La Corte dei Conti si pronunzia sulle spese sostenute dai gruppi consiliari, affermando che per ognuna di essa occorre l'indicazione analitica delle finalità istituzionali perseguite.
Corte dei Conti Sez. I App., Sent., (ud. 25/11/2021) 07-03-2022, n. 94
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO
composta dai seguenti magistrati:
Agostino CHIAPPINIELLO - Presidente
Fernanda FRAIOLI - Consigliere
Antonietta BUSSI - Consigliere
Aurelio LAINO - Consigliere
Antonio DI STAZIO - Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di appello in materia di responsabilità iscritti ai nn. 57390 A e 57390 B del Ruolo generale, proposti, rispettivamente, da:
- P.L., nato a S. (I.) il (...), rappresentato e difeso dall'avv. Glauco Stagnaro (pec: glauco.stagnaro@ordineavvgenova.it), elettiva- mente domiciliato presso l'indirizzo p.e.c. del difensore;
appellante principale
- M.R., C.F. (...), nato a C. (R.) il (...), rappresentato e difeso dal Prof. Avv. Francesco Cardarelli (pec: francesco cardarelli@ordineavvocatiroma.org) ed elettivamente domiciliato presso il suo Studio in Roma, Via G. P. da Palestrina n. 47;
appellante incidentale
Contro
- il Procuratore Regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Liguria;
appellato
- il Procuratore Generale della Corte dei Conti
appellato
per l'annullamento o la riforma
della sentenza n. 46/2020 della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Liguria;
Visti tutti gli atti e documenti di causa;
Uditi nella pubblica udienza del 25 novembre 2021 il relatore Consigliere dott. Antonio Di Stazio, il rappresentante della Procura Generale G.A., l'avv. Glauco Stagnaro per l'appellante principale P., il prof. avv. Francesco Cardarelli per l'appellante incidentale M..
Svolgimento del processo
1. Con atto di citazione del 12.11.2019, la Procura regionale per la Liguria aveva evocato in giudizio i consiglieri regionali L.P. e R.M., nella qualità, rispettivamente, di Capogruppo e di consigliere del Gruppo consiliare regionale "U.D.C. - Unione di Centro, chiedendo in via principale la loro condanna, in pari quote a titolo di dolo e in regime di solidarietà passiva, al risarcimento del danno in favore della Regione Liguria quantificato in Euro 82.167,04 oltre alla rivalutazione, per le spese effettuate a valere sui fondi ottenuti dal gruppo consiliare di appartenenza per scopi istituzionali, ai sensi della L.R. n. 38 del 1990. In via subordinata, l'Attore Pubblico aveva chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento del medesimo danno a titolo di colpa grave, in pari quote e con obbligazioni parziarie.
Per i medesimi fatti, i predetti convenuti venivano sottoposti a procedimento penale nel corso del quale il sig. L.P. veniva condannato, unitamente ad altri consiglieri regionali, per il reato di peculato, commesso con riferimento anche al rendiconto per l'anno 2009, con sentenza del Tribunale di Genova n. 1298 del 2021, divenuta definitiva nei confronti del P. perché non appellata.
1.1. L'azione promossa dalla Procura regionale muove dall'assunto secondo cui, alla luce del consolidato orientamento della Corte dei conti, le spese dei Gruppi consiliari devono essere rigorosamente giustificate e documentate, con analitica indicazione, per ciascuna di esse: delle finalità istituzionali perseguite; del rapporto di pertinenza tra l'attività dell'Ente e la spesa (cosiddetta "inerenza"); della qualificazione del soggetto destinatario della medesima; della rispondenza della spesa a rigorosi criteri di ragionevolezza il cui rispetto esige una puntuale documentazione delle circostanze e dei motivi che le hanno occasionate.
2. Con l'impugnata sentenza n. 46/2020, il giudice di prime cure, richiamati i propri precedenti, ha rigettato le eccezioni pregiudiziali e preliminari proposte dalle parti, e in particolare: i) la richiesta di sospensione del giudizio contabile per la pendenza del parallelo procedimento penale, per carenza del presupposto della pregiudizialità;
ii) l'eccezione di inammissibilità dell'azione erariale per essere stato il rendiconto del Gruppo parificato ed approvato dalla Sezione Controllo territoriale della Corte dei Conti;
iii) l'eccezione di prescrizione alla luce della ritenuta legittimazione del Pubblico Ministero ad interrompere la prescrizione con l'atto di costituzione in mora, diverso dall'invito a dedurre. Nel merito, ha accolto parzialmente la domanda attorea affermando la responsabilità dei convenuti per il danno erariale conseguente all'illecita utilizzazione dei fondi erogati dal Consiglio regionale al Gruppo consiliare di appartenenza (U.D.C.) nel periodo compreso fra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2009, sotto il profilo della carenza di inerenza alle finalità istituzionali (desunta dall'assenza di idonea documentazione giustificativa) delle spese dettagliatamente elencate nell'atto di citazione. Ha quindi condannato in solido P.L. e M.R. al pagamento, in favore della Regione Liguria, della somma di Euro 80.880,57. Ai fini della ripartizione interna, ha addebitato al P. e al M., rispettivamente, la somma di 41.583,57 Euro e di 39.297,00 Euro, oltre a rivalutazione, interessi e spese di giudizio.
Il Giudice di prime cure ha ritenuto stralciato dall'ammontare delle spese contestate dalla Procura regionale l'importo di Euro 1.282,07, pari al totale delle spese non ammesse a rendiconto, nonché l'importo di Euro 4,40 per tasse postali ritenute inerenti.
Tutte le spese ritenute non "inerenti" sono state classificate nelle categorie previste dalla normativa regionale.
