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Sentenza

Presidente e vicepresidente di una società cooperativa marsalese, in liquidazion...
Presidente e vicepresidente di una società cooperativa marsalese, in liquidazione, dichiarata fallita dal Tribunale di Marsala condannati a pagare Euro 6.566.377,37 in favore dell'Assessorato regionale del turismo, dello sport e dello spettacolo, nonché al pagamento della somma di Euro 416.667,62 in favore del Ministero dello sviluppo economico, oltre rivalutazione monetaria, interessi e spese del procedimento.
Corte dei Conti Sicilia Sez. App., Sent., (ud. 30-05-2019) 11-07-2019, n. 70
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE D'APPELLO PER LA REGIONE SICILIANA

composta dai magistrati:

dott. Giovanni Coppola - Presidente

dott. Anna Luisa Carra - Consigliere

dott. Tommaso Brancato - Consigliere relatore

dott. Valter Del Rosario - Consigliere

dott. Guido Petrigni - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di appello in materia di responsabilità iscritto nel registro di Segreteria al n. 6189/R promosso:

-in via principale ad istanza di omissis, nata a omissis il omissis, elettivamente domiciliata a Palermo, in via Villa Heloise, n. 21, presso lo studio dell'avvocato Giuseppe Cozzo, che la rappresenta e difende, contro la Procura regionale e la Procura Generale della Corte dei conti per la Regione siciliana, e nei confronti di omissis;

-in via incidentale ad istanza di omissis, nata a omissis, ed ivi residente in via omissis, rappresentata e difesa dall'avvocato Carmelo Carrara, contro la Procura regionale e la Procura Generale e nei confronti di omissis; per la riforma della sentenza n. 743/2018, emessa dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Siciliana il 4/7/2018, depositata il 6/9/2018.

Visti tutti gli atti e documenti di causa.

Uditi, nella pubblica udienza del 30 maggio 2019, l'avvocato Carmelo Carrara, quale difensore di omissise, per delega dell'avvocato Giuseppe Cozzo, in rappresentanza di omissis, nonché il Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore Generale Maria Rachele Anita Aronica.

Ritenuto in
Svolgimento del processo

Con atto depositato il 16 novembre 2016, la Procura regionale citava in giudizio la società cooperativa O. in liquidazione, dichiarata fallita dal Tribunale di Marsala con sentenza n. 35/2014 del 4/6 novembre 2014, unitamente ai signori omissis, omissis e omissis, nelle rispettive qualità, all'epoca dei fatti, di presidente, vice presidente e consigliere di amministrazione della predetta società, chiedendone la condanna in solido, e in parti uguali, al pagamento della somma di Euro 6.566.377,37 in favore dell'Assessorato regionale del turismo, dello sport e dello spettacolo, nonché al pagamento della somma di Euro 416.667,62 in favore del Ministero dello sviluppo economico, oltre rivalutazione monetaria, interessi e spese del procedimento.

In particolare, il PM contestava ai convenuti numerose irregolarità nell'utilizzo di fondi pubblici erogati con la finalità di ampliamento di una struttura turistico recettiva, già esistente in località M. di S., con successiva trasformazione in un villaggio albergo, denominato "L'O. di Selinunte, H.R."

Con sentenza n. 509/2017, la Sezione giurisdizionale di primo grado, accogliendo in buona parte le richieste della Procura contabile, condannava la società cooperativa in liquidazione O. ed i signori omissis, omissise omissis al pagamento, in solido tra loro, della somma di Euro 4.689.480,00 in favore dell'Assessorato regionale del turismo, dello sport e dello spettacolo e della somma di Euro 416.667,42, in favore del Ministero dello sviluppo economico.

Al fine di garantire il credito erariale derivante dalla menzionata sentenza di condanna, il PM conferiva alla Guardia di Finanza delega ad effettuare indagini sul patrimonio e sulle fonti di reddito dei condannati, nonché sull'eventuale compimento di atti pregiudizievoli per le ragioni di credito vantate dalle Amministrazioni pubbliche sopra menzionate.

