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Sentenza

Opere pubbliche. Progetto definitivo. Approvazione. Dichiarazione di pubblica ut...
Opere pubbliche. Progetto definitivo. Approvazione. Dichiarazione di pubblica utilità implicita. Progetto esecutivo. Approvazione. Lesività ex se dell'espropriando. Non sussiste.
Cons. St., Sez. IV, 7 novembre 2014, n. 5496
N. 05496/2014

N. 08110/2013 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso numero di registro generale 8110 del 2013, proposto da: 
Margherita Saponaro, Rita Rizzello, Rosangela Spinosa, rappresentati e difesi dall'avv. Luigi Paccione, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria N. 2; 
contro

Comune di Monopoli, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Lorenzo Di Bello, con domicilio eletto presso Maria Rosaria Neri in Roma, via del Babuino 155; 
per la riforma

della sentenza del T.A.R. della PUGLIA –Sede di BARI- SEZIONE II n. 00963/2013, resa tra le parti, concernente approvazione progetto esecutivo lavori di riassetto fascia litoranea - espropriazione terreni;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Monopoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 luglio 2014 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Paccione e Di Bello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Puglia – sede di Bari - ha respinto il ricorso di primo grado, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla parte odierna appellante volto ad ottenere l'annullamento,

(con il ricorso principale) della deliberazione di c.c. n. 62 del 21/9/2010, recante l'approvazione del progetto definitivo/esecutivo dei lavori riassetto dei liberi accessi al mare in Monopoli, c.da losciale/capitolo

Con il mezzo per motivi aggiunti invece, parte appellante aveva gravato i successivi decreti di esproprio.

Il Tar ha in primo luogo riepilogato quali fossero le doglianze articolate, facendo presente che i terreni erano stati espropriati per realizzare, in località balneare sita in Monopoli, un accesso al mare, attraversando, perpendicolarmente alla viabilità litoranea che costeggia la battigia, il suolo che separa la spiaggia stessa dalla strada (per consentire l'accesso, da parte della collettività, alla spiaggia libera, attraverso una piccola stradina di larghezza e lunghezza contenute).

Con il ricorso principale si era contestato il provvedimento del consiglio comunale (del. n. 62/2010) di approvazione del progetto esecutivo: in particolare, con la delibera di Consiglio Comunale n. 62 del 21 settembre 2010 il Comune di Monopoli aveva approvato in via definitiva il progetto esecutivo per la realizzazione del progetto di cui sopra, dando atto che tale approvazione implicava variante semplificata al piano urbanistico generale e che esso non necessitava, secondo quanto previsto dall'art. 12 della L.R. 3/05, di approvazione da parte della Regione.

Nella delibera medesima si dava, altresì, atto del fatto che l'approvazione del progetto equivaleva a dichiarazione di pubblica utilità ai sensi dell'art. 12 comma 1 D.P.R. 327/01 e che comportava, in quanto variante semplificata allo strumento urbanistico, l'imposizione del vincolo preordinato all'esproprio.

Gli odierni appellanti sostenevano invece che essa comprimerebbe inutilmente ed irragionevolmente le facoltà dominicali, senza alcuna apprezzabile utilità per la collettività, posto che consentirebbe l'accesso non alla spiaggia c.d. libera, ma ad un lido privato (perché dato in concessione), sicchè non vi sarebbe alcun serio beneficio pubblico: essa poggiava su di un presupposto in fatto erroneo, perché l'accesso 25 – come denominata la strada realizzanda - non conduceva alla spiaggia libera e cioè fruibile dalla collettività.

Si sosteneva altresì che la strada realizzanda, era priva di apprezzabile utilità sotto altro profilo (l'accesso al mare sarebbe già garantito dalla disponibilità del titolare del vicinissimo lido privato -Porto Giardino-): l'espropriazione dei suoli comprimeva le facoltà dominicali inutilmente, perché il risultato cui sarebbe volto lo strumento ablatorio era già garantito dall'accesso n.23. Inoltre, i suoli espropriati non erano più contemplati dal nuovo strumento urbanistico sopraggiunto (PUG) che, nel sostituire il precedente PRG, non prevedeva più l'accesso al mare in questione (accesso n. 25) ed era riscontrabile un vizio procedimentale, attinente l'approvazione semplificata della variante ed il difetto di adeguata motivazione nell'atto di apposizione del vincolo preordinato all'esproprio.

