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Sentenza

Avvocato sanzionato disciplinarmente: la corrispondenza scambiata con il collega...
Avvocato sanzionato disciplinarmente: la corrispondenza scambiata con il collega con la dizione riservata personale non producibile non può essere prodotta al Giudice nemmeno con stralci parziali.
Consiglio Nazionale Forense,  sentenza 22 febbraio – 10 giugno 2014, n. 92
Presidente Salazar – Segretario Mascherin

Fatto

Con esposto depositato in data 10 luglio 2008 l'Avv. G.C., difensore del sig. D.D.E. in una causa ex art. 2932 c.c. segnalava il comportamento dell'Avv. R.S. che, depositando in detta causa la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 n. 1 in data 30 maggio 2008, avrebbe ritrascritto, in modo peraltro incompleto e parziale, le condizioni proposte per la definizione della controversia contenute nella comunicazione fax in data 6 marzo 2008 trasmessa al medesimo Avv. S. dagli Avv. B., M., C. con la dichiarazione esplicita che si trattava di corrispondenza “riservata personale non producibile”.
In data 11 novembre 2008 perveniva memoria di chiarimenti a firma dell'Avv. S., che respingeva l'addebito mosso dal collega adducendo sostanzialmente che la corrispondenza in oggetto non fosse da considerarsi come “riservata” e nemmeno contenente vere e proprie proposte transattive.
In data 21 maggio 2009 il Consiglio dell'Ordine di Milano deliberava l'apertura del procedimento disciplinare nei confronti dell'Avv. R.S. per essere venuto meno ai doveri di correttezza e probità per aver trascritto, anche se in forma incompleta, nella memoria ex art. 183 depositata il 30 maggio 2008 nell'interesse del proprio assistito M.D.E. nel giudizio pendente avanti il Tribunale di Milano – Sez. 4, il contenuto del fax 6 marzo 2008 pervenutogli dal legale di controparte, qualificato come “riservato e non producibile” e contenente proposte transattive.
A giudizio del COA l'udienza dibattimentale aveva accertate senza ombra di dubbio che il contenuto della comunicazione fax in data 6 marzo 2008 trasmessa dall'Avv. S. agli Avv.ti B.M.C. con la dichiarazione esplicita che si trattava di corrispondenza “riservata personale e non producibile” era stato estrapolato e ritrascritto parzialmente ad uso e consumo degli interessi del cliente assistito dal ricorrente.
Secondo quanto emerso dall'escussione testimoniale dell'esponente Avv. C., inoltre, senza alcuna smentita proveniente dalla difesa dell'incolpato, il medesimo comportamento era stato reiterato dall'Avv. S. anche in sede di stesura della comparsa conclusionale.
Il COA ha ritenuto la violazione dell'art. 28 codice deontologico forense documentalmente e testimonialmente provata al di là di ogni ragionevole dubbio, mentre ha ritenuto la difesa dell'Avv. S. non condivisibile in più punti.
Innanzitutto il fatto che tale tipo di comunicazione non dovesse ritenersi “riservata personale non producibile in giudizio” poiché asseritamente spedita da una copisteria e non dall'esponente personalmente o perché indirizzata anche ad altro collega non può essere preso in considerazione per lo scarso pregio giuridico.
Inoltre, secondo il COA, è altresì parimenti da disattendere totalmente la tesi difensiva prospettata dall'incolpato sulla possibilità di giudicare caso per caso in relazione al contenuto delle comunicazioni tra legali se sia stato o meno violato il precetto contenuto nell'art. 28 del codice deontologico.
Con decisione del 12 luglio 2010 è stata comminata all'incolpato la sanzione dell'avvertimento.
Avverso tale decisione propone ricorso l'incolpato.
Il ricorso è basato su un solo motivo preceduto da una premessa nella quale il ricorrente sottolinea di essere avvocato da più di quarant'anni, di aver sempre tenuto un comportamento conforme ad onore e rispetto del foro e di reputare persecutoria, inutile ed insulsa la sanzione ricevuta.
Nello specifico il ricorrente lamenta l'errata valutazione delle circostanze di fatto a lui ascrivibili ai fini dell'irrogazione della sanzione.
Contesta inoltre l'interpretazione corrente dell'art. 28 del codice deontologico forense.
In particolare ritiene infondata l'affermazione del COA di Milano secondo la quale “la corrispondenza tra avvocati è sempre ritenuta, da giurisprudenza ormai costante, anche di questo Consiglio, avente un carattere riservato e personale e, quindi, non producibile in giudizio, anche quando non sia espressamente indicato”.
L'incolpato ritiene che, invece, si debba valutare caso per caso senza appiattarsi su pretesi principi inviolabili.
A questa conclusione condurrebbe sia la lettura della norma del codice deontologico italiano sia di quello europeo (5.3. Corrispondenza tra avvocati 5.3.1. L'Avvocato che intende inviare a un collega di un altro Stato membro una comunicazione che desidera rimanga riservata o “con riserva di tutti i diritti” dovrà esprimere chiaramente tale volontà al momento dell'invio della prima di tali comunicazioni. 5.3.2. Qualora il destinatario delle comunicazioni non sia in grado di garantirne la riservatezza o con riserva di tutti i diritti, dovrà informarne immediatamente il mittente).
Nel caso in questione si tratta non di una lettera, ma di un fax, partito da una copisteria e firmato da tre avvocati e indirizzata a due avvocati, uno dei quali, l'Avv. P. per espressa dichiarazione dell'esponente davanti il Consiglio “E' un collega che aveva assistito l'Avv. della società e del Sig. A. D'E. che era il liquidatore di detta società. La lettera sarebbe stata inviata anche a questo collega per conoscenza perché dietro le quinte in fase stragiudiziale lui ha sempre seguito queste controversie tra due fratelli…”
Il fax sarebbe stato, quindi, inviato per conoscenza ad un soggetto estraneo, mentre sarebbe stato riservato per il solo avvocato S..
La lettera non conterrebbe, poi, sempre secondo l'incolpato, una proposta transattiva.
Nella successiva memoria del 28 giugno 2010 l'Avv. S. ribadisce come la lettera non possa essere considerata proposta transattiva perché propone soluzioni per un soggetto terzo che non era in causa in quanto aveva rinunciato all'eredità della cui sostanziale divisione si discuteva.

