di novanta giorni; c) la natura edificatoria dell'area oggetto d'intervento; d) la vigenza di uno strumento urbanistico attuativo (cfr. così Cons. Stato, sez. V, 3 luglio 1996, n. 834; id., 10 febbraio 1998 n. 150; id., 21 aprile 2006, n. 2261; 19 agosto 2016, n. 3656). In ciò si sostanzia la natura eccezionale dell'istituto rispetto alla disciplina generale, ma con un campo di applicazione ben definito e limitato ai soli interventi di edilizia residenziale, diretti alla costruzione di abitazione ed al recupero del patrimonio abitativo esistente, nelle sole aree deputate a tal scopo.

Il che ne fa emergere la totale estraneità rispetto alla fattispecie di cui è causa.

La Società, peraltro, non contribuisce a fare chiarezza sulle proprie reali intenzioni, stante che dopo aver avanzato istanza di concessione edilizia, anziché compulsare il Comune onde valutare le ragioni dell'inerzia, vista anche la complessità progettuale all'esame, ha optato per la comunicazione di volersi avvalere della concessione edilizia tacita di cui all'art. 8 della L. n. 94 del 1982, seppure senza pagamento di alcun onere in quanto asseritamente non dovuto; salvo poi chiarire in sede di ricorso di aver inteso fare piuttosto riferimento all'autorizzazione per silentium di cui all'art. 7 della medesima normativa e alle corrispondenti disposizioni di legge regionale, gratuita, coerentemente con la rivendicata natura di restauro o risanamento conservativo delle opere progettate.

In sintesi, la totale eterogeneità della normativa sul silenzio invocata non solo rispetto alla qualificazione dell'intervento, ma anche rispetto al contesto nel quale lo stesso veniva ad inserirsi, rendono del tutto legittimo l'annullamento d'ufficio, ampiamente motivato con il richiamo alla disciplina, anche urbanistica, violata.

7. Sgombrato il campo dai lamentati vizi procedurali, resta da chiarire l'esatta qualificazione dell'intervento. S. la Società che nel caso di specie si tratterebbe di restauro o risanamento conservativo, tale potendo qualificarsi qualsivoglia complesso di opere funzionale a "recuperare" un fabbricato preesistente, seppur da ricostruire in conformità ad un modello virtuale, frutto di una seria analisi storica, svolta anche in comparazione con l'edilizia della stessa tipologia insistente nella zona. Salvo introdurre un non meglio esplicitato richiamo alla ristrutturazione, nella declinazione della stessa conseguente alla richiamata novella introdotta con l'art. 1 del D.Lgs. n. 301 del 2002 nel D.P.R. n. 380 del 2001, che ha distinto al suo interno quella c.d. "pesante", soggetta a permesso di costruire, da quella "leggera", per la quale è invece sufficiente la mera d.i.a. (motivo di appello sub I). Riferimento, tuttavia, oltre che ininfluente ai fini dell'odierna decisione, inammissibile in quanto prospettato per la prima volta nell'odierno grado di giudizio.

8. L'assunto non è condivisibile. Nel caso di specie, come correttamente argomentato dal primo giudice, la mancanza di certezze obiettivamente riscontrabili su volumetria e tipologia preesistenti portano ad escludere un intervento meramente conservativo, non potendosi qualificare tale quello volto a preservare una ricostruzione teorica, con suggestivi richiami storici che, seppure astrattamente plusibili, non trovano riscontro nella realtà fattuale.

Gli esatti confini tra le varie tipologie di interventi su patrimonio edilizio preesistente sono stati più volte ridisegnati dal legislatore, allo scopo di ampliarne la portata per alleggerire gli oneri gravanti sui proprietari semplificando le relative procedure di avallo. Ciò è accaduto in particolare avuto riguardo alla ristrutturazione edilizia, la cui dizione è stata via via dilatata al fine di ricomprendervi i casi di ricostruzione previa demolizione senza ancorare la prima alla corrispondenza a tutti i parametri un tempo richiesti dal legislatore. Ma analogo processo estensivo non è dato individuare con riferimento al restauro conservativo.

Nel caso di specie, l'istanza di concessione è stata presentata in vigenza della L. 5 agosto 1978, n. 457, recante "Norme per l'edilizia residenziale" che distingue restauro o risanamento conservativo (art. 31, lett. c) da ristrutturazione (art. 31, lett. d) con riferimento alla possibilità solo per quest'ultima che "l'insieme sistematico di opere" che può costituire l'essenza di entrambi sfoci in un "un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente". Tali elementi di potenziale differenziazione dal fabbricato originario sono stati dal legislatore precisati meglio nel prosieguo con l'indicazione dei singoli fattori mutabili, quali la sagoma, o i volumi, o l'area di sedime, ovvero la destinazione d'uso (v. art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001 nella versione originaria, laddove con la novella del 2002, invocata anche dall'appellante, ci si è poi limitati solo alla volumetria e alla sagoma).

