Presidenza della Regione Siciliana e Assessorato Regionale Beni Culturali e Identità Siciliana contro Comune di Calatafimi.
Cons. giust. amm. Sicilia, Sent., (ud. 06-02-2019) 15-03-2019, n. 247
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
in sede giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 821 del 2018, proposto da:
Presidenza della Regione Siciliana e Assessorato Regionale Beni Culturali e Identità Siciliana - Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Trapani, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Palermo, via Villareale, 6;
contro
Comune di Calatafimi Segesta, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Carlo Comande', presso il cui studio ha eletto il domicilio in Palermo, via Caltanissetta, 2/D;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. SICILIA - PALERMO: sezione I n. 1873/2018, resa tra le parti, concernente il decreto del 15.6.2017 dell'Assessore dei beni Culturali e dell'Identità Siciliana recante rettifiche al precedente decreto del 29.12.2016 di l'adozione del Piano Paesaggistico degli ambiti 2 e 3 ricadenti nella Provincia di Trapani, e ove occorra, del decreto del 29.12.2016 medesimo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Calatafimi Segesta;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2019 il Cons. Hadrian Simonetti, uditi per le parti l'avvocato dello Stato Fabio Caserta e l'avvocato Lucia Di Salvo su delega dell'avvocato Carlo Comandè;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Il Comune di Calatafimi ha impugnato dinanzi al Tar, chiedendone l'annullamento, il decreto dell'Assessorato dei beni culturali e dell'Identità siciliana n. 2694 del 15.6.2017 recante rettifiche al Piano paesaggistico degli Ambiti 2 e 3 ricadenti nella Provincia di Trapani, adottato a sua volta con decreto n. 6683 del 29.12.2016, nonché tale atto, ove occorra.
Muovendo dall'assunto che la rettifica sia qualificabile come un atto di conferma e sia quindi autonomamente lesiva, ha dedotto tre articolati motivi di illegittimità con essi censurando:
-la violazione del giusto procedimento, in particolare il mancato rispetto delle regole di concertazione di cui all'art. 144 del D.Lgs. n. 42 del 2004;
-l'inesatta ed errata indicazione come "boscate" di una serie di aree del territorio comunale di Calatafimi, come tali soggette al livello di tutela 3, che non rientrerebbero invece nel concetto normativo di bosco e che non troverebbero conferma nella rappresentazione cartografica, il che in definitiva non giustificherebbe il vincolo di inedificabilità assoluta che la L.R. n. 16 del 1996 prevede per i boschi;
-la carenza di istruttoria e l'illogicità che sarebbe stata commessa nel redigere la mappa cartografica del piano, dove non sarebbe stato considerato come la legislazione regionale di cui alla L.R. n. 16 del 2016 ha dato impulso alle iniziative edilizie ed economiche che l'adozione del piano finirebbe invece per bloccare, con particolare riferimento al paesaggio locale 17 e 18, sottolineando come non si sarebbe tenuto nel dovuto conto il reale stato dei luoghi e l'esistenza di aree interessate da insediamenti produttivi esistenti.
2. Il Tar, sull'assunto della natura di atto confermativo della rettifica e della sua autonoma lesività, ha accolto il primo motivo riguardante l'omessa partecipazione e concertazione degli enti locali, sottolineando come il vizio procedimentale sarebbe all'origine anche degli errori cartografici e di quelle afferenti la parte normativa del Piano.
Assorbiti gli ulteriori motivi, ha quindi annullato gli atti impugnati.
3. Avverso la sentenza l'Assessorato ha proposto il presente appello, deducendone l'erroneità, con riguardo alla nozione di concertazione istituzionale accolta dal Tar e alla esatta lettura del citato art. 144 che non richiederebbe un concerto in senso tecnico da parte dei comuni nella fase di adozione del Piano, quanto piuttosto un apporto istruttorio, come confermato dai precedenti del CGA in materia (811/2012, 36/2015), che nel caso di specie sarebbe stato loro assicurato a partire dall'incontro tenutosi a maggio del 2012, come comproverebbe nel prosieguo della vicenda anche il contributo offerto dal Comune attraverso la nota del 26.7.2016, a dimostrazione della possibilità avuta dal Comune di formulare proposte o richieste di modifica.
