Avvocato Amministrativista a Trapani - Diritto Amministrativo - Notizie, Articoli, Sentenze

Sentenza

 Manifestazioni sportive - Daspo giudiziario - Pena accessoria...
Manifestazioni sportive - Daspo giudiziario - Pena accessoria
Corte d'Appello Lecce Penale Sentenza 30 luglio 2024  n. 1052

Data udienza 31 maggio 2024
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI LECCE

Sezione Unica Penale

Composta dai signori:

Dr. Giuseppe BIONDI - Presidente rel.

Dr.ssa Silvia MINERVA - Consigliere

Dr.ssa Adriana ALMIENTO - Consigliere

all'udienza del 31 Maggio 2024

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

(in CC ex art. 23 bis 137/2020 conv. con L. n. 176 del 18 dicembre 2020 e ss.mm.ii)

Nel procedimento penale a carico di:

Al.An., nato il (...) a S. P. V. (B.), ivi residente in via V., n. 25/A - dom. dich. - libero.

- Libero ASSENTE -

Presofferto: negativo

Difensori: avv. Lo.Ra. del foro di Brindisi - di fiducia

IMPUTATO

del reato di cui all'art. 6, c.7), L. n. 401 del 1989 e succ. mod. e integ., perché contravveniva all'obbligo di presentarsi presso la Stazione Carabinieri di San Pietro Vernotico quindici minuti prima dopo l'inizio e quindici minuti prima del termine di ogni partita di ogni partita di calcio di serie A, B, Prima Divisione, Seconda Divisione e serie minori, Coppe nazionali ed internazionali, nonché incontri della Nazionale Italiana di calcio, per la durata di anni due, giusta ordinanza n. 246/16 R.G.N.R. e n. 254/16 R.G. emessa in data l9.0ql.2016 dal Tribunale di Trani - Sez. Penale -, in particolare, non si presentava in occasione dell'incontro di calcio di Serie A "Cagliari-Genoa", inizio fissato per le ore 12,30 e termine previsto alle ore 14,15 del 15.01.2017, senza successivamente addurre alcun impedimento.

In San Pietro Vernotico il 15.01.2017.

APPELLANTI il P.G. e l'IMPUTATO

avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi emessa in data 12.10.2018 che così provvedeva: dichiara Al.An. colpevole dei reati a lui ascritti in rubrica ed unificati gli addebiti sotto il vincolo della continuazione ex art. 81 c.p. cpv, lo condanna alla pena di anni 1 (uno) e mesi 2 (due) di reclusione ed Euro 10.000,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali verso lo Stato. Pena sospesa alle condizioni di legge. Dispone nei confronti di Al.An. il divieto di accesso nei luoghi di cui al comma 1) del richiamato articolo e l'obbligo di presentarsi presso gli uffici del comando CC di San Pietro V.co entro e non oltre 15 minuti dopo l'inizio del primo tempo e 15 minuti prima del termine di ogni partita di calcio di serie A, B, Prima Divisione, Seconda Divisione e serie minori, Coppe nazionali ed internazionali, nonché incontri della Nazionale Italiana di calcio per la durata di anni 2 (due).

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del Tribunale di Brindisi del 12.10.2018, Al.An. veniva ritenuto colpevole dei reati a lui ascritti e, unificati gli addebiti sotto il vincolo della continuazione, veniva condannato alla pena di anni uno e mesi due di reclusione ed Euro. 10.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Veniva, inoltre, disposto nei confronti dell'imputato il divieto di accesso nei luoghi di cui al primo comma dell'art. 6 della L. n. 401 del 1989, nonché l'obbligo di presentazione presso gli uffici del Comando dei Carabinieri di San Pietro Vemotico entro e non oltre 15 minuti dopo l'inizio del primo tempo e 15 minuti prima del termine di ogni partita di calcio di serie A, B, Prima Divisione, Seconda Divisione, serie minore, Coppe Nazioni ed Intemazionali, nonché incontri della Nazionale Italiano di calcio per la durata di anni due.

