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La Giustizia Amministrativa...
La Giustizia Amministrativa
LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
La giustizia amministrativa è un sistema costituito dai vari mezzi predisposti per la tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi dei cittadini che si ritengano lesi da parte della pubblica amministrazione.
• Origini ed evoluzione. L’efficacia di un sistema di giustizia amministrativa presuppone in primo luogo che vi rientrino garanzie giurisdizionali indipendenti dalle autorità amministrative: in questo senso, una vera giustizia amministrativa mancava nello stato assoluto, in cui il sovrano poteva a sua discrezione casi concreti su richiesta di privati, mentre essa trova le sue origini nello stato liberale, ricollegandosi direttamente al principio di sottoposizione dell’amministrazione alla legislazione (principio di legalità). In Italia le basi fondamentali del sistema risalgono alla legislazione di unificazione amministrativa del 1865 (l. 20 marzo 1865 n. 2248 all. E), le cui principali norme sono tuttora vigenti. La legge del 1865 tracciò una distinzione generalissima, collocando da un lato tutte le cause per contravvenzione e tutte le materie nelle quali si facesse questione di un diritto civile o politico, e dall’altro ogni «affare» non configurabile come vero e proprio diritto. Per le prime ipotesi (c.d. diritti soggettivi) si affermò la giurisdizione dei tribunali ordinari, i quali peraltro avrebbero potuto dichiarare illegittimi e disapplicare atti amministrativi, ma senza pronunciarne l’annullamento (art. 2, 4, 5 l. n. 2248 /1865); le seconde (c.d. interessi legittimi) venivano invece affidate esclusivamente ad autorità amministrative (art. 3 l. n. 2248/1865). La distinzione è rimasta, come uno dei dati che contraddistinguono il sistema italiano; ma le conseguenze sono addivenute assai diverse: giacché, in seguito all’istituzione (1889-1907) di nuove sezioni del consiglio di stato con funzioni giurisdizionali (in precedenza quest’organo svolgeva funzioni essenzialmente consultive) e all’affidamento a esse della decisione dei ricorsi fondati su lesioni di interessi legittimi, anche questi ultimi vennero a godere di garanzie giurisdizionali, accompagnate da poteri di annullamento degli atti amministrativi riconosciuti illegittimi.
• Principi costituzionali. I principi fondamentali che ispirano la giustizia amministrativa sono ora sanciti nella costituzione. Tali principi si aprono con l’affermazione per cui «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi» (art. 24 cost.). Questa affermazione trova il suo sviluppo nell’art. 113 cost., secondo cui «contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa», senza che tale tutela giurisdizionale possa essere « esclusiva o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti», mentre è rinviato alla legge il compito di determinare quali organi giurisdizionali, in quali casi o con quali effetti possono annullare gli atti della pubblica amministrazione. In particolare poi si stabilisce la funzione del consiglio di stato, anche quale organo «di tutela di giustizia nell’amministrazione» (art. 100 cost.). Ad esso spetta, insieme agli altri organi di giustizia amministrativa, «la giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicati dalla legge, anche dei diritti soggettivi» (art. 103 cost.) e’ inoltre sancita la ricorribilità in cassazione contro le decisioni emesse da due organi per i soli motivi inerenti alla giurisdizione (art. 121 cost.).