Ha quindi controdedotto sui restanti motivi assorbiti dal Giudice di primo grado, concernenti le rettifiche al Piano e i contenuti dello stesso, confutando i dedotti vizi di istruttoria e sottolineando, comunque, come sino all'approvazione del piano tutti i soggetti interessati possano presentare osservazioni e reclami.
Si è costituita in appello l'originaria società ricorrente, riproponendo ai sensi dell'art. 101 c.p.a. i motivi assorbiti dal Giudice di primo grado.
Rinviato al merito l'esame della domanda cautelare, all'udienza pubblica del 6.2.2019 la causa è passata in decisione.
4. Prendendo le mosse dal contestato rispetto dell'art. 144 citato e del metodo della concertazione istituzionale in esso affermato, si deve osservare come la censura in origine formulata dalla difesa del Comune di Calatafimi Segesta nel giudizio dinanzi al Tar, con il secondo motivo del ricorso (pp. 10-12), fosse incentrata sull'assunto che, nel caso di specie, la concertazione sarebbe stata più apparente che reale, in quanto non avente ad oggetto le scelte di merito della pianificazione; l'insufficienza, più che la mancanza, della concertazione si sarebbe infine tradotta, sempre secondo la tesi del Comune in una rettifica che maschererebbe il riesame e la modifica dell'originario Piano.
La sentenza del Tar, pur richiamando l'orientamento giurisprudenziale secondo cui la fase autenticamente partecipata si situa a valle dell'adozione del piano, in vista della sua successiva approvazione, ha reputato che, non di meno, in questo caso, la fase della preliminare concertazione istituzionale, mediante interlocuzione con gli enti territoriali interessati, risultava "di fatto essere stata obliterata come reso palese dai conclamati errori ricognitivi del territorio denunciati anche dal ricorrente".
L'appello sul punto della Regione è incentrato, per un verso, sulla riaffermata distinzione tra la fase dell'elaborazione e dell'adozione del piano e quella, successiva alla prima, della sua approvazione, da cui si fa discendere una diversa gradazione e declinazione della partecipazione, a seconda che sia riferibile al primo momento oppure al secondo; e, per altro verso, su di una valutazione più in concreto (e più specifica) della vicenda, ripercorrendo la dinamica dei fatti ed evidenziando come, nel caso di specie, la partecipazione del Comune di Calatafimi sarebbe stata assicurata, a partire dall'incontro illustrativo svoltosi il 30.5.2012, e che sarebbe stato piuttosto detto Comune a non prendere parte attivamente alla concertazione, restando pressoché inerte ovvero silente dal maggio del 2012 al dicembre del 2016, per poi impugnare le rettifiche al Piano (pp. 11 e 12).
Ebbene, così chiarito il quadro decisorio, il Collegio rileva come, a ben vedere, sul primo tema, più generale e teorico, il ragionamento della difesa erariale e quello del Tar non siano realmente divergenti. Nel senso che, come si è già in parte anticipato, nella sentenza qui impugnata si aderisce all'indirizzo di questo CGA (alle sentenze 811, 812, 813, 814, 815, 817 e 819 del 2012 si debbono aggiungere la 36 del 2015 e, più di recente ancora, il parere delle sezioni riunite 559 del 2017 richiamato dalla difesa erariale nel giudizio di primo grado con la memoria del 9.2.2018) che, muovendo dalla duplicità della fasi di adozione e di approvazione del piano, ricostruisce, quanto alla prima fase, la concertazione istituzionale nei termini di una partecipazione in chiave e con valenza istruttoria, anziché decisoria o di concerto in senso proprio. Riservando in vista dell'approvazione il momento della partecipazione, per così, dire più intensa, o più forte, attraverso la possibilità di presentare osservazioni e documenti, interloquendo sulle singole previsioni dello strumento paesaggistico (v., per questa impostazione, la stessa sentenza qui impugnata a p. 8). Ma pur sempre in una posizione distinta rispetto a quella del titolare del potere pianificatorio, che resta l'Ente regionale (in veste di soggetto cui è demandata, attraverso la pianificazione, la funzione di valorizzazione e salvaguardia dei beni paesaggistici).