Avverso la citata sentenza proponeva tempestivo ricorso per Cassazione il Procuratore Generale in data 31.12.2018, convertito in appello in ossequio al principio fissato dall'art. 580 c.p.p.

Proponeva, poi, tempestivo appello il difensore dell'imputato in data 8.2.2019, censurando la pronuncia sulla base dei motivi di appello che di seguito si andranno sinteticamente ad esporre.

All'esito dell'udienza del 31.5.2024, tenuta in camera di consiglio ex art. 23-bis comma 1 D.L. n. 137 del 1920, convertito con modifiche dalla L. n. 176 del 1920, come richiamato dall'art. 94, comma 2, del D.Lgs. n. 150 del 2022, come modificato dalla L. n. 199 del 2022 di conversione del D.L. n. 162 del 2022, e ulteriormente modificato dal D.L. n. 75 del 2023 convertito con modifiche dalla L. n. 112 del 2023, e poi dall'art. 11, comma 7, del D.L. n. 215 del 2023, convertito con modifiche dalla L. n. 18 del 2024, la Corte emetteva dispositivo di sentenza allegato al verbale e comunicato alle parti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di appello.

1.1. Ricorso proposto dai Procuratore Generale, convertito in appello.

Con l'unico motivo di doglianza, il Procuratore Generale lamenta violazione di legge ai sensi dell'art. 606, lett. b), c.p.p., per illegittimità della pena applicata all'imputato. Invero, il primo giudice non avrebbe applicato l'aumento di pena per la continuazione con riferimento alla pena pecuniaria, poiché questa sarebbe stata irrogata nella misura pari al minimo edittale.

1.2. Appello nell'interesse dell'imputato.

1.2.1. Con il primo motivo di appello, si chiede l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Erratamente, infatti, l'appellante sarebbe stato condannato ai sensi del comma 7 dell'art. 6 L. n. 401 del 1989, come da imputazione: tale disposizione sarebbe una norma meramente precettiva, priva della sanzione penale comminata all'A., che tutt'al più avrebbe potuto essere ritenuto responsabile del reato di cui al comma 6 della norma citata. Altresì errata sarebbe la sanzione accessoria del daspo e dell'obbligo di presentazione, atteso che il primo giudice avrebbe potuto comminarla nella sola ipotesi di sentenza di condanna per violazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 6, cosa che non è avvenuta nel caso in esame.

1.2.2. Con il secondo motivo di impugnazione, in subordine, si chiede l'assoluzione dell'imputato ai sensi dell'art. 131-bis c.p. o, quanto meno, per mancanza dell'elemento soggettivo del delitto ascrittogli. Invero, se si considera il numero elevatissimo di partite giocate durante tutti i giorni della settimana, si arriverebbe alla irragionevole conclusione per cui l'imputato dovrebbe non solo "alloggiare" presso la Stazione dei Carabinieri, ma soprattutto tenere in costante monitoraggio il calendario calcistico, italiano ed europeo, soggetto continuamente a variazioni e cambiamenti di orario e data. Inoltre, se si rapporta il numero di mancate presentazioni presso i Carabinieri contestate al prevenuto rispetto al numero complessivo di partite effettivamente tenutesi nell'arco temporale descritto nel capo di imputazione, pari a meno di quattro mesi, ne deriva un risultato quasi prossimo allo zero.

1.2.3. Con il terzo motivo di doglianza, si invoca la rideterminazione del trattamento sanzionatorio in concreto irrogato, ritenuto eccessivo rispetto alla gravità dei fatti, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche.

2. La decisione.

2.1. Preliminarmente, deve osservarsi che alla trattazione delle doglianze prospettate dal Procuratore Generale e dal difensore dell'imputato può procedersi congiuntamente, implicando la posizione processuale del medesimo imputato e vertendo il ricorso del P.G., convertito in appello, su un motivo trattato anche dal difensore, ovvero quello relativo al trattamento sanzionatorio.

2.2. Ciò chiarito, l'appello del difensore dell'imputato è fondato e deve essere accolto, sia pure per ragioni parzialmente diverse da quelle indicate dal l'appellante. Ciò rende superfluo l'esame della doglianza sollevata dal Procuratore Generale.

