Trapani. Dipendente dell'Agenzia delle Entrate condannato a pagare 15.000 euro per danno erariale (danno di immagine).-
Corte dei Conti Sicilia Sez. giurisdiz., Sent., (ud. 30-01-2019) 04-03-2019, n. 168
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA
composta dai magistrati:
dott. Guido Carlino - Presidente
dott.ssa Adriana Parlato - Giudice
dott.ssa Carola Corrado - Giudice relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità, iscritto al n. (...) del registro di segreteria, promosso dal Procuratore regionale nei confronti di:
G.R., nato ad E. (T.) il (...), ivi residente in via E. n. 10, rappresentato e difeso dall'avv. Franco Campo (p.e.c. franco.campo@avvocatitrapani.legalmail.it) ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Antonietta Sartorio, in Palermo, via T. Tasso n. 4 (pec sartorioantonietta@pec.ordineavvocatimarsala.it
Esaminati gli atti e documenti di causa;
Uditi, nella pubblica udienza del 30 gennaio 2019, il relatore, dott.ssa Carola Corrado, il Pubblico Ministero, nella persona del dott. Alessandro Sperandeo, e, per il convenuto, l'avv. Pasquale Perrone in sostituzione dell'avv. Campo.
Ritenuto in
Svolgimento del processo
Con atto di citazione, notificato il 27 luglio 2018, la Procura presso questa Sezione regionale ha convenuto in giudizio il Sig. R.G. per sentirlo condannare al pagamento, in favore del Ministero dell'Economia e delle Finanze - Agenzia delle Entrate, della somma di Euro 20.000,00, oltre rivalutazioni ed interessi legali, nonché delle spese legali in favore dello Stato.
La Procura ha appreso da un articolo di stampa, pubblicato su "La Sicilia di Trapani", la notizia riguardante i fatti di corruzione, concussione e falso posti in essere dal convenuto, che, quale consigliere comunale e funzionario dell'Agenzia delle Entrate, in cambio del sostegno elettorale, aveva sorvolato su irregolarità negli accertamenti fiscali che erano stati condotti a carico di aziende, società ed attività commerciali.
Per tali fatti inoltre la sentenza, n. 5244/2016 della Corte d'Appello di Palermo, passata in giudicato, ha condannato lo stesso R. per il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità, di cui all'art. 319 quater c.p., alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione. Da detta sentenza emerge che, a seguito di un controllo fiscale, il Sig. M., gestore del Cafè Plaza, aveva contattato il R., il quale lo aveva esortato a consegnargli il verbale, rassicurandolo sul fatto che avrebbe pagato un quarto della sanzione e invitandolo a presentarsi come suo "compare" in caso di eventuali futuri controlli. Invero, secondo le dichiarazioni del Sig. M., questi aveva conosciuto il R. in occasione di un precedente controllo, al cui esito erano state rilevate irregolarità sui propri lavoratori dipendenti, che avrebbero comportato una sanzione di Euro 100.000,00. E tale sanzione sarebbe stata evitata da parte del Sig. M. in cambio dell'appoggio elettorale al R..
La Procura, ritenendo sussistere un danno all'immagine per l'amministrazione finanziaria, ha notificato quindi l'invito a dedurre all'odierno convenuto, il quale ha presentato le proprie deduzioni difensive e ha chiesto di essere ascoltato.
In detta occasione il Sig. R. ha dichiarato che vi era stata la sua assoluzione per il reato di corruzione, avendo rifiutato l'offerta di prostitute in cambio di favori, che la vicenda, oggetto di odierna contestazione, era stata divulgata solo per un brevissimo lasso di tempo e che la propria condotta era comunque da caratterizzarsi in termini di leggerezza e millanteria.
Le argomentazioni difensive del R. non erano però ritenute idonee a superare le contestazioni.
L'ufficio requirente nell'atto di citazione ha indicato come sussistenti tutti i requisiti e gli elementi per la configurazione di un danno all'immagine. In particolare vi sarebbe: la condotta costituente un reato contro la P.A., che legittimerebbe l'azione per danno all'immagine; una sentenza passata in giudicato, in base alla quale devono ritenersi sussistenti i fatti illeciti commessi ad opera del convenuto (ex art. 651 c.p.p.); il discredito alla credibilità dell'Agenzia delle Entrate.
Peraltro, rispetto alle deduzioni difensive, la Procura ha affermato che l'assoluzione per il reato di corruzione riguarderebbe fatti diversi da quelli oggetto della condanna per il reato di cui all'art. 319 quater c.p. E questi fatti, come accertati nella sentenza di condanna, non costituirebbero millanterie ma configurerebbero una condotta più grave. Allo stesso modo la limitata diffusione mediatica delle notizie a mezzo stampa non escluderebbe il danno, poiché lo stesso, quale danno evento, dovrebbe ritenersi prodotto nel momento in cui è posta in essere la condotta lesiva.