A seguito delle indagini, il cui esito veniva comunicato alla Procura con informativa del 25 agosto 2017, emergeva una notevole consistenza del patrimonio della società O., il cui immobile principale era valutato, sulla base della rendita catastale, in dieci milioni di Euro.

I militari incaricati degli accertamenti patrimoniali segnalavano, tra l'altro, che, con atto notaio G.C. di Castelvetrano stipulato in data 18 novembre 2014 (repertorio n. (...), raccolta n. (...)), la signora omissisaveva donato alla figlia omissis un lotto di terreno di are 39, sito in C., censito al catasto terreni in zona C2, foglio (...), particella (...), del valore di Euro 93.000,00.

Pertanto, la medesima Procura contabile, con citazione depositata l'8 gennaio 2018, conveniva in giudizio le signore omissis e omissis, chiedendo, ai sensi dell'articolo 2901 c.c., che fosse dichiarata l'inefficacia dell'atto di donazione in questione nei confronti dell'Assessorato regionale del turismo, dello sport e dello spettacolo, nonché del Ministero dello sviluppo economico.

Con sentenza n. 743/2018, il Giudice di prime cure accoglieva l'azione revocatoria.

Avverso la sentenza appellava la signora omissis.

La difesa dell'appellante ha riproposto, in questo grado di giudizio, l'eccezione di difetto di giurisdizione, previa proposizione della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 73 del D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 174, in ragione del fatto che l'azione revocatoria affidata al PM della Corte dei conti incideva su posizioni giuridiche di diritto soggettivo di terzi, in relazione ai quali sarebbe mancato qualsiasi rapporto di servizio, in tal modo travalicando i limiti della contabilità pubblica ed attribuendo di fatto al Giudice contabile materie e competenze normalmente attribuite a quello ordinario, in violazione dei principi contenuti negli articoli 3, 24, 25, 103, comma 2, e 111, della Costituzione.

Come secondo motivo di impugnativa, l'appellante ha dedotto l'errato accertamento, da parte del primo Giudice, dei presupposti per l'accoglimento dell'azione revocatoria, sostenendo che non sarebbe stata dimostrata, in particolare, la presenza dell'eventus damni e del consilium fraudis.

In relazione al presupposto del pregiudizio delle ragioni del creditore, la difesa dell'appellante faceva presente che, come riconosciuto dalla stessa Procura contabile e come risultava dalla relazione della Guardia di Finanza del 25 agosto 2017, la consistenza del patrimonio immobiliare della società O. (soggetto tenuto in via principale alla restituzione dei contributi pubblici ricevuti) era stato valutato, sulla base della rendita catastale, in dieci milioni di Euro.

In realtà, il valore dell'immobile in questione, sempre secondo quanto asserito dalla difesa dell'appellante, era di gran lunga maggiore al valore determinato sulla base dei dati catastali, così come emergeva dal verbale della Tenenza della Guardia di Finanza di Castelvetrano del 4 luglio 2013, con cui era stato eseguito, su tutti i beni della società cooperativa O., il provvedimento di sequestro preventivo del 20 giugno 2013 -disposto dal GIP di Marsala nell'ambito del procedimento penale n. 3533/11 RGNR- sino alla concorrenza di Euro 6.200.000,00 per "un valore catastale e/o di mercato complessivo non inferiore ad Euro 16.629.722,50",.

Pertanto, il valore dei beni immobili sottoposti a sequestro -specie se rapportato al ben più basso valore del terreno oggetto dell'atto di donazione (in relazione al quale era stata proposta l'azione revocatoria)- era tale da rappresentare, in aggiunta alla capacità di fatturato del complesso alberghiero stimata in circa quattro milioni di Euro, una garanzia più che sufficiente a tutelare il credito erariale, rendendo, in tal modo, inesistente il pericolo di pregiudizio delle ragioni dei creditori lamentato dalla Procura contabile.

