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Sentenza

Art. 19 codice deontologico forense....
Art. 19 codice deontologico forense.
Un avvocato presentava un esposto contro il comportamento scorretto di un collega nei suoi confronti, sostenendo che nonostante le ripetute richieste di informazioni ricevute, il collega, in qualità di domiciliatario di una compagnia di assicurazioni in una controversia di risarcimento danni, ometteva ogni forma di riscontro.

Il Consiglio Distrettuale di Disciplina di Catania avviava un procedimento disciplinare per diversi capi di accusa, e soprattutto per violazione dell'art. 19 del Codice Deontologico Forense, lamentando il mancato riscontro, tramite PEC, della richiesta di chiarimenti, in violazione dei principi di correttezza e lealtà.

Al termine dell’istruttoria, il Consiglio Distrettuale di Disciplina riteneva provata la responsabilità dell'avvocato accusato per le condotte contestate, considerandole così gravi da compromettere la dignità della professione e l’affidamento di terzi: gli veniva quindi comminata la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per un anno.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Corona, rel. Angelini), sentenza n. 393 del 28 ottobre 2024
R.G. N. 432/23 RD n. 393/24
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio Nazionale Forense, riunito in seduta pubblica, nella sua sede presso il Ministero
della Giustizia, in Roma, presenti i Signori:
- Avv. Patrizia CORONA Presidente f.f.
- Avv. Federica SANTINON Segretario f.f.
- Avv. Leonardo ARNAU Componente
- Avv. Giampaolo BRIENZA Componente
- Avv. Camillo CANCELLARIO Componente
- Avv. Paola CARELLO Componente
- Avv. Giampiero CASSI Componente
- Avv. Claudio CONSALES Componente
- Avv. Paolo FELIZIANI Componente
- Avv. Antonino GALLETTI Componente
- Avv. Mario NAPOLI Componente
- Avv. Francesca PALMA Componente
- Avv. Alessandro PATELLI Componente
- Avv. Demetrio RIVELLINO Componente
- Avv. Carolina Rita SCARANO Componente
- Avv. Lucia SECCHI TARUGI Componente
- Avv. Giovanni STEFANI’ Componente
- Avv. Antonello TALERICO Componente
con l’intervento del rappresentante il P.G. presso la Corte di Cassazione nella persona del
Sostituto Procuratore Generale dott.ssa Francesca Ceroni ha emesso la seguente
SENTENZA
sul ricorso presentato dall’ avv. [RICORRENTE], nato il [OMISSIS] ad [OMISSIS] (cod. fisc.
[OMISSIS]) del Foro di Catania, difeso in proprio, avverso la decisione in data 1.9.2023,
emessa dal Consiglio Distrettuale di Disciplina di Catania con la quale è stata comminata la
sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per anni uno.
Il ricorrente, avv. Salvatore Scardura non è comparso;
Per il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catania, regolarmente citato, nessuno è
presente;
Il Consigliere relatore avv. Enrico Angelini svolge la relazione;
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Inteso il P.G., il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
FATTO
La vicenda trae origine dall’esposto dell’Avv. [AAA], del Foro di Catania, che lamentava il
comportamento deontologicamente scorretto dell’Avv. [RICORRENTE].
In particolare, riferiva che il 21 febbraio 2020 incontrava tale sig.ra [BBB], già cliente del
segnalato per una richiesta di risarcimento danni, che gli esibiva una PEC del 23 febbraio
2018 consegnatale dal collega [RICORRENTE], dalla quale risultava che egli sarebbe stato
legale domiciliatario della compagnia [CCC] Assicurazioni. L’esponente, non essendo al
corrente della situazione e non essendo mai stato legale della [CCC], chiedeva chiarimenti
tramite comunicazione PEC al collega segnalato, che tuttavia non riscontrava la richiesta.
Il CDD di Catania informava il segnalato, con comunicazione del 5 marzo 2020, invitandolo a
formulare le proprie deduzioni in ordine all’esposto.
