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Sentenza

Edilizia: le motivazioni del diniego di condono edilizio possono essere sintetic...
Edilizia: le motivazioni del diniego di condono edilizio possono essere sintetiche?
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 26 febbraio 2020, n. 1421

Pubblicato il 26/02/2020
N. 01421/2020REG.PROV.COLL.
N. 00412/2011 REG.RIC.
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 412 del 2011, proposto dalla società Floria
S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv.
Roberto Righi, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Roma, via G.
Carducci, n. 4,
contro
il Comune di Camaiore, non costituito in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione
Terza) n. 1679/2010, resa tra le parti, concernente diniego di condono edilizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2020, il Cons. Carla Ciuffetti,
udito per le parti l'avv. Francesco Paoletti su delega dell'avv. Roberto Righi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe il Tar per la Toscana respinto il ricorso della società
odierna appellante avverso il provvedimento del Comune di Camaiore, in data 17
luglio 1998, prot n. 25302, recante parziale diniego di condono edilizio, nonché
avverso gli atti presupposti, connessi e conseguenti, tra cui il parere parzialmente
contrario della Commissione edilizia integrata (CEI) espresso nella seduta in data 20
aprile 1998.
La società appellante aveva presentato istanza di condono in data 26 marzo 1986
per i seguenti interventi edilizi effettuati tra il 1976 ed il 1983: ristrutturazione edilizia
di un immobile, con ampliamento delle superfici utili anche mediante chiusura di
una veranda; demolizione e costruzione di un nuovo ripostiglio, nonché
ampliamento di un altro ripostiglio. Il diniego di condono edilizio si riferiva alla
costruzione di una veranda al primo piano dell'immobile e a quella di un ripostiglio
da esso distaccato.
Il provvedimento impugnato, richiamando il parere parzialmente negativo della
CEI, motivava il diniego di condono: per la veranda, in ragione della “totale
discrepanza del materiale con cui è realizzata, rispetto al resto del manufatto, delle linee estetiche
ed architettoniche, sia del fabbricato su cui insiste, che dell'intorno ambientale in cui si colloca,
nonostante la consistenza tutt'altro che precaria”; per il nuovo ripostiglio in ragione del
“mancato inserimento ambientale dato dalla precipua tipologia costruttiva, nonché dal precario stato
strutturale”.
2. Con un unico motivo di appello, la società ricorrente deduce l'erroneità della
sentenza in epigrafe circa: la violazione dei principi desumibili dall'art. 32 della l. n.
47/1985, dagli artt. 7 e 15 della l. n. 1497/1939, dagli artt. 1 e 3 della l. n. 241/1990
e dei principi circa il sindacato sul fatto nella giurisdizione di legittimità; l'omesso
esame di documenti decisivi prodotti in giudizio; l'insufficiente e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia.
Erroneamente il Tar non avrebbe rilevato la genericità della motivazione del
provvedimento impugnato e la controversia sarebbe stata decisa senza tenere conto
dell'effettiva consistenza delle opere. Dato il favor per il condono edilizio cui sarebbe
ispirato l'art. 32 della l. n. 47/1985, il rigetto dell'istanza di sanatoria avrebbe dovuto
assolvere ad un “onere di motivazione particolarmente intenso” quale quello cui sono
soggetti i provvedimenti adottati ai sensi dell'art. 7 della l. n. 1497/1939. La
circostanza che le opere controverse rientrassero nella tipologia 3 della tabella
allegata alla l. n. 47/1985, in quanto conformi agli strumenti urbanistici del Comune
di Camaiore al momento della loro realizzazione, non era stata presa in debita
considerazione dal Tar che, erroneamente, avrebbe ritenuto che non incombesse
sull'Amministrazione alcun onere di “indicare gli eventuali rimedi possibili tesi ad assicurare
la compatibilità paesaggistica”.
La documentazione fotografica in atti rappresenterebbe “una istruttoria sensibilmente
diversa” da quella cui sarebbe pervenuto il primo giudice, duplicando quella svolta
dall'Amministrazione. Infatti, per il ripostiglio, tale documentazione avrebbe
mostrato che i pali, “anziché di legno, sono, e sono sempre stati, di cemento armato, tanto che
su taluno di essi è addirittura ancora possibile leggervi impressa la data della sua fabbricazione e
posa in opera” e avrebbe evidenziato che “la consistenza, la collocazione e lo stato attuale di
tale locale ripostiglio non giustificano in alcun modo la conclusione circa il ‘precario stato strutturale
e la precaria tipologia costruttiva' di tale opera, fatta propria dal T.A.R.”, né quella di un
impatto visivo autonomo rispetto al muro in cui lo stesso ripostiglio è inserito.