In ordine ai restanti presupposti, la difesa della signora omissis rilevava che, in base all'articolo 2901 c.c., se l'azione revocatoria ha per oggetto atti posteriori al sorgere del credito, ad integrare l'elemento soggettivo del consilium fraudis è sufficiente la semplice conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l'atto arreca alle ragioni del creditore, mentre, se essa ha per oggetto atti anteriori al sorgere del credito, è richiesta, quale condizione per l'esercizio dell'azione medesima, la dolosa preordinazione dell'atto da parte del debitore al fine di compromettere il soddisfacimento del credito.

Secondo quanto asserito dai primi Giudici, il credito erariale sarebbe stato già esistente al momento in cui era stato stipulato l'atto di donazione, in quanto a quella data, nei confronti della società O., era già intervenuto il decreto del GIP, datato 20 giugno 2013, di sequestro preventivo ai sensi dell'articolo 321, commi 1 e 2, del c.p.p., fino alla concorrenza di Euro 6.200.00,00, provvedimento emesso in ordine ai medesimi fatti per i quali il PM contabile aveva iniziato l'azione di responsabilità ed ottenuto la condanna in primo grado.

Ha dedotto l'erroneità di questo specifico capo della sentenza, rilevando che, come espressamente affermato dalla Procura nell'atto di citazione, il credito erariale, per la cui conservazione era stata esercitata l'azione revocatoria, trovava fondamento esclusivamente nella sentenza del Giudice contabile n. 509/2017 (e non nei fatti oggetto del procedimento penale).

Quindi, secondo la prospettazione della difesa, l'atto di donazione risultava anteriore al sorgere del credito, con la conseguenza che sarebbe stato onere del PM dimostrare che la donazione era stata realizzata allo scopo di recare pregiudizio alle ragioni creditorie.

Sul punto, osservava che la Procura, in presenza di un atto a titolo gratuito, con riferimento al consilium fraudis del solo dante causa, aveva indicato i seguenti elementi:

-la circostanza che l'atto di donazione del terreno fosse successivo alla notizia di reato del giugno 2012 ed al decreto di sequestro preventivo disposto sui beni di O. del giugno 2013;

-la natura gratuita dell'atto di disposizione con "anomala" anticipazione degli effetti giuridici che si sarebbero naturalmente prodotti al momento della successione del soggetto donante;

-il rapporto di stretta parentela che legava donante e donataria.

Il riferimento della Procura a tali elementi, secondo la parte appellante, non avrebbe dimostrato il fatto che la debitrice avesse dolosamente posto in essere l'atto di donazione allo scopo di recare pregiudizio alle ragioni creditorie.

Infatti, la donazione effettuata nei confronti dell'unica figlia non poteva ritenersi una anomala anticipazione degli effetti giuridici della successione.

Inoltre, evidenziava che l'atto dispositivo oggetto dell'azione revocatoria era stato posto in essere a distanza di circa due anni e mezzo dalla notizia di reato e di un anno e mezzo dall'emissione del decreto di sequestro; la sequenza temporale non poteva considerarsi idonea a dimostrare il consilium fraudis, come sostenuto da parte attrice, atteso che, ove effettivamente si fosse trattato di atto finalizzato a ledere la garanzia patrimoniale dei creditori, lo stesso, con ragionevole probabilità, sarebbe stato adottato all'indomani della notizia di reato ovvero del sequestro.

In data 10 maggio 2019, la Procura Generale depositava le proprie conclusioni, con le quali, in primo luogo, richiamando i principi affermati in alcune pronunce delle Sezioni unite della Cassazione, chiedeva il rigetto dell'eccezione di difetto di giurisdizione della Corte dei conti.

Nel merito, deduceva l'infondatezza dei motivi prospettati da controparte in ordine all' asserita insussistenza degli elementi dell' eventu s damni e del consilium fraudis.

In particolare, il PM sosteneva che, come precisato dal primo Giudice, la nozione di credito si estendeva sino a comprendere la semplice aspettativa. Nella fattispecie, il credito doveva considerarsi già esistente alla data della donazione, essendo già stato emesso, in data 20 giugno 2013, il decreto del GIP di sequestro preventivo in relazione agli stessi fatti oggetto del successivo giudizio di responsabilità amministrativa.

