Attività amministrativa - Potere di autotutela - Esercizio - Presupposti legittimanti - Individuazione.
Consiglio di Stato, Sezione 2, Sentenza del 02-12-2024, n. 9648
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 8280 del 2024, proposto dal signor-OMISSIS- rappresentato e difeso dall'avvocato Lu. Do., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...);
per la riforma e/o l'annullamento, previa sospensione
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. Quarta, n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2024 il consigliere Giancarlo Carmelo Pezzuto; nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il signor-OMISSIS- già agente scelto della Polizia di Stato, impugna la sentenza in epigrafe, con la quale il T.a.r. per la Lombardia ha dichiarato improcedibile il ricorso dal medesimo proposto avverso il silenzio serbato dall'Amministrazione intimata sulla sua istanza prodotta il 16 aprile 2024, con la quale il predetto aveva chiesto che venisse dichiarata la nullità del procedimento che aveva condotto alla sua destituzione dal servizio, a suo tempo disposta con provvedimento del Capo della Polizia pro tempore dell'11 settembre 2006 con effetto dal 10 maggio 2005.
2. Giova premettere che l'odierno appellante era stato a suo tempo sottoposto agli arresti domiciliari con ordinanza in data 2 maggio 2005 del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano per il reato di cui agli artt. 81 cpv, 110 c.p. e 73, comma 1, del d.P.R. n. 390/1990, perché in concorso con altri "e con più azioni del medesimo disegno criminoso, illecitamente" deteneva "al fine di cessione a terzi e fuori dei casi di cui all'art. 75 D.P.R. 309/90, un quantitativo di sostanza illecita di diversa tipologia (sostanza stupefacente di cui alla tabella I prevista dall'art. 14 del D.P.R. 309/90".
A fronte di tale vicenda il predetto era stato dall'Amministrazione di appartenenza dapprima sottoposto a sospensione cautelare e successivamente a sospensione dal servizio sino all'esito del relativo procedimento penale, che si concludeva con sentenza del Tribunale del capoluogo lombardo di applicazione su richiesta delle parti, ex art. 444 c.p.p., della pena di sei mesi di reclusione e della multa di 1.600 euro - pena sospesa e non menzione-
All'esito di detto procedimento penale l'Amministrazione aveva riattivato il procedimento disciplinare precedentemente instaurato, in conclusione del quale il predetto veniva destituito dal servizio ai sensi dell'art. 7 del d.P.R. n. 737/1981 con il richiamato provvedimento in data 11 settembre 2006, che veniva all'epoca impugnato con ricorso giurisdizionale.
Il gravame a suo tempo proposto dall'interessato avverso detto provvedimento veniva respinto dal T.a.r. per la Lombardia con sentenza n. -OMISSIS- confermata dalla sezione Terza di questo Consiglio di Stato con sentenza n. -OMISSIS-.
2.1. Con istanza in data 16 aprile 2024 avanzata per il tramite del proprio difensore, l'odierno appellante chiedeva all'Amministrazione intimata che venisse dichiarata la nullità del citato procedimento disciplinare - come detto sfociato nella sua destituzione - in ragione della pretesa nullità degli atti che sarebbe derivata dall'asserita nullità della prima contestazione degli addebiti.
In data 9 luglio 2024 il predetto proponeva ricorso giurisdizionale avverso il silenzio serbato dall'Amministrazione su detta istanza, indicando nell'epigrafe che il gravame veniva proposto "ex art. 31 co 4 cpa"; il 12 settembre 2024 l'odierno appellante depositava motivi aggiunti.
2.2. L'Amministrazione si costituiva in tale giudizio di primo grado e con memoria del 17 settembre 2024 chiedeva in via pregiudiziale di dichiarare il ricorso irricevibile/inammissibile per violazione del principio del ne bis in idem ovvero per tardività, confutando nel merito le doglianze di controparte ed insistendo per il rigetto e per la condanna alle spese di lite e ad una somma determinata in via forfettaria ex art. 96, comma 3, c.p.c.