Infine la Procura ha quantificato il danno in Euro 20.000,00, tenuto conto di alcuni indicatori di lesività, quali la gravità in astratto della fattispecie penale, la gravità in concreto delle condotte accertate, il grado di immedesimazione organica con l'ente e il clamor fori.
Si è costituito in giudizio il Sig. R., rappresentato dall'avv. Franco Campo e domiciliato presso l'Avv. Antonietta Sartorio. La difesa nella memoria depositata si articola su tre profili: la sussistenza del danno, la prescrizione e la quantificazione del danno medesimo.
In ordine al primo profilo, viene richiamata giurisprudenza contabile in base alla quale il danno all'immagine sarebbe provocato da reati che determinano una lesione del prestigio e dell'onorabilità della P.A. accertata in concreto.
Tale circostanza sarebbe però da escludere nel caso di specie, poiché le notizie sarebbero state riportate dalla stampa in pochissime occasioni, pur essendosi la vicenda processuale del R. sviluppata in un arco temporale di otto anni. Inoltre gli stessi articoli sarebbero stati pubblicati da testate a diffusione territorialmente limitata e prima della sentenza definitiva, con la conseguenza che nessun rilievo sarebbe stato dato alla condanna inflitta. A ciò si aggiungerebbe altresì che, essendo stato il R. sospeso dal servizio a seguito del rinvio a giudizio, la lesione alla fiducia nell'amministrazione sarebbe venuta meno con le misure cautelari adottate.
In relazione alla prescrizione poi, secondo la difesa, questa dovrebbe decorrere dal momento in cui il danno all'immagine, con la divulgazione della notizia, diventa concreto e attuale per la p.a. oppure, se il danno all'immagine deriva da un fatto di rilevanza penale, dovrebbe decorrere dalla data del rinvio a giudizio. In entrambe le ipotesi la prescrizione sarebbe comunque già trascorsa nel caso del R., poiché gli articoli pubblicati dalla stampa risalgono al 2009 ed il decreto di rinvio a giudizio è stato emesso in data 8 maggio 2012.
Infine, con riguardo alla quantificazione del danno, secondo la prospettazione difensiva, bisognerebbe considerare l'intero servizio trentennale svolto senza ricevere note di demerito o contestazioni dal R., il quale avrebbe così contribuito positivamente all'immagine dell'amministrazione di appartenenza, compensando il pregiudizio arrecato.
Inoltre la stessa amministrazione avrebbe già ricevuto una prima forma di risarcimento con il licenziamento del convenuto e con il fermo amministrativo del trattamento di fine rapporto. Peraltro, non applicandosi al caso concreto il criterio indicato dall'art. 1, comma 62, L. n. 190 del 2012, il danno non dovrebbe comunque quantificarsi in una misura distante dall'utilità promessa. Tale utilità nel caso di specie sarebbe costituita nella promessa di alcuni voti. Da ultimo, nella quantificazione non sarebbero da trascurare le condizioni economiche del convenuto, il quale ha subito il fermo amministrativo di un quinto del trattamento di fine rapporto, non percepisce allo stato nessun trattamento pensionistico e deve confidare sul sostegno economico della moglie.
La difesa pertanto ha concluso chiedendo: il rigetto della domanda di risarcimento per insussistenza del danno o per intervenuta prescrizione, in via subordinata il rigetto della domanda di risarcimento pari alla somma di Euro 20.000 da riquantificare invece in Euro 5.000,00; in via di ulteriore subordine la quantificazione del risarcimento in misura ridotta rispetto alla richiesta della Procura.
Alla pubblica udienza del 30 gennaio 2019, la Procura, rispetto alle affermazioni della difesa nella memoria, ha puntualizzato, in ordine alla prescrizione, la necessità di una sentenza definitiva di condanna per l'esercizio dell'azione relativa al danno all'immagine ed, in ordine al clamor fori, che lo stesso non sarebbe necessario per la configurazione del danno all'immagine, rappresentando invece uno dei criteri di quantificazione, come individuato dalla giurisprudenza.
Il pubblico ministero ha insistito nella condanna formulata nell'atto di citazione.
La difesa ha ribadito quanto espresso nella memoria, soffermandosi in particolare sul fatto che il R. ha subito la sospensione dal lavoro e tale circostanza dovrebbe incidere sulla configurazione e quantificazione del danno.
Esaurita la discussione, la causa è stata posta in decisione.