Non appare, d'altronde, qui inutile rimarcare come tale diversità di posizioni nell'ambito degli enti chiamati a dare il loro contributo in sede di pianificazione paesaggistica rifletta la necessità di assicurare preminenza alla tutela ed alla valorizzazione del paesaggio rispetto agli altri interessi pubblici coinvolti nella pianificazione (si pensi a quelli legati all'uso del territorio, di più stretta competenza comunale, sui quali si tornerà infra), e ciò in ragione della specifica e rinforzata tutela riconosciuta al bene-paesaggio, all'interno dei principi fondamentali della Costituzione (art.9).
L'indirizzo appena ricordato, in tema di concertazione, è stato condiviso e fatto proprio, almeno sino ad un passato molto recente, anche dalla giurisprudenza di primo grado (cfr., ad esempio, Tar Palermo, n. 2179/2017 e Tar Catania, n. 2400/2013).
Una volta chiarito e ribadito come il grado di partecipazione richiesto nella fase di adozione del piano non sia quello proprio della fase successiva, ricordato inoltre come non avendo la Regione Siciliana dato corso alla previsione di cui all'art. 144 co. 2, secondo periodo (quanto alle "ulteriori forme di partecipazione" da disciplinare ad opera delle regioni, con apposite norme) sono ancora in vigore le norme di cui agli artt. 23 e 24 del R.D. n. 1357 del 1940 (per effetto della clausola di salvezza di cui all'art. 158 del Codice dei beni culturali), integrate dalle norme generali della L. n. 241 del 1990, si tratta di valutare, appunto in concreto, se la partecipazione in questo caso sia stata sufficiente; e, quindi, per riprendere le parole di uno dei precedenti di questo Consiglio prima citati, le "effettive occasioni nelle quali gli enti interessati hanno avuto la possibilità di interloquire con l'Amministrazione procedente, manifestando il proprio punto di vista e apportando utili elementi nella fase dell'istruttoria ai fini della formazione della decisione finale" (in questi termini la sentenza CGA 36/2015 sub 1.3).
Ebbene, adottando un criterio di sufficienza in concreto, deve rilevarsi come - stando alle puntuali allegazioni di parte appellante (pp. 11 e 12 dell'appello), che trovano riscontro nella documentazione prodotta in primo grado e che in tale sede la difesa del Comune non aveva contestato (v. all. 2 della produzione del 9.10.2017) - il Comune di Calatafimi, il 31.5 2012, partecipò ad un primo incontro illustrativo con la Soprintendenza, manifestando una sostanziale condivisione degli obiettivi del Piano e riservandosi di comunicare eventuali osservazioni dopo averne approfondito gli elaborati sia cartografici che normativi; senonché a tale incontro nel prosieguo della vicenda fece seguito, a luglio del 2016, unicamente la trasmissione di un documento concernente il sito dei "Pantani Anguillara" (v. all. 4), senza formulare ulteriori proposte o osservazioni al Piano, neppure all'indomani della pubblicazione del D.A. del 29.12.2016.
Se questa è la ricostruzione dei tempi e dei modi in cui si è snodata la partecipazione e più in generale è avvenuto il confronto in seno al procedimento, reputa il Collegio che non si possa parlare - non almeno in questo caso, e non nei confronti del Comune che assume qui di essere stato leso - di obliterazione di fatto della concertazione istituzionale di cui all'art. 144.
La vicenda concretamente svoltasi dimostra piuttosto come, nel rispetto anche del D.A. n. 5820 del 2002, sia stato dato modo al Comune interessato di fornire i propri elementi di conoscenza relativi al territorio e ai suoi insediamenti di vario tipo, contribuendo all'acquisizione al procedimento degli interessi coinvolti di cui è ente esponenziale, offrendo il proprio punto di vista; e come il grado di partecipazione realizzatosi sia piuttosto da imputare alla condotta a lungo passiva del Comune. Tanto meno il grado di sufficienza della partecipazione in sede di istruttoria può valutarsi alla luce della condivisione dei contenuti del piano, confondendo così il piano del metodo con quello del merito delle scelte.
