Il diniego di accesso alla documentazione connessa all'informativa antimafia è illegittimo, ove non motivato con riferimento alle concrete ragioni che impediscono la divulgazione di tale documentazione.
T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., (ud. 17-03-2021) 02-04-2021, n. 3973
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8978 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimo Cammarota, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno e Questura di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
della nota della Questura di Roma divisione polizia amministrativa, prot. div III^ -OMISSIS-, datata 23.10.2020 e ricevuta a mezzo pec in pari data di diniego di accesso agli atti e documenti relativi all'istruttoria del procedimento amministrativo finalizzato alla reiezione dell'istanza di rinnovo del decreto di nomina a guardia particolare giurata e del porto di pistola per difesa personale, a tassa ridotta, presentata dall'istituto di vigilanza S.I. S.p.a. in data 19.9.2020, del quale è stato comunicato l'avvio, ai sensi dell'art. 10 bis della L. n. 241 del 1990, dalla questura di Roma con nota prot. div III^ cat. -OMISSIS-, datata 12.10.2020;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 marzo 2021 il dott. Vincenzo Blanda come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
In data 19.9.2020 l'Istituto di Vigilanza S.I. S.p.a. presentava istanza per il rinnovo del decreto di nomina a guardia particolare giurata e del porto di pistola per difesa personale a tassa ridotta in favore del ricorrente.
L'interessato premette che con comunicazione ai sensi dell'art. 10 bis della L. n. 241 del 1990 della Questura di Roma, Divisione Polizia Amministrativa e Sociale del 12.10.2020 gli è stato comunicato l'avvio del procedimento finalizzato alla reiezione dell'istanza di rinnovo del Decreto di nomina a Guardia Particolare Giurata e del porto di pistola per difesa personale, sulla base della seguente motivazione: "...in quanto, dagli accertamenti esperiti, è emerso che la S.V. risulta convivente con soggetti gravati da plurimi e qualificati pregiudizi di polizia. Ciò induce a ritenere che la S.V. non sia in possesso dei requisiti soggettivi richiesti dalla legge, indispensabili per il conseguimento ed il mantenimento dei titoli di Polizia richiesti".
In data 22.10.2020 il ricorrente, ai sensi dell'art. 25, comma 2, della L. n. 241 del 1990 ha presentato istanza di accesso agli atti amministrativi, chiedendo di prendere visione ed estrarre copia degli atti e documenti posti a fondamento del procedimento amministrativo finalizzato alla reiezione dell'istanza di rinnovo presentata (come da preavviso ex art. 10 bis).
La richiesta è stata motivata con l'esigenza di prendere conoscenza degli atti di istruzione in possesso dell'amministrazione al fine di presentare osservazioni e documentazione atta a confutare le ragioni a fondamento della prospettata reiezione.
La Questura di Roma, Divisione Polizia Amministrativa, con nota del 23.10.2020, protocollo DIV III^ -OMISSIS-, ricevuta in pari data a mezzo pec, ha respinto la domanda di accesso, con la seguente motivazione "In risposta a quanto richiesto con P.E.C. del 22.10.2020, inviata alla Scrivente per conto del nominato in oggetto, si comunica che non è possibile estrarre copia degli atti richiesti in quanto non ostensibili, a norma dell'art. 3 del D.M. n. 415 del 1994".
L'interessato ha impugnato il predetto diniego deducendo i seguenti motivi:
Violazione e falsa applicazione degli arti. 1, 3, 22, 24 e ss., L. n. 241 del 1990 e s.m.i.; violazione e falsa applicazione dell' art. 3 del D.M. n. 415 del 1994; violazione e falsa applicazione dell'art. 8 del D.P.R. n. 352 del 1992; violazione e falsa applicazione dell' art. 97 Cost.; violazione e falsa applicazione dei principi di buon andamento, imparzialità e trasparenza dell'azione amministrativa; eccesso di potere per difetto di motivazione, difetto di istruttoria, erroneità dei presupposti, travisamento di atti e fatti, sviamento, manifesta ingiustizia.
Il Ministero dell'Interno e la Questura di Roma si sono costituiti in giudizio depositando memoria.
Con ordinanza n. 402 del 11.1.2021 questa Sezione, ai sensi degli articoli 49 e 116, comma 1, c.p.a., ha disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti della moglie convivente del ricorrente che, sulla base di quanto osservato, appare quale unica controinteressata alla ostensione.
L'interessato ha adempiuto al suddetto incombente come risulta dagli atti depositati in giudizio in data 5.2.2021 dal ricorrente.
