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Sentenza

Sospensione per l'avvocato che aveva indirizzato a più persone una missiva in cu...
Sospensione per l'avvocato che aveva indirizzato a più persone una missiva in cui definiva la collega di controparte “dilettante allo sbaraglio” e “paragonando ad una gita turistica la sua attività stragiudiziale di sopralluogo sui luoghi oggetto di controversia”.
 Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 312/2024 pubblicata il 12 gennaio 2025
R.G. N. 231/20 RD n. 312/24
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio Nazionale Forense, riunito in seduta pubblica, nella sua sede presso il Ministero
della Giustizia, in Roma, presenti i Signori:
- Avv. Patrizia CORONA Presidente f.f.
- Avv. Enrico ANGELINI Segretario f.f.
- Avv. Ettore ATZORI Componente
- Avv. Giampaolo BRIENZA Componente
- Avv. Camillo CANCELLARIO Componente
- Avv. Giampiero CASSI Componente
- Avv. Claudio CONSALES Componente
- Avv. Aniello COSIMATO Componente
- Avv. Biancamaria D’AGOSTINO Componente
- Avv. Francesco FAVI Componente
- Avv. Antonio GAGLIANO Componente
- Avv. Vittorio MINERVINI Componente
- Avv. Francesco PIZZUTO Componente
- Avv. Demetrio RIVELLINO Componente
- Avv. Carolina Rita SCARANO Componente
- Avv. Giovanni STEFANI’ Componente
- Avv. Antonello TALERICO Componente
con l’intervento del rappresentante il P.G. presso la Corte di Cassazione nella persona del
Sostituto Procuratore Generale dott. Alessandro Cimmino ha emesso la seguente
SENTENZA
Nel procedimento introdotto con ricorso presentato dall’Avv. [RICORRENTE] del Foro di
Palermo - nato a [OMISSIS] il [OMISSIS] (C.F.: [OMISSIS]), elettivamente domiciliato in
[OMISSIS], presso lo Studio Legale dell’Avv. [OMISSIS] (PEC: [OMISSIS]), che lo
rappresenta e difende giusta procura in atti - per l’annullamento della decisione del CDD di
Palermo del 16 ottobre 2020, depositata il 30 ottobre 2020, notificata il 2 novembre 2020,
con la quale si comminava la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per
mesi sei del professionista.
per il ricorrente nessuno è comparso;
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Per il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo, regolarmente citato, nessuno è
presente;
Il Consigliere relatore avv. Biancamaria D’Agostino svolge la relazione;
Inteso il P.G., il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
FATTO
L’avv. [RICORRENTE] veniva sottoposto a procedimento disciplinare dinanzi al CDD di
Palermo che, con decisione depositata il 30 ottobre 2020 e notificata il 2 novembre 2020,
irrogava all’incolpato la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione forense
per mesi sei, ritenuta la responsabilità disciplinare dell’odierno ricorrente sui seguenti capi di
incolpazione:
“a) [violazione degli] artt. 3, comma 2 L. 247/2012, artt. 1, 4, coma 1, 9, comma 1, 10, 13, 19,
41, commi 1-3 del nuovo CDF perché pur essendo a conoscenza che il Condominio fosse
assistito dall’Avv. [AAA], a mezzo dello scritto datato 19/04/2017 depositato nel corso
dell’assemblea condominiale, ove era intervenuto quale delegato dei signori [BBB], non solo
contestava il credito del condominio come indicato nella raccomandata A/R del 23/03/2017
a firma dell’Avv. [AAA] (il cui contenuto era espressamente richiamato nel corpo di detto
scritto “oggetto risposta ad AR del 23/03/2017 a firma Avv. [AAA]”), ma provvedeva a
diffidare il condominio e i singoli condomini qualificando il detto scritto del 19/04/2017 quale
messa in mora (pag. 3 primo capoverso), da doversi inviare anche al legale della
controparte, per presunte ed asserite responsabilità del capo condominio per danni a
persone o cose;
In Palermo, 19/04/2017.
b) [violazione degli] artt. 3, comma 2 L. 247/2012, artt. 1, 4, 9, comma 1, 10, 13, 17 e 36 del
nuovo CDF perché nella comunicazione datata 19/04/2017 inviata al Condominio di Via
[OMISSIS], utilizzava carta intestata ove era dato leggersi “Prof. Avv. [RICORRENTE]
Cassazionista”, senza essere in possesso del titolo di patrocinante avanti le Magistrature
Superiori, perché mai conseguito alla data del 19/04/2017 e, comunque, non conseguito
nemmeno alla data odierna. Comportamento reiterato nella nota datata 13/09/2017 a sua
firma nella quale è dato leggersi “Prof. Avv. [RICORRENTE] Patrocinante in Cassazione”
In Palermo dal 19/04/2017 al 13/09/2017.
c) [violazione degli] artt. 3 L. 247/2012, 1, 4, comma 1, 9, comma 1, 10, 13, 17, 42, comma 2
e 52, comma 1 del nuovo CDF per aver espresso nel corpo della nota datata 13/09/2017
apprezzamenti denigratori sull’attività professionale dell’Avv. [AAA] nonché per aver usato
espressioni inappropriate, sconvenienti ed offensive, nel corso dell’esercizio dell’attività
professionale e mediante lo scritto datato 13/09/2017, dell’onore e del decoro dell’Avv.
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[AAA], della signora [OMISSIS] e dell’ing. [OMISSIS] per aver loro attribuito un
comportamento di “pervicace tracotanza in uno con l’assoluta mancanza di rispetto per i
condomini delle più elementari comuni norme di buon senso, della correttezza e della logica
e del diritto che hanno spinto la triade (omissis) a convocare ciononostante a far venire tanto
di camion con operai e orpelli per la messa in sicurezza”. Soggiungendo al capoverso
seguente “Giova rammentare altresì a questi dilettanti allo sbaraglio, udite, udite, che
neppure per la messa in sicurezza esiste ed esisteva un doveroso preventivo di spesa.
Accusando i tre di avere tentato “in modo maldestro e subliminale di mutare tout court lo
stato dei luoghi senza esperire i 5 punti” (riferendosi a quanto dall’incolpato stesso scritto
nella nota del 13/09/2017 a pag. 2) “scambiando il sopralluogo per una gita turistica” In
Palermo in data 13/09/2017”
La vicenda trae origine da due esposti inviati al COA di Palermo dall’avv. [AAA]
rispettivamente in data 18 luglio 2027 e 16 ottobre 2017, ove veniva contestato all’odierno
ricorrente:
a) di aver avuto - in qualità di difensore dei sigg.ri [BBB], condomini morosi del Condominio
Via [OMISSIS] in Palermo - contatti telefonici diretti con l’ amministratore di Condominio,
pur sapendo che lo stesso era assistito dall’Avv. [AAA] (la quale, per conto del Condominio,
aveva precedentemente inviato ai condomini [OMISSIS] una messa in mora del
23.03.2017) e presentandosi successivamente in veste di delegato dei sigg.ri [OMISSIS]
all’assemblea condominiale del 19.04.2017, consegnando brevi manu una nota a sua firma
indirizzata direttamente all’amministratore e a tutti i condomini avente ad oggetto
“risarcimento danni e quote condominiali in risposta ad AR del 23.03,2017 a firma dell’avv.
[AAA]”, senza inoltrare la missiva al legale avversario nemmeno per conoscenza e senza
preventivamente invitarla ad una verifica e ispezione congiunta nell’appartamento dei
[OMISSIS], ove si lamentavano infiltrazioni; anche a seguito di missiva inviata dall’ Avv
[AAA] all’Avv. [RICORRENTE], nella quale si invitava quest’ultimo a rivolgere al difensore
del Condominio ogni comunicazione in merito alla vicenda in contestazione, l’Avv.
[RICORRENTE] continuava a contattare telefonicamente l’amministratore del Condominio;
b) di aver utilizzato nella suddetta nota consegnata ai condomini e all’amministratore un
titolo – quello di “Cassazionista”, nella propria carta intestata – titolo tuttavia non conseguito,
non essendo mai stato iscritto all’albo speciale;
c) di aver utilizzato espressioni denigratorie, offensive e sconvenienti nei confronti non solo
della collega ma anche di altri soggetti signora [OMISSIS] e dell’ing. [OMISSIS], per aver
loro attribuito un comportamento di “pervicace tracotanza in uno con l’assoluta mancanza di
rispetto per i condomini delle più elementari comuni norme di buon senso, della correttezza
e della logica e del diritto che hanno spinto la triade (omissis) a convocare ciononostante a
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far venire tanto di camion con operai e orpelli per la messa in sicurezza”. Soggiungendo al
capoverso seguente “Giova rammentare altresì a questi dilettanti allo sbaraglio, udite, udite,
che neppure per la messa in sicurezza esiste ed esisteva un doveroso preventivo di spesa.
Accusando i tre di avere tentato “in modo maldestro e subliminale di mutare tout court lo
stato dei luoghi senza esperire i 5 punti” (riferendosi a quanto dall’incolpato stesso scritto
nella nota del 13/09/2017 a pag. 2) “scambiando il sopralluogo per una gita turistica”
All’esito del dibattimento, il CDD di Palermo - ritenuta comprovata la responsabilità
disciplinare in merito a tutti i capi di incolpazione sopra citati - comminava la sanzione
disciplinare della sospensione per mesi sei, ritenuta più grave la condotta di cui al capo b,
per aver l’incolpato violato l’art 36 comma 1, e tenuto conto che in data 15.02.2009 era
stata irrogata dal COA di Palermo all’avv. [RICORRENTE] la sanzione dell’avvertimento
per fatti accaduti nel 2006.
Detto provvedimento del CDD di Palermo viene ritualmente impugnato in data 1 dicembre 2020
innanzi al CNF dall’odierno ricorrente, il quale chiede “di riformare e annullare la decisione del
CDD ai capi A), B) e C) per i motivi di ricorso in epigrafe, ritenendo le condotte non illecite,
in subordine riformare la sanzione ritenendo la stessa troppo elevata in considerazione
del cd presofferto”.
L’ Avv. [OMISSIS], difensore del ricorrente, con PEC inviata all’indirizzo ricorsi@pec.cnf.it in
data 18.06.2024, ha dichiarato di essere impossibilitato a presenziare, così come il ricorrente , e
di riportarsi al ricorso insistendo nell’accoglimento dello stesso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Nei motivi di gravame, il ricorrente censura l’appellata sentenza ritenendola illegittima
ed erronea in dipendenza di travisamento dei fatti, difetto di prova e vizio di motivazione.
In particolare, con riferimento al capo di incolpazione sub a), per aver contattato
direttamente la controparte assistita da altra collega-, precisa l’avv. [RICORRENTE] di aver
depositato il 19/04/2017, in occasione dell’ assemblea condominiale alla quale i clienti lo
avevano delegato a partecipare, una nota indirizzata all’amministratore ed a tutti i
condomini, per farsi latore di doglianze relative allo stato del solaio di un appartamento e che
non gli era stato chiesto di formulare alcuna eccezione o risposta alla missiva della collega
[AAA] del 17/03/2017.
Riferisce il ricorrente di aver presentato il 19/04/2017, una copia della suddetta notula per
tutti gli interlocutori, e quindi anche per la collega [AAA], che tuttavia non era presente e
contesta quindi la sussistenza della violazione deontologica poiché in quell’occasione non
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avrebbe potuto sapere che la collega assisteva il Condominio, in quanto ella aveva
solamente inviato una diffida ai condomini morosi (tra i quali i signori [BBB], suoi assistiti).
Sostiene il ricorrente che ogni successiva interlocuzione era comunque normalmente
avvenuta con l’Amministratore del Condominio, per cui egli riteneva che l’Avv. [AAA] fosse
stata incaricata dal Condominio unicamente per la redazione della messa in mora;
diversamente, il condominio avrebbe dovuto conferire alla [AAA] una procura generale, con
atto notarile.
Conclude l’Avv. [RICORRENTE] affermando che non sussisteva alcuna certezza che il
Condominio fosse rappresentato da un legale e che nessuna violazione dell’art. 41 CDF
potrebbe configurarsi sussumibile alla fattispecie concreta, diversamente da quanto statuito
dal CDD di Palermo.
La doglianza è destituita di fondamento e va respinta.
Secondo principio unanimemente espresso dalla giurisprudenza domestica: “costituisce
comportamento deontologicamente scorretto prendere accordi diretti con la controparte,
quando sia noto che la stessa è assistita da altro collega (art. 41 cdf). In particolare,
costituiscono distinte condotte illecite sia l’aver avuto contatti diretti con la controparte che
sappia assistita da altro collega (comma 2) sia l’averla ricevuta in assenza di difensore o in
difetto di suo esplicito consenso” (CNF, sentenza n. 152 dell’11 luglio 2023).
Nella specie, appare evidente dal riesame della documentazione in atti la piena sussistenza
della condotta deontologicamente vietata dall’art. 41 CDF, poichè si rileva dall’allegata
documentazione che l’odierno ricorrente aveva piena contezza del ruolo, rivestito dall’Avv.
[AAA], di difensore del Condominio de quo, tant’è che egli era intervenuto in sede di
assemblea formulando direttamente alla controparte contestazioni proprio in relazione alla
richiesta di messa in mora redatta in nome e per conto del Condominio dall’Avv. [AAA] e
pervenuta ai propri clienti (come precisato in sede di audizione dinanzi al CDD, in occasione
della quale riferisce di importi errati ed eccessivi richiesti dal condominio ai suoi clienti
morosi e della presenza di evidenti errori di calcolo contenuti nella predetta messa in mora).
Dalle evidenze probatorie in atti si appalesa altresì che il ricorrente non ha affatto riscontrato
le diverse diffide formulategli dall’Avv. [AAA] a non perseverare nella condotta
deontologicamente scorretta e ad interloquire per la questione controversa unicamente con
il difensore del Condominio, addirittura rispondendo di non aver avuto il tempo di riscontrare
le missiva della collega.
Con riferimento al capo di incolpazione sub b) per aver utilizzato, nella carta intestata delle
missive inviate alle controparti, il titolo di Cassazionista non conseguito, l’Avv.
[RICORRENTE] si duole dell’erroneità della statuizione del CDD circa la sussistenza della
responsabilità disciplinare sul punto, precisando che la carta intestata da lui utilizzata nelle
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due missive sarebbe stata “un foglio precompilato in uso allo studio” , che quindi la qualifica
di Cassazionista, risultava riferita al titolare dello studio (che assiste l’odierno ricorrente nel
presente procedimento) e che solo per mero errore di stampa veniva accostata al proprio
nominativo.
Come già esposto dinanzi al CDD, l’Avv. [RICORRENTE] riferisce che, all’epoca dei fatti
oggetto del presente giudizio, egli era comunque in possesso di tutti i requisiti per ottenere
l’iscrizione all’albo dei Cassazionisti, e ciò escluderebbe di per sé la sussistenza di un abuso
ovvero di un illecito deontologico, in ragione della mancata iscrizione all’albo speciale,
ritenendo che «la formalità dell’iscrizione, per legge, non sottrae colui che è in possesso di
tutti i requisiti richiesti dalla legge la possibilità di scrivere nella carta intestata
“Cassazionista”».
Richiama il ricorrente la fattispecie penale del reato di esercizio abusivo della professione,
sottolineando di non aver esercitato dinanzi ad una giurisdizione “abusivamente”, vale a dire
senza averne titolo, nonché richiama, in via analogica, la norma che prevede che anche
l’avvocato cancellato possa fregiarsi del titolo e conclude sostenendo che la dicitura
“Cassazionista” sulla carta intestata non risultava da sola sufficiente a giustificare la
sussistenza di una violazione deontologica, in ragione dell’assenza di qualunque volontà di
farne un indebito uso ovvero spendita.
La doglianza è priva di pregio e va respinta.
La condotta dell’Avvocato che - come nel caso in esame - utilizzi, nella carta intestata del
proprio studio, il titolo di Avvocato Cassazionista pur non avendo mai effettivamente
conseguito detto titolo, integra gli estremi della violazione prevista e sanzionata dall’art. 36
CDF, a nulla rilevando che lo stesso presenti tutti i requisiti formali e sostanziali per aver
diritto al detto titolo di Avvocato Cassazionista e manchi soltanto la formale iscrizione.
Con riferimento, infine, al capo di incolpazione sub c) per l’utilizzo di espressioni offensive,
sconvenienti, e denigratorie, il ricorrente esclude fermamente il carattere offensivo delle sue
affermazioni e lamenta che il CDD non avrebbe estrapolato dalla lettera del 13/09/2017 le
espressioni tacciate quali offensive o sconvenienti, né esplicitato le ragioni per cui dovevano
considerarsi deontologicamente illecite. Asserisce altresì l’Avv. [RICORRENTE]
l’impossibilità di fare riferimento agli illeciti deontologici a forma libera – poiché tale
risulterebbe un illecito ex art. 52 CDF privo degli espliciti riferimenti e delle ragioni in ordine a
carattere offensivo delle espressioni –necessitando invero la tipizzazione delle condotte, in
quanto la violazione di canoni generali quali decoro, correttezza e lealtà non giustificherebbe
una sanzione disciplinare. Si appella il ricorrente alla giurisprudenza che riconosce
all’avvocato la facoltà di utilizzare espressioni aspre; tuttavia, giustificate in ragione della
necessità di esercitare il diritto di difesa. Il ricorrente assume infine la nullità della
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contestazione elevata al capo c) per estrema genericità, in quanto il CDD si sarebbe limitato
a riportare interi estratti della missiva ricorrente il 13/09/2017, non estrapolando tuttavia,
come avrebbe dovuto, le frasi e le espressioni ritenute offensive o sconvenienti, né
esplicitando in alcun modo le ragioni per cui dovevano considerarsi deontologicamente
illecite, asserendo trattarsi di frasi prive di contenuto offensivo.
La doglianza è destituita di fondamento e va disattesa.
Secondo principio unanimemente enunciato dalla giurisprudenza domestica e della
Suprema Corte, integra la violazione degli artt. 42 e 56 CDF la condotta dell’ Avvocato che
“esprime apprezzamenti denigratori sull’asserita incapacità professionale del collega di
controparte giacché ha il dovere di comportarsi, in ogni situazione (quindi anche nella
dimensione privata e non propriamente nell’espletamento dell’attività forense), con la dignità
e con il decoro imposti dalla funzione che l’avvocatura svolge nella giurisdizione e perciò
anche in tale ambito deve in ogni caso astenersi dall’esprimere apprezzamenti denigratori
sulle capacità professionali di un collega, che l’art. 42 cdf ammette -seppur non in modo
indiscriminato- solo se il Collega stesso sia parte del giudizio e ciò sia necessario alla tutela
di un diritto. Diversamente, quando cioè la diatriba trascenda sul piano personale e
soggettivo, l’esigenza di tutela del decoro e della dignità professionale forense impone di
sanzionare i relativi comportamenti” (CNF sentenza n. 73 del 13 marzo 2024).
Nella specie, l’attività denigratoria ed offensiva risulta comprovata documentalmente nella
missiva del 13/09/2017 allegata in atti ed indirizzata a più persone, ove l’Avv.
[RICORRENTE] dileggia la collega [AAA] qualificandola “dilettante allo sbaraglio”,
paragonando ad una gita turistica la sua attività stragiudiziale di sopralluogo sui luoghi
oggetto di controversia ed accusandola immotivatamente di agire nell’espletamento del suo
mandato “con l’assoluta mancanza di rispetto per i condomini delle più elementari comuni
norme di buon senso, della correttezza e della logica e del diritto”.
Lamenta infine il ricorrente il vizio di motivazione della gravata decisione anche con riferimen-
to alla determinazione della sanzione, ritenuta arbitraria, poiché il CDD avrebbe tenuto conto
di un precedente disciplinare, pur affermando l’inesistenza della recidiva in ambito discipli-
nare e comunque adottando una sanzione eccessiva rispetto alle condotte contestate.
Anche detta ultima censura non coglie nel segno.
Per quanto concerne la misura della sanzione, agli organi disciplinari è riservato il potere di
applicare la sanzione adeguata alla gravità ed alla natura del comportamento
deontologicamente non corretto (cfr. Cass. SS.UU. 13791/12), mentre l’art. 3 CDF richiede
che la sanzione sia determinata sulla base dei fatti complessivamente valutati e, ai sensi
dell’art. 21 CDF «è unica anche quando siano contestati più addebiti nell’ambito del
medesimo procedimento» e deve essere «commisurata alla gravità del fatto, al grado della
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colpa, all’eventuale sussistenza del dolo ed alla sua intensità, al comportamento
dell’incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, soggettive e
oggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione» e che si debba comunque tenere conto
«del pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente, della
compromissione dell’immagine della professione forense, della vita professionale, dei
precedenti disciplinari». Le circostanze indicate, pertanto, costituiscono certamente dei
criteri che concorrono alla valutazione del comportamento complessivo dell’incolpato, ai fini
della determinazione della sanzione.
Il CDD di Palermo ha sanzionato l’odierno ricorrente per la violazione delle norme
deontologiche sopra riportate, individuando la violazione più grave nell’art. 36 CDF. Va
specificato che la sanzione irrogata non risulta “aggravata”, come indicato in decisione, ma è
quella edittale, per cui sarebbe meglio definirla “non attenuata”, in ragione della presenza di
un precedente disciplinare nonché delle circostanze soggettive ed oggettive nel cui contesto
è avvenuta la violazione.
Al fine di valutare la corretta dosimetria della sanzione applicata, in considerazione della gra-
vità e della natura del comportamento deontologicamente non corretto che si appalesa dalla
complessiva valutazione della fattispecie concreta (cfr. Cass. SS.UU. 13791/12), si rileva
che nel caso in esame, con riferimento alla violazione dell’art 36 CDF, appare particolarmen-
te intenso il grado della colpa, come si appalesa dal comportamento - precedente e succes-
sivo al fatto - dell’incolpato, il quale non ammette la propria responsabilità (ritenendo piutto-
sto che non costituirebbe violazione della suddetta norma l’utilizzo del titolo di Cassazionista
pur in assenza dell’effettivo conseguimento del titolo medesimo, essendo sufficiente il solo
possesso dei requisiti temporali previsti dall’ordinamento professionale) laddove invece
l’ammissione di responsabilità avrebbe potuto mitigare la sanzione disciplinare: “L’ammissio-
ne della propria responsabilità disciplinare da parte del professionista incolpato in sede di
procedimento dinanzi al Consiglio territoriale non può non essere valorizzata nell’ambito del
complessivo giudizio relativo alla personalità dell’incolpato ai fini della determinazione della
giusta sanzione, attestando la consapevolezza della contrarietà della condotta contestata
alle regole del corretto agire professionale e di conseguente sanzionabilità dello stessa, nella
prospettiva di non ripetere siffatti comportamenti” (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n.
28 del 7 marzo 2023)
Per i suesposti motivi, appare congrua la sanzione della sospensione di mesi sei dall’eserci-
zio della professione forense comminata all’incolpato dal CDD di Palermo con motivazione
corretta ed immune da vizi, sanzione che corrisponde al minimo della sanzione edittale previ-
sta dall’art 36 CDF (sospensione da 6 e 12 mesi).
P.Q.M.
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visti gli artt. 36 e 37 L. n. 247/2012 e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22.1.1934, n. 37;
il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso.
Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità di
informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione
elettronica sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli
interessati riportati nella sentenza.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 19 giugno 2024;
IL SEGRETARIO f.f. IL PRESIDENTE f.f.
f.to Avv. Enrico Angelini f.to Avv. Patrizia Corona
Depositata presso la Segreteria del Consiglio nazionale forense,
oggi 5 settembre 2024.
IL CONSIGLIERE SEGRETARIO
f.to Avv. Giovanna Ollà
Copia conforme all’originale
IL CONSIGLIERE SEGRETARIO
Avv. Giovanna Ollà
Avv. Antonino Sugamele

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