Secondo la prospettazione difensiva, Al.An. contravveniva in più occasioni all'obbligo di presentarsi presso la Stazione dei Carabinieri di San Pietro Vernotico, in esecuzione di un c.d. daspo (acronimo utilizzato per indicare il "divieto di accedere alle manifestazioni sportive") giudiziario, ovvero disposto nei confronti del prevenuto con una sentenza di condanna. In particolare, il provvedimento con cui veniva applicata la prescrizione in parola è la sentenza del Tribunale di Trani ex art. 444 c.p.p. emessa in data 19.1.2016 e divenuta irrevocabile in data 12.3.2016.

Orbene, deve condividersi l'osservazione difensiva secondo la quale il fatto contestato all'A. non è sussumibile nella fattispecie incriminatrice di cui all'art. 6, comma 6, L. n. 401 del 1989. Tale lettura è suggerita in prima battuta dalla collocazione sistematica della norma che prevede il daspo giudiziario, ossia il comma 7 dell'alt. 6, comma che segue quello nel quale è contenuta l'unica norma incriminatrice della disposizione di legge in esame.

Ma, soprattutto, deve evidenziarsi che l'art. 6, comma 6, prevede testualmente: "Il contravventore alle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è punito con la reclusione... Ne consegue che, all'evidenza, integra il reato previsto dall'art. 6, comma 6, soltanto la violazione del divieto di accesso e dell'obbligo di presentazione imposti dal Questore, previsti per l'appunto ai commi 1 e 2 dell'art. 6. Una diversa interpretazione si risolverebbe inevitabilmente in una interpretazione analogica della norma incriminatrice, come tale vietata ex art. 25, comma secondo Cost e art. 14 preleggi.

Non ignora il collegio che la natura giuridica delle misure del divieto di accesso nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive e dell'obbligo di presentarsi presso gli uffici o i comandi di polizia durante lo svolgimento di dette manifestazioni sportive, disposte dal giudice con la sentenza di condanna, sia assai controversa, confrontandosi sul punto, sia nella giurisprudenza di merito che di legittimità, due tesi.

Ebbene, secondo un più recente orientamento, ribadito proprio in relazione a un precedente di questa Corte, il giudice di legittimità (Cass. pen., sez. Ili, 14.1.2022, n. 13675), ha affermato, sulla scorta del resto di una giurisprudenza che può dirsi consolidata, che il cd. daspo giudiziario avrebbe natura di atipica misura di prevenzione, che scaturisce ex lege dalla ritenuta sussistenza del reato.

Tale orientamento non può essere condiviso.

A parere del collegio, le coordinate ermeneutiche per dirimere la questione sono individuate in un orientamento sì più risalente nel tempo, ma espresso dalla Corte regolatrice nella sua più autorevole composizione, in cui ha chiarito la natura giuridica del cd. daspo del Questore: "Quanto alla natura della misura nella parte che riguarda l'obbligo di presentazione non sembra possano sussistere dubbi che si tratti di misure di prevenzione. Ciò si ricava essenzialmente dalla funzione dichiaratamente diretta ad evitare la consumazione di reati attinenti alla tutela dell'ordine pubblico in occasione di manifestazioni di carattere sportivo da parte di soggetti che, per precedenti condotte, siano ritenuti socialmente pericolosi. Certamente si tratta di una pericolosità sociale del tutto particolare perché riguarda persone che, spesso, hanno una normale vita di relazione estranea ai circuiti criminali; ma ciò non esclude le finalità di prevenzione anche se dirette a contrastare un limitato settore delle attività criminali o comunque pericolose per l'ordine pubblico. Sotto diverso profilo conferma la natura dì misura di prevenzione di questi provvedimenti la considerazione che si tratta di provvedimenti che prescindono dalla consumazione di un reato e dal suo accertamento definitivo e ciò porta ad escludere con certezza che si fratti di una misura di sicurezza. Del resto, la natura di misura di prevenzione è riconosciuta dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cons., da ultimo, Cass., sez. l, 13 febbraio 2002 n. 11097, Raia, rv. 221470). È privo di rilievo inquadrare le misure in esame tra quelle "tipiche" o quelle "atipiche" trattandosi di distinzione priva di effetti pratici e ricavandosi, la atipicità, esclusivamente dalla circostanza di non essere previste dalla normativa di carattere generale sulle misure di prevenzione di cui alla L. 27 dicembre 1956, n. 1423. Se vuol darsi un contenuto a questa distinzione può confermarsi la natura atipica delle misure con riferimento al già accennato diverso criterio di pericolosità sociale che le connotano" (Cass. S.U. 27.10.2004, n. 44273, L.).