• I ricorsi amministrativi. Nessun accenno la costituzione ha dedicato alla possibilità di ricorrere alle autorità della pubblica amministrazione da parte dei soggetti che si ritengono lesi in un proprio diritto soggettivo o interesse legittimo dalla stessa pubblica amministrazione. Essi comunque non sono incompatibili con il sistema costituzionale, purché non implichino esclusione o impedimento all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale, così come garantito dall’art. 113 cost. I ricorsi amministrativi possono ripartirsi in tre categorie: ricorsi in opposizione; ricorsi gerarchici, propri e impropri; ricorso straordinario al capo dello stato. a) Ricorsi in opposizione: presentano la caratteristica di rivolgersi alla stessa autorità che ha emanato l’atto contestato. Sono ammessi soltanto nei casi in cui la legge li preveda espressamente, cosa che in concreto avviene raramente, e si applicano loro le regole relative ai ricorsi gerarchici. b) Ricorsi gerarchici: si rivolgono, in un’unica istanza, ad autorità gerarchicamente sovraordinata a quella che emanato l’atto. Costituiscono un rimedio di carattere generale, per motivi sia di legittimità sia di merito, essendo esclusi soltanto per gli atti da considerarsi «definitivi», cioè che esprimono la decisiva pronuncia sulla questione da parte dell’amministrazione preposta al settore. Rivestono invece carattere eccezionale, i c.d. ricorsi gerarchici impropri, proposti, nei casi previsti dalla legge, ad autorità che non si trova normalmente in rapporto di supremazia gerarchica rispetto a quella che ha emanato l’atto. c) Ricorso straordinario al presidente della repubblica: è riferibile soltanto formalmente al presidente della repubblica, mentre la decisione sostanziale viene assunta, sentito obbligatoriamente il parere del consiglio di stato, in sede governativa e, in particolare, dal ministro competente, se la decisione è conforme al parere del consiglio di stato; mentre è necessaria una delibera adottata dal consiglio dei ministri per discostarsene. Il ricorso può essere proposto esclusivamente nei confronti di atti «definitivi» (quando non sia esperibile o sia già stato esperito il ricorso in via gerarchica) e può coinvolgere soltanto aspetti di legittimità, rimanendone esclusi quelli di merito. Nel quadro dell’attuale sistema i ricorsi amministrativi hanno perduto gran parte dell’importanza pratica che tradizionalmente rivestivano. Dopo l’istituzione dei TAR, il previo esperimento di ricorsi in via amministrativa non è più necessario agli effetti del ricorso giurisdizionale, che può essere ora presentato anche nei confronti di atti non definitivi: il che, di fatto, induce prevalentemente a ricercare al più presto una tutela imparziale. In ogni caso anche l’ipotesi in cui venga scelta quest’ultima via non esclude una sottoposizione del caso al giudice, al quale, impugnando l’atto che decide il ricorso amministrativo, potranno essere riproposte le medesime questioni (escluse quelle di merito) già esaminate dall’autorità amministrativa. Quanto al ricorso straordinario, esso si pone in alternativa rispetto al ricorso giurisdizionale, nel senso che l’uno esclude l’altro, mentre la scelta è lasciata all’interessato (fermo restando che, se la via giurisdizionale viene comunque preferita da qualche controinteressato, è quest’ultima opzione a prevalere). I ricorsi in opposizione e in via gerarchica assolvono ormai soltanto marginalmente a esigenze che, semmai, tendono a spostarsi nel procedimento amministrativo, mentre il ricorso straordinario, nell’offrire (attraverso l’intervento del consiglio di stato) un certo grado di garanzia di obiettività, presenta una maggiore economicità dei ricorsi giurisdizionali, e un più lungo termine di presentazione (120 giorni) divenendo quindi l’unico rimedio per chi già abbia perduto i più brevi termini giurisdizionali.
• Giurisdizione ordinaria. Ai giudici ordinari sono attribuite «tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione e ancorché siano stati emanati provvedimenti del potere esecutivo» (art. 2 l. n. 2248/1865). Si tratta, in concreto, di giudizi penali ed in ogni caso di diritto soggettivo che non sia stato declassato a interesse legittimo per effetto di provvedimento amministrativo (per es. , diritti di terzi, ipotesi di provvedimenti emanati in carenza di potere: incompetenza). In questo modo è la posizione che l’attore asserisce lesa a determinare la giurisdizione (in generale il diritto soggettivo determina la giurisdizione del giudice ordinario; l’interesse legittimo, quella del giudice amministrativo determina la giurisdizione del giudice ordinario; l’interesse legittimo, quella del giudice amministrativo). Al giudice ordinario è precluso ogni annullamento, modifica o revoca di atti amministrativi: se ne riconosce l’illegittimità, può solo disapplicarli nella concreta controversia, risolvendola come se tali atti non esistessero.