In ordine al presupposto del consilium fraudis, riteneva fondato il ragionamento del primo Giudice, il quale, in presenza di un atto di liberalità, aveva fatto riferimento alle presunzioni semplici di cui all'articolo 2729 c.c., non attribuendo rilevanza allo stato soggettivo del terzo.

In data 20 novembre 2018, la signora omissis proponeva appello incidentale avverso la sentenza n. 743/2018 del 4 luglio 2018, prospettando motivi di impugnativa analoghi a quelli rappresentati dalla propria figlia omissis (appellante principale).

In particolare, insisteva sul difetto di giurisdizione del Giudice contabile, sostenendo che l'azione revocatoria, destinata ad incidere su posizioni giuridiche di soggetti terzi rispetto all'ente danneggiato e su rapporti di diritto privato, non poteva considerarsi compresa nell'alveo delle materia della contabilità, ma riservata alla giurisdizione del Giudice ordinario, al quale restava demandata la cognizione delle azioni strumentali e propedeutiche a quelle esecutive, ancorché discendenti da statuizioni di Giudici speciali.

La signora omissis, con ampie argomentazioni identiche a quelle esposte dalla difesa dell'appellante principale, ha prospettato il contrasto della disposizione contenuta nell' articolo 73 del D.Lgs. n. 174 del 2016 con norme dirango costituzionale.

Per il resto, ha dedotto l'infondatezza della domanda attorea, in quanto ritenuta carente dei necessari presupposti per l'accoglimento dell'azione revocatoria.

In particolare, ha osservato che gli elementi indicati dalla Procura non potevano costituire sufficiente prova della consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni dei creditori, in quanto, alla data di stipula dell'atto di donazione, l'odierna appellante incidentale non poteva prevedere che il PM contabile avesse l'intenzione di instaurare il giudizio di responsabilità nei suoi confronti, al fine di far valere una pretesa concretizzatasi in epoca successiva alla conclusione dell'atto di liberalità.

Né la prova dell'elemento della consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie (scientia damni) mediante la stipula della donazione o di quello della partecipazione alla dolosa preordinazione da parte del terzo acquirente (scientia fraudis), sempre ad avviso della signora omissis, potevano ragionevolmente desumersi dagli argomenti indicati dalla Procura; a tal proposito, la difesa faceva presente che, a tutela delle ragioni degli enti presumibilmente danneggiati, era stato richiesto ed ottenuto un sequestro preventivo, fino all'ammontare dell'importo di Euro 6.200.000,00 su un compendio immobiliare stimato dagli organi verificatori della Guardia di Finanza in oltre 15.000.00,00 di Euro.

Concludeva, affermando che l'atto di donazione non poteva in alcun modo depauperare la garanzia patrimoniale dei creditori, né d'altro lato risultava provato che l'omissis si fosse determinata a compiere l'atto dispositivo con la dolosa preordinazione di compromettere il soddisfacimento del credito e, ciò, anche in considerazione del valore del terreno donato, ritenuto inferiore a quello indicato da parte attorea.

In data 10 maggio 2019, la Procura Generale depositava le proprie conclusioni, di contenuto identico a quelle formulate nei confronti dell'appellante principale.

All'odierna pubblica udienza, le parti presenti insistevano sulle rispettive posizioni processuali.

Ritenuto in
Motivi della decisione

Il Collegio giudicante dispone, ai sensi dell'art. 184 del D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 174 (Codice della Giustizia Contabile), la riunione degli appelli, principale ed incidentale, proposti, rispettivamente da omissis e da omissis, avverso la stessa sentenza.

Preliminarmente all'esame dei motivi attinenti al merito del presente giudizio, va trattata l'eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata dalle difese degli appellanti principale ed incidentale con argomentazioni sostanzialmente identiche.

Sul punto, si osserva che l'articolo 1, comma 174, della L. 23 dicembre 2005, n. 266, ha stabilito che "al fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali, l'articolo 26 del regolamento di procedura di cui al R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, si interpreta nel senso che il Procuratore regionale della Corte dei conti dispone di tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del codice civile".