3. Con separati atti, i sig.ri P. e M. hanno interposto appello avverso la sentenza di condanna, denunciando plurimi errores in procedendo e in iudicando con la proposizione delle seguenti censure:
In via pregiudiziale:
. Difetto di giurisdizione del giudice contabile;
. Mancata sospensione del giudizio in attesa della definizione del procedimento penale sui medesimi fatti di causa;
In via preliminare di merito:
. Prescrizione del credito erariale; difetto di legittimazione del P.M. contabile ad interrompere la prescrizione con atti diversi dall'invito a dedurre;
In via principale:
. Inammissibilità dell'azione erariale a seguito dell'approvazione del rendiconto dalla Sezione di controllo della Corte dei Conti;
. Carenza ed erroneità della motivazione: per insussistenza dell'illecito, difetto del nesso causale, dell'elemento soggettivo (dolo e colpa grave) e del danno erariale;
. Erronea ripartizione del danno;
In via subordinata:
. Rilevanza e non manifesta infondatezza della q.l.c. dell'art. 2, comma 2 dell'allegato 3 del D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 174, ai sensi dell'art. 117 comma 1 Cost., per violazione del parametro interposto costituito dall'art. 7 Cedu;
. Rilevanza e non manifesta infondatezza della q.l.c. dell'art. 21 co. 2 del D.L. n. 76 del 2020, convertito con L. n. 120 del 2020, con riferimento all'art. 117 comma 1 Cost. per violazione dell'art. 7 Cedu;
. Mancato esercizio del potere riduttivo degli addebiti.
Entrambi gli appellanti hanno concluso per la riforma dell'impugnata sentenza e la loro assoluzione, ovvero, in via subordinata, per il riconoscimento della legittimità di alcune spese, con conseguente riduzione pro quota della responsabilità. In via ancora più gradata, hanno invocato l'utilizzo del potere riduttivo degli addebiti.
4. Con memoria del 29 settembre 2021 si è costituita in giudizio la Procura generale, la quale, dopo aver avversato puntualmente tutte le doglianze degli appellanti, ha chiesto l'integrale rigetto delle impugnazioni e la conferma della condanna risarcitoria di prime cure, con vittoria di spese.
5. Il sig. P. ha depositato memoria conclusionale richiamando i motivi e le conclusioni formulati nell'atto di appello, producendo copia della sentenza della Corte di appello di Genova n. 754 del 26/4/2021 con cui è stata disposta l'assoluzione dei consiglieri regionali che avevano appellato (ad eccezione del sig. P., n.d.r.) la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Genova. Parte appellante chiede, quindi, il rinvio dell'udienza di trattazione in attesa della decisione della Corte di Cassazione sul ricorso proposto dalla Procura Generale di Genova.
5.1. Con memoria del 30 settembre 2011, l'appellante incidentale R.M., oltre a riproporre le eccezioni e conclusioni già in atti, insiste per la sospensione del giudizio ritenendo sussistenti i presupposti di cui all'art. 106 c.g.c., in considerazione della sopravvenuta sentenza di assoluzione con formula piena (n. 754 del 26/4/2021) pronunciata dalla Corte di appello di Genova nei confronti di numerosi consiglieri regionali della Liguria ed evidenziando l'efficacia extra penale del giudicato (ex art. 652 c.p.p.), attesa -a suo giudizio- la medesimezza della fattispecie dedotta nel giudizio contabile e in quello penale. In subordine, chiede il rinvio dell'udienza di discussione a data successiva alla pubblicazione della sentenza (definitiva) del giudice penale.
6. All'udienza pubblica del 25 novembre 2021 i difensori degli appellanti si riportano ai rispettivi motivi di gravame. Insistono sull'eccezione di prescrizione e sulla necessità di rinviare il giudizio al fine di acquisire le risultanze del procedimento penale avente ad oggetto gli stessi fatti.
Il Vice Procuratore generale eccepisce, in via preliminare, l'inammissibilità della documentazione depositata dalla difesa del P. il 17 novembre u.s. perché tardiva; si oppone alla richiesta di rinvio in considerazione dell'autonomia del processo contabile da quello penale. Nel merito, contesta quanto dedotto ex adverso circa la prescrizione dell'azione di danno e si riporta all'atto conclusionale, richiamando due sentenze della Seconda Sezione centrale di appello riguardanti i medesimi appellanti per le stesse contestazioni riferite all'anno 2008. Conclude chiedendo il rigetto dell'appello e la conferma dell'impugnata sentenza con condanna degli appellanti alle spese del grado. La causa è trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
7. Va preliminarmente disposta la riunione degli appelli, ai sensi dell'art. 184 c.g.c., in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
Vanno prioritariamente delibate le questioni pregiudiziali e/o preliminari sollevate dagli appellanti.
8. Con il primo motivo di gravame il sig. P., riproponendo l'eccezione già respinta dal giudice di prime cure, ha dedotto la carenza di giurisdizione della Corte dei conti, adducendo che la magistratura contabile non è legittimata a sindacare le spese dei gruppi consiliari che sono confluite nel rendiconto generale della Regione Liguria per il 2009, approvato con L.R. n. 13 del 2010. Secondo tale prospettazione, avendo il Consiglio regionale sancito, con la legge di approvazione del rendiconto, la legittimità delle spese in questione, non residuano ulteriori margini per una differente valutazione dello stesso rendiconto in sede giurisdizionale, poiché ogni determinazione assunta in materia dal giudice darebbe luogo a un'inammissibile violazione/disapplicazione di una norma di legge, pregiudicando la competenza riservata al potere legislativo.
La censura è destituita di giuridico fondamento.
In primo luogo, il Collegio richiama il costante orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale "Il giudice contabile non viola i limiti esterni della propria giurisdizione qualora censuri, non già la scelta amministrativa adottata, bensì il modo con il quale quest'ultima è stata attuata, profilo che esula dalla discrezionalità amministrativa, dovendo l'agire amministrativo comunque ispirarsi a criteri di economicità ed efficacia" (Cass. SS.UU., sent. n. 6462 del 2020).