Ebbene, appare del tutto evidente come tali caratteristiche del daspo del Questore non si attaglino in alcun modo al daspo giudiziario. Mentre, infatti, il primo è volto a prevenire la commissione di reati, il secondo, al contrario, presuppone non solo la commissione di un reato, ma anche il relativo accertamento da parte dell'autorità giudiziaria.

Non solo: a seguito della modifica dell'art. 6, comma 7, L. n. 401 del 1989, intervenuta con il D.L. n. 8 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 41 del 2007, non è più previsto alcun esercizio di potere discrezionale del giudice, che è tenuto ad applicare sia il divieto di accesso che l'obbligo di comparizione (la norma, infatti, prevede testualmente: "Il giudice dispone il divieto di accesso e l'obbligo di presentarsi", mentre in precedenza prevedeva: "Il giudice può disporre il divieto di accesso e l'obbligo di presentarsi").

Al contrario, non è mai stata modificata né la norma di cui al comma 1, né quella di cui al comma 2, nella parte in cui si prevede che il Questore "può disporre il divieto di accesso" e "può prescrivere di comparire personalmente", senza alcun automatismo ma, anzi, previa verifica della pericolosità del soggetto.

Trattandosi, dunque, di istituti i cui presupposti di operatività sono del tutto diversi, per non dire opposti, sarebbe contraddittorio affermarne la medesima natura.

La giurisprudenza più recente, che ribadisce la natura di misura di prevenzione atipica del daspo giudiziario, va rivisitata, a parere del collegio, alla luce dello ius superveniens, che ha reso obbligatoria l'applicazione del divieto di accesso e dell'obbligo di comparizione.

Ed infatti, non può non notarsi che, allorquando essi erano frutto di una scelta discrezionale del giudice, veniva richiesta apposita motivazione in ordine alla pericolosità del destinatario. Secondo Cass., sez. 6, 22.9.2006, n. 2814/07, Breda, in particolare, la misura del divieto di accedere ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive e del l'obbligo di presentarsi in un ufficio o comando di polizia durante lo svolgimento di manifestazioni sportive, è applicabile ai sensi dell'art. 6, comma settimo, L. 13 dicembre 1989, n. 401, come modd. dal D.L. 17 agosto 2005, n. 16, conv. con modd. dalla L. 17 ottobre 2005, n. 210, dal giudice in sede di patteggiamento - indipendentemente dal fatto che abbia formato oggetto di accordo tra le parti - purché a tale decisione si accompagni la necessaria motivazione sulla pericolosità in concreto della persona destinataria e sulla durata della misura stessa (cfr. altresì, negli stessi termini, Cass., sez. 6, 20.9.2002, n. 433/03, M. e altri).

A seguito della menzionata modifica normativa, è mutata anche la giurisprudenza sul punto. Secondo Cass., sez. 3, 15.6.2010, n. 32553, G., la L. n. 41 del 2007 (sostituendo le parole "può disporre" con "dispone") ha tolto ogni potere discrezionale al Giudice, che in precedenza gli era riconosciuto, in merito all'applicazione delle misure che, ope legis, devono essere disposte. Di conseguenza, trattandosi di atto dovuto, il giudice non è gravato dall'obbligo di argomentare sui presupposti richiesti per le relative statuizioni, ma solo sulle ragioni della loro durata.

E tuttavia, nonostante il mutato quadro normativo, si è continuato ad affermare che il divieto di accesso e l'obbligo di comparizione hanno natura di misure di prevenzione.