Inoltre, il primo giudice avrebbe avuto un'erronea percezione dei fatti della
controversia e dell'irragionevolezza e dell'immotivata disparità di trattamento subita
dalla società ricorrente per effetto del rilascio, da parte dell'Amministrazione, di una
concessione in sanatoria per la costruzione, in un altro immobile sito a breve
distanza da quello di cui si controverte e lungo la stessa via, di una veranda con
“morfologia molto simile”. Tale circostanza costituirebbe un “elemento sintomatico di eccesso
di potere”, per l'illogicità dell'istruttoria svolta ai fini dell'atto impugnato.
3. Il Collegio ritiene che la sentenza in epigrafe sia esente dalle censure denunciate
dall'interessato con il presente appello.
Va premesso che è pacifico l'orientamento giurisprudenziale per cui, in presenza di
vincoli insistenti sul territorio, come è nel caso in esame, non è il provvedimento di
diniego, ma quello di assenso alle modificazioni del territorio a richiedere una
congrua motivazione che dia conto delle ragioni che rendono possibile la prevalenza
di un interesse diverso da quello tutelato in via primaria dalla previsione del vincolo
(cfr. Cons. Stato, a.p., 14 dicembre 2001, n. 9). Ciò posto, secondo l'indirizzo di
questo Consiglio, cui il Collegio intende dare continuità, “non è illegittima una
motivazione, anche succinta, di un diniego di sanatoria (al quale ben può equipararsi una
dichiarazione di irricevibilità della domanda di sanatoria) di opere in quanto nel sistema non è
ravvisabile a carico dell'amministrazione l'obbligo di indicare, in una logica comparativa degli
interessi in gioco, prescrizioni tese a rendere l'intervento compatibile con il paesaggio nella bellezza
di insieme tutelata, la cui protezione risponde ad un interesse pubblico normalmente prevalente su
quello privato, anche per la rilevanza costituzionale che il primo presenta ex art. 9 Cost. (cfr., fra
le altre, Cons. Stato, sez. VI, 13 settembre 2010 n. 6572 e sez. V, 19 ottobre 1999 n. 1587)”
(Cons. Stato, sez. VI, 19 settembre 2018, n. 5463).
Dunque, non incombeva sull'Amministrazione alcun obbligo di stabilire prescrizioni
per rendere compatibili dal punto di vista ambientale gli interventi edilizi realizzati
dal ricorrente e la motivazione del provvedimento impugnato, che richiama il parere
negativo della CEI, si iscrive coerentemente nella giurisprudenza di questo Consiglio
per cui “ai sensi dell'art. 31 e ss. della L. 47/85, il parere negativo formulato dall'Autorità
preposta alla tutela del vincolo paesaggistico (nel caso di specie la Commissione Beni Ambientali
del Comune), ha valore vincolante e preclusivo del procedimento di condono edilizio. Tale parere
può essere sinteticamente motivato nel riferimento alla descrizione delle opere e alle concrete
circostanze nelle quali le stesse sono collocate, essendo la difesa del paesaggio valore costituzionale
primario” (Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2018 n. 6276).
Per quanto concerne il ripostiglio, la documentazione fotografica in atti non vale a
confutare la valutazione di precarietà della relativa struttura, della cui tipologia
costruttiva resta comunque non smentito il mancato inserimento ambientale rilevato
dalla CEI.
Per quanto riguarda la veranda e la censura di eccesso di potere per disparità di
trattamento con riferimento ad altra opera edilizia posta sulla stessa via, il Collegio
nota che la società ricorrente non ha dimostrato in alcun modo quell'assoluta identità
di situazioni di fatto e di conseguente assoluta irragionevole diversità del trattamento
che le sarebbe stato riservato, di cui la giurisprudenza di questo Consiglio richiede
che venga fornita dall'interessato una prova rigorosa, fermo restando che “la
legittimità dell'operato della p.a. non può comunque essere inficiata dall'eventuale illegittimità
compiuta in altra situazione” (Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 2013, n. 1323; cfr. Cons.
Stato, sez. VI, 11 giugno 2012, n. 3401 e 20 maggio 2011, n. 3013).
Per quanto sopra esposto, l'appello deve essere respinto. Non si fa luogo alla
pronuncia sulle spese processuali del grado di giudizio non essendosi costituito il
Comune di Camaiore.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente
pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto,
conferma la sentenza impugnata.
Nulla sulle spese processuali del grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2020 con
l'intervento dei magistrati:
Raffaele Greco, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Giovanni Sabbato, Consigliere
Francesco Frigida, Consigliere
Carla Ciuffetti, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Carla Ciuffetti Raffaele Greco
IL SEGRETARIO
Avv. Antonino Sugamele

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