Proprio con riferimento ai gruppi consiliari regionali, le Sezioni Unite della Cassazione (sent. n.21927/2018) hanno precisato che l'azione di responsabilità per l'illecita gestione dei fondi erogati ai gruppi consiliari regionali è sottoposta alla giurisdizione del giudice contabile, sia perché ad essi va riconosciuta natura essenzialmente pubblicistica, sia in ragione dell'origine pubblica delle risorse che della definizione legale del loro scopo, senza che rilevi il principio dell'insindacabilità di opinioni e voti ex art. 122, co. 4, Cost., che non può estendersi alla gestione dei contributi (cfr. Corte dei conti, Sez. 1 app, sent. n. 64/2022).
In secondo luogo, ad escludere ogni dubbio di illegittima invasione della sfera di competenze riservate al legislatore, soccorre l'ulteriore principio affermato dalla Suprema Corte secondo cui "la Corte dei conti, nella sua qualità di giudice contabile, può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell'ente pubblico. Infatti, se da un lato, in base all'art. 1, comma 1, della L. n. 20 del 1994, l'esercizio in concreto del potere discrezionale dei pubblici amministratori costituisce espressione di una sfera di autonomia che il legislatore ha inteso salvaguardare dal sindacato della Corte dei conti, dall'altro lato, l'art.1, comma 1, della L. n. 241 del 1990, stabilisce che l'esercizio dell'attività amministrativa deve ispirarsi ai criteri di economicità e di efficacia, che costituiscono specificazione del più generale principio sancito dall'art.97 Cost., e assumono rilevanza sul piano della legittimità (non della mera opportunità) dell'azione amministrativa. Pertanto, la verifica della legittimità dell'attività amministrativa non può prescindere dalla valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti e i costi sostenuti. Inoltre, l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti non comporta la sottrazione di tali scelte ad ogni possibilità di controllo della conformità alla legge dell'attività amministrativa anche sotto l'aspetto funzionale, vale a dire in relazione alla congruenza dei singoli atti compiuti rispetto ai fini imposti, in via generale o in modo specifico, dal legislatore. Più in generale è stato altresì precisato che il comportamento contra legem del pubblico amministratore non è mai al riparo dal sindacato giurisdizionale non potendo esso costituire esercizio di scelta discrezionale insindacabile" (Cass. SS.UU. sent. n. 1979/2012).
Non è poi ultroneo richiamare l'ulteriore indirizzo del giudice della legittimità (ex multis, Cass. SS.UU. n. 8077/2015), unanimamente accolto dalla giurisprudenza contabile (ex multis, Sez. 1 app., sentt. nn. 95,104,345,346 del 2011, n. 38 e n. 64 del 2022; Sez. 2 app, sent. n. 57/2021; Sez. 3 app., n. 94/2017) secondo il quale è conforme a diritto, purché non si sconfini nel "merito" e, quindi, in valutazioni di "opportunità" della singola spesa, accertare la legittimità o meno dell'impiego, anche da parte del singolo consigliere dei contributi pubblici destinati a spese di funzionamento del Gruppo consiliare sotto il profilo della inerenza della spesa con le finalità pubbliche assegnate a tali risorse, verificando, altresì, se asseverando la documentazione o le giustificazioni prodotte, il presidente del Gruppo consiliare abbia causalmente contribuito alla determinazione di un danno.
È infine doveroso evidenziare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 235/2015, ha ritenuto legittimamente esperibile - purché non si traduca in un sindacato nel "merito" (cioè sulla opportunità discrezionale) delle spese - il controllo inquirente e giurisdizionale sulla inerenza delle spese al mandato istituzionale, trattandosi di un controllo che "si risolve nella verifica della violazione della normativa sulla contribuzione pubblica ai gruppi consiliari".
Alla luce di quanto sopra osservato la censura all'esame va quindi rigettata perché infondata.
9. Entrambi gli appellanti hanno censurato la sentenza di prime cure, sotto vari profili in gran parte sovrapponibili, per non avere accolto l'istanza di sospensione del giudizio contabile in attesa della definizione del processo penale, tenuto conto del nesso di stretta conseguenzialità tra i due processi che, secondo tale prospettazione, hanno ad oggetto i medesimi fatti.
La medesima censura è stata riproposta dagli appellanti nelle rispettive memorie conclusionali ove è stata richiamata l'esigenza di evitare conflitti di giudicati in caso di conferma, nel giudizio di cassazione di prossima celebrazione, della pronuncia di assoluzione emessa nel 2021 dalla Corte di appello, in riforma della condanna inflitta in primo grado dal Tribunale nei confronti di numerosi consiglieri regionali, ivi compreso l'odierno appellante P..
Anche tale censura è infondata e va respinta.
Il Collegio condivide le argomentazioni poste dal giudice di primo grado a fondamento della decisione di escludere la sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti della sospensione previsti dall'art.106, commi 1 e 2 c.g.c.. Tale disposizione, il cui contenuto ricalca l'art. 295 c.p.c., prevede che la sospensione del processo può essere disposta quando la previa definizione di altra controversia, pendente davanti a sé o ad altro giudice, "costituisca per il suo carattere pregiudiziale, il necessario antecedente dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato".
Pertanto, la sospensione (necessaria) del processo contabile, in quanto condizionata dalla sussistenza della pregiudizialità tecnico-giuridica intesa come vincolo di stretta ed effettiva conseguenzialità fra due emanande statuizioni teso ad evitare un conflitto di giudicati, costituisce espressione del principio di indipendenza fra le diverse giurisdizioni, ripetutamente declinato dalla Corte di Cassazione (ex multis, ord. n. 17235/2014; ord. n. 16844/2012; ord. n. 25272/2010) e costantemente ribadito dalle SS.RR. della Corte dei conti (SS.RR. ord. n.5/2020; ordd. nn.6, 12 e 15/2019; ordd. nn.1 e 3/2012).