Ritiene, al contrario, la Corte che il daspo cd. giudiziario abbia natura di pena accessoria. A mente dell'art. 20 c.p., infatti, le pene accessorie conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa. La Suprema Corte ha chiarito che gli effetti penali della condanna (dei quali le pene accessorie costituiscono una species) vanno individuati in tutte quelle conseguenze giuridiche di carattere afflittivo che conseguono alla condanna penale. Tali conseguenze, peraltro, non possono individuarsi esclusivamente in quelle che derivano ope iuris dalla sentenza affermativa della responsabilità, rientrando invece tra esse anche ogni altra sanzione o privazione di benefici che possa prodursi in modo non automatico ma che trovi nella sentenza di condanna il suo necessario ed indefettibile presupposto (v. Cass. pen. sez. I, 30.10.1992, n. 4455, Usai: nell'affermare il principio di cui in massima la Cassazione, dopo aver ricordato come in dottrina si siano distinti tra gli effetti penali della condanna le "sanzioni" e le "norme", indicandosi con il primo termine quelle limitazioni o privazioni che debbono conseguire obbligatoriamente dalla condanna e con il secondo le altre che, per espresse previsioni legislative, possono essere imposte al condannato da parte del giudice o di altri organi qualificati, ha rilevato come nel caso di specie, relativo ad una condanna per diserzione, fossero presenti sia le une che le altre, posto che venivano in rilievo, da un lato, la inapplicabilità dei benefici in favore dei combattenti, comminata dall'art. 11 D.Lgs. 4 marzo 1948, n. 137 - configurabile come una "sanzione" automaticamente conseguente alla condanna per diserzione - e, dall'altro, la possibilità della perdita delle decorazioni, prevista come "norma" dall'art. 3 L. 24 marzo 1932, n. 453). Orbene, Part. 6, comma 7 L. n. 401 del 1989 prevede che con la sentenza di condanna per i reati di cui al comma 6 e per quelli commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni il giudice dispone, altresì, il divieto di accesso nei luoghi di cui al comma 1 e l'obbligo di presentarsi in un ufficio o comando di polizia durante lo svolgimento di manifestazioni sportive specificamente indicate per un periodo da due a dieci anni. Dunque, proprio l'inscindibilità della previsione dalla sentenza di condanna differenzia inevitabilmente il daspo giudiziario da quello del Questore e gli conferisce natura di pena accessoria.

Del resto, la natura di pena accessoria è stata ritenuta dalla giurisprudenza di legittimità più risalente (cfr. Cass, pen., sez. VI, 20.11.1990, n. 4251/91, Calata) e in alcune pronunce anche recentissime il divieto di accesso e l'obbligo di comparizione sono espressamente definite come "pene accessorie" (cfr. esemplificativamente Cass, pen., sez. Ili, 8.6.2021, n. 35481 e Cass. pen. sez. III, 18.4.2023, n. 39131).

Una ulteriore conferma discende dalla ulteriore previsione normativa secondo la quale il divieto e l'obbligo predetti non sono esclusi nei casi di sospensione condizionale della pena e di applicazione della pena su richiesta. Quest'ultima previsione si rendeva necessaria proprio sul presupposto della natura di pena accessoria del daspo giudiziario, dal momento che Part. 445 c.p.p. prevede espressamente che la sentenza di patteggiamento, quando la pena erogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, non comporta l'applicazione di pene accessorie. Quanto alla sospensione condizionale della pena, secondo la giurisprudenza costante della Suprema Corte la sospensione condizionale delle pene accessorie, a seguito della modificazione dell'art. 166 c.p., introdotta dall'art. 4 della L. 7 febbraio 1990, n. 19, è un effetto della sospensione condizionale della pena principale e si realizza automaticamente senza necessità di un provvedimento che faccia esplicito riferimento alle pene accessorie (Cass, pen., sez. III, 19.2.2015, n. 27113, Merlo). Ne discende che anche la previsione secondo la quale il divieto e l'obbligo predetti non sono esclusi nei casi di sospensione condizionale della pena poggia logicamente sulla loro natura di pene accessorie. Non può, dunque, condividersi l'affermazione difensiva secondo la quale la violazione del daspo giudiziario sarebbe sprovvista di sanzione. Certamente, se si trattasse di misura di prevenzione, sia pure atipica, essa non sarebbe sussumibile nella norma incriminatrice originariamente contestata. Tuttavia, una volta stabilita la natura giuridica di pena accessoria del daspo giudiziario, discende quale naturale conseguenza l'applicabilità dell'art. 389 c.p.