Con il mezzo per motivi aggiunti, si riproponevano le dette censure e quelle di invalidità derivata.

Il primo giudice ha quindi proceduto al congiunto esame delle dette censure facendo presente che sulla medesima vicenda storica esso si era già pronunciato con la sentenza n. 463/2012, (pienamente confermata in appello con decisione n. 893/2013 del Consiglio di Stato).

Tale giudicato costituiva punto di partenza per esaminare la fattispecie: in forza dello stesso, e facendo riferimento ai principi contenuti nelle suindicate decisioni potevano essere respinte le doglianze inerenti l'inappropriata ed inadeguata motivazione del vincolo espropriativo apposto con la del. n. 62/2010 ( vincolo apposto per la prima volta con il provvedimento consiliare del 2010 e non oggetto di reiterazione).

Parimenti dette decisioni erano utili per disattendere l'argomento fondato sulla tesi per cui il vicino ed ulteriore accesso al mare garantito dal lido Porto giardino già soddisferebbe la finalità pubblica cui è preordinata l'opera.

Era rimasto chiarito, infatti, che la procedura espropriativa era stata proseguita sol perché la Porto Giardino s.p.a. in concreto non aveva tradotto in un atto d'obbligo vincolante l'impegno a garantire l'utilizzabilità della strada e dei servizi igienici da parte di tutti gli utenti (limitandosi ad una non vincolante dichiarazione d'impegno).

L'Amministrazione, non solo si era correttamente rappresentata tutte le circostanze del caso, ma altresì che sin dove aveva potuto aveva cercato di venire incontro alle esigenze dei proprietari espropriati, ricercando soluzioni alternative ma efficaci.

Quanto all'argomento incentrato sulla tesi che le opere che la Amministrazione comunale intendeva realizzare erano già tutte esistenti, il Tar ha osservato che in mancanza di un atto d'obbligo da parte dei proprietari, esse non erano liberamente fruibili da tutti gli utenti: legittimamente, pertanto, il Comune aveva ritenuto di dover procedere all'esproprio delle aree necessarie ed alla autonoma realizzazione delle opere utili a garantire un confortevole e disciplinato utilizzo delle spiagge pubbliche.

Quanto all'ulteriore argomento, secondo cui l'accesso sarebbe servito a raggiungere un lido privato, anzichè la spiaggia pubblica (con il che sarebbe smentita la finalità pubblica della strada da realizzarsi), il Tar ha rilevato che la concessione di una porzione dell'arenile demaniale al lido privato, da un lato non esauriva e non escludeva la necessità di consentire l'accesso a quelle parti della stessa spiaggia data in concessione che restano di libera fruizione (a titolo esemplificativo la battigia), dall'altro che gli utenti ben potevano, utilizzando le parti assoggettate al libero accesso anche all'interno del lido privato, raggiungere la c.d. spiaggia libera.

D'altro canto doveva tenersi conto della circostanza che l'ente comunale non poteva escludere gli accessi pubblici sol perché questi conducevano ad un “lido privato”, in quanto l'estensione territoriale e temporale delle concessioni demaniali era soggetta a mutamento, sicchè non poteva incidere, precludendole, sulle opere stabili che consentivano l'accesso alla spiaggia agli utenti che non intendevano fruire dei servizi privati.

Il Tar ha poi respinto la censurata illegittimità, per vizi procedurali, dell'atto di adozione della variante urbanistica derivante dall'adozione della delibera consiliare adottata (motivo sub IV del ricorso principale) rinviando a quanto già statuito con la soprarichiamata sentenza n. 463/2012 confermata in appello in ordine al secondo motivo del relativo ricorso.

Quanto al nodo centrale della controversia esso riposava nella contestazione della difformità della procedura ablatoria rispetto al nuovo PUG: si sosteneva infatti che il sopravvenuto strumento urbanistico, definitivamente adottato dal Comune con la delibera consiliare n. 68/2010, cioè dopo l'adozione della del. n. 62/2010, non contemplava più l'accesso in questione.

