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Sentenza

L’approvazione del piano di recupero ha valore di dichiarazione di pubblica util...
L’approvazione del piano di recupero ha valore di dichiarazione di pubblica utilità – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3520/2011.
Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n. 3520 del 10/06/2011

FATTO e DIRITTO

Con sentenza n. 215 del 2004 il T.A.R. per l'Abruzzo – L'Aquila ha accolto due ricorsi, riuniti, proposti dai sig.ri [OMISSIS] e [OMISSIS], annullando gli atti relativi a P.R.P.E. di iniziativa privata, adottato dal Comune di San Benedetto dei Marsi con delibera n. 48 del 1996 e approvato il 2.10.97, e la concessione edilizia n. 9 rilasciata il 13.3.97 al sig. Di Nicola per l'edificazione di un fabbricato nella zona interessata dal piano di recupero.

Il TAR ha ritenuto l'illegittimità del piano di recupero in quanto non richiesto dalla maggioranza dei proprietari prescritta dall'art. 2 della legge reg. n. 70 del 1995, rilevando che, pur risultando condivisibile l'operato del Comune che, a fronte di un reddito catastale pari a zero, ha considerato ai fini della determinazione della “maggioranza dei proprietari” le quote di superficie del terreno, il relativo calcolo si era rivelato errato, essendosi calcolata come intera (e pari al 25,21%) la proprietà Cesarani, che dagli atti risultava proprietario solo per il 12,605%.

La sentenza viene appellata dal sig. Di Nicola che, richiamate le difese svolte in primo grado, deduce: 1) mancata notificazione dei ricorsi originari alla Provincia dell'Aquila e alla Regione Abruzzo, segnalati come litisconsorti necessari per essere il P.R.P.E. un atto complesso, nonché agli altri firmatari del piano di recupero, con conseguente nullità dei ricorsi introduttivi e della sentenza; 2) improponibilità, inammissibilità e/o irricevibilità, riproponendo le eccezioni di tardività dell'impugnazione tanto del P.R.P.E. che della concessione edilizia e di carenza di interesse dei ricorrere, non essendo stata lesa la loro sfera patrimoniale né quella morale e non ravvedendosi il vantaggio potenziale derivante dall'annullamento degli atti; 3) difetto, genericità e contraddittorietà, illogicità manifesta sostenendo che, in mancanza di reddito, l'unico elemento di calcolo della superficie totale del comparto non poteva che essere rappresentata dalla maggioranza assoluta dei richiedenti e che l'attribuzione al firmatario Cerasani Giovanni della proprietà di tutti i 150 mq. è un dato oggettivo risultante dall'atto notarile di acquisto in regime di comunione dei beni con la moglie Figliolino Lucia, onde correttamente sarebbe stata attribuita al medesimo la percentuale di superficie del comparto pari al 25,21% del totale; pretestuosi sarebbero le deduzioni di controparte e privi di logica i rilievi del TAR; 4) “presunta illegittimità della concessione edilizia N° 9, infondatezza – eccesso di potere”, evidenziando che l'appellante si è rivolto al Comune in maniera formale e legale per il rilascio della concessione edilizia, ottenendo questa, sulla base di parere della commissione edilizia, nonché il nulla-osta dei Beni Ambientali, e realizzando la propria abitazione e se l'atto presupposto P.R.P.E. non fosse valido non potrebbe essere ritenuto responsabile l'appellante; il legittimo affidamento dell'appellante non poterebbe essere disatteso per il tardivo capriccio di un vicino, fin dall'inizio consapevole dell'iter procedimentale del piano di recupero e della concessione.

Si sono costituiti in giudizio gli appellati sig.ri [OMISSIS] e Lacasasanta, che resistono e ripropongono le censure dichiarate assorbite, ed il Comune, quest'ultimo instando per l'accoglimento dell'appello e la riforma della sentenza.

All'udienza del 9.4.2010 il procuratore di [OMISSIS] dichiarava la morte del proprio assistito, onde veniva dichiarata l'interruzione del processo.

Con ricorso in riassunzione il Comune di San Benedetto dei Marsi ha riattivato il giudizio.

Le parti hanno scambiato memorie e repliche.

Il ricorso è stato posto in decisione all'udienza dell'1.3.2011.

L'appello si rivela infondato.

Non persuade la tesi che vuole litisconsorti necessari nel giudizio di impugnazione del P.R.P.E. la Regione e la Provincia; il piano di recupero adottato e approvato dal Comune con le deliberazioni rispettivamente n. 48 del 19.9.96 e n. 36 del 2.10.97 rientra nella categoria degli atti di auto approvazione; non si tratta, quindi di un atto complesso nel quale confluiscano le determinazioni di enti sovracomunali, e la notazione dell'appellante (in memoria) che sono necessarie diverse dichiarazioni di volontà (commissione edilizia – C.C. – CO.RE.CO. – BB.AA. ecc) per formare l'atto, nella specie il P.R.P.E. e la C.E., talchè l'assenza del contributo di uno solo degli organi coinvolti non ne consentirebbe la perfezione, non vale a denotare l'esistenza di un atto di natura complessa, rimanendo tanto il piano di recupero che la concessione edilizia riferibili, quale autorità promanante, al solo Comune, e non agli organi consultivi o di controllo menzionati dall'appellante.