Nel corso dell’istruttoria preliminare si procedeva all’ascolto dell’Avv. [DDD] del Foro di
Catania, che era succeduto al segnalato nell’assistenza della sig.ra [BBB], che confermava
quando già indicato nell’esposto.
Con delibera del 31 marzo 2023 il CDD approvava i seguenti capi di incolpazione:
Capo A)
Violazione dell’art. 27 CDF poiché forniva una inveritiera informazione alla sua cliente, sig.ra
[BBB], consegnando una falsa comunicazione PEC con la quale l’Avv. [AAA] avrebbe
precisato, quale (falso) legale della [CCC] che la pratica di un sinistro stradale che la
riguardava era in corso di liquidazione.
In Catania in data 23.02.2018
Capo B)
Violazione dell’art. 19 CDF poiché ponendo in essere la condotta di cui al capo A) e non
riscontrando la richiesta a mezzo posta elettronica [certificata] dell’esponente che gli
richiedeva chiarimenti, circa il disconoscimento della comunicazione indicata al capo A),
non manteneva, nei confronti dell’Avv. [AAA], un comportamento ispirato a correttezza e
lealtà.
In Catania in data 23.02.2018
Capo C)
Violazione dell’art. 9 CDF perché, creando un falso documento e cioè una inesistente PEC
del 23.2.2018 apparentemente inviata dall’Avv. [AAA], non osservava i doveri di
indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, non
adempiendo fedelmente il mandato ricevuto, non svolgendo la propria attività a tutela
dell’interesse della parte assistita senza tenere conto del rilievo costituzionale e sociale
della difesa.
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In Catania nelle date suindicate.
L’incolpato citato a giudizio per il 7 luglio 2023 inoltrava a mezzo PEC richiesta di rinvio per
legittimo impedimento, supportata da certificato medico riportante la medesima data con
prognosi di giorni 5.
Il CDD rigettava la richiesta di rinvio rilevando che non attestava un impedimento assoluto a
comparire e procedeva in sua assenza.
All’esito dell’istruttoria e richiamando la deposizione dell’Avv. [DDD], il CDD riteneva infine
accertata la responsabilità dell’incolpato per le condotte contestate tali per modalità e gravità
da compromettere la dignità della professione e l’affidamento dei terzi.
In particolare la predisposizione di una falsa comunicazione PEC, attribuita (falsamente) ad
un collega, le informazioni non veritiere fornite alla cliente e relative alla prossima
liquidazione di un sinistro stradale (ed alla qualifica del collega quale legale della compagnia
assicurativa) nonché il mancato riscontro alla richiesta del collega che chiedeva chiarimenti
in ordine alla spendita del suo nome, venivano ritenuti comportamenti tali da integrare la
violazione delle seguenti norme deontologiche:
- l’art. 27 CDF (Doveri di informazione), in quanto il ricorrente avrebbe dovuto fornire una
corretta e veritiera informazione, a prescindere dalla innocuità reale o virtuale delle
comunicazioni non corrispondenti al vero;
- l’art. 19 CDF (Doveri di lealtà e correttezza), in ragione della spendita del nome del collega,
con falsa attribuzione della paternità della comunicazione PEC ed il rifiuto di fornire
chiarimenti in merito a quanto accaduto;
- l’art. 9 CDF (Doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza).
Sulla scorta di tali considerazioni, in presenza di prova certa dei fatti a fondamento della
contestazione, considerata la gravità della condotta, anche penalmente rilevante, l’assenza
di pentimento e la sussistenza di precedenti disciplinari, consistenti in due provvedimenti di
censura, di cui uno definitivo/esecutivo, Il CDD sanzionava l’avv. [RICORRENTE] con la
sospensione dall’esercizio della professione per anni uno.
L’avv. [RICORRENTE], in proprio, ha proposto impugnazione tempestiva avverso la
decisione del CDD di Catania e ha chiesto l’annullamento della decisione per violazione del
diritto di difesa, in ragione del mancato accoglimento della richiesta di rinvio per legittimo
impedimento per motivi di salute ovvero, in subordine, di riformarla annullandola ed
archiviando la notizia disciplinare per insussistenza di violazioni deontologiche ovvero
applicando la più lieve sanzione dell’avvertimento o della censura.