Peraltro, la consorte del ricorrente si è costituita in giudizio aderendo alla richiesta di accesso dell'interessato.
Alla camera di consiglio del 17 marzo 2021 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il ricorso è fondato.
Secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa, che il collegio condivide, il diniego di accesso a tutta la documentazione connessa all'informativa antimafia è illegittimo, ove non motivato con riferimento alle concrete ragioni che impediscono la divulgazione di tale documentazione.
Invero, il principio generale è espresso all'art. 24 della L. n. 241 del 1990, novellato dalla L. n. 15 del 2005, dispone espressamente, al comma 7, che "deve comunque essere garantito ai richiedenti
l'accesso ai documenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici", mentre il comma 6, alla lettera c), stabilisce la possibilità di limitazione, previo regolamento , "c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini".
Con il successivo D.M. 10 maggio 1994, n. 415 (recante il regolamento del Ministero dell'Interno per la disciplina delle categorie di documenti sottratti all'accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell'art. 24, comma 6, della L. n. 241 del 1990), all'art. 3, lett. b) del comma 1, vengono sottratte all'accesso "le relazioni di servizio, informazioni ed altri atti o documenti inerenti ad adempimenti istruttori relativi a licenze, concessioni od autorizzazioni comunque denominate o ad altri provvedimenti di competenza di autorità o organi diversi, compresi quelli relativi al contenzioso amministrativo, che contengono notizie relative a situazioni di interesse per l'ordine e la sicurezza pubblica e all'attività di prevenzione e repressione della criminalità, salvo che, per disposizioni di legge o di regolamento, ne siano previste particolari forme di pubblicità o debbano essere uniti a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità".
Come rilevato da condivisibile giurisprudenza (cfr. T.A.R. Palermo sez. I, 19 ottobre 2018, n. 2122 confermata in appello dal C.G.A. 24 gennaio 2019, n. 56; T.A.R. Reggio Calabria 5 giugno 2018, n. 315), l'art. 3 comma 1, D.M. dell'Interno 10 maggio 1994, n. 415 (recante il regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti all'accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell'art. 24, comma 6, della L. 7 agosto 1990, n. 241) "deve essere interpretato in senso non strettamente letterale, giacché altrimenti sorgerebbero dubbi sulla sua legittimità, in quanto si determinerebbe una sottrazione sostanzialmente generalizzata alle richieste ostensive di quasi tutti i documenti formati dall'Amministrazione dell'Interno, con palese frustrazione delle finalità perseguite dalla L. 7 agosto 1990, n. 241".
Coerentemente, è stato dato rilievo preminente al diritto di accesso, osservando che "...il comma 7 dello stesso art. 24 - sulla scorta dell'insegnamento di C.d.S., A.P., 7 febbraio 1997, n. 5, recepito nella norma con le novelle operate dall'art. 22 della L. 13 febbraio 2001, n. 45; dal comma 1 dell'art. 176 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196; nonché dall'art. 16 della L. 11 febbraio 2005, n. 15 - non potrebbe essere più chiaro nello specificare che, in ogni caso (ossia anche nei casi in cui si tratti di atti sottraibili all'accesso mediante i regolamenti attuativi dei commi precedenti), deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici".
Inoltre, la disposizione regolamentare di cui all'art. 3 del D.M. n. 415 del 1994 va coordinata con quella generale dettata dall'art. 8, comma 2, del D.P.R. n. 352 del 1992, secondo cui "i documenti non possono essere sottratti all'accesso se non quando essi siano suscettibili di recare un pregiudizio concreto agli interessi indicati nell'art. 24 della L. 7 agosto 1990, n. 241".
L'inaccessibilità generalizzata delle categorie di atti di cui al citato art. 3 comma 1 lett. b) del D.M., a prescindere dalla verifica, in concreto, dell'incompatibilità dell'accesso con la tutela della riservatezza prevista dalle norme sovraordinate, risulterebbe infatti in insanabile contrasto con queste ultime e imporrebbe la disapplicazione della disciplina ministeriale (cfr. T.A.R. Toscana sez. II, n. 2122 del 23.12.2014).
Dal che discende, in ipotesi come quella in esame in cui si verte di diritto di accesso, la necessità di disapplicare il citato regolamento.