Invero, non vi è alcun dubbio circa la sussistenza di tutte le condizioni per procedere in sede di appello ex officio ad una diversa qualificazione del fatto originariamente contestato.

Giova, al riguardo, chiarire che l'attribuzione in sentenza da parte del giudice dell'appello al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione e operata dal primo giudice viene espressamente consentita dal comma 3 dell'art. 597 c.p.p. In tal senso, si rammenta Formai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in base al quale il giudice di appello, anche in presenza della sola impugnazione dell'imputato, può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del giusto processo previsto dall'art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, anche senza disporre una rinnovazione totale o parziale dell'istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell'accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica in peius del trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione (Cass. pen. sez. V, 14.1.2020 n. 5083: fattispecie relativa al furto di un'autovettura avvenuto in un'area pertinenziale all'abitazione, in cui la Corte ha ritenuto legittima la riqualificazione dei fatti, da parte del giudice di appello, come integranti il reato di cui all'art. 624-6/5 cod. pen., rispetto all'originaria imputazione di cui all'art. 624, 625 n. 7 cod. pen.).

Del resto, nel caso che ci occupa, il delitto di cui all'art. 6 L. n. 401 del 1989 è punito con una pena detentiva più grave rispetto a quella prevista dall'art. 389 c.p., oltre che con una pena pecuniaria. Ergo nessun vulnus al diritto di difesa è ravvisabile nella riqualificazione del fatto contestato qui operata dal collegio con sussunzione nella fattispecie di inosservanza delle pene accessorie.

Chiarito l'ambito di operatività delle norme astrattamente applicabili e tornando al caso in esame, si ritiene, ad ogni modo, che non sia ascrivibile all'A. alcun reato, stante la assoluta genericità delle prescrizioni impostegli, in chiaro contrasto con il dettato letterale della norma di cui all'art. 6, comma 7 L. n. 401 del 1989, che prevede l'obbligo di presentarsi in un ufficio comando di polizia durante lo svolgimento di manifestazioni sportive "specificamente indicate".

Nel caso di specie, il Tribunale di Trani imponeva all'imputato di presentarsi presso gli uffici della caserma dei carabinieri di San Pietro Vernotico 15 minuti dopo l'inizio e 15 minuti prima del termine di ogni partita di calcio di serie A, B, Prima Divisione, Seconda Divisione e serie minori, Coppe nazionali e internazionali, nonché incontri della Nazionale italiana di calcio per la durata di anni due. Si tratta indubbiamente di un obbligo generalizzato confliggente con la previsione normativa - perché si pretenderebbe dall'imputato di adempiere al prescritto obbligo praticamente ogni giorno e, anzi, più volte al giorno, essendo notorio che il calendario calcistico nazionale e internazionale è ormai fittissimo e copre l'intera settimana - e, dunque, inesigibile, che, in quanto tale, non può avere concreta esecuzione.

L'A. deve, dunque, essere assolto dal reato a suo carico ritenuto perché il fatto non sussiste.

Il numero di procedimenti definiti nel corso della medesima udienza ha reso necessario indicare il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Lecce

Visto l'art. 605 c.p.p.,

in riforma della sentenza del Tribunale di Brindisi in data 12.10.2018, appellata Al.An. e impugnata dal Procuratore Generale con ricorso per cassazione, convertito in appello, assolve l'imputato dal reato di cui all'art. 389 c.p., così giuridicamente qualificata l'originaria imputazione, perché il fatto non sussiste.

Termine di giorni novanta per il deposito della motivazione.

Così deciso in Lecce il 31 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2024.

Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza