L’impossibilità di eseguire l’ordine demolitorio di un abuso edilizio in caso di difformità parziale ex articolo 34 del Dpr n. 380/2001 (T.U. Edilizia) ha rilievo non già come requisito di legittimità del provvedimento repressivo, ma come fattore ostativo nella successiva fase di attuazione dello stesso.
Consiglio di Stato, con la sentenza 2422/202
Pubblicato il 24/03/2025
N. 02422/2025REG.PROV.COLL.
N. 01524/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1524 del 2022, proposto da Giuseppe Mocci, rappresentato
e difeso dall’avvocato Luigi Parenti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Virgilio 8;
contro
Roma Capitale, in persona sindaco in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Umberto Garofoli e Barbara
Battistella, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia;
Roma Capitale - Municipio XV – direzione tecnica – p.o. edilizia privata e abusivismo edilizio, ufficio amministrazione
di supporto ispettorato e disciplina edilizia, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - sede di Roma (sezione seconda-bis) n.
11144/2021
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Vista l’ordinanza cautelare della II sezione del 16 marzo 2022, n. 1198;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza straordinaria ex art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm. del giorno 5 marzo 2025 il consigliere Fabio
Franconiero, udito l’avvocato Grazia Tiberia Pomponi, in sostituzione di Luigi Parenti, sull’istanza di passaggio in
decisione di parte appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L’appellante indicato in intestazione agisce nel presente giudizio in qualità di proprietario di un immobile in Roma,
via Bruno Staffa 15 (censito a catasto al foglio 14, particella 15), sito in zona “Agro romano” del piano regolatore
generale, per il quale era ingiunta la demolizione ai sensi dell’art. 33 del testo unico dell’edilizia di cui al DPR 6 giugno
2001, n. 380 (determinazione di Roma Capitale del 26 giugno 2020, n. 1292), relativamente ad un intervento di
ristrutturazione edilizia non assistito da titolo abilitativo. L’intervento contestato era consistito in un ampliamento in
muratura al piano terra, in aderenza e collegamento all’abitazione principale, di metri 4,40x7x3,40/2,50 di altezza, e in
una sopraelevazione in muratura al piano primo, collegata da una scala interna al preesistente fabbricato, di mq
49x3,20/2,30 di altezza, con copertura a doppia falda spiovente in struttura lignea e tegole, dell’altezza variabile tra 3,40
a 2,50 m.
2. Il provvedimento repressivo veniva basato sull’accertamento di inottemperanza ad un precedente ordine
ripristinatorio, di cui alla determinazione del 16 gennaio 2019, n. 53, contro la quale l’interessato aveva proposto ricorso
nella presente sede giurisdizionale amministrativa, definitivamente respinto dal Tribunale amministrativo regionale per
il Lazio - sede di Roma con sentenza 21 ottobre 2019, n. 12100. Preso atto dell’inottemperanza e valutata l’assenza di
«problemi statici o comunque (di) pregiudizio per le strutture preesistenti regolarmente realizzate», con la citata
determinazione del 26 giugno 2020, n. 1292, era nuovamente ingiunta la demolizione ai sensi del citato art. 33 del testo
unico dell’edilizia.
3. Anche quest’ultimo provvedimento era impugnato dall’interessato davanti al Tribunale amministrativo regionale per
il Lazio - sede di Roma. Veniva con esso dedotta l’illegittimità del poc’anzi richiamato presupposto dato dall’assenza di
pregiudizi per la staticità dell’intero immobile e dunque anche per la parte di esso legittimamente edificata.
4. All’esito della verificazione disposta sulla questione controversa, con la sentenza i cui estremi sono indicati in
intestazione si affermava in premessa che le censure di parte ricorrente afferiscono alla « fase di esecuzione
dell’ordinanza di demolizione»; e che «in ogni caso», l’approfondimento istruttorio aveva comunque consentito di
accertarne l’infondatezza, dal momento che «gli abusi sono stati realizzati senza nessuna continuità strutturale e
muraria e dunque possono essere rimossi».
5. La sentenza è appellata dall’originario ricorrente.
6. Resiste Roma Capitale.
DIRITTO
1. L’appello censura la statuizione di rigetto delle censure intese a sostenere che la demolizione pregiudicherebbe la
stabilità dell’intero immobile, e dunque anche la parte legittimamente realizzata, innanzitutto sotto il profilo del difetto
di motivazione. A questo riguardo si deduce che sarebbe insufficiente il «mero richiamo per relationem» alla relazione
di verificazione depositata in ottemperanza all’ordine istruttorio del giudice di primo grado. Nel merito se ne contestano
le conclusioni per violazione dell’art. 34, comma 2, del testo unico dell’edilizia. Sarebbe in particolare errato l’assunto
espresso dall’ausiliario e posto a base della statuizione di rigetto del ricorso, secondo cui l’ampliamento abusivamente
realizzato sarebbe privo di «continuità strutturale e muraria» con la preesistente parte dell’immobile, dacché nessun
pregiudizio quest’ultima risentirebbe per effetto dell’esecuzione del provvedimento demolitorio. La circostanza sarebbe
in tesi contraddetta dalla relazione tecnica di parte ricorrente, la quale avrebbe in contrario fatto emergere che la
porzione di fabbricato abusivamente realizzata è stata integrata nella vecchia struttura cementizia attraverso i ferri
interni ai pilastri portanti. Il provvedimento impugnato sarebbe dunque illegittimo ai sensi della disposizione di legge da
ultimo richiamata, per non avere valutato le ricadute dell’ingiunzione a demolire sulla struttura edilizia nel suo
complesso.