In una recentissima pronuncia (sent. 64/2022) questa Sezione ha efficacemente affermato che "La giurisdizione penale e quella civile per risarcimento danni derivante da reato, come quella contabile, sono reciprocamente indipendenti nelle loro sfere cognitive e decisorie, anche quando investono il medesimo fatto materiale: tale principio ha trovato conferma proprio nell'assetto normativo processuale del codice di giustizia contabile approvato con il D.Lgs. n. 174 del 2016 (artt. 106-107 c.g.c.)", aggiungendo che "nei due diversi processi sono affatto diversi il petitum e la causa petendi: mentre il processo penale mira a sanzionare le condotte illecite qualificate dalla legge come reati, il giudizio per responsabilità amministrativo-contabile ha natura essenzialmente risarcitoria e assume finalità ripristinatorie delle risorse pubbliche indebitamente sottratte all'Amministrazione titolare - in termini di maggiore spesa o minore entrata - attraverso la condanna dell'autore del comportamento illecito alla restituzione del quantum del pregiudizio arrecato.".
Nel caso di specie, il Collegio non ritiene sussistente tra il giudizio contabile - imperniato sull'accertamento della responsabilità per il danno erariale prodotto dalla condotta dei convenuti nell'esercizio delle funzioni istituzionali- e quello penale -che sottopone le medesime condotte a valutazioni di diversa natura essendo diverse le sanzioni (non certo risarcitorie) conseguenti alla violazione della norma penale- quel vincolo di pregiudizialità tecnica tale da rendere necessaria la sospensione del primo giudizio (pregiudicato) in attesa della definizione del secondo (pregiudicante).
Peraltro, un siffatto problema di pregiudizialità in senso tecnico non si pone, neppure in astratto, per l'appellante P., atteso che il predetto nessun vantaggio diretto potrebbe conseguire dalla definitiva assoluzione dei consiglieri regionali tuttora coinvolti nel giudizio penale pendente innanzi alla Corte di Cassazione, non avendo egli proposto appello avverso la sentenza di condanna riportata in primo grado.
10. Va ora scrutinata la censura con la quale entrambi gli appellanti adducono la prescrizione dell'azione di danno promossa dalla Procura regionale assumendo che sia stato impropriamente riconosciuto valore interruttivo alla costituzione in mora operata dalla Procura regionale che, secondo gli appellanti, non era legittimato ad intraprendere una simile iniziativa, in sostituzione dell'amministrazione danneggiata, ancor prima dell'entrata in vigore del codice di giustizia contabile.
Anche tale motivo di gravame è infondato.
L'art. 66, comma 1, c.g.c., laddove prevede che "Con l'invito a dedurre ai sensi dell'articolo 67, comma 8, ovvero con formale atto di costituzione in mora ai sensi degli articoli 1219 e 2943 del codice civile, il termine quinquennale di prescrizione può essere interrotto (...)", attribuisce al P.M. contabile la legittimazione a costituire in mora il presunto danneggiante, nell'interesse dell'amministrazione danneggiata, o con l'invito a dedurre o con altro atto idoneo ai sensi degli artt. 1219 e 2943 c.c.. Tale facoltà di iniziativa costituisce diretta estrinsecazione del ruolo (o, altrimenti detto, missione istituzionale) che l'ordinamento assegna al Pubblico Ministero contabile quale organo che "veglia alla osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione della giustizia, alla tutela dei diritti dello Stato (...) Ha pure azione diretta per fare eseguire ed osservare le leggi (...) che interessano i diritti dello Stato (...)" (art. 73 R.D. 30 gennaio 1941, n. 12).
Ciò spiega anche le ragioni per le quali le Sezioni Riunite della Corte dei conti, molto tempo prima dell'emanazione del codice di giustizia contabile (approvato con il D.Lgs. n. 174 del 2016), hanno riconosciuto al pubblico ministero contabile la facoltà di costituire in mora i presunti responsabili di danno erariale, sia con l'invito a dedurre "laddove dotato di tutti gli elementi idonei al fine", sia con atti diversi, purché con essi sia chiaramente espressa al (presunto) responsabile la volontà di esercitare il credito risarcitorio (SS.RR. sentt. nn. 14/2000/QM, 6/2003/QM, 1/2004/QM e 4/2007/QM).
Nel caso di specie, la prescrizione dell'azione risarcitoria decorre -come ha condivisibilmente ritenuto il giudice di primo grado- dalla data di conoscibilità dell'evento di danno, che nel caso di specie coincide con la presentazione del rendiconto del Gruppo (già approvato) alla struttura designata per la disamina (Sez. II App. n. 477/2019; ma anche Sez. I App. n. 426/2017 e Sez. III App. n. 19/2019). Conseguentemente, il primo atto interruttivo del corso della prescrizione è costituito dall'atto di messa in mora del Procuratore Regionale notificato al Sig. M. il 18.12.2014 e al Sig. P. il 7.1.2015. Il secondo atto interruttivo è costituito dall'invito a dedurre emesso dalla Procura il 7.05.2019, ritualmente notificato agli odierni appellanti; l'ultimo, dall'atto di citazione depositato il 12.11.2019.
11. Con un ulteriore motivo di gravame, gli appellanti hanno dedotto l'inammissibilità dell'azione erariale assumendo che il rendiconto regionale nel suo complesso, nel quale è confluito il rendiconto del Gruppo consiliare U.D.C., ha ricevuto l'approvazione della Sezione regionale di Controllo della Corte dei Conti con il giudizio di parificazione.
Anche tale motivo di gravame è infondato.