Considerato in
Motivi della decisione
1. L'odierno giudizio ha ad oggetto l'accertamento del danno all'immagine subito dal Ministero dell'Economia e delle Finanze - Agenzia delle Entrate, in seguito alle condotte poste in essere dal Sig. R. e per le quali lo stesso è stato riconosciuto responsabile del reato di cui all'art. 319 quater c.p.
2. In via preliminare, nonostante l'ordine delle argomentazioni seguito nella comparsa dalla difesa, occorre esaminare l'eccezione di prescrizione.
Nei termini prospettati però tale eccezione deve ritenersi infondata. Infatti, a tal fine, nell'ipotesi di danno all'immagine non rileva né il momento in cui il danno all'immagine, con la divulgazione della notizia, diviene concreto e attuale per la p.a., né il momento del rinvio a giudizio, se il danno all'immagine deriva da un fatto di rilevanza penale.
Sulla base dell'attuale quadro normativo si ricava che la prescrizione decorre dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, che accerta l'esistenza e la commissione del fatto reato. In particolare l'art. 17, comma 30, D.L. n. 78 del 2009, convertito con L. n. 102 del 2009 e modificato con D.L. n. 103 del 2009, a sua volta convertito con L. n. 141 del 2009, stabilisce che "...Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 della L. 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'articolo 1 della L. 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale...".
Sebbene la norma utilizzi il termine "sospeso", che farebbe intendere come già avvenuto in precedenza il fatto dannoso, la proposizione dell'azione per la pretesa risarcitoria presuppone in ogni caso la sentenza passata in giudicato. Il legislatore ha positivizzato così un precedente orientamento giurisprudenziale. Sul punto infatti la giurisprudenza in numerose sentenze, anche precedenti all'introduzione della sopra richiamata norma, afferma che la fattispecie dannosa all'immagine dell'amministrazione si realizza con la sentenza penale di condanna passata in giudicato. Nell'ottica della presunzione di innocenza, l'azione risarcitoria può essere promossa solo all'esito di un giudizio penale che, con il passaggio in giudicato della sentenza, dia certezza dei fatti e della loro commissione quando siano stati oggetto del clamor dovuto alla diffusione delle notizie. Tale orientamento è consolidato (sul punto, ex plurimis, Sez. Sicilia n. 40 dell'11 gennaio 2019; Appello III, n. 372 del 18.10.2018; Appello Sicilia, n. 208 dell'11.10.2018; Sez. Sicilia, n. 437 dell'11.07.2017; Sez. Abruzzo, n. 151 del 20.12.2017).
Nel caso di specie l'odierno convenuto è stato condannato dal Tribunale di Trapani, la cui decisione è stata confermata dalla sentenza n. 5244/2016 della Corte d'Appello di Palermo, passata in giudicato in data 07.11.2017, in seguito alla declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto in Corte di Cassazione (n. 53117 del 07.11.2017). Ne deriva quindi che la prescrizione non può certamente ritenersi decorsa nell'ipotesi in esame, avendo il R. ricevuto la notifica dell'invito a dedurre in data 27 luglio 2018.
3. Superata l'eccezione di prescrizione, nel merito si ritiene che siano prive di pregio le argomentazioni difensive in ordine all'esistenza ed alla quantificazione del danno. A tal proposito occorre verificare la presenza degli elementi per configurare in concreto il danno ed il suo quantum, muovendo dal dato normativo e dalla ricostruzione pretoria della fattispecie risarcitoria. Oltre la norma sopra richiamata per la prescrizione, il quadro normativo comprende il comma 1 sexies dell'art. 1 della L. n. 20 del 1994, inserito dall'art. 1, comma 62, della L. n. 190 del 2012, che detta una regola per determinare la misura del danno risarcibile, in presenza di un'utilità economica percepita, e che non è però applicabile al caso concreto ratione temporis. Soccorrono comunque i criteri individuati dalla giurisprudenza.
In primo luogo non vi è dubbio sulla possibilità di ipotizzare un danno all'immagine nel caso di specie, poiché ci si trova di fronte ad un reato contro la P.A, ovvero l'induzione indebita a fare o promettere ex art. 319 quater c.p.c., vi è la sentenza di condanna passata in giudicato e, quindi, vi è l'accertamento relativo ai fatti illeciti commessi dal convenuto (art. 651 c.p.p.).