Tra i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, richiamati dalla norma sopra riportata, è compresa anche l'azione revocatoria, prevista dagli articoli 2901 e seguenti del codice civile.

L'articolo 73 del Codice della Giustizia Contabile, approvato con D.Lgs. n. 174 del 2016, ha espressamente confermato tale potere, avendo previsto che "il Pubblico Ministero, al fine di realizzare la tutela dei crediti erariali, può esercitare le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, Titolo III, Capo V, del codice civile".

Dal tenore letterale delle disposizioni richiamate si trae la conferma che la giurisdizione in tema di azione revocatoria proposta dalla Procura contabile spetta alla Corte dei Conti.

Tale soluzione interpretativa deve ritenersi, peraltro, coerente con la caratteristica dell'esclusività della giurisdizione della Corte dei Conti e con la specifica collocazione e funzione istituzionale del PM contabile, quale Organo posto a tutela delle risorse finanziarie e patrimoniali pubbliche, che, come tale, non può trovare ostacoli all'espletamento dei propri compiti.

E, in questo senso, la titolarità in capo al PM di strumenti alternativi -quali quelli previsti dal libro VI, titolo III, capo V del codice civile - a tutela dell'interesse erariale non può essere ragionevolmente posta in dubbio, così come risulta dal suddetto quadro normativo.

D'altronde, la tradizionale funzione, attribuita al Giudice contabile, di garantire il ripristino della lesione patrimoniale subita dall'Erario danneggiato dalla condotta illecita di soggetti legati alla P.A. da un rapporto di servizio, nell'evoluzione normativa, si è arricchita con la previsione di strumenti per una maggiore ed effettiva tutela delle risorse finanziarie e patrimoniali, che il PM, a prescindere dalle iniziative dell'Amministrazione interessata, ha la facoltà di esercitare innanzi alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti.

Ne consegue che l'azione a tutela delle ragioni erariali, secondo la volontà del legislatore, non può trovare ostacolo al suo pieno svolgimento, potendo ricorrere la Procura contabile all'adozione di strumenti alternativi, dei quali sia già titolare la Pubblica Amministrazione danneggiata.

E tale facoltà del PM non può essere preclusa dall'eventuale ricorso ad altre giurisdizioni da parte della medesima Pubblica Amministrazione, stante il carattere esclusivo di quella contabile.

In pratica, il diritto azionato dalla Procura innanzi alla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti, pur traendo origine dal medesimo fatto lesivo dei beni e degli interessi pubblici, non è identificabile, né del tutto sovrapponibile con l'ordinario diritto di credito che la singola Amministrazione potrebbe eventualmente far valere direttamente ed autonomamente nei confronti del responsabile dell'evento dannoso dinanzi al Giudice ordinario, fermo restando che l'azione del PM contabile potrebbe essere preclusa soltanto dall'effettivo ed integrale ristoro del danno (ex multis, Corte dei conti, Sez. d'Appello Regione siciliana sentenze n. 214/2018, n. 45/2016, n. 77/2015).

Le stesse Sezioni Unite della Cassazione, chiamate a pronunziarsi sulla valenza dell'articolo 1, comma 174, della L. n. 266 del 2005, con la sentenza n. 22059/2007 hanno confermato l'attribuzione al Giudice contabile della giurisdizione anche in ordine all'esercizio dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale.

Tale indirizzo interpretativo ha trovato conferma nella ormai consolidata giurisprudenza della Corte dei conti (tra le più recenti, Sezione di Appello Regione siciliana sentenze n. 185/A/2017, n. 214/A/2018, e n. 12/A/2019).

E, infine, le Sezioni unite della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 14792 del 19 luglio 2016, hanno definitivamente riconosciuto al Pubblico Ministero contabile, in via di dichiarata interpretazione del R.D. n. 1038 del 1933, la legittimazione all'esercizio di tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile (ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro sesto, titolo terzo, capo quinto, codice civile) e, quindi, segnatamente anche la legittimazione ad agire in revocatoria.