Questa Sezione intende dare continuità al proprio orientamento espresso con la sentenza n. 267/2018, ove è stato precisato che "il thema decidendum del giudizio di responsabilità riguardante la gestione dei fondi assegnati ai gruppi consiliari riguarda la verifica dell'utilizzo dei fondi assegnati ai medesimi in coerenza con le loro finalità istituzionali. Dunque, indipendentemente dall'obbligo per i presidenti dei gruppi consiliari di rendere il conto giudiziale, essi, come pure i consiglieri, soggiacciono alla responsabilità amministrativo-contabile per il danno cagionato a seguito dell'illecita utilizzazione dei fondi destinati al gruppo. In tale contesto, viene in rilievo il rinvio dell'art. 60 del R.D. n. 2440 del 1923 al successivo art. 83, in materia di responsabilità amministrativa dei funzionari delegati. Neppure può escludersi il potere di azione della Procura regionale perché l'inerenza della spesa sarebbe stata già vagliata in sede di rendiconto regionale. Infatti, tale rendiconto ... è volto al mero accertamento della copertura dei fondi erogati ai gruppi consiliari nonché della rispondenza delle spese indicate in quelle consentite, ma non dell'inerenza delle stesse; inerenza che, invece, deve essere vagliata in questa sede come pure in sede di controllo. La Consulta ha, infatti, affermato che il giudizio di conformità della Sezione di controllo sui rendiconti dei Gruppi consiliari ha come fine quello di verifica della veridicità e correttezza della spesa, intese come parametri di legalità sostanziale (sentenza n. 104 del 2016); parametri che vanno intesi come verifica non soltanto dell'inerenza della spesa sostenuta, ma anche della conformità alle finalità istituzionali del Gruppo e come effettività del sostenimento della stessa, fermo il limite dell'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali (sentenze nn. 39/2014, cit. e 263/2014). L'autorevole interpretazione della Corte costituzionale è stata, poi, ribadita da queste Sezioni Riunite, con le sentenze nn. 29 e 39 del 2014 e, più di recente, dalla decisione n. 10 del 2017.".
12. Quanto ai motivi di merito, entrambi gli appellanti hanno censurato la sentenza impugnata siccome affetta da plurimi errores in iudicando, per insussistenza dell'illecito, difetto del nesso causale, carenza dell'elemento soggettivo (sia sotto forma di dolo che di colpa grave), insussistenza del danno erariale contestato.
Le censure vengono trattate congiuntamente in quanto strettamente connesse tra loro. Esse sono comunque infondate.
Quanto alla denunciata carenza del nesso eziologico, gli appellanti adducono che il danno sia, in tutto o in parte, riconducibile alla Commissione rendiconto che non avrebbe svolto la verifica sull'inerenza delle spese dei gruppi consiliari, compito che le competeva ai sensi dell'art. 4 bis, comma 4, della L.R. n. 38 del 1990, nella formulazione vigente fino alle modifiche apportate con la L.R. 6 agosto 2009, n. 33. Si adduce che la predetta Commissione, con Provv. del 14 dicembre 2011, ha approvato il rendiconto del Gruppo U.D.C. senza formulare alcun rilievo, mentre, qualora avesse riscontrato l'assenza della documentazione giustificativa, avrebbe dovuto respingere la richiesta di approvazione del rendiconto. Il che non è avvenuto. Il sig. M. ha ulteriormente addotto che il mancato esercizio, da parte della Commissione consiliare, del potere di controllo esteso alla verifica dell'esistenza della documentazione probatoria in merito all'ammontare delle spese di funzionamento, così come quella dell'inerenza delle spese alle tipologie previste dall'art. 4 della L. n. 38 del 1990, esclude sia l'elemento oggettivo che quello psicologico dell'illecito erariale contestato, atteso che i singoli componenti di ciascun Gruppo consiliare confidavano sul fatto che la Commissione rendiconto avrebbe svolto puntuali controlli sull'ammissibilità o meno delle singole spese.
Tali prospettazioni non meritano di essere condivise siccome prive di fondamento giuridico.
La giurisprudenza contabile ha chiarito che l'intervento della Commissione deputata al controllo sul rendiconto del gruppo consiliare, collocandosi in un segmento temporale necessariamente successivo a quello in cui le spese illegittime erano state effettuate e rendicontate, non avrebbe comunque potuto concorrere a cagionare un danno che si era già prodotto, sicché dev'essere escluso che l'apporto dell'organo di controllo fosse dotato di efficienza causale tale da innestarsi nella sequenza degli eventi e marginalizzare il comportamento degli autori al punto da determinare l'interruzione dell'originario rapporto eziologico (Sez. 2 app., sent. 57/2021, cit.; Sez. 3 app., sent. 203/2019).
Peraltro, la giurisprudenza di questa Corte ha altresì escluso una altrettanto simile attitudine dell'inefficiente esercizio dei controlli sui rendiconti svolto dall'Ufficio di Presidenza della Regione, trattandosi di una "presa d'atto" della conclusione della procedura di rendicontazione dei gruppi consiliari e di una semplice attestazione della ricezione del rendiconto (Sez. 3 app. sent. 203/2019, cit.), ossia di una mera ratifica di spese già effettuate e rendicontate dai Gruppi e non già di un atto deliberativo che ne costituisce ex ante il titolo giustificativo, e pertanto inidoneo a tramutare una spesa illegittima o illecita in legittima e lecita (ex multis, Sez. II App. sent. 46 del 2020, sentt. nn. 507-506-372-349-342-315-90-71-70-6714 del 2019, sentt. nn.777-749-748-746-626622 del 2018).
È stato altresì chiarito dalla giurisprudenza l'insussistenza, in capo alla "Commissione rendiconto", all'atto delle verifiche di pertinenza, di poteri di controllo sull'inerenza delle spese rispetto ai fini istituzionali.
L'art. 4 bis della L.R. n. 38 del 1990, nell'originaria formulazione, vigente al tempo della presentazione del rendiconto (30/3/2010), prevedeva che il rendiconto delle spese dovesse essere approvato dall'Ufficio di Presidenza "previa verifica" di un'apposita Commissione consiliare. Tale Commissione era quindi deputata, oltre che ad "attesta(re) l'esistenza di documentazione probatoria in merito all'ammontare delle spese di funzionamento e delle spese per il personale", a "verifica(re) altresì le indicazioni di cui all'art. 4", cioè ad accertare che le spese fossero destinate agli impieghi consentiti: "a) spese per l'acquisto di libri e riviste; b) spese per lo svolgimento di attività funzionalmente collegate ai lavori di Consiglio e alle iniziative dei Gruppi o comunque connesse all'attività dei Consiglieri regionali; c) spese per eventuali consulenze; d) spese postali, telefoniche e di cancelleria non coperte dalla dotazione di servizio (...); e) spese per il personale e per l'attività dei Consiglieri (...); f) spese di rappresentanza e quelle collegate allo svolgimento del mandato popolare; g) spese, secondo le destinazioni di cui alle lettere a), b), c), d), e) ed f), per il supporto delle attività delle Segreterie politiche e particolari dei componenti del Gruppo eventualmente facenti parte dell'Ufficio di Presidenza".