Il Tar ha sul punto rammentato che la difesa comunale aveva contestato che le due previsioni urbanistiche (il PRG come variato dalla del. 62/2010, nonché il sopravvenuto PUG) fossero incompatibili, sostenendo che le previsioni urbanistiche su cui si fondavano le allegazioni di parte appellante riguardassero in realtà, la diversa zona ad ovest della viabilità litoranea (mentre l'accesso 25 attraversava la parte ad est della suddetta strada) ed aveva altresì fatto presente che il nuovo PUG era stato adottato in prima battuta il 22.12.2007 (e solo successivamente ed in via definitiva, con la del. n.68 del 2010), cioè prima della delibera n.62/2010 che, pertanto, avrebbe modificato anche tale strumento urbanistico.

Il primo giudice ha evidenziato che, a fronte della perizia giurata depositata da parte appellante che escludeva categoricamente che il nuovo PUG contemplasse ancora l'accesso 25, si sarebbe imposto un accertamento istruttorio.

Senonchè esso è stato giudicato superfluo, in quanto, anche a voler ritenere accertato che il nuovo PUG non prevedesse più l'accesso 25, comunque, non era fondata la doglianza formulata.

Ciò in quanto la cronologia infraprocedimentale era la seguente:

con la del. n. 62 del 21.9.2010 (di approvazione del progetto esecutivo) si era disposta la variante particolare allo strumento urbanistico (previgente PRG), con contestuale l'apposizione del vincolo e dichiarazione di P.U.;

- con la del. n. 68 del 22.10.2010 era stato adottato definitivamente il PUG (che aveva così superato la prima approvazione nel 2007, rispetto alla quale era rimasta ignota la ragione della successiva approvazione definitiva che, comunque, restava un punto fermo nella vicenda) poi approvato in sede regionale il 4.11.2010 (data indicata dalla perizia giurata con allegazione in fatto non smentita dalla controparte).

Il PUG (nuovo strumento urbanistico che si assumeva non contemplare più l'accesso al mare n. 25) era, dunque, sopravvenuto rispetto alla variante.

Ciò implicava che non potesse accogliersi, sotto tale profilo, la tesi prospettata dal Comune che muoveva dall'assunto contrario (basato sulla data di iniziale adozione nel 2007).

Il PUG era, tuttavia, precedente ai decreti di esproprio, tutti adottati nel Marzo 2012.

Ne discendeva che la procedura espropriativa era iniziata con la del. n.62/2010, prima dell'adozione e dell'approvazione del nuovo PUG e pertanto non era predicabile una invalidità sopravvenuta della stessa per contraddittorietà rispetto al nuovo PRG sopravvenuto.

Se legittima, in relazione alle previsioni dello strumento urbanistico, era l'apposizione del vincolo nonché la dichiarazione di P.U. ed i decreti di esproprio erano coerenti e conformi ai suddetti atti della procedura espropriativa ed allo strumento urbanistico vigente al momento dell'inizio della procedura espropriativa, le eventuali variazioni delle previsioni urbanistiche, anche se precedenti all'adozione del decreto di esproprio, non rilevavano.

Si imponeva quindi la reiezione della censura formulata nel ricorso per motivi aggiunti con cui si censuravano i decreti di esproprio per contrasto con il sopravvenuto strumento urbanistico generale, in quanto essa mirava a reclamare, di fatto, un non previsto obbligo dell'amministrazione di rivalutare, in sede di adozione dei decreti di esproprio, la pubblica utilità dell'opera.

I decreti di esproprio, data la natura meramente esecutiva di scelte decisionali già adottate in ordine alla pubblica utilità dell'opera, non richiedevano una nuova valutazione di utilità dell'opera, in relazione alla sopravvenienza di strumenti urbanistici generali. La tesi sostenuta dalla originaria parte ricorrente avrebbe potuto condividersi, solo laddove fosse predicabile che l'ente comunale, con l'adozione del nuovo strumento urbanistico avesse a (implicitamente) revocato la dichiarazione di pubblica utilità, in considerazione di un “ripensamento” circa la opportunità dell'opera, prima riconosciuta e poi disconosciuta ed anzi negata.