Il ricorso non risulta articolato in distinti motivi di impugnazione che possono tuttavia
riassumersi come di seguito:
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1) lesione del diritto alla difesa per mancato accoglimento ed assenza di motivazione in ordine
alla richiesta di rinvio per legittimo impedimento, dovuto a ragioni di salute;
2) travisamento dei fatti, assenza di condotte deontologicamente rilevanti e vizio di motivazione
della decisione;
3) eccessività della sanzione, che illegittimamente tiene conto anche di un precedente discipli-
nare non definitivo.
Quanto al primo motivo l’incolpato denuncia la violazione del diritto di difesa per il mancato
accoglimento dell’istanza di rinvio
Quanto al secondo motivo l’incolpato non nega di avere prodotto ed esibito un documento
falso, ma dichiara di averlo fatto per tranquillizzare la signora [BBB], con la quale all’epoca
dei fatti esistevano stretti rapporti di amicizia familiare.
Eccepisce l’incolpato che in effetti all’esito della procedura la signora ha ottenuto il
risarcimento spettante, ma la pratica si è rivelata particolarmente lunga e complessa;
pertanto, la cliente si era rivolta insistentemente a lui con ripetute telefonate e accessi allo
studio, arrivando fino a coinvolgere i genitori dell’incolpato durante riunioni conviviali, visto il
rapporto di stretta amicizia.
Tali insistenze da un lato e dall’altro le difficoltà incontrate per ottenere un giusto
risarcimento, hanno indotto l’incolpato a predisporre il falso documento per “tranquillizzare”
la cliente in attesa dell’effettivo risarcimento.
Peraltro, l’incolpato afferma di avere curato al meglio la procedura e di non aver provocato
alcun danno alla cliente.
Per quanto riguarda il mancato riscontro all’avv. [AAA], l’incolpato riferisce di avere
prontamente telefonato allo stesso per giustificare il proprio comportamento “con grande
difficoltà emotiva” ed erroneamente non ha riscontrato la pec come richiesto.
- Quanto alla sanzione inflitta, l’incolpato riferisce che dei precedenti disciplinari considerati
dal CDD in realtà solamente uno del 2017 è divenuto esecutivo e definitivo, che ha
comportato la sanzione della censura, mentre l’ulteriore procedimento di cui al n. 13 del
2015, non avrebbe dovuto essere preso in considerazione in quanto ancora pendente al
momento della presentazione del ricorso datato 30.9.2023, e comunque riferito a fatti caduti
in prescrizione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Occorre preliminarmente verificare l’eccezione formulata dall’incolpato circa la presunta
violazione del diritto di difesa in merito al mancato accoglimento della richiesta di rinvio della
seduta disciplinare del 7 luglio 2023, in base a certificato medico contenente prognosi di 5
giorni.
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Il CDD rigettava la richiesta, rilevando che la certificazione medica non attestava in alcun
modo un “legittimo” impedimento a comparire.
Esaminando il certificato medico allegato alla richiesta di rinvio, Il Collegio non ritiene di
discordarsi dalla valutazione del CDD non ravvisando l’assoluto impedimento dell’incolpato
a comparire.
Il certificato attesta, infatti, una “sindrome post-influenzale”, prescrivendo cinque giorni di
riposo.
Occorre tenere presente che la stessa legge professionale consente al giudice disciplinare
di fare applicazione della disciplina in materia di «legittimo impedimento o assoluta
impossibilità a comparire» (art. 59, comma 1, lettera d) della legge n. 247/2012, nonché art.
21 Reg. CNF n. 2/2014 per il procedimento disciplinare) ricavabile dalla copiosa
giurisprudenza in materia la quale ammette che lo stesso non sia ravvisabile anche qualora
sia supportato da certificato medico che dimostri l’assoluto impedimento a comparire del
professionista e presenziare all’udienza disciplinare (cf. Cass. S.U. 30313/2023). La
prescrizione di riposo quale conseguenza di una influenza non assume tali caratteristiche.
La decisione del CDD sul punto è pertanto condivisibile.