Le Sezioni unite, partendo da questa premessa, hanno ulteriormente affermato, nell'ordinanza sopra richiamata, che il giudizio sull'azione revocatoria promossa dal Procuratore della Corte dei conti, essendo in rapporto strumentale all'azione di responsabilità per danno erariale e, dunque, a tutela di ragioni creditorie rientranti nella competenza giurisdizionale del Giudice contabile, spetta, a sua volta, alla giurisdizione esclusiva della medesima Corte dei conti.

Per le già indicate considerazioni, appaiono infondate tutte le doglianze sollevate dall'appellante principale ed incidentale, così come appare manifestamente infondata pure la richiesta delle medesime di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 174, della L. 23 dicembre 2005, n. 266, norma che ha confermato l'attribuzione al Giudice contabile della giurisdizione in materia di azioni a tutela del patrimonio dell'Erario.

Il Collegio, a questo punto, può passare all'esame dei motivi attinenti il merito dell'impugnativa avverso la sentenza n. 743/2018 della Sezione giurisdizionale di primo grado, che -accogliendo l'azione revocatoria promossa dal PM contabile ai sensi dell'articolo 2901 del codice civile- ha affermato l'inefficacia dell'atto notarile, stipulato in data 18 novembre 2014, con il quale la signora omissisha donato alla propria figlia omissis un lotto di terreno sito in C., censito al catasto terreni al foglio (...), particella (...), del valore dichiarato di Euro 93.000,00.

A tal proposito, si osserva che l'articolo 2901 c.c., testualmente recita: "il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quanto concorrono le seguenti condizioni:

-che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l'atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;

-che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso, di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione:

(omissis). L'inefficacia dell'atto non pregiudica i diritti acquisiti a titolo oneroso dai terzi in buona fede...".

Le difese delle appellanti, con argomentazioni pressoché di analogo contenuto, hanno dedotto l'erroneità dell'impugnata sentenza per l'aver accolto l'azione revocatoria del PM contabile in assenza della prova del pregiudizio arrecato dall' atto di donazione in questione alla garanzia patrimoniale delle Pubbliche amministrazioni.

Ad avviso delle difese delle appellanti, la consistenza del patrimonio immobiliare della società "O.", soggetto tenuto alla restituzione in via principale dei contributi pubblici ricevuti, secondo il valore in commercio, sarebbe stato non inferiore ad Euro 16.629.722, 50, ampiamente sufficiente a garantire il debito di importo inferiore.

Per di più, sempre secondo la prospettazione delle parti appellanti, con provvedimento del Giudice delle Indagini Preliminari di Marsala, parte dei beni della predetta società erano stati sottoposti a sequestro preventivo in sede penale.

A tal proposito si osserva che la misura del sequestro preventivo, adottato dall'Autorità giudiziaria ordinaria, ha finalità diverse da quelle perseguite nel giudizio di responsabilità amministrativa per danno erariale.

In particolare, il sequestro non può considerarsi rimedio alternativo rispetto all'azione risarcitoria esercitata dal PM contabile esclusivamente a tutela del credito delle Amministrazioni pubbliche, in ambiti, pertanto, differenti da quelli perseguiti nel procedimento penale.

E, in questo senso, le argomentazioni esposte non sembra che possano trovare accoglimento in questo giudizio.

Infatti, per effetto della condanna in solido al risarcimento, pronunciata con sentenza n. 509/2017 del Giudice di primo grado, tutti i convenuti nel giudizio contabile sono tenuti, in egual misura, al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 6.566.377,37 in favore dell'Assessorato regionale del turismo, dello sport e dello spettacolo, e in Euro 416.667,62 in favore del Ministero dello sviluppo economico, oltre rivalutazione monetaria, interessi e spese del procedimento.

Per tale ragione, non può condividersi l'affermazione secondo cui la società "O." sarebbe tenuta in via principale al risarcimento rispetto agli altri coobbligati in via solidale.