E senza neppure che l'evidenza, in seguito, di una serie di errori posti a fondamento del decreto del giugno 2017, con cui il piano adottato è stato rettificato in più punti, valga indistintamente a dequotare, ovvero a ridimensionare, la fase procedimentale svoltasi in precedenza, come se non ci fosse mai stata. Al di là dell'aspetto quantitativo, la rettifica ha avuto infatti ad oggetto errori di tipo materiale per i quali si sono resi necessari correzioni e chiarimenti; in parte anche a seguito dei rilievi degli enti locali, a conferma di una concertazione che non è mai venuta meno ed è destinata a proseguire anche nel prosieguo della vicenda e che, anzi, in vista della futura approvazione del piano, è auspicabile che entri in quella fase più intensa nella quale la collaborazione leale tra i diversi soggetti pubblici dovrebbe essere più piena e dare i suoi frutti migliori. Dove, quindi, sarà ancora più necessario che la ricognizione del territorio, delle aree e degli immobili sia aggiornata all'attualità. Ciò tenendo conto che il piano il piano paesaggistico ha la funzione di strumento di ricognizione del territorio oggetto di pianificazione non solo ai fini della salvaguardia e valorizzazione dei beni paesaggistici, ma anche nell'ottica dello sviluppo sostenibile e dell'uso consapevole del suolo, in modo da poter consentire l'individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio. Rilevano in tal senso - come di recente sottolineato da Corte Cost. n. 172/2018 - l'art. 135, comma 4, lettera d), e l'art. 143, comma 1, lettera h), del codice dei beni culturali, in base ai quali il piano deve provvedere alla individuazione "delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati" nonché "delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree interessate". Fermo restando che, come non di meno evidenziato dalla stessa Corte, valorizzando il ruolo eminentemente tecnico-scientifico degli uffici amministrativi preposti alla tutela paesaggistica, "se la funzione del piano paesaggistico è quella di introdurre un organico sistema di regole, sottoponendo il territorio regionale a una specifica normativa d'uso in funzione dei valori tutelati, ne deriva che, con riferimento a determinate aree, e a prescindere dalla qualificazione dell'opera, il piano possa prevedere anche divieti assoluti di intervento. La possibilità di introdurre divieti assoluti di intervento e trasformazione del territorio appare, d'altronde, del tutto conforme al ruolo attribuito al piano paesaggistico dagli artt. 143, comma 9, e 145, comma 3, cod. beni culturali, secondo cui le previsioni del piano sono cogenti e inderogabili da parte degli strumenti urbanistici degli enti locali e degli atti di pianificazione previsti dalle normative di settore e vincolanti per i piani, i programmi e i progetti nazionale e regionali di sviluppo economico".
5. Sui restanti motivi di censura a suo tempo dedotti dal Comune nel giudizio di primo grado e assorbiti dal Tar, la loro riproposizione in appello ai sensi dell'art. 101, co. 2, impone un chiarimento preliminare.
Tali motivi, con i quali si contestano talune delle scelte effettuate nel Piano, in particolare per quanto concerne il perimetro delle aree qualificabili "boschi" e l'individuazione delle aree sottoposte a regime di tutela 3 e quindi a vincolo assoluto, sono stati dedotti in un momento temporale che si pone a metà, per così dire, tra l'adozione e l'approvazione del Piano.
Per l'esattezza sono stati proposti a distanza di nove mesi dall'adozione di cui al decreto del 29.12.2016 - che il Comune inizialmente non aveva impugnato - sul presupposto che la sopravvenuta rettifica del giugno 2017 abbia costituito non già la correzione di una serie di errori materiali ma, piuttosto, la rivalutazione dell'intero piano e, in massima parte, all'esito di una rinnovata istruttoria, la sua conferma in senso proprio.