Ma così non era nel caso di specie in cui il nuovo PUG, ben lungi dall'adottare, nella zona in esame, un assetto del territorio antitetico con quello precedente, aveva riproposto, nella sostanza, i già previsti oneri conformativi nei confronti dei proprietari dei fondi limitrofi alla fascia costiera, benchè senza esplicitamente indicare il tracciato della strada in precedenza prevista come accesso n.25.

La realizzazione della stradina non si poneva in contrasto con i vincoli conformativi derivanti dal PUG, poiché opera priva di volumetria, a ridottissimo impatto ambientale (con relativo parere favorevole della soprintendenza) e coerente – ed anzi funzionale - al fine pubblico per la tutela del quale i vincoli conformativi sono stati imposti.

Anche detta censura è stata quindi disattesa, e quanto all'ultima censura con cui si deduceva la discrasia tra il piano particellare e l'estensione della porzione delle singole particelle da espropriare, anche alla luce dei verbali di immissione in possesso versati in atti essa è stata dichiarata infondata sulla scorta delle difese comunali.

La odierna parte appellante, già ricorrente rimasta soccombente nel giudizio di prime cure ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell'appellata decisione.

Ha in primo luogo sostenuto la erroneità del capo di decisione che aveva respinto le censure avversanti la dichiarazione di PU dell'accesso a mare n. 25 ed i successivi decreti di espropriazione per contrasto con il PUG.

Era stato pertanto violato il disposto di cui all'art. 8 del dPR n. 327/2001: l'opera pubblica, originariamente prevista nel PRG “Picinnato” non era più prevista nel vigente PUG.

Il nuovo PUG era entrato in vigore un anno e mezzo prima dei decreti di esproprio, e quindi, ne doveva discendere la sopravvenuta illegittimità della dichiarazione di PU in quanto non recepita nel sopravvenuto PUG.

Con la seconda censura ha ipotizzato la violazione dell'art.112 cpc posto che nel quarto motivo del ricorso per motivi aggiunti del 24.4.2012 era stata denunciata la incertezza e perplessità dei decreti di esproprio con riferimento alla esatta individuazione dei suoli ed invece il Tar aveva unicamente fatto riferimento alla “convincente difesa del comune”.

L'appellata amministrazione comunale ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell'appello perché infondato ed ha fatto presente che il nuovo Pug non aveva affatto abolito il vincolo preordinato all'esproprio.

Tutte le parti processuali, in vista della odierna udienza pubblica, hanno depositato scritti difensivi tesi a puntualizzare le rispettive censure ed eccezioni.

Alla odierna pubblica udienza dell'8 luglio 2014 la causa è stata posta in decisione dal Collegio

DIRITTO


1.L'appello (che comunque si struttura in un numero di censure –soltanto due- di gran lunga inferiore a quelle sottoposte allo scrutinio giudiziale in primo grado) è infondato e va disatteso, nei termini di cui alla motivazione che segue.

1.1. Va premesso che la recente sentenza del Consiglio di Stato, Sesta Sezione, n. 893/2013 si è pronunciata in ordine a connesse problematiche sollevate da altri soggetti (l'area in questione era di proprietà dell'Unicredit Leasing s.p.a. ma concessa in locazione finanziaria alla Porto Giardino s.p.a., ivi titolare del complesso turistico “Porto Giardino”,) relative pur sempre al contestato accesso n. 25. Il comune, nella propria memoria di primo grado datata 12 marzo 2013 e depositata il successivo 15 marzo 2013 aveva fatto presente la detta circostanza (il Tar non ne ha fatto menzione nella sentenza oggetto dell'odierno giudizio di appello). Sebbene la detta decisione n. 893/2013 non possa spiegare efficacia di “giudicato oggettivo” nell'odierno processo (essa ha riguardato altri ricorrenti privati, e si è pronunciata su differenti censure)la condivisibile ricostruzione ivi contenuta è da intendersi integralmente richiamata e trascritta nel presente elaborato.

