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Sentenza

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La guardia forestale durante un controllo rinviene un fucile di proprietà dell'interessato, unitamente ad un silenziatore, trovato in possesso di altra persona che esercitava l'attività venatoria in una giornata di divieto della stessa: inoltre, sull'estremità della canna del fucile medesimo risultava realizzata una "filettatura" finalizzata all'installazione di un silenziatore, atto a rendere più insidioso l'uso dell'arma.
Cons. Stato Sez. III, Sent., (ud. 01-10-2020) 14-10-2020, n. 6226


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 838 del 2019, proposto da

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Flavio Maria Bonazza, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Paolo Migliaccio in Roma, via Cosseria n. 5;

contro

Ministero dell'Interno e Questura di Trento, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.R.G.A. della Provincia di Trento -OMISSIS-, resa tra le parti

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di Trento;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 ottobre 2020 il Cons. Ezio Fedullo e udito per la parte appellante l'Avvocato Flavio Maria Bonazza;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con la sentenza appellata, il T.A.R. Trentino-Alto Adige ha respinto il ricorso proposto dall'odierno appellante avverso il decreto del Questore della Provincia di Trento -OMISSIS-, recante la revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia ed il divieto di detenzione di armi, munizioni ed esplosivi di qualsiasi tipo e categoria.

Deve premettersi che il provvedimento traeva origine dal fatto che il -OMISSIS-, nell'ambito di un controllo effettuato dal personale appartenente alla stazione forestale di -OMISSIS-di proprietà dell'interessato, unitamente ad un silenziatore, era stato trovato in possesso di altra persona che esercitava l'attività venatoria in una giornata di divieto della stessa: inoltre, sull'estremità della canna del fucile medesimo risultava realizzata una "filettatura" finalizzata all'installazione di un silenziatore, atto a rendere più insidioso l'uso dell'arma.

I fatti descritti, per i quali l'appellante veniva anche sottoposto a procedimento penale, venivano ritenuti dall'Amministrazione idonei a dimostrare una sua capacità di abuso e il venir meno delle condizioni di affidabilità e buona condotta alle quali deve essere subordinata l'autorizzazione al porto di fucile: ciò anche tenuto conto che la vigente normativa sulle armi annovera il silenziatore per arma da fuoco come parte di arma da guerra per la quale è vietata la detenzione e che, qualora si trovi montato su un'arma, anche questa deve essere classificata arma da guerra.

Il T.A.R., ai fini reiettivi del ricorso, dopo aver evidenziato che la revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia era stata disposta ai sensi dell'art. 43, comma 2, del T.U.L.P.S., ovvero sulla scorta del giudizio di non buona condotta e inaffidabilità quanto al non abuso delle armi formulato nei confronti del suo titolare, ha posto l'accento sui fatti avvenuti in data -OMISSIS-, rilevando che, indipendentemente dall'esito penale favorevole per il ricorrente della vicenda relativa al prestito e alla alterazione del fucile, gli stessi avevano "complessivamente evidenziato un abbassamento della soglia di affidabilità nel non abuso delle armi, correttamente e non irragionevolmente valorizzato dall'amministrazione".

Ad ulteriore supporto del provvedimento impugnato, il giudice di primo grado ha evidenziato che la Questura aveva tenuto opportunamente conto del comportamento del ricorrente relativamente alla cessione in comodato dell'arma, atteso che la dichiarazione di comodato d'uso dell'arma, congiuntamente sottoscritta dal ricorrente e dal comodatario, era stata resa solo successivamente al controllo da parte della stazione forestale e senza informare i Carabinieri del sequestro del fucile e dei fatti avvenuti il giorno precedente.

Infine, il T.A.R. ha rilevato che "il pur lecito prestito dell'arma a un soggetto che con la stessa ha poi esercitato la caccia in giorni di silenzio venatorio e con mezzi vietati (reati di cui all'art. 30 lettere f) e h) della L. 11 febbraio 1992, n. 157) evidenzia, pur nell'eventuale inconsapevolezza dell'utilizzo improprio da parte del comodatario, scarsa ponderazione e cautela nella cessione dell'arma in contrasto con gli obblighi di custodia della stessa, oltreché la frequentazione da parte del ricorrente con un cacciatore di frodo scarsamente compatibile con i requisiti di buona condotta ed affidabilità nell'uso delle armi (C.d.S., sez. III, n. 5352/2016)".