Per quanto riguarda il merito della vicenda, il ricorrente ritiene di non essere incorso nelle
violazioni deontologiche per cui è stato sanzionato.
Riferisce in particolare dell’esistenza di stretti rapporti di amicizia familiare con la sig.ra
[BBB], coinvolta in un sinistro stradale quale trasportata, e del complesso iter per ottenere la
liquidazione del risarcimento, nel corso del quale si è sempre adoperato al fine di tutelarne le
ragioni, ottenere la soddisfazione della pretesa risarcitoria ed evitare prescrizioni e
decadenze.
L’insistenza della cliente consistente in ripetute telefonate, accessi allo studio, richieste in
occasione di incontri conviviali, rivolte anche agli anziani genitori del legale, era stata tale da
divenire fonte di stress e difficoltà per il professionista.
Quest’ultimo si era pertanto determinato a mettere in essere il comportamento censurato,
che lo stesso seppur riconoscendolo «sbagliato», lo considera un semplice «espediente»
per «”tranquillizzare”» la cliente in attesa di risarcimento.
L’incolpato sottolinea che da tale comportamento non è conseguito nessun reale effetto
negativo per la cliente, né alcuna lesione del suo diritto.
Con riferimento al mancato riscontro alla richiesta di spiegazioni da parte del collega in
merito alla vicenda, il ricorrente riferisce di averlo contattato telefonicamente, con grande
difficoltà emotiva, appena ricevuta la comunicazione, e di non avere erroneamente
riscontrato la PEC.
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Deve pertanto ritenersi che le condotte ascritte all’incolpato siano state confermate dallo
stesso, ancorché con le motivazioni e le giustificazioni riportate.
Infatti, con specifico riferimento alle dichiarazioni dell’esponente, la giurisprudenza
rammenta che l’attività istruttoria risulta correttamente motivata (rectius: espletata) quando
la valutazione disciplinare è avvenuta non solo esclusivamente sulla base delle dichiarazioni
dell’esponente o di altro soggetto di un interesse personale nella vicenda, ma altresì
dall’analisi delle risultanze documentali acquisite agli atti (CNF 26/2024)
Con riferimento all'elemento soggettivo, la giurisprudenza ritiene sufficiente, ai fini
dell’integrazione dell’illecito disciplinare, la suitas della condotta, come volontà consapevole
dell’atto che si compie; non è necessario, infatti, un dolo generico ovvero specifico, ma
sufficiente la volontarietà con la quale l’atto deontologicamente rilevante è stato compiuto
ovvero omesso (cf., da ultimo,CNF 242/2022). L’illecito, peraltro, non è scriminato neppure
dalla buona fede, elemento del quale si può tenere conto ai fini della determinazione-
quantificazione della sanzione (cf. CNF 269/2022).
Nel caso in esame, il ricorrente ammette di aver tenuto la condotta contestata per cui risulta
sanzionato; tuttavia, fornisce elementi che ritiene idonei a giustificare tale condotta,
ponendo l’accento sull’assenza di qualsivoglia danno nei confronti della cliente, del corretto
adempimento del mandato professionale, in quanto (anche se grazie ad altro legale)
otteneva comunque la liquidazione del risarcimento che le era stato già riconosciuto, anche
grazie alla sua attività volta ad interrompere i termini di prescrizione; al tempo stesso,
ammette di non aver riscontrato la richiesta del collega formulata a mezzo PEC, rilevando di
averlo comunque contattato telefonicamente nell’immediato per giustificare la spendita del
suo nome.
Se pertanto non può essere in alcun modo giustificato il comportamento dell’incolpato che
ha effettivamente violato le norme deontologiche contestate, resta da valutare l’ultimo
aspetto del ricorso, quello riferito alla congruità o eccessività della sanzione irrogata.
Il ricorrente eccepisce l’eccessività della sanzione irrogata, in considerazione delle
giustificazioni fornite, per un comportamento certamente sbagliato, che tuttavia non ha
avuto reali effetti deteriori sul diritto della cliente, nonché per la leggerezza di non aver
riscontrato il collega a mezzo PEC, nonostante l’espressa richiesta formulata in tal senso,
dopo averlo comunque sentito per le vie brevi.