Dalla giurisprudenza appena citata conseguono, quindi, i seguenti principi:
- le esigenze di tutela della riservatezza sono da considerarsi, di norma, recessive rispetto all'esigenza di tutela del diritto di difesa;
- qualora l'Amministrazione, avvalendosi della norma regolamentare invocata, intenda opporre particolari esigenza di riservatezza all'ostensione della relazione prefettizia o degli altri istruttori propedeutici al diniego della licenza o appone il segreto di Stato oppure è tenuta a motivare, in modo rigoroso, l'esistenza di eventuali e concrete ragioni di eccezionale prevalenza dell'esigenza di riservatezza su quella della tutela in giudizio dei diritti e degli interessi della parte ricorrente. Ciò perché è la stessa norma primaria (art. 24, comma 6, lett. c) della L. n. 241 del 1990) a richiedere, quale presupposto del corretto esercizio del potere regolamentare di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi, che "i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini".
Ciò premesso nel caso di specie, a fronte della documentata esigenza di difendere i propri interessi in sede giurisdizionale invocata dal ricorrente, l'Amministrazione si è limitata ad affermare che "... non è possibile estrarre copia degli atti richiesti in quanto non ostensibili, a norma dell'art. 3 del D.M. n. 415 del 1994", senza individuare, né circostanziare quale sarebbe stato il "pregiudizio" derivante ai superiori interessi protetti dalla norma primaria.
Occorre inoltre osservare che, con nota del 12.10.2020 ai sensi dell'art. 10 bis della L. n. 241 del 1990, la Questura di Roma, Divisione Polizia Amministrativa e Sociale del 12.10.2020 ha informato il ricorrente dell'avvio del procedimento finalizzato alla reiezione dell'istanza di rinnovo del Decreto di nomina a Guardia Particolare Giurata e del porto di pistola per difesa personale, sulla base della seguente motivazione "...in quanto, dagli accertamenti esperiti, è emerso che la S.V. risulta convivente con soggetti gravati da plurimi e qualificati pregiudizi di polizia. Ciò induce a ritenere che la S.V. non sia in possesso dei requisiti soggettivi richiesti dalla legge, indispensabili per il conseguimento ed il mantenimento dei titoli di Polizia richiesti".
In proposito la giurisprudenza amministrativa sopra richiamata (cfr. T.A.R. Palermo n. 2122/18 cit. che rinvia in parte qua anche a T.A.R. Umbria, sentenza n. 471/2018) ha osservato che "in merito all'accesso a documenti detenuti dalle amministrazioni che siano in qualche modo collegati con un procedimento penale, non sussiste una preclusione automatica e assoluta alla loro conoscibilità, dato che l'esistenza di un'indagine penale non è di per sé causa ostativa all'accesso a documenti che siano confluiti nel fascicolo del procedimento penale o che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine".
Il principio è sicuramente sovrapponibile al caso in decisione, tenuto conto che dal diniego impugnato e dagli altri atti del giudizio non traspare in modo certo che i contenuti degli atti di cui si chiede l'ostensione siano parzialmente o totalmente coincidente con quelli di atti di un (eventuale ed ipotetico) procedimento penale.
In ogni caso, la delicata materia sulla quale impinge l'esercizio del diritto di accesso, con possibili collegamenti a fatti e persone che potrebbero essere necessario non disvelare, al fine di non vanificare l'esito di eventuali indagini penali o di procedimenti penali in atto, consente di accogliere il ricorso con conseguente obbligo dell'Amministrazione di ostendere gli atti richiesti, ove dagli stessi non emergano fatti e circostanze non ostensibili, nel qual caso saranno resi disponibili soltanto le parti del documento che non riguardino i predetti dati sensibili.
In conclusione, pertanto, il ricorso deve essere accolto nei limiti di quanto sopra osservato, in modo tale che deve essere consentito l'accesso dell'istante agli atti del procedimento in esame, ad esclusione dei documenti indicati o "coperti dal segreto o riservati" ai sensi degli artt. 114 e 329 c.p.p., per i quali la responsabilità in ordine all'accesso compete esclusivamente al magistrato procedente in sede penale nell'osservanza delle norme del codice di procedura penale.
Le spese del giudizio seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione.
Condanna l'Amministrazione resistente al pagamento delle spese di giudizio in favore del ricorrente, che liquida nella misura complessiva di Euro 1.000,00 (mille/00), oltre accessori come per legge e alla rifusione dell'importo del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità del ricorrente e della propria consorte.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 marzo 2021, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall'art. 25 del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, con l'intervento dei magistrati:
Francesco Arzillo, Presidente
Vincenzo Blanda, Consigliere, Estensore
Anna Maria Verlengia, Consigliere
12-04-2021 20:03
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