La sentenza appellata viene censurata dall'originario ricorrente, che imputa al giudice di primo grado, in sintesi, di non aver colto i principali profili fattuali rilevanti ai fini della decisione e di non aver fatto corretta applicazione alla fattispecie dei principi giuridici pertinenti.

Si oppone invece all'appello, sostenendo la rispondenza della sentenza appellata ai giusti canoni decisori, l'appellato Ministero dell'Interno.

Tanto premesso, deve osservarsi che l'impugnato provvedimento - di revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia e di divieto di detenzione di armi e munizioni - trova origine nella prefigurata sussistenza della condizione ostativa di cui all'art. 43, comma 2, R.D. n. 773 del 1931, a mente del quale "la licenza può essere ricusata (...) a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi".

A fondare la prognosi di inaffidabilità concorrono, ad avviso dell'Amministrazione, essenzialmente i fatti verificatisi in data -OMISSIS-, allorché personale del Corpo Forestale, in occasione di un controllo nei confronti del sig. -OMISSIS-, rinvenivano nella sua disponibilità un fucile marca -OMISSIS-e un silenziatore artigianale, "che l'interessato dichiarava essere tutti di proprietà di -OMISSIS-

Si evince altresì dal provvedimento impugnato in primo grado che "al momento del controllo il signor -OMISSIS-, a fronte della richiesta degli operanti se avesse una dichiarazione di comodato d'arma, affermava di non avere nulla", che "il signor Mologni, unitamente all'altra persona trovata in possesso dell'arma suddetta, si recava presso la Stazione dei Carabinieri competente presentando una dichiarazione di comodato del fucile, senza avvertire i militari che la sera precedente era stato sottoposto a sequestro penale dai Forestali" e che "l'alterazione del fucile con realizzazione della filettatura al fine di applicare un silenziatore per rendere l'uso dell'arma più insidioso risulta evidente dagli accertamenti eseguiti dai Forestali che, nel controllare lo zaino di -OMISSIS-, trovavano il fucile con il silenziatore avvitato alla canna".

Come si evince dalla surriportata ricostruzione del contenuto motivazionale del provvedimento impugnato, quindi, il giudizio di non piena affidabilità dell'appellante è connesso, tra l'altro, alla esecuzione, sull'arma di sua proprietà e concessa in uso al sig. -OMISSIS-, in violazione dell'art. 3 L. n. 110 del 1975, di una modifica (filettatura) destinata alla installazione di un dispositivo (silenziatore) atto a rendere maggiormente insidioso l'utilizzo ed espressamente vietato dall'art. 21, comma 1, lett. u) L. n. 157 del 1992, oltre che qualificato come "parte di arma da guerra" e pertanto tale da giustificare la qualificazione come "arma da guerra" anche del fucile sul quale si trovava installato.

Deve altresì osservarsi che, come posto in evidenza dalla sentenza appellata (e non contestato, sul piano della ricognizione dei principi vigenti in subiecta materia, dalla parte appellante), la formulazione del giudizio di inaffidabilità in relazione all'uso delle armi si ispira a criteri meno stringenti, sul piano probatorio e valutativo, rispetto a quelli operanti in ambito penale: criteri la cui elaborazione ed applicazione alla concreta fattispecie è rimessa alla discrezionalità dell'Amministrazione, fermo il potere di controllo del giudice amministrativo laddove la concreta espressione di quell'attività valutativa sia smentita dalle risultanze fattuali o inficiata da evidenti profili di irragionevolezza.

Da tale postulato si evince il corollario - particolarmente pertinente in relazione alla fattispecie in esame, come si vedrà - secondo cui l'esito del processo penale eventualmente instaurato, a latere del procedimento amministrativo teso all'adozione di una misura inibitoria, in tanto può assumere rilievo condizionante nei confronti di quest'ultimo, in quanto sia tale da destituire di ogni credibilità l'addebito giustificativo del giudizio di inaffidabilità e/o pericolo di abuso, incrinando i presupposti stessi sui quali si fonda la prognosi indiziaria formulata dall'autorità amministrativa: laddove, invece, la diversità degli esiti attinti nelle due sedi sia esclusivamente riconducibile alla difformità dei parametri di giudizio in esse imperanti, e gli elementi indiziari raccolti nel procedimento amministrativo, anche alla luce della specificità delle contestazioni in esso articolate rispetto all'imputazione penale e della peculiarità del suo svolgimento temporale rispetto al processo penale, siano sufficienti, secondo ragionevolezza, a sostenere la formulazione del giudizio di inaffidabilità, nessun riflesso automatico, in punto di legittimità del provvedimento inibitorio, potrà ricavarsi dall'esito assolutorio eventualmente raggiunto dal giudice penale.