Il restauro e risanamento conservativo, invece, non possono mai portare a ridetto "organismo in tutto o in parte diverso dal preesistente", avendo sempre la finalità di "conservare l'organismo edilizio" ovvero di "assicurarne la funzionalità" (cfr. ancora art. 31, lett. c) della L. n. 457 del 1978, traslato testualmente nell'art. 3, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 380 del 2001). La mancanza di elementi certi circa la consistenza volumetrica e tipologica del manufatto originario, non consentono dunque di immaginarne la "conservazione": con ciò rendendo automaticamente applicabili le distanze dalla linea di battigia previste per qualsivoglia modifica tipologica o incremento volumetrico.

9. La questione del rilievo da dare alla fatiscenza del patrimonio edilizio preesistente ai fini della configurabilità di un singolo intervento come incidente sullo stesso, e non "nuova costruzione", è già stata affrontata più volte da questo Consiglio di Stato, con riferimento a quel particolare tipo di attività edilizia che, con neologismo urbanistico ormai diffuso a livello di disciplina comunale, va sotto la definizione di "ripristino filologico". Esso si connota nelle molteplici attività, in verità anche di eliminazione di volumetrie mediante abbattimento di eventuali superfetazioni, per riportare alla consistenza "storica" complessi ormai diruti, o irrimediabilmente manomessi.

Non essendo il "ripristino filologico" una categoria edilizia definita, alla quale possa ascriversi una determinata disciplina normativa, il relativo inquadramento necessita di un'indagine specifica che abbia riguardo al risultato che si intende conseguire, ma anche alla "base di partenza" dell'intervento. La giurisprudenza amministrativa sviluppatasi proprio con riferimento a tale tipologia di intervento, ha appunto ritenuto configurabili a seconda dei casi o il risanamento conservativo o la ristrutturazione edilizia, preoccupandosi altresì di fornire un riferimento di consistenza preesistente affinché il rudere o la rovina possa essere considerato da recuperare, conservare o ristrutturare (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475 e 15 marzo 1990, n. 293). Nel caso di specie non solo non è possibile, se non mediante uno sforzo ricostruttivo ipotetico, immaginare le parvenze originarie del manufatto, delle quali non sussiste prova; ma la relativa realizzazione non può non risolversi in un incremento di volumetrie e modifica dello stato dei luoghi, siccome affermato dal Comune di Teulada, in quanto, al contrario, da valutare avendo a riferimento lo stato dei luoghi nel suo reale palesarsi.

10. Affinché possa ipotizzarsi una ristrutturazione è necessario un minimo di preesistenza edificata, ossia un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura (Cons. Stato, sez. II, n. 8035 del 15 dicembre 2020). Il concetto di costruzione esistente presuppone la possibilità di individuazione della stessa come identità strutturale, in modo da farla giudicare presente nella realtà materiale quale specifica entità urbanistico- edilizia esistente nella attualità, sicché l'intervento edificatorio sulla stessa non rileva quale trasformazione urbanistico-edilizia del territorio in termini di nuova costruzione. Deve, cioè, trattarsi di un manufatto che, a prescindere dalla circostanza che sia abitato o abitabile, possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475 e 15 marzo 1990, n. 293; più di recente, sez. II, 24 ottobre 2020, n. 6455).

11. Secondo la Società l'Amministrazione non avrebbe svolto i necessari approfondimenti istruttori per convalidare la propria ricostruzione. Con ciò pretermettendo che spetta alla parte dimostrare le ragioni poste alla base delle proprie rivendicazioni; tanto più che l'apprezzabile sforzo dei tecnici non è potuto arrivare oltre lo studio storico dell'architettura di settore, la comparazione con analoghi fabbricati insistenti in altri Comuni della zona, la descrizione dello stato dei luoghi, le cui risultanze sono state "proiettate" sulla progettualità proposta. Il che ne implica la corretta qualificazione come "ipotesi", secondo l'assunto del primo giudice contestato dall'appellante.

Lo stato dei luoghi evidenzia la presenza di mere "tracce di muri perimetrali di corpi di fabbrica tra loro distanti 10 mt.", ponendosi così non un tema di fedeltà ricostruttiva rispetto agli omologhi edifici storicamente documentati, bensì più semplicemente di qualificazione della stessa in quanto riferibile ad un modello virtuale e non ad una preesistenza reale. Ciò che si riesce a ricostruire, cioè, è il "modello", appunto, di fabbricato di quella tipologia; non la sagoma reale di "quel" manufatto, del quale neppure è dato sapere se sia mai stato completato o abbia mai funzionato: dubbi che peraltro aveva già palesato il T.A.R. per la Sardegna in sede di annullamento dell'ordinanza n. 14 del 1992 (v. la più volte richiamata sentenza n. 734 del 1997). Del tutto condivisibile è pertanto l'affermazione del giudice di prime cure secondo la quale "la volumetria globale dell'intervento proposto non trova corrispondenza - e conseguentemente giustificazione - in una univoca e sicura determinazione della destinazione e della volumetria originaria dei manufatti in questione, dovendosi invece ritenere che la "ricostruzione" tipologica e volumetrica dell'originario fabbricato, così come operata dalla ricorrente nei propri elaborati progettuali, per quanto ancorata a riferimenti storici e elementi tecnici alquanto articolati e suggestivi ... costituisca una mera ipotesi di ciò che poteva essere stato in passato l'edificio in questione...". In sintesi, nel caso di specie non è in discussione la serietà scientifica dell'ipotesi ricostruttiva, ma la sua sussunzione a indice oggettivo di una preesistenza, che non risultando empiricamente, neppure può essere conservata; laddove invece se ne ipotizzi la "ristrutturazione", si è comunque al di fuori del perimetro di tolleranza della più volte ricordata disciplina urbanistica regionale.