Tuttavia, l'art. 3, comma 2, della L.R. n. 33 del 6 agosto 2009 ha apportato una significativa modifica al comma 5 dell'art. 4-bis della L.R. n. 38 del 1990, disponendo la soppressione delle parole "verificando altresì le indicazioni di cui all'articolo 4".
Cosicché, al momento dell'approvazione del rendiconto del Gruppo consiliare U.D.C., avvenuto con Provv. del 14 dicembre 2011, la Commissione non era più investita del potere di verificare la "inerenza" delle spese rendicontate agli scopi espressamente previsti dalla legge regionale, dovendosi limitare a verificare la sussistenza dei documenti di spesa e la corrispondenza dei relativi importi con le risultanze del rendiconto.
Ciò vale ad escludere qualsivoglia apporto eziologico della Commissione rendiconto nella causazione del danno per cui è processo nonché, per quanto sopra detto, dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale.
13. Prima di affrontare la meritevolezza, in punto di diritto, delle valutazioni espresse nella sentenza impugnata sotto il profilo della legittimità delle singole spese, ritiene il Collegio che l'impianto complessivo della legge regionale ligure n. 38 del 1990 è del tutto conforme al principio di "inerenza" della spesa pubblica e a quello, immanente al regime della contabilità pubblica, che impone a qualsiasi soggetto incaricato (o che comunque prende parte, anche in assenza di mandato) del maneggio di danaro o di materie di provenienza erariale, o al quale viene corrisposto un contributo pubblico vincolato ad una specifica destinazione, come nel caso del consigliere regionale, l'obbligo di "dare conto" della gestione, ovvero di giustificare l'impiego dando prova di aver utilizzato il bene pubblico ricevuto in modo coerente con le finalità che hanno costituito la causa dell'erogazione. Ciò comporta, ai fini del discarico dalla responsabilità contabile, la necessità di dotarsi e di fornire, a propria discolpa, idonea prova documentale del corretto utilizzo dei beni o valori ricevuti, acquisiti o custoditi per ragioni d'ufficio, con conseguente assunzione di responsabilità in caso di deficienza numerica o qualitativa nei beni o valori ovvero di carenza e/o insufficienza della documentazione giustificativa circa il corretto utilizzo degli stessi, con conseguente inversione dell'onere della prova a carico del soggetto tenuto alla resa del conto.
Nel caso di specie, l'azione di danno erariale è stata promossa per mancanza o insufficienza dei documenti che consentano di correlare, in modo univoco, l'utilizzo dei contributi pubblici ai fini istituzionali in vista dei quali sono stati erogati o, addirittura, in presenza di giustificativi di spesa connotati da gravi anomalie a causa delle quali è risultata evidente la deviazione rispetto ai fini consentiti.
Gli appellanti censurano il grave vizio motivazionale in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado che non avrebbe analizzato in modo dettagliato le singole spese ritenute illegittime ovvero avrebbe illegittimamente valutato come non inerenti alcune di dette spese.
Invero, il giudice di primo grado ha proceduto ad una dettagliata analisi delle singole spese ammesse a rendiconto, distinte per categorie secondo l'elencazione della L.R. n. 38 del 1990, specificando, per ciascuna spesa, le ragioni che ne hanno escluso la riferibilità alle categorie di pertinenza. In linea generale, il Collegio territoriale ha ritenuto illecite tutte le spese contestate dalla Procura per le quali è rimasta totalmente indimostrata l'inerenza rispetto al mandato consiliare, richiamando le motivazioni adottate dalla stessa Sezione n. 55/2019 e n. 105/2019, in tema di spese di pernottamento, taxi, rimborsi chilometrici, ristorazione, spese per i collaboratori, rappresentanza.
Gli appellanti hanno sostenuto, con prospettazioni del tutto sovrapponibili, che le spese oggetto di rendicontazione da parte del Gruppo consiliare di appartenenza erano riconducibili a quelle per le quali la pertinente normativa in materia (L.R. n. 38 del 1990) ammetteva il rimborso, evidenziando che la stessa disciplina non poneva a carico dei consiglieri l'onere di predispone ulteriore documentazione giustificativa per tali spese, in aggiunta agli scontrini/fatture prodotti dai consiglieri del Gruppo.
Il sig. P. ha ulteriormente addotto che le suesposte argomentazioni "hanno recentemente trovato esplicita e inequivoca conferma nella già menzionata sentenza della Corte d'Appello di Genova n. 754/2021 ... che ha disposto l'assoluzione (con la formula "perché il fatto non sussiste") nei confronti di alcuni consiglieri regionali della Liguria nell'ambito del giudizio instaurato a loro carico in relazione a fatti (concernenti la rendicontazione delle spese sostenute dai Gruppi consiliari) del tutto analoghi a quelli sui quali verte il presente giudizio di responsabilità.".
Tale prospettazione non può essere condivisa.
In disparte le differenti valutazioni espresse sui medesimi fatti dal giudice penale, che non vincolano il giudice contabile per i noti principi di indipendenza e separatezza tra il giudizio penale e quello risarcitorio erariale, la tesi difensiva non merita accoglimento sulla base della mera esegesi della L.R. n. 38 del 1990, il cui art. 4, comma 1, nel testo vigente nell'anno 2009, prima dell'entrata in vigore della L.R. n. 33 del 2009, prevedeva che "Ogni Gruppo consiliare provvede alle spese inerenti il proprio funzionamento con i contributi di cui all'art. 2.