Tanto premesso, e muovendo proprio dalla sentenza del Tribunale di Trento n. 916 del 15 febbraio 2018, con la quale l'odierno appellante è stato assolto dal reato di cui all'art. 3 L. n. 110 del 1975 (contestato in relazione alla imputazione di aver alterato le caratteristiche meccaniche del fucile suindicato, realizzandovi una filettatura destinata alla installazione di un silenziatore), deve in primo luogo osservarsi che la pronuncia assolutoria si fonda sulle "dichiarazioni pienamente confessorie" del sig. -OMISSIS-, in ordine alla realizzazione della filettatura ed al possesso del silenziatore.

Ebbene, deve escludersi che alla sentenza suindicata possa attribuirsi rilievo vincolante nel giudizio amministrativo, ai sensi dell'art. 654 c.p.p., a mente del quale "nei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale, la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa".

Deve invero osservarsi che, a prescindere dal fatto che l'ipotetica violazione dell'effetto del giudicato penale sul giudizio amministrativo, sulla scorta della suddetta disposizione, non ha costituito oggetto di alcun motivo di appello (nonostante, alla data della pronuncia della sentenza appellata, il giudicato dovesse considerarsi formato sulla menzionata sentenza penale), deve osservarsi che il "fatto" oggetto del giudizio amministrativo non coincide tout court con la responsabilità dell'appellante in ordine alla realizzazione della filettatura, sulla quale si è pronunciato il giudice penale, ma con la coerenza del provvedimento impugnato in primo grado rispetto alle acquisizioni istruttorie del procedimento amministrativo, disponibili per l'Amministrazione all'atto della sua definizione, anche alla luce dei peculiari (e diversi rispetto a quelli operanti in ambito penale) parametri probatori in esso vigenti.

In tale contesto, non può negarsi che la prognosi di inaffidabilità sulla quale si regge il provvedimento impugnato trovi riscontro negli elementi istruttori acquisiti dall'Amministrazione e non decisamente contraddetti dalle argomentazioni del giudice penale.

Iniziando da queste ultime, correlate come si è detto alle "dichiarazioni pienamente confessorie" dell'-OMISSIS-, deve osservarsi che appare quantomeno dubbio, nella prospettiva indiziaria in cui diversamente si colloca la valutazione amministrativa, che il suddetto - al quale l'arma, secondo le deduzioni contenute nell'atto di appello, era stata concessa in comodato il -OMISSIS- - avesse provveduto lo stesso giorno alla realizzazione della filettatura, peraltro senza acquisire il preventivo assenso del proprietario.

Ugualmente poco verosimile, sempre sulla scorta dei dati in possesso dell'Amministrazione all'atto dell'adozione del provvedimento impugnato, non poteva non apparire l'assenza di ogni responsabilità dell'appellante in ordine alla detenzione ed all'uso del silenziatore, alla luce delle dichiarazioni dell'-OMISSIS-, richiamate nel provvedimento medesimo, secondo cui sia il fucile che il silenziatore artigianale erano di proprietà dell'odierno appellante.

Peraltro, anche ammessa la ipotizzabilità di una "scissione" tra filettatura (che lo stesso appellante dichiara essere stata "realizzata" per suo conto da un armaiolo, sebbene allo scopo lecito di utilizzare il cd. freno di bocca, ovvero uno strumento finalizzato ad attenuare l'effetto di "rinculo") e silenziatore (illecitamente installato ed utilizzato dall'-OMISSIS-), deve osservarsi che, a fronte di un acclarato utilizzo improprio della filettatura e della possibilità astratta di un suo alternativo uso lecito, l'Amministrazione abbia ragionevolmente posto l'accento, in chiave preventiva, sul primo, nel perseguimento dell'obiettivo di garantire che il rilascio ed il possesso della licenza non si traduca nella compromissione delle condizioni di sicurezza e legalità cui deve conformarsi il possesso e l'impiego delle armi.