Dalla lettura della sentenza di condanna inoltre si ha contezza delle condotte tenute dal R., che non appaiono semplici millanterie. Più volte nel tempo ci sono stati contatti da parte del convenuto anche con uno stesso soggetto, gestore di un locale, quasi "fidelizzandolo in un rapporto" di favori in cambio di appoggio elettorale. Infatti in una prima occasione di contatto una sanzione veniva evitata in cambio di voti e, sulla base di tale accondiscendenza, anche in una seconda occasione lo stesso gestore faceva riferimento al R. per la sanzione ricevuta nell'ambito di un altro accertamento e riceveva l'invito a presentarsi come suo compare in eventuali futuri accertamenti
Le condotte descritte portano indubbiamente il comune sentire della collettività a non avere fiducia in un'amministrazione finanziaria, che svolgerebbe il proprio compito riscuotendo tributi ed effettuando accertamenti nei confronti dei soli cittadini onesti o "più deboli". Inoltre ingenerare l'idea che sarebbe sufficiente "una conoscenza giusta" per evitare le sanzioni, fa sì che ne esca depotenziato il sistema finanziario al cui presidio sono poste le sanzioni medesime. Si incentiva una realtà che induce i cittadini a preoccuparsi più di cercare il rapporto con i funzionari dell'Agenzia, che di osservare le norme. Ciò peraltro asservito alla politica locale, che indirettamente viene anch'essa colpita nell'immagine, se i propri rappresentati acquisiscono in tal modo il consenso elettorale.
Il mercimonio delle proprie funzioni non può certo dirsi che non integri una condotta grave. Né vale ad escluderne la gravità il fatto che tale discredito possa riguardare solo l'amministrazione territorialmente individuata. Per converso, si osserva che i cittadini di quel territorio possono sentirsi ulteriormente pregiudicati dal fatto di ritenere che certi comportamenti accadano nel luogo in cui vivono piuttosto che in altri, dove l'amministrazione "funzionerebbe meglio".
L'allontanamento quindi, attraverso la sospensione dal servizio, non può certo annullare, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la lesione alla fiducia dell'amministrazione causata da tali condotte.
Nondimeno il discredito provocato all'Agenzia dell'Entrate, sede di Trapani, ha sicuramente più rilievo per i cittadini di Trapani e scarso rilievo per chi vive in altre province. Quindi a nulla vale l'argomentazione che la stampa, sulla quale sono apparse le notizie riguardanti la vicenda in oggetto, sia a diffusione limitata territorialmente.
Del resto il clamor fori rappresenta non un elemento costitutivo necessario per configurare il danno all'immagine, quanto più uno dei criteri utilizzati per la valutazione sull'entità del danno. In tal senso, per la quantificazione, ciò di cui si può tener conto è il fatto che non vi sia prova di notizie pubblicate al momento della condanna definitiva del R.. Infatti gli articoli di stampa risalgono ad un momento nel quale si è dato risalto alle indagini condotte o al rinvio a giudizio e, per la presunzione di innocenza che connota il nostro sistema, non potevano darsi come certi in quel momento i fatti contestati al R.. Si può ritenere a tal proposito che un peso diverso deve esser dato ad una notizia avente ad oggetto una condanna definitiva, sulla base della quale la collettività percepisce come certo quanto accaduto, rispetto ad una notizia avente ad oggetto indagini, che la collettività, pur indignandosi, può percepire come fatto da verificare. Ne discende un clamor, che lede sì l'immagine dell'amministrazione, ma in modo leggermente meno incisivo.
Se a tali considerazione si aggiunge che il R. non ricopriva un ruolo apicale, in quanto non dirigente, si può equitativamente riformulare la quantificazione del danno effettuata dalla Procura, ritenendo congrua la somma di Euro 15.000,00.
Ciò posto, non può valere ad escludere la condanna al risarcimento del danno all'immagine l'avvenuto licenziamento del convenuto, che invece per la difesa costituirebbe già una forma di risarcimento. Infatti il licenziamento costituisce una sanzione disciplinare adottata dall'amministrazione quando un proprio dipendente viola i doveri di ufficio e, realizzando attività criminose, fa venire meno il vincolo di fiducia e correttezza necessario nell'ambito del rapporto di lavoro.
4. In conclusione, ritenuta meritevole di parziale accoglimento la domanda formulata dal Pubblico ministero, il signor R. è riconosciuto responsabile del danno provocato all'immagine dell'amministrazione, presso la quale prestava servizio, e condannato al pagamento a favore dell'Agenzia delle Entrate della somma, comprensiva di rivalutazione, di Euro 15.000,00 (quindicimila), da maggiorarsi degli interessi legali dal deposito della presente sentenza fino al soddisfo.
5. Le spese di causa seguono la soccombenza e vengono liquidate a favore dello Stato, come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana, definitivamente pronunciando nel giudizio di responsabilità n. (...), in parziale accoglimento della domanda del procuratore condanna il Sig. G.R. al pagamento in favore dell'Agenzia delle Entrate della somma, comprensiva di rivalutazione, di Euro 15.000,00, da maggiorarsi con gli interessi legali dal deposito della presente sentenza al soddisfo, nonché in favore dello Stato delle spese di giustizia liquidate in Euro.153,23.
Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2019.
17-09-2019 15:11
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