Il successivo comma 2, a sua volta recitava: "I contributi di cui all'art. 2 sono destinati a:
a) le spese per l'acquisto di libri e riviste;
b) le spese per lo svolgimento di attività funzionalmente collegate ai lavori
del Consiglio ed alle iniziative dei Gruppi;
c) le spese per eventuali consulenze;
d) le spese postali, telefoniche e di cancelleria non coperte dalla dotazione di servizi disposta dall'ufficio di presidenza ai sensi dell'art. 27 dello Statuto e dell'art. 11 del Regolamento interno del Consiglio regionale;
e) le spese per le indennità di missione spettanti al personale assegnato ai Gruppi consiliari.".
Sebbene il tenore letterale delle disposizioni non brilli per chiarezza espositiva, appare comunque palese la ratio legis di affidasse ai singoli componenti dei gruppi consiliari ed ai relativi presidenti la responsabilità esclusiva di utilizzare i contributi destinati al funzionamento dei gruppi nel rispetto delle finalità per le quali vengono erogati e che costituiscono la causa dell'attribuzione. Tale filo conduttore, a giudizio del Collegio, è stato confermato dalla L.R. n. 33 del 06 agosto 2009 (entrata in vigore l'1.01.2010), che si è limitata a sostituire, al comma 3 dell'art. 4-bis, le parole "approvato dall'Ufficio di Presidenza" con le seguenti: "sottoposto a presa d'atto da parte dell'Ufficio di Presidenza" e a sopprimere al comma 5 dello stesso articolo 4-bis le parole: "verificando altresì le indicazioni di cui all'articolo 4".
Infatti, il combinato disposto delle suddette modifiche ha ulteriormente rafforzato, in capo ai componenti dei gruppi e ai relativi presidenti, quella posizione di garanzia circa la corretta gestione dei fondi così come configurata dalla normativa già in vigore nell'anno 2009.
Inducono a questa considerazione la soppressione della funzione di "approvazione del rendiconto" in capo all'Ufficio di Presidenza, che dall'1.01.2010 si limita ad una mera "presa d'atto" della presentazione del rendiconto nonché, a maggior ragione, la soppressione della funzione di controllo dei rendiconti dei gruppi affidata all'apposita Commissione, la quale, a decorrere dal 2010, non è più legittimata a verificare "altresì le indicazioni di cui all'articolo 4", ossia la ricorrenza dei requisiti di inerenza della spesa alla causa giustificativa del contributo.
Ciò vale a significare -anche sotto il profilo dell'elemento soggettivo dell'illecito- che i singoli componenti dei gruppi consiliari, nonché i relativi presidenti, proprio per la rilevanza delle funzioni istituzionali connesse alla carica elettiva, erano e restano, secondo la normativa regionale, gli "attori unici" della corretta gestione dei fondi destinati al funzionamento dei gruppi di appartenenza ed essi soltanto sono chiamati a rispondere del danno conseguente all'utilizzo delle risorse per fini egoistici o comunque non coerenti con la specifica destinazione prevista dalla legge.
Sotto questo profilo, si appalesano esenti da censure le puntuali valutazioni espresse dal giudice di prime cure in ordine alle singole spese contestate dalla Procura regionale, la cui legittimità non dipende dalla loro corrispondenza ad una delle categorie o tipologie previste dalla legge regionale, bensì al ricorrere, nelle pezze giustificative utilizzate, degli elementi oggettivi e soggettivi necessari a disvelare il nesso funzionale con le esigenze di funzionamento del gruppo. A tal fine, non è sufficiente a provare l'inerenza con le finalità istituzionali la mera produzione di un documento qualsiasi, privo di riferimenti concreti al soggetto che ha utilizzato il bene o servizio, alle motivazioni istituzionali o alle circostanze (ad esempio un seminario, un incontro con la cittadinanza per discutere di problematiche politico-sociali di competenza regionale, ecc..) in funzione delle quali o in occasione delle quali la spesa è stata sostenuta, con conseguente impossibilità di ricondurle all'attività istituzionale del Gruppo.
Correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto inidonei a giustificare la spesa i documenti privi degli elementi sopra indicati, per gli importi oggetto di condanna, senza che ciò abbia comportato una illegittima inversione dell'onere probatorio, come hanno sostenuto anche in questa sede gli odierni appellanti.
E così, solo per citare i casi più eclatanti, sono state correttamente ritenute illegittime le seguenti spese:
· Categoria A. Spesa per acquisto di libri e riviste.
Il documento di spesa, costituito da uno scontrino emesso il 12.01.2010 dalla libreria Mondadori, non indica l'acquirente né il titolo o i titoli dei libri acquistati;
· Categoria B3. Risultano rendicontate dai consiglieri P. e M. spese per rimborsi chilometrici sulla base di prospetti mensili privi di motivazione e di autorizzazione alle missioni. Ciò in violazione del divieto di duplicazione della spesa, atteso che i Consiglieri regionali usufruiscono del rimborso forfettario mensile ex art. 6 L.R. n. 3 del 1987. Ancora,
sono state rendicontate spese di taxi, sostenute a Genova e a Roma, le cui ricevute non indicano il beneficiario della prestazione né il percorso né la data.
· Categoria B6. Sono state rendicontate ingenti spese di "ristorazione", sostenute anche in altre regioni, relative sia a consumazioni (presso ristoranti, trattorie, pasticcerie e gelaterie) che ad acquisti di vario genere (alimentari, surgelati, carne fresca, pesce, abbigliamento). Alcune ricevute si riferiscono ad una pluralità di consumazioni con numerosi coperti (fino a 30). Una ricevuta, per l'importo di Euro 1.680,00, riguarda per n. 60 menu degustazione presso un esercizio di Sanremo. Un'altra è relativa ad una consumazione effettuata in Alta Val Badia in data 11.8.2009. N. 4 ricevute per pasti sono intestate al Gruppo (Rif. 63, 121, 216 e 305): in una, per Euro 1.800,00, la causale "affitto sala per rinfresco politico" è stata aggiunta a penna; in un'altra, datata 29.12.2009, per Euro 2.115,00, reca la causale "Cena degli auguri". È stata rendicontata anche una spesa per l'acquisto di un "album" (Rif. 76) e presso un negozio di abbigliamento per bambini (Rif. 89).