In considerazione dell'affermato vincolo di solidarietà tra tutti i soggetti condannati al risarcimento in sede di giudizio di responsabilità amministrativa, il patrimonio di ciascuno degli obbligati è destinato alla garanzia dei creditori e, in questo senso, nella fattispecie in esame, non rileva l'entità della consistenza del patrimonio immobiliare della società "O.", né rileva la circostanza dell'emissione del provvedimento di sequestro preventivo nel procedimento penale, avente, come già sottolineato, natura e finalità assolutamente diverse da quelle perseguite dal PM contabile in questa sede a tutela delle ragioni del pubblico erario.

Fatte queste premesse, vanno prese in considerazione le restanti argomentazioni rappresentate dalle difese degli appellanti in ordine all'asserita inesistenza delle condizioni previste dalla legge per l'esercizio dell'azione revocatoria.

In proposito, l'articolo 2901 c.c. prevede quattro distinte fattispecie:

1) che l'atto di disposizione sia anteriore al sorgere del credito e sia a titolo gratuito: per tale atto occorre l'elemento psicologico della dolosa preordinazione al fine di pregiudicare gli interessi del futuro creditore;

2) che l'atto di disposizione sia anteriore al sorgere del credito e sia a titolo oneroso: per tale atto occorre l'elemento psicologico della conoscenza, da parte del debitore, del pregiudizio arrecato dall'atto alle ragioni del futuro creditore congiunto al fatto che il terzo fosse partecipe della dolosa preordinazione;

3) che l'atto di disposizione sia posteriore al sorgere del credito e sia a titolo gratuito: per tale atto occorre l'elemento psicologico della conoscenza, da parte del debitore, del pregiudizio arrecato dall'atto alle ragioni del creditore, a nulla rilevando la posizione del terzo;

4) che l'atto di disposizione sia posteriore al sorgere del credito e sia a titolo oneroso: per tale atto occorre l'elemento psicologico della conoscenza, da parte del debitore, del pregiudizio arrecato dall'atto alle ragioni del creditore congiunto al fatto che anche il terzo fosse consapevole di tale pregiudizio.

Il Collegio reputa che la fattispecie in esame possa essere ricondotta alla fattispecie di cui al punto 1).

Infatti, la ragione del credito vantato dalle Amministrazioni asseritamente danneggiate -nei termini accertati dai Giudici di primo grado con la sentenza n. 509/2017 del 5 settembre 2017, pubblicata il 2 agosto 2017- deve presumersi già esistente alla data del 14 novembre 2014, momento in cui la signora omissis stipulava l'atto di donazione a favore della figlia omissis.

Infatti, come puntualmente rilevato dal primo Giudice, per gli stessi fatti oggetto del giudizio di responsabilità contabile era già intervenuto il decreto del 20 giugno 2013 di sequestro preventivo dei beni immobili, disposto ai sensi dell'articolo 321, commi 1 e 2, c.p.p., dal Giudice delle Indagini Preliminari presso il Tribunale di Marsala, fino alla concorrenza di Euro 6.200.000,00, eseguito in data 4 luglio 2013 dai militari della Guardia di Finanza di Castelvetrano, nei confronti della società cooperativa "O.", di cui la signora omissis, madre di omissis, era vicepresidente del consiglio di amministrazione.

Ad avviso di questo Collegio giudicante, tale circostanza appare sufficiente per affermare che donante e donataria, al momento della stipula dell'atto di donazione del terreno, fossero entrambe consapevoli della rilevante probabilità dell'attivazione di un giudizio di responsabilità amministrativa, per gli stessi fatti del procedimento penale, da parte del Pubblico Ministero contabile al fine di ottenere il risarcimento del danno erariale.

Fatte queste premesse, può ragionevolmente afferrarsi che, nel caso in esame, ricorra la condizione oggettiva dell'"eventus damni", in ragione della effettiva diminuzione della consistenza patrimoniale del soggetto debitore per effetto dell'atto di disposizione a titolo gratuito posto in essere con relativo potenziale pregiudizio delle Amministrazioni pubbliche creditrici.

Sotto il profilo dei presupposti soggettivi contemplati, l'articolo 2901 c.c. richiede la consapevolezza del pregiudizio (consilium fraudis) che l'atto di disposizione patrimoniale arrechi al creditore e, per gli atti a titolo oneroso, l'ulteriore elemento della conoscenza da parte del terzo di tale pregiudizio.