In tale contesto l'Amministrazione, tra l'altro, riferiva - depositando il relativo atto - di aver dato riscontro, nelle more del giudizio, all'istanza dell'interessato con nota del 22 luglio 2024, con la quale aveva comunicato all'odierno appellante di non ravvisare i presupposti per un intervento in autotutela dal momento che la legittimità del provvedimento destitutorio a suo tempo emesso era stata riconosciuta in sede giurisdizionale con le richiamate sentenze n. -OMISSIS- del T.a.r. per la Lombardia e n. -OMISSIS- di questo Consiglio di Stato.
3. Prendendo atto del deposito da parte dell'Avvocatura distrettuale di detta nota, come detto di riscontro alla citata istanza prodotta dall'odierno appellante il 16 luglio 2024, con la sentenza qui gravata il giudice di prime cure dichiarava improcedibile il ricorso ed i successivi motivi aggiunti, non ritenendo sussistente alcuna violazione dell'obbligo di provvedere.
4. Avverso tale pronuncia propone appello l'interessato, il quale, in estrema sintesi, chiede l'annullamento della sentenza con rinvio al primo giudice ai sensi dell'art. 105 c.p.a. - ed in subordine l'accoglimento dell'appello - deducendo error in procedendo e sostenendo che il T.a.r. avrebbe dovuto proseguire con l'esame dei motivi aggiunti prodotti in primo grado, per contro assorbiti nella pronuncia di improcedibilità ; in subordine, l'interessato deduce l'illegittimità della sentenza e dei provvedimenti originariamente impugnati, sostenendo la nullità del procedimento a suo tempo posto in essere in quanto l'Amministrazione aveva riattivato il nuovo procedimento disciplinare, includendo una contestazione di addebiti che avrebbe dovuto annullare perché dalla stessa Amministrazione asseritamente ritenuta lesiva del diritto di difesa del ricorrente.
5. Il Ministero dell'interno si è costituito in giudizio.
6. Alla camera di consiglio del 18 gennaio 2024, fissata per l'esame della domanda incidentale di sospensiva, la causa è stata ritualmente chiamata e trattenuta in decisione ai sensi dell'art. 60 c.p.a.
7. Tanto premesso, l'appello è infondato e come tale deve essere respinto.
7.1. Non può in primo luogo che convenirsi con il percorso logico-argomentativo del giudice di prime cure, il quale, trattandosi di un ricorso avverso il silenzio dell'Amministrazione, ha condivisibilmente rilevato l'improcedibilità del gravame alla luce del riscontro medio tempore fornito dall'Amministrazione all'istanza dell'odierno appellante e della conseguente insussistenza di alcuna violazione dell'obbligo di provvedere.
A ciò deve peraltro aggiungersi che, salvo eccezioni espressamente previste dalla legge, l'autotutela non è mai doverosa, di talché anche a fronte di una richiesta di riesame non sussiste alcun obbligo di provvedere in capo all'Amministrazione, né può formarsi alcun silenzio inadempimento, dal momento che la richiesta avanzata dal privato si atteggia a mera segnalazione con funzione sollecitatoria.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, infatti, "va escluso l'obbligo di provvedere nel caso in cui l'istanza del privato sia volta a sollecitare il riesame di un atto divenuto inoppugnabile, atteso che l'affermazione di un generalizzato obbligo, in capo all'amministrazione, di rivalutare un proprio provvedimento, anche quando rispetto ad esso siano decorsi i termini per proporre ricorso, sarebbe vulnerata l'esigenza di certezza e stabilità dei rapporti che hanno titolo in atti autoritativi, con elusione del regime di decadenza dei termini di impugnazione (cfr. Cons. Stato, VI, 25 maggio 2020, n. 3277; IV, 11 ottobre 2019, n. 6923). 'Il potere di autotutela soggiace alla più ampia valutazione discrezionale dell'amministrazione competente e non si esercita in base ad un'istanza di parte, avente al più portata meramente sollecitatoria e inidonea, come tale, ad imporre alcun obbligo giuridico di provvedere, con la conseguente inutilizzabilità del rimedio processuale previsto avverso il silenzio inadempimento della p.a.' (cfr., fra le tante, Cons. Stato, V, 19 aprile 2018, n. 2380; IV, 7 giugno 2017, n. 2751)" (Cons. Stato, sez. Quinta, n. 2911/2023).