2. L'unica censura formulata riposa nella violazione, da parte dell'amministrazione prima, e del Tar in seguito, del disposto di cui all'art. 8 del d.P.R. 8-6-2001 n. 327 (recante Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità) che così dispone ( fasi del procedimento espropriativo):

1. Il decreto di esproprio può essere emanato qualora:

a) l'opera da realizzare sia prevista nello strumento urbanistico generale, o in un atto di natura ed efficacia equivalente, e sul bene da espropriare sia stato apposto il vincolo preordinato all'esproprio;

b) vi sia stata la dichiarazione di pubblica utilità;

c) sia stata determinata, anche se in via provvisoria, l'indennità di esproprio.”

Ad avviso di parte appellante, posto che il Pug vigente –reso nel 2010- non contemplava più l'accesso 25, e posto che i decreti di espropriazione furono emessi nel 2012, ne discendeva che mancava il presupposto della conformità dell'”opera” allo strumento urbanistico generale, a nulla rilevando che la dichiarazione di pubblica utilità venne resa in costanza di una differente previsione urbanistica (precedente variante).

La circostanza che l' approvazione in via definitiva il progetto esecutivo avesse avuto luogo con la delibera di Consiglio Comunale n. 62 del 21 settembre 2010 (l'approvazione del PUG da parte della Regione avvenne il 4.11.2010) non sarebbe stata rilevante e, per altro verso, l'appellante non ha contestato che l'approvazione del progetto equivaleva a dichiarazione di pubblica utilità ai sensi dell'art. 12 comma 1 D.P.R. 327/01 e che comportava, in quanto variante semplificata allo strumento urbanistico, l'imposizione del vincolo preordinato all'esproprio.

2.1. Come si è detto, ad avviso di parte appellante la circostanza che il Pug vigente non contemplasse (più) la detta area qual preordinata all'esproprio invalidava automaticamente il decreto di esproprio reso successivamente.

2.2. Senonchè il Collegio non condivide detto argomentare ed, anzi, il ragionamento deve essere specularmente rovesciato.

Premesso che il Comune ha contestato in punto di fatto tale circostanza (ciò già nel corso del giudizio di primo grado: si veda la memoria di primo grado datata 12 marzo 2013 e depositata il successivo 15 marzo 2013 pagg. 4 e segg.) il Collegio non ritiene necessario un approfondimento istruttorio sul punto, né ritiene necessario ancorarsi alla certificazione urbanistica depositata in atti perché, anche se le premesse di fatto esposte dall'appellante fossero riscontrate immuni da mende in punto di fatto esse non potrebbero sortire l'auspicato effetto demolitorio.

2.3. Deve in proposito evidenziarsi che ai sensi dell'art. 19 comma 2 del d.P.R. 327/01 “L'approvazione del progetto preliminare o definitivo da parte del consiglio comunale costituisce adozione della variante allo strumento urbanistico” e che ai sensi dell'art. 12 comma 3 L.R. 3/05 non é necessaria l'approvazione regionale per le varianti urbanistiche derivanti dalla approvazione di progetti di opere pubbliche, di guisa che la delibera da parte del consiglio comunale rende la variante immediatamente definitiva.

Neppure parte appellante contesta la circostanza che la delibera di C.C. n. 62/2010 ha prodotto da quel momento una variante allo strumento urbanistico generale vigente ed ha contestualmente comportato l'imposizione del vincolo preordinato all'esproprio. Proprio ai sensi della disposizione richiamata da parte appellante il decreto di esproprio è legittimo laddove in un atto di natura ed efficacia equivalente, e sul bene da espropriare sia stato apposto il vincolo preordinato all'esproprio e purchè vi sia stata la dichiarazione di pubblica utilità.

La giurisprudenza, in proposito (sebbene ad altri fini) ha avuto cura di precisare che (Cons. Stato Sez. IV, 10-02-2014, n. 613) “laddove la dichiarazione di pubblica utilità sia implicita nell'approvazione del progetto definitivo, ai sensi dell'art. 12 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (T.U. Espropriazione per p.u.), il successivo livello di progettazione esecutiva costituisce una fase accessoria e irrilevante ai fini della lesività per l'espropriando, che ha già subito il vincolo espropriativo e nei cui confronti il decreto di esproprio già può essere emesso sulla base del solo progetto definitivo. Non può predicarsi, nelle anzi dette ipotesi, un onere di impugnativa anche del progetto esecutivo a pena di improcedibilità dell'impugnazione già proposta dell'atto comportante la dichiarazione di pubblica utilità”.