• Giurisdizione amministrativa. Spetta all’ordine giurisdizionale amministrativo (cioè, appunto, ai TAR in primo grado, e al consiglio di stato in sede di appello) una giurisdizione generale per la tutela di interessi legittimi. In talune materie espressamente indicate dalla legge (la più importante è quella relativa al pubblico impiego) tale giurisdizione si estende anche ai diritti soggettivi (c.d. giurisdizione esclusiva). In altri casi – anche tassativamente indicati dalla legge – la protezione degli interessi legittimi può coinvolgere, oltre agli aspetti di legittimità dell’atto, anche quelli di merito, poiché il giudice amministrativo può in questo caso anche riformare l’atto o sostituirlo. Tra questi ultimi casi si colloca, in particolare, la competenza a giudicare di ricorsi diretti a ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi al giudicato di tribunali ordinari che abbiano riconosciuto la lesione di un diritto soggettivo. Di regola i giudizi amministrativi hanno a oggetto la validità di un atto amministrativo. I termini di decadenza per la notifica del ricorso sono assai brevi (60 giorni dalla comunicazione o notificazione del provvedimento o dalla conoscenza dello stesso). La presentazione del ricorso non sospende l’esecutività dell’atto impugnato, ma tale sospensione può essere accordata dal giudice nei casi in cui l’esecuzione possa comportare danni gravi e irreparabili. Parti del giudizio sono il ricorrente, l’amministrazione che ha emanato l’atto (resistente) e altri soggetti che abbiano interesse alla sopravvivenza del provvedimento impugnato (controinteressati) o, all'opposto, siano interessati al suo annullamento (cointeressati). La sentenza, se riconosce fondate le ragioni del ricorrente, annulla l'atto impugnato con effetto ex tunc, cioè dal momento in cui è stato adottato; nei casi di competenza esclusiva e di merito, essa può contenere la condanna dell'amministrazione al pagamento di somme dovute. In ogni caso disporrà in ordine alle spese processuali.
• Giurisdizioni speciali amministrative e ruolo della cassazione. Funzioni giurisdizionali sono attribuite per speciali materie: alla corte dei conti, particolarmente in relazione al contenzioso contabile e pensionistico; ai tribunali delle acque, particolarmente in ordine all'impugnativa di atti statali relativi al regime di acque pubbliche; alle commissioni tributarie, per quanto concerne il contenzioso tributario. Nei casi in cui si contesti che si sia rispettata la delimitazione tra la giurisdizione del giudice ordinario e quella di un giudice speciale, o di un giudice speciale nei confronti di altro giudice speciale, la soluzione di tali conflitti di giurisdizione è attribuita alla corte di cassazione, che decide a sezioni unite sia in sede preventiva (art. 41 cod. proc. civ.), sia in sede di ricorso avverso sentenze (art. 362 cod. proc. civ.). Analogo rimedio è esperibile allorché si neghi in toto la giurisdizione, per essere la controversia priva, nel nostro ordinamento di qualsivoglia tutela giurisdizionale (in particolare, allorché la posizione del ricorrente non si configura né come diritto soggettivo né come interesse legittimo, ma come interesse semplice, non protetto). Le principali fonti normative che regolano la materia sono date dalla l. n. 224/1865 all. E; dal t.u. 26 giugno 1924 n. 1054 sul consiglio di stato, più volte modificato; dalla l. 6 dicembre 1971 n. 1034 sull'istituzione dei TAR; dal d.lgs. 24 novembre 1971 n. 1199 in materia di ricorsi amministrativi.
• La riforma del processo amministrativo. Con la l. 21 luglio 2000 n. 205 è stata varata un'importante riforma del processo amministrativo. Il provvedimento, oltre a prevedere un ampliamento degli organici dei magistrati e del personale amministrativo, introduce forme accelerate di risoluzione delle controversie. Qualora i giudici riconoscano che un provvedimento può essere definito senza una particolare attività istruttoria, potranno mettere una sentenza che citerà solo sinteticamente il punto di fatto o di diritto considerato determinante (decisione in forma semplificata, art 9 c, I, l. 205/2000). i ricorsi pendenti da oltre dieci anni dovranno essere rinnovati: le parti dovranno procedere a nuova istanza; in caso contrario i ricorsi saranno dichiarati decaduti (perenzione dei ricorsi ultradecennali, art 9 c.II). Viene introdotta a favore del ricorrente la possibilità di ottenere, quando al fattispecie lo richieda, misure cautelari, compresa l'ingiunzione al pagamento anticipato di una somma (art. 3). E' ammesso inoltre il ricorso contro il silenzio dell'amministrazione (art. 2).
Avv. Antonino Sugamele

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