Deve, dunque, escludersi la sussistenza di un dovere generalizzato dell'Amministrazione di provvedere sulle istanze di autotutela, e ciò non può che valere a maggior ragione allorché, come nel caso di specie, l'istanza sia sostanzialmente finalizzata a rimettere in discussione un provvedimento la cui legittimità sia stata sancita in sede giurisdizionale con sentenza passata in giudicato.
7.2. Sotto altro profilo deve anche rilevarsi che un'ulteriore pronuncia che dovesse intervenire sul medesimo contesto integrerebbe una violazione del principio del ne bis in idem di cui agli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., che per pacifica giurisprudenza trova applicazione anche nel processo amministrativo in forza del rinvio operato dall'art. 39, comma 1, c.p.a. (cfr. sul punto, ex multis e fra le più recenti, Cons. Stato, sez. Quarta, n. 8330/2024; sez. Sesta, n. 7242/2024; sez. Settima, n. 4033/2024).
E ciò in quanto, secondo la consolidata giurisprudenza, "il giudicato copre il dedotto e il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e quindi non solo le ragioni giuridiche e di fatto fatte valere in giudizio, ma anche tutte le questioni proponibili sia in via di azione, che di eccezione, le quali, anche se non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici necessari della pronuncia. Ciò comporta che, per definire la regola dell'autorità del giudicato, è sufficiente l'individuazione dell'interesse e del bene della vita tutelato dalla pronuncia del giudice, il quale non può essere rimesso in discussione in un successivo giudizio (Cass., I, 15 giugno 2022, n. 19302)". (Cons. Stato, sez. Quinta, n. 4850/2024; sul punto cfr. anche Cons. Stato, Ad. plen. n. 2/2013, nonché, ex pluribus e fra le più recenti, sez. Sesta, n. 8677/2024 e sez. Seconda, n. 628/2024).
Vale ricordare anche quanto di recente ribadito nel medesimo senso dalla Corte di cassazione, secondo cui "l'ambito di operatività del giudicato, in virtù del principio secondo il quale esso copre il dedotto e il deducibile, è correlato all'oggetto del processo e colpisce, perciò, tutto quanto rientri nel suo perimetro, incidendo, da un punto di vista sostanziale, non soltanto sull'esistenza del diritto azionato, ma anche sull'inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi, ancorché non dedotti, senza estendersi a fatti ad esso successivi e a quelli comportanti un mutamento del petitum e della causa petendi, fermo restando il requisito dell'identità delle persone (Cass., Sez. I, 9/11/2022, n. 33021)" (così Cass., sez. lav., n. 27379/2024; in termini cfr. anche, fra le più recenti, della stessa sezione, n. 24728/2024, nonché Cass., sez. I, n. 24361/2024; sez. II, n. 27040/2024, n. 25626/2024 e n. 19919/2024; sez. III, n. 23060/2024).
7.3. A ciò si aggiunga che, come accennato in premessa, l'appellante ha indicato nell'intestazione del ricorso di primo grado che il gravame era proposto ai sensi dell'art. 31, comma 4, c.p.a., secondo il quale "La domanda di accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni. La nullità dell'atto può essere sempre opposta dalla parte resistente o essere rilevata dal giudice (...)".
Ed è appena il caso di rilevare che nella fattispecie l'appellante, in disparte ogni altra considerazione, invoca a distanza di oltre 18 anni la nullità di un procedimento concluso con un provvedimento che, come detto, ha anche superato il vaglio giurisdizionale.
8. Alla luce di tali complessive considerazioni l'appello deve essere respinto.
9. Sussistono valide ragioni, anche in considerazione della natura dell'attività defensionale svolta dall'Amministrazione intimata, per compensare le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2024 con l'intervento dei magistrati:
Giovanni Sabbato - Presidente FF
Cecilia Altavista - Consigliere
Francesco Guarracino - Consigliere
Giancarlo Carmelo Pezzuto - Consigliere, Estensore
Valerio Valenti - Consigliere
15-02-2025 17:40
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