Diritto

Il ricorso è infondato.
Appare evidente la violazione dell'art. 28 Codice Deontologico, la cui rubrica è: "Divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega" e secondo cui: “Non possono essere riprodotte o riferite in giudizio le lettere qualificate riservate e comunque la corrispondenza contenente proposte transattive scambiate con i colleghi”.
Il principio enunciato nell'articolo è evidentemente quello di garantire all'avvocato in qualsiasi fase, sia giudiziale che stragiudiziale, della controversia, di poter interloquire anche per iscritto con il collega di controparte, senza dover temere che le affermazioni contenute nella corrispondenza indirizzata allo stesso collega possano essere utilizzate - con la produzione di detta corrispondenza o con il riferimento alla stessa - in maniera tale che ne possa risultare danneggiata la parte assistita.
Appare ovvio che se non sussistesse siffatta garanzia verrebbe limitata o addirittura compromessa quella possibilità di iniziativa conciliativa, che pure costituisce una delle espressioni maggiormente qualificanti dell'attività professionale.
La ratio e la lettera dell'art. 28 appaiono chiarissime nello statuire che la corrispondenza espressamente qualificata come “riservata” rende la stessa improducibile a prescindere dal suo contenuto ovvero dalla sua rilevanza in merito alla lite, costituendo quindi un'ipotesi di divieto assoluto di produzione per la corrispondenza così qualificata, pure se non inerente ad ipotesi transattive.
Sul punto questo Consiglio non può che ribadire la propria consolidata giurisprudenza secondo cui, ex multis, con sentenza n. 248 del 31/12/2008 ha avuto modo di osservare che: “La norma di cui all'art. 28 c.d. mira a salvaguardare il corretto svolgimento dell'attività professionale, con il fine di non consentire che leali rapporti tra colleghi possano dar luogo a conseguenze negative nello svolgimento della funzione defensionale, specie allorché le comunicazioni ovvero le missive contengano ammissioni o consapevolezze di torti ovvero proposte transattive. Ciò al fine di evitare la mortificazione dei principi di collaborazione che per contro sono alla base dell'attività legale. Il divieto di produrre in giudizio la corrispondenza tra professionisti contenente proposte transattive assume la valenza di un principio invalicabile di affidabilità e lealtà nei rapporti interprofessionali indipendentemente dagli effetti processuali della produzione vietata, in quanto la norma mira a tutelare la riservatezza del mittente e la credibilità del destinatario, nel senso che il primo, quando scrive ad un collega di un proposito transattivo, non deve essere condizionato dal timore che il contenuto del documento possa essere valutato in giudizio contro le ragioni del suo cliente, mentre il secondo deve essere portatore di un indispensabile bagaglio di credibilità e lealtà che rappresenta la base del patrimonio di ogni avvocato.
La produzione in giudizio di una lettera contenente proposta transattiva configura per ciò solo la violazione della norma deontologica di cui all'art. 28 c.d., precetto che non soffre eccezione alcuna, men che meno in vista del pur commendevole scopo di offrire il massimo della tutela nell'interesse del proprio cliente”.
Ed ancora, con sentenza 23 maggio 2002 n. 70, questo Consiglio ha ribadito che: “Pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante il professionista che produca in giudizio una lettera inviatagli dal collega di controparte e contenente una proposta transattiva. La riservatezza, infatti, colpisce non solo tutte le comunicazioni espressamente dichiarate riservate, ma anche le comunicazioni scambiate tra avvocati nel corso del giudizio, e quelle anteriori allo stesso, quando le stesse contengano espressioni di fatti, illustrazioni di ragioni e proposte a carattere transattivo, ancorché non dichiarate espressamente “riservate””. (conforme Cons. Naz Forense 12/10/1999 n. 156).
Nel caso di specie la lettera prodotta in giudizio contiene una proposta transattiva con espressa dicitura “riservata personale non producibile”.
Pertanto, confermata la decisione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano.

P.Q.M.

Il Consiglio Nazionale Forense riunito in camera di consiglio;
visti gli artt. 40 n. 1 e 54 del R.D.L. 27.11.1933, n. 1578 e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22.1.1934, n. 37;
rigetta il ricorso.
Avv. Antonino Sugamele

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