Né sussiste inammissibilità dei ricorsi di primo grado, notificati al controinteressato principalmente coinvolto nella vicenda e titolare della concessione edilizia contestata.

Non si riscontra la eccepita tardività delle impugnazioni proposte in primo grado; come riferisce lo stesso appellante il primo ricorso, avverso l'adozione del piano e la concessione edilizia è stato notificato il 12.6.97 ed il secondo, avverso l'approvazione del piano, l'1.12.97; quanto al P.R.P.E., la relativa approvazione (previa decisione sulle osservazioni, alcune formulate dai ricorrenti in primo grado), cui va ricollegata la lesività, è intervenuta con delibera n. 36 del 2.10.97, onde il ricorso dell'1 dicembre successivo è tempestivo; quanto alla concessione edilizia, l'appellante precisa che i lavori sono iniziati il 19.5.97 (data della denuncia di inizio lavori); la notifica il 12.6.97 del ricorso r.g. 468/97 è avvenuta entro i sessanta giorni, né l'appellante ha dimostrato una conoscenza del rilascio del provvedimento anteriore all'inizio dei lavori (non rileva in tal senso un'eventuale conoscenza della richiesta del titolo abilitativo; la valorizzata dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del Sindaco datata 4.5.2004 si riferisce – come espone lo stesso appellante – a una riunione del 2.6.97).

Non persuade l'eccezione di inammissibilità per carenza di interesse dei ricorrenti in primo grado. Come rileva l'appellante l'approvazione del piano di recupero ha valore di dichiarazione di pubblica utilità e la proprietà di beni immobili ricadenti nell'ambito del piano ha interesse a partecipare alla formazione del piano di iniziativa privata, ossia all'individuazione e scelta delle soluzioni da introdurre, o, comunque, a subirne le previsioni solo ove legittimamente adottato con la partecipazione della maggioranza prescritta; interessa sussiste anche con riferimento alla concessione edilizia, considerata la vicinanza delle proprietà delle parti private, collocate nel medesimo piccolo isolato.

Quanto al merito, risulta pienamente condivisibile l'avviso dei primi giudici riguardo alla erroneità del calcolo della prescritta maggioranza dei proprietari, correttamente intesa, di fronte a un reddito catastale pari a zero, in relazione alle quote di superficie.

La proprietà del sig. Cerasani è stata computata (v. relazione tecnica allegata alla deliberazione C.C. n. 36 del 2.10.97 di cui riferisce il Comune nella memoria datata 27.3.2010) per mq. 150 (pari al 25,21% del totale della superficie del comparto); il predetto, peraltro, ha acquistato l'immobile in regime di comunione legale con la moglie, immobile che, dunque, appartiene paritariamente anche alla medesima, anch'ella, dunque, da ascriversi al novero dei “proprietari”. Ne deriva che poteva essere considerata come “proprietà” del Cerasani solo il 12,605%.

Non persuade la tesi sostenuta dal Comune che il predetto, avendo acquistato in regime di comunione legale dei beni l'intero immobile avrebbe il diritto di sottoscrivere autonomamente, cioè senza la firma della moglie, la richiesta di formazione del comparto impegnando l'intera proprietà. Non solo l'art. 180, comma 2, c.c. prevede che il compimento di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione – e tale deve considerarsi l'iniziativa di un piano di recupero – spettano congiuntamente ad entrambi i coniugi ma, aspetto più direttamente rilevante nella specie, ove si preveda che il piano di recupero sia richiesto da una determinata percentuale di proprietari, tale richiesta va fatta da ciascuno degli interessati, per la quota (divisibile o meno, come nel caso della comunione legale, non rileva ai presenti fini) che gli è riferibile.

La tesi dell'appellante che “l'impugnato P.R.P.E. era stato legittimamente adottato e, conseguentemente, la Concessione Edilizia n° 9 del 13.01.1997, rilasciata a Di Nicola Geo, del tutto regolare” non può, quindi, essere seguita.

Le argomentazioni da ultimo sviluppate dall'appellante circa l'affidamento riposto negli atti dell'amministrazione non rilevano in ordine alla illegittimità degli atti riscontrata dal giudice di primo grado con la sentenza impugnata, che merita conferma.

L'appello va, dunque, respinto.

Le spese del giudizio, compensate nei confronti del Comune stante la comunanza di posizioni assunte, seguono per il resto la soccombenza e sono liquidate in dispositivo

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l'appellante a rifondere ai privati appellati, in solido fra loro, le spese del giudizio, che liquida in € 3000,00 oltre i.v.a. e c.p.a..

Compensa le spese nei confronti del Comune.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:

Anna Leoni, Presidente FF
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Silvia La Guardia, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 10/06/2011
Avv. Antonino Sugamele

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