· Categoria E-bis. Tra le tante, sono state rendicontate spese per n. 21 confezioni natalizie e n. 10 panettoni fatturate il 12.1.2009 per Euro 2.064,40 (Rif. 2) nonché per n. 30 cestini pasquali e n. 55 confezioni per "manifestazione politica" fatturate il 30.5.2009 per Euro 4.005,15 (Rif. 5); per omaggi floreali per Euro 600,00 (Rif. 3), fiori e piante per Euro 570,00 (Rif. 6); per articoli di pelletteria (80 guanti) per Euro 680,00 (Rif. 7) e per abbigliamento per Euro 1.270,00 (Rif. 8).
L'analisi dettagliata delle spese dichiarate illegittime induce il Collegio a ritenere corretta la valutazione operata dal giudice di primo grado circa l'assenza, nella documentazione puntualmente esaminata, degli elementi che consentono di collegare la spesa rendicontata alle finalità istituzionali del Gruppo consiliare di appartenenza.
Ci si riferisce, in particolare, alle spese per regali natalizi o pasquali e regalie varie in favore di non meglio indentificati soggetti, non ammissibili dovendo essere ritenute atti di liberalità a mero titolo personale del consigliere; alla spesa per ricariche telefoniche o "missioni" fuori regione effettuate in favore di "collaboratori" del Gruppo; alla spesa di taxi o per l'utilizzo dell'auto, non consentita in considerazione del rimborso forfetario mensile riconosciuto dalla Regione al singolo consigliere; alla spesa per pranzi e pasti con numerosi commensali (fino a trenta o sessanta), ovviamente non indicati; alla spesa per omaggi floreali o per l'acquisto di fiori e piante, di articoli di pelletteria o di abbigliamento.
Tutte spese non ricollegabili all'attività del gruppo e neppure alla specifica attività svolta dal consigliere.
14. Non si può non concordare con le valutazioni del giudice di primo grado nel ritenere di natura dolosa la condotta dei convenuti. Emergono, nella vicenda, ripetuti e deprecabili episodi di sperpero di pubblico danaro, che è stato sistematicamente distolto dalle finalità cui era destinato, da parte di soggetti chiamati a svolgere funzioni di alta rappresentanza del corpo elettorale nella consapevolezza di non essere sottoposti ad alcuna forma di controllo. Le censure di merito proposte innanzi al giudice di prime cure, ripetute anche in questa sede, fanno sottintendere, secondo il Collegio, più che una eccessiva leggerezza e superficialità nella gestione dei fondi erogati al Gruppo consiliare di appartenenza, la piena consapevolezza di utilizzare delle risorse del Gruppo senza, perciò, attenersi ad una puntuale disciplina. Gli stessi appellanti, infatti, hanno abbondantemente evidenziato che la legge regionale in vigore nel 2009 non prevedeva alcuno specifico controllo sull'inerenza della spesa da parte degli organi regionali, e ciò corrisponde al vero, come sopra precisato circa gli effetti della modifica del comma 5 dell'art. 4-bis della L.R. n. 38 del 1990, ad opera dell'art. 3, comma 2, della L.R. n. 33 del 6 agosto 2009. Ma una situazione siffatta, come sopra osservato, non va di certo a vantaggio degli appellanti, i quali, proprio perché consci dell'assenza di regole stringenti di rendicontazione -a prescindere dalle motivazioni che hanno indotto il legislatore regionale ad allentare, se non addirittura a sopprimere, l'unica tipologia di controllo sui rendiconti dei Gruppi da parte dell'apposita Commissione- avrebbe dovuto indurre i consiglieri regionali ad assumere un più elevato senso di responsabilità nell'utilizzo delle risorse destinate al Gruppo, nel rispetto dei canoni di ragionevolezza imposti dalla natura pubblica delle risorse e del vincolo di destinazione imposto dalla normativa regionale.
Conclusivamente, i motivi di appello non possono trovare accoglimento, non essendo stati offerti elementi in grado di comprovare la conformità a legge degli esborsi sostenuti e di superare le criticità analiticamente esposte nella pronuncia impugnata.
Né può essere attribuito alcun rilievo, per quanto sopra osservato, alla sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti di altri soggetti nel giudizio penale di appello, sebbene riguardante -secondo gli appellanti- vicende simili a quelle qui all'esame. Trattandosi infatti di vicende concernenti diversi soggetti, le (differenti) valutazioni del giudice penale non assumono alcun rilievo nel presente giudizio di danno secondo le regole di cui agli artt. 651 e 652 del c.p.p..
Pertanto, gli appelli devono essere respinti e, per l'effetto, dev'essere confermata la condanna di entrambi gli appellanti al risarcimento del danno arrecato alla Regione Liguria.
Non si fa luogo all'esercizio del potere riduttivo in presenza di condotte inequivocabilmente dolose.
Restano assorbite le rimanenti censure.
In applicazione del principio di soccombenza, gli appellanti vanno condannati alle spese del presente grado di giudizio ex art. 31 comma 5 del codice di giustizia contabile, ferma restando la statuizione sulle spese del primo grado.
P.Q.M.
la Corte dei conti - Sezione Prima Giurisdizionale Centrale d'Appello, definitivamente pronunciando, previa riunione degli appelli iscritti al n. 57390 del registro di segreteria, li rigetta e, per l'effetto, conferma la sentenza di prime cure.
Pone a carico delle parti appellanti, in solido, le spese di giudizio che si liquidano in Euro 176,00 (centosettantasei/00).
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 25 novembre 2021.
Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2022.
01-05-2022 18:53
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