Avendo la signora omissis posto in essere un atto di donazione, come tale a titolo gratuito, il Collegio giudicante reputa, ai fini dell'azione revocatoria, sufficiente che la stessa fosse a conoscenza del pregiudizio che arrecava alle ragioni creditorie delle Pubbliche amministrazioni per effetto della conseguenziale diminuzione della propria garanzia patrimoniale.

Trattandosi di atto di liberalità, viene in rilievo, per quanto riguarda l'elemento psicologico, soltanto la posizione della donante omissis e non anche quella della figlia donataria, poiché tra il terzo acquirente a titolo gratuito che cerca di realizzare un vantaggio ed i creditori che vogliono evitare un danno, la legge preferisce la tutela di quest'ultimi.

Peraltro, nella fattispecie in esame, il Collegio ritiene che comunque possa ragionevolmente presumersi la consapevolezza del terzo non debitore, beneficiario dell'atto a titolo gratuito, del pregiudizio arrecato alle garanzie del creditore e ciò in considerazione dello stretto vincolo familiare intercorrente tra il soggetto donante e la donataria, circostanza questa che consente di escludere che la signora omissis potesse ignorare il fatto che la propria madre fosse coinvolta nelle vicende giudiziarie che avevano comportato, tra l'altro, l'emissione del decreto di sequestro preventivo nella sede del procedimento penale.

D'altronde, giova ricordare che la prova della sussistenza dei requisiti necessari per l'esercizio dell'azione revocatoria può essere fornita anche mediante presunzioni, ai sensi dell'articolo 2729 c.c., rilevandosi, comunque, sufficiente la conoscenza o, perlomeno, l'agevole conoscibilità del pregiudizio che, in concreto, viene arrecato alle ragioni del creditore (ex multis, Corte di cassazione sentenze n. 526/2016 e n. 18315/2015).

In relazione a tale situazione di fatto, in base ai principi sopra richiamati, il Collegio giudicante ritiene, conclusivamente, che sussistano tutte le condizioni, oggettive e soggettive, richieste dall'articolo 2901 del codice civile per l'esercizio da parte della Procura regionale dell'azione revocatoria, con conseguente dichiarazione di inefficacia -nei confronti dell'Assessorato regionale del turismo, dello sport e dello spettacolo e del Ministero dello sviluppo economico- degli effetti patrimoniali dell'atto di donazione redatto dal notaio G.C. di C. in data 18 novembre 2014 repertorio (...), raccolta n. (...), avente ad oggetto il terreno di are 39, sito in C., censito al catasto terreni, zona C2, foglio (...), particella (...). E, in questi termini, vanno rigettati entrambi gli appelli, quello principale proposto dalla signora omissis e quello incidentale proposto da omissis avverso la sentenza di primo grado n. 743/2018.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza degli appellanti principale e incidentale e, pertanto, si liquidano, in favore dello Stato, come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale d'Appello per la Regione siciliana, definitivamente pronunciando, rigetta gli appelli principale ed incidentale proposti, rispettivamente da omissis e da omissis avverso la sentenza di primo grado n. 743/2018.

Condanna le appellanti al pagamento, in favore dello Stato, delle spese inerenti entrambi i gradi del giudizio che, a cura della Segreteria, si liquidano in Euro 454,76 (quattrocentocinquantaquattro/76)

DECRETO PRESIDENZIALE

Il Collegio, ravvisati gli estremi per l'applicazione dell'articolo 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, recante il "Codice in materia di protezione dei dati personali",

HA DISPOSTO

che a cura della Segreteria venga apposta, in calce alla su estesa sentenza, l'annotazione di cui al comma 3 di detto articolo 52 nei riguardi delle parti. Palermo, 11 LUG. 2019

Così deciso, in Palermo, nella camera di consiglio del 30 maggio 2019.

Depositata in Cancelleria il 11 luglio 2019.
Avv. Antonino Sugamele

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