Si duole del altresì del fatto che il CDD ha tenuto conto, in sede di determinazione della
sanzione, di due precedenti disciplinari (due “censure”, una comminata nel 2017 ed una nel
2022), sebbene solamente la sanzione del 2017 fosse definitiva ed esecutiva, in quanto per
la sanzione che lo raggiungeva nel 2022 risulta proposta impugnazione dinanzi al CNF, allo
stato ancora pendente.
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Per quanto concerne la misura della sanzione, agli organi disciplinari è riservato il potere di
applicare la sanzione adeguata alla gravità ed alla natura del comportamento
deontologicamente non corretto (cfr. Cass. SS.UU. 13791/12). L’art. 3 CDF richiede che la
sanzione sia determinata sulla base dei fatti complessivamente valutati e, ai sensi dell’art.
21 CDF «è unica anche quando siano contestati più addebiti nell’ambito del medesimo
procedimento» e deve essere «commisurata alla gravità del fatto, al grado della colpa,
all’eventuale sussistenza del dolo ed alla sua intensità, al comportamento dell’incolpato,
precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, soggettive e oggettive, nel
cui contesto è avvenuta la violazione» e che si debba comunque tenere conto «del
pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente, della compromissione
dell’immagine della professione forense, della vita professionale, dei precedenti
disciplinari». Le circostanze indicate, pertanto, costituiscono certamente dei criteri che
concorrono alla valutazione del comportamento complessivo dell’incolpato, ai fini della
determinazione della sanzione.
Il CDD di Catania ha ritenuto di determinare la sanzione facendo riferimento alla sanzione
prevista per la violazione più grave (quella del dovere di informazione di cui all’art. 27 CDF),
ritenendo congrua la scelta della misura aggravata, considerata la mancanza di
resipiscenza dell’incolpato e la sussistenza di precedenti disciplinari.
Sul punto questo Consiglio con una recente sentenza (CNF n. 54 del 7 marzo 2024), ha
riaffermato questo principio.
“In ossequio al principio enunciato dall’art. 21 cdf, nei procedimenti disciplinari l’oggetto di
valutazione è il comportamento complessivo dell’incolpato e tanto al fine di valutare la sua
condotta in generale, quanto a quello di infliggere la sanzione più adeguata, per la quale
occorre effettuare un bilanciamento tra la considerazione di gravità dei fatti addebitati ed i
concorrenti criteri di valutazione, quali ad esempio la presenza o assenza di precedenti
disciplinari.”.
In base a tutte queste considerazioni appare al Collegio effettivamente eccessiva la
sanzione di un anno di sospensione dell’attività professionale tenuto conto del complesso
dei fatti e dei fini dichiarati dall’incolpato a giustificazione del comportamento che possono
essere considerati plausibili nonché in ragione della considerazione delle risultanze di un
procedimento disciplinare non definito con provvedimento esecutivo.
Ciò premesso, anche valutando l’esito di altri analoghi procedimenti disciplinari, si ritiene
corrispondente ad equità ridurre la sanzione irrogata a quella della sospensione
dell’esercizio della professione per mesi quattro.
P.Q.M.
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visti gli artt. 36 e 37 L. n. 247/2012 e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22.1.1934, n. 37;
il Consiglio Nazionale Forense accoglie parzialmente il ricorso e applica all’incolpato la
sanzione della sospensione dell’esercizio della professione per mesi quattro.
Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità di
informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione
elettronica sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli
interessati riportati nella sentenza.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 11 luglio 2024;
IL SEGRETARIO f.f. IL PRESIDENTE f.f.
f.to Avv. Federica Santinon f.to Avv. Patrizia Corona
Depositata presso la Segreteria del Consiglio nazionale forense,
oggi 28 ottobre 2024.
IL CONSIGLIERE SEGRETARIO
f.to Avv. Giovanna Ollà
Copia conforme all’originale
IL CONSIGLIERE SEGRETARIO
Avv. Giovanna Ollà
Avv. Antonino Sugamele

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