Tale presupposto di ordine generale, che il Tar ha condiviso in premessa, è tuttavia revocabile in dubbio, al cospetto di scelte di merito che risalgono al momento della originaria adozione del Piano e che in quel momento il Comune di Calatafimi non aveva inteso contestare.
Il discorso vale in particolare per l'ultimo motivo dedotto con cui si contestano le norme di attuazione del Piano, specie per quanto concerne i Paesaggi locali 17 e 18, assumendo che i vincoli apposti sarebbero per un verso eccessivi e per altro verso non coerenti con il reale stato (di avvenuta trasformazione) dei luoghi.
Tali censure sono, ad avviso di questo Collegio, tardive se rapportate al momento dell'adozione del piano, nei cui confronti il Comune non aveva presentato alcun ricorso, non almeno nell'immediatezza della sua pubblicazione; mentre sono precipitose ovvero affrettate nella prospettiva dell'approvazione del piano, in vista della quale, la concertazione è destinata a conoscere, come si è già osservato al punto 4, una fase più intensa, nella quale il Comune ben potrà contribuire, con osservazioni e proposte pertinenti, a che si proceda ad una necessaria, attenta e ponderata ricognizione delle aree e dei luoghi aggiornata all'attualità e alle intercorse trasformazioni del territorio.
In ogni caso, per come qui dedotto e sulla scorta degli elementi offerti, il motivo è infondato, non emergendo profili di manifesta illogicità in scelte di tutela aventi ad oggetto aree di cui è nota l'enorme rilevanza in termini di bene culturale - a cominciare dall'area archeologica del Parco di Segesta - a fronte delle quali gli altri interessi, edilizi ad esempio, sono come noto recessivi.
6. Quanto infine al terzo motivo riguardante la tematica dei boschi, le critiche articolate dal Comune sin dal ricorso introduttivo di settembre 2017 non tengono conto del pressoché coevo D.A. n. 3401 del 19.7.2017 con cui è stata avviata una fase di verifica sulla reale consistenza boschiva, ai fini delle conseguenti qualificazioni, delle molte e diverse aree interessate dalla pianificazione paesaggistica, incaricando il Comando Forestale della Regione Sicilia di effettuare i necessari sopralluoghi.
Tale verifica, posta in essere alla luce di rilievi evidenziati da alcuni comuni, compreso quello di Calatafimi, e nella consapevolezza della difficoltà di rinvenire nel sistema una definizione univoca di bosco (di tale difficoltà è fatta menzione anche nella relazione tecnica di parte prodotta dal Comune al doc. 13), se da un lato dimostra come il confronto e la concertazione sul piano istruttorio non siano mai venuti meno; dall'altro confermano come il processo di pianificazione sia destinato a completarsi solamente con l'approvazione del Piano.
Nella fase qui in discussione, successiva all'adozione ma ancora in attesa dell'approvazione del Piano, le censure da ultimo dedotte peccano inoltre di genericità, laddove tutto il discorso è svolto in termini assolutamente generali ed astratti, riferito a "molte delle aree del territorio comunale" (p. 19), senza precisare di quali specifiche zone si intenda confutare la natura boschiva, perché in tesi prive dei relativi requisiti, e senza documentare elementi di fatto a sostegno di tale tesi.
7. In conclusione, per tutte le ragioni sin qui evidenziate, l'appello della Regione è fondato mentre non lo sono i motivi del ricorso originario del Comune qui riproposti ai sensi dell'art. 101, co. 2, c.p.a. La conseguenza finale che si determina è, in riforma della sentenza impugnata, l'integrale reiezione del ricorso di primo grado.
8. La complessità delle questioni in contestazione e il concreto svolgimento della vicenda amministrativa, con le imperfezioni richiamate, sono tutti elementi che giustificano la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando così provvede:
-accoglie l'appello della Regione;
-respinge i motivi qui riproposti dal Comune di Calatafimi;
-per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge integralmente il ricorso di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2019 con l'intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg, Presidente FF
Hadrian Simonetti, Consigliere, Estensore
Silvia La Guardia, Consigliere
Giuseppe Verde, Consigliere
Maria Immordino, Consigliere
02-04-2019 05:01
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