12. La nota di riscontro della Società alla comunicazione di avvio del procedimento del 25 febbraio 2004, infatti, del cui mancato approfondito scrutinio essa si lamenta espressamente, evoca la tipica configurazione a ferro di cavallo delle tonnare e giustifica l'ipotizzato raccordo tra i due distinti e paralleli corpi di fabbrica laterali sull'assunto di una presumibile omogeneità tipologica, non suffragata tuttavia da riscontri documentali mirati ed obiettivi, né dalla evidenziazione di fattori di rilievo visualizzabili nei ruderi murari presenti. Ma vi è di più: la commistione tra ipotesi ricostruttiva e situazione reale emerge finanche dalle planimetrie e dai prospetti allegati alla domanda di concessione, stante che finanche laddove si fa riferimento allo "stato attuale" anziché raffigurare esclusivamente lo stesso, si riporta, con segno grafico tratteggiato, una presunta volumetria originale. Di fatto, cioè, la ricostruzione immaginaria viene già sovrapposta in maniera suggestiva alla configurazione attuale, così da riproporla nello stato di progetto. La stessa ricostruzione assonometrica consente di visualizzare plasticamente i residui murari, ma non la copertura e, soprattutto, con riferimento alla parte di interesse (il corpo di fabbrica intermedio) non compare la muratura anteriore, che dovrebbe giustificare l'ipotesi di una originaria presenza del tetto, per giunta con configurazione "a capanna" e non, ad esempio, a padiglione, senza che di tutto ciò sia traccia nell'organismo che si va a restaurare.

13. Privo di pregio si palesa poi il motivo di censura che vorrebbe sottrarre all'annullamento la parte progettuale relativa al corpo est sull'assunto che la sentenza del T.A.R. per la Sardegna n. 734 del 1997 ne avrebbe cristallizzato nel giudicato la legittimità. A ben guardare, infatti, la sentenza richiamata si è limitata ad evidenziare come tutt'al più per tale lato del manufatto era valutabile una preesistenza oggettiva. Accertato, infatti, che un qualche fabbricato insisteva in loco sin dal 1700, e che di esso è traccia nelle carte dell'Istituto Geografico Militare, esso "ben può essere costituito dal corpo di fabbrica situato ad est, riguardo al quale il Sindaco non ha affatto escluso l'ammissibilità del restauro conservativo". Il che non significa affatto averne riconosciuto l'autonomia contenutistica e parziaria rispetto all'intervento complessivo. Avendo, infatti, la Società presentato un'istanza relativa ad un complesso unitario di interventi, il Comune non poteva che vagliarne l'assentibilità in maniera globale. Ciò non toglie evidentemente, come già ricordato anche dal primo giudice, che la parte possa "ricalibrare" in riduzione la propria domanda, individuando una progettualità mirata e circoscritta a volumetrie effettivamente preesistenti.

14. Né a diversa conclusione può addivenirsi sulla base dei richiamati pareri degli organi regionali interpellati: per quanto espressione di un difetto di coordinamento comunicativo tra Amministrazioni diverse, la nota del 26 settembre 1991 costituisce un mero parere endoprocedimentale, rilasciato in risposta ad un quesito che, in quanto prospettato a procedimento appena instaurato, mutua in maniera acritica le dizioni contenute nella istanza di parte; la successiva del 18 dicembre 1991 fa espressamente salvo il rispetto della normativa edilizia ed urbanistica, nel caso di specie violata.

15. Infine, il richiamo, insistito anche nella memoria da ultimo versata in atti, ad orientamenti poco coerenti con il rigore legalista che avrebbe connotato la gestione del procedimento in controversia, tanto da comportare iniziative da parte della magistratura penale, proprio in quanto attratto nelle competenze della stessa, oltre ad essere inammissibile, esula dal perimetro dell'odierno giudizio. Quanto detto fermo restando che finanche una situazione di pregressa illiceità generalizzata non legittimerebbe comunque il rilascio di ulteriori titoli illegittimi.

16. Le illustrate considerazioni consentono al Collegio di respingere l'appello confermando la sentenza del T.A.R. per la Sardegna n. 288 del 2011.

Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

17. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la Società I. s.r.l. al pagamento delle spese del grado di giudizio, che liquida in Euro 4.000 (quattromila/00) a favore del Comune di Teulada, oltre oneri accessori, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2020 tenutasi con modalità da remoto con l'intervento dei magistrati:

Carlo Deodato, Presidente

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Giancarlo Luttazi, Consigliere

Italo Volpe, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere, Estensore
Avv. Antonino Sugamele

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