2. Le censure sono infondate.
3. Lo sono in primo luogo in diritto, posto che per giurisprudenza consolidata l’impossibilità di eseguire l’ordine
demolitorio in caso di difformità parziale ex art. 34 del testo unico dell’edilizia ha rilievo non già come requisito di
legittimità del provvedimento repressivo, ma come fattore ostativo nella successiva fase di attuazione dello stesso (ex
multis: Cons. Stato, II, 10 febbraio 2025, n. 1036; VI, 18 novembre 2024, n. 9219; 5 novembre 2024, n. 8802; 17
maggio 2024, n. 4404; 23 aprile 2024, n. 3711; 12 febbraio 2024, n. 1387; ; 10 gennaio 2024, n. 328; 22 dicembre 2023,
n. 11142; 24 novembre 2023, n. 10101; 14 novembre 2023, n. 9748; 30 ottobre 2023, n. 9345; VII, 24 gennaio 2024, n.
760).
4. Considerazioni analoghe valgono per il caso, oggetto della presente controversia, relativo ad interventi di
ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, ai sensi dell’art. 33 del testo unico
dell’edilizia sopra richiamato, il cui comma 2 reca una disposizione che consente la “fiscalizzazione” dell’abuso,
attraverso il pagamento di una sanzione pecuniaria nel caso in cui «il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile».
Sennonché l’ipotesi ora richiamata postula un «motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale», e dunque
un’attività ulteriore ed autonoma rispetto a quella richiesta a fondamento dell’ordine demolitorio, la legittimità del quale
non è pertanto inficiata dalla successiva verifica tecnica sulle conseguenze derivanti dall’esecuzione del provvediment o
repressivo.
5. In ragione dei rilievi finora svolti la sentenza di primo grado si è correttamente posta nella prospettiva delineata
dall’indirizzo giurisprudenziale ora richiamato. Nondimeno ha ritenuto utile svolgere un approfondimento istruttorio
afferente all’eseguibilità del provvedimento impugnato, in funzione anticipatoria dell’accertamento tecnico di
competenza dell’autorità comunale ai sensi del sopra citato art. 33, comma 2, del testo unico dell’edilizia.
6. Il verificatore a questo scopo nominato ha quindi accertato che l’ampliamento abusivo della preesistente costruzione,
collegato ad essa «da una preesistente scala interna», trasformata in scala a doppia rampa rispetto a quella originaria a
chiocciola, è stato realizzato «in muratura con blocchi di cemento forati». Dall’esame delle foto relative allo stato dei
luoghi si è inoltre accertata l’assenza di strutture portanti: «non si riscontrano pilastri in cemento armato emergenti dal
piano sottostante né tantomeno ferri di attesa per realizzare nuovi pilastri». Su questa base è stata dunque affermata
l’assenza di «continuità strutturale e muraria» della porzione di fabbricato costruita in ampliamento rispetto a quella
preesistente.
7. L’accertamento tecnico i cui contenuti sono così sintetizzabili non è contraddetto dalla relazione tecnica di parte
ricorrente. In essa si paventa il rischio che per quanto riguarda il «locale tecnico» comunicante con la camera facente
parte della costruzione legittimamente realizzata la demolizione possa comportare «il taglio dei pilastri che partendo
dal seminterrato salgono al piano superiore, primo (parti edificate con concessione), fino al sottotetto (oggetto della
discussione), demolizione che renderebbe il fabbricato senza copertura con indebolimento dell’intera struttura
portante, rendendo inabitabile il fabbricato sottostante oggetto di concessione»; e che l’ulteriore porzione abusiva il
ripristino del preesistente stato dei luoghi si ripercuoterebbe sulla «restante struttura, dato che i ferri interni ai pilastri
sono stati legati con il cemento alla vecchia struttura esistente». Sennonché la documentazione fotografica allegata alla
relazione non conferma l’esistenza di pilastri o altre strutture portanti, per cui deve escludersi l’esistenza di fattori
ostativi alla demolizione ai sensi del più volte richiamato art. 33, comma 2, del testo unico dell’edilizia.
8. L’appello deve quindi essere respinto. Le spese di causa sono regolate secondo soccombenza e liquidate in
dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in
epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado.
Condanna l’appellante a rifondere a Roma Capitale le spese di causa, liquidate in € 4.000,00, oltre agli accessori di
legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 5 marzo 2025, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 17, comma 6, del
decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l’intervento
dei magistrati:
Fabio Franconiero, Presidente FF, Estensore
Davide Ponte, Consigliere
Carmelina Addesso, Consigliere
Giovanni Tulumello, Consigliere
Ugo De Carlo, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Fabio Franconiero
IL SEGRETARIO
19-05-2025 14:01
Richiedi una Consulenza