Né vale, in senso contrario, porre l'accento sulla avvenuta restituzione del fucile, pur così modificato, al suo proprietario, con il conseguente venir meno del suo originario sequestro, discendendo essa dal mancato accertamento della responsabilità del suddetto in ordine al reato di illecita alterazione dell'arma, a sua volta derivante, come accennato, dai rigorosi canoni probatori vigenti nel processo penale.

Ma le deduzioni attoree non possono essere condivise nemmeno laddove, al fine di giustificare la mancata rappresentazione ai Carabinieri della Stazione di -OMISSIS-, all'atto della presentazione della dichiarazione di comodato del fucile dal proprietario sig. -OMISSIS--, dell'avvenuto (il giorno precedente) sequestro del fucile da parte dei Forestali, si fa leva sulla mancata conoscenza del sequestro da parte dell'appellante e sull'assenza di alcuna previsione di legge in ordine all'obbligo di riferire della misura ablatoria: da un lato, infatti, risulta del tutto implausibile che l'-OMISSIS-, che aveva subito il sequestro, non ne avesse fatto menzione al proprietario dell'arma, dall'altro lato, la mancata comunicazione del sequestro, a prescindere dall'esistenza di una norma puntuale che la preveda, integra comunque la violazione del dovere di trasparenza e collaborazione che si instaura tra Autorità di P.S. e titolare della licenza, funzionale a rendere la prima edotta di tutte le circostanze rilevanti attinenti all'uso (ed al possesso) dell'arma.

Nemmeno rileva, da questo punto di vista, che il provvedimento impugnato non contenga alcun riferimento alla "sintonia di intenti" che sarebbe sussistita tra l'appellante ed il sig. -OMISSIS-, come affermato dal giudice di primo grado, tenuto conto del fatto che il primo richiama l'omissione dichiarativa sopra evidenziata al fine principale di porre in evidenza il comportamento non cristallino del titolare della licenza.

Quanto poi alla affermata imputabilità al solo comodatario della comunicazione degli eventi incidenti sulla detenzione dell'arma, deve osservarsi che il comodante, sottoscrivendo insieme al primo la dichiarazione di comodato e consegnandola all'autorità di P.S., fa proprie le dichiarazioni (ovvero le omissioni) del primo e le connesse responsabilità.

Scolora quindi, in tale contesto, la tempestività della denuncia, quale elemento sul quale la parte appellante fa leva al fine di dimostrare di aver conformato il suo comportamento a diligenza e rispetto delle regole, venendo invece in primo piano il contenuto omissivo della stessa, a dimostrazione della mancanza di lealtà del dichiarante (recte, dei dichiaranti) nei confronti dell'Amministrazione.

Infine, a riprova della carenza istruttoria del provvedimento impugnato, non potrebbe farsi leva sull'assunto secondo cui il Questore avrebbe dovuto attendere il deposito delle motivazioni della sentenza ampiamente assolutoria emessa dal Tribunale di Trento e comunque tenere conto del dispositivo assolutorio, pubblicato solo venti giorni dopo l'adozione del provvedimento di revoca, sia perché l'Amministrazione ha ritenuto di disporre degli elementi necessari ai fini delle sue determinazioni, sia perché non risulta che essa fosse stata messa al corrente dell'imminente definizione del giudizio penale (di cui non è fatta menzione nemmeno nelle osservazioni presentate in sede procedimentale dall'appellante, che non contengono al riguardo alcuna richiesta di differimento in attesa dell'esito del processo penale).

Deve solo aggiungersi che, essendo stata verificata la correttezza della sentenza appellata e la legittimità del provvedimento impugnato sulla scorta dei profili motivazionali emergenti da quest'ultimo, può prescindersi dall'esame dei motivi di appello intesi a contestare le asserite "integrazioni" giustificative operate dal giudice di primo grado rispetto al contenuto motivazionale dell'atto impugnato.

L'appello, in conclusione, deve essere respinto, mentre la peculiarità dell'oggetto della controversia giustifica la compensazione delle spese del giudizio di appello.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante e le altre persone menzionate in motivazione.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2020 con l'intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Raffaello Sestini, Consigliere

Solveig Cogliani, Consigliere

Ezio Fedullo, Consigliere, Estensore
Avv. Antonino Sugamele

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