L'art. 9 del TU Espropriazione, a propria volta, prevede che “

1. Un bene è sottoposto al vincolo preordinato all'esproprio quando diventa efficace l'atto di approvazione del piano urbanistico generale, ovvero una sua variante, che prevede la realizzazione di un opera pubblica o di pubblica utilità.

2. Il vincolo preordinato all'esproprio ha la durata di cinque anni. Entro tale termine, può essere emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera.

3. Se non è tempestivamente dichiarata la pubblica utilità dell'opera, il vincolo preordinato all'esproprio decade e trova applicazione la disciplina dettata dall'articolo 9 del testo unico in materia edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

4. Il vincolo preordinato all'esproprio, dopo la sua decadenza, può essere motivatamente reiterato, con la rinnovazione dei procedimenti previsti nel comma 1 e tenendo conto delle esigenze di soddisfacimento degli standard. “

Da tale composito quadro normativo discende, ad avviso del Collegio, che non può certo tacciarsi di illegittimità il decreto di esproprio conforme alla variante regolarmente approvata (sul punto, premesso che l'odierna parte appellante non ha formulato alcuna censura nel presente grado di giudizio, la surrichiamata sentenza della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, n. 893/2013 è categorica, ed ancor di più lo era stata la sentenza di primo grado del Tar n. 00463/2012) ma, semmai, si potrebbe porre, come lucidamente colto in quel giudizio innanzi alla Sesta Sezione, uno speculare ed inverso problema di legittimità del P.U.G., ove la vigente variante non fosse stata recepita dal Piano Urbanistico Generale.

La detta questione, tuttavia, non soltanto è totalmente estranea all'odierno giudizio ma, in ogni caso, non potrebbe comportare conseguenze tali da invalidare il contestato decreto di esproprio, del tutto coerente con la prescrizione di cui alla variante generale e con il vincolo di pubblica utilità apposto.

3.4 . Alla stregua delle superiori conclusioni, il primo motivo di appello va quindi disatteso, e non miglior sorte merita la seconda censura.

Invero parte appellante né in primo né in secondo grado ha chiarito e spiegato per quale ragione il decreto fosse incerto e perplesso con riferimento alla individuazione dei suoli: essa è stata perfettamente in grado di comprendere quale fosse l'area di propria pertinenza destinataria del decreto, e non è dato comprendere a cosa in effetti si riferisca allorchè denuncia detta supposta illegittimità. Il Comune ha chiarito già in primo grado l'ubicazione dell'area, l'insistenza ivi di manufatti abusivi di pertinenza di parte appellante (ed in ordine ai quali erano stata già disattese le istanze di condono via via presentate)e pertanto non si riscontra alcun vizio di omessa petizione attingente la gravata pronuncia né alcun profilo di favorevole delibazione nella riproposta doglianza d'appello. Tutte le deduzioni sul punto prospettate (ancora da ultimo nella memoria depositata in vista della odierna pubblica udienza) dall'appellante e dal Comune sono inaccoglibili e non rilevano: il thema decidendi riposava nella supposta “decadenza” della procedura avviata, a fronte della asserita incompatibile situazione determinatasi a seguito del nuovo PRG e nella supposta “incertezza”dell'azione amministrativa.

Entro tale perimetro (non certamente ampliabile in appello, e men che meno a mezzo di memorie conclusionali: arg. ex art. 104 del cpa) si è articolato il vaglio del Collegio, nei termini che precedono,e tutti gli ulteriori argomenti prospettati dalle parti processuali non sono ammissibili.

4.Conclusivamente, l'intero mezzo deve essere disatteso, mentre tutti gli argomenti di doglianza ed eccezione non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

5. Devono essere compensate tra le parti le spese processuali del grado a cagione della complessità fattuale della controversia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,lo respinge nei termini di cui alla motivazione che precede.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:

Goffredo Zaccardi,	Presidente

Sandro Aureli,	Consigliere

Fabio Taormina,	Consigliere, Estensore

Diego Sabatino,	Consigliere

Giulio Veltri,	Consigliere

 		
 		
L'ESTENSORE		IL PRESIDENTE
 		
 		
 		
 		
 		
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Avv. Antonino Sugamele

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