Lite giudiziaria tra un albergo e la Capitaneria di Porto di Venezia.
Cass. civ. Sez. II, Ord., (ud. 19-10-2018) 19-02-2019, n. 4839
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIUSTI Alberto - Presidente -
Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere -
Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere -
Dott. SCALISI Antonino - rel. Consigliere -
Dott. GIANNACCARI Rossana - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11697/2015 proposto da:
AMBASSADOR SAS DI F.N. & C, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOSUE' BORSI 4, presso lo studio dell'avvocato FEDERICA SCAFARELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato MASSIMO CARLIN;
- ricorrente -
contro
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E TRASPORTI, CAPITANERIA PORTO VENEZIA, MINISTERO ECONOMIA FINANZE, AGENZIA DEMANIO;
- intimati -
avverso la sentenza n. 2443/2014 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 03/11/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/10/2018 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione, regolarmente notificato il 27.7.2009, Ambassador di F.N. & C. sas, premettendo di essere proprietaria di immobile ad uso alberghiero, sito in (OMISSIS), fabbricato realizzato in forza di licenza edilizia del (OMISSIS) dal dante causa P., ha allegato che l'immobile era stato destinato ad attività turistica alberghiera e che fin dall'origine dell'attività i gestori dell'hotel avrebbero posseduto due piccoli appezzamenti di terreno, separati tra loro da piccola stradina inghiaiata, prospicienti all'albergo e alla via pubblica.
Escludendosi che detta porzione di fondo possa reputarsi appartenente al demanio marittimo, avendo perduto le sue caratteristiche di demanialità da parecchio tempo, nonostante la loro formale appartenenza, la società attrice conveniva in giudizio le amministrazioni indicate in epigrafe, affermando di avere usucapito la piena proprietà di detto appezzamento, previo accertamento della sopravvenuta perdita dei caratteri demaniali dell'immobile.
Rimasti contumaci il Comune di San Michele al Tagliamento e la Capitaneria di Porto, si costituivano in giudizio le amministrazioni dello Stato (Ministero delle Infrastrutture e Agenzia del demanio) contestando la fondatezza dalla domanda attorea e chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna di controparte al rilascio delle aree occupate abusivamente, in quanto, ancora, parte integrante del demanio marittimo e mai sdemanializzate, con condanna al pagamento della relativa indennità d'uso.
Il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 1531 del 2013, non definitiva, rigettava la domanda attorea e rimetteva la causa sul ruolo, per l'accertamento delle domande riconvenzionali avanzate dalla parte convenuta. Secondo il Tribunale, solo la volontà espressa di considerare cessata l'idoneità avrebbe l'effetto costitutivo di far passare il bene dal demanio al patrimonio. La demanialità non può dirsi venuta meno per il semplice fatto che il privato abbia iniziato ad esercitare su di esso un potere di fatto realizzandovi opere e manufatti.
Avverso questa sentenza, interponeva appello la società Ambassador di F.N. & C. sas, chiedendo che fosse accolta la domanda di usucapione e, in subordine, l'accertamento, sulla base alla CTU, che sussistevano i presupposti per l'esclusione delle aree, di cui è causa, dal demanio marittimo ex art. 35 c.n..
Si costituivano le parti appellate chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
La Corte di Appello di Venezia, con sentenza n. 2443 del 2014, rigettava l'appello e condannava l'appellante al pagamento delle spese del giudizio. Secondo la Corte distrettuale, il terreno di cui si dice non aveva perso la qualità demaniale e l'aveva sempre posseduta, sicchè, argomento inefficace ai fini dell'acquisto della proprietà era il possesso ultraventennale pacifico, pur provato.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dalla società Ambassador di F.N. & C. sas, con ricorso affidato a tre motivi, illustrati con memoria. Il Ministero delle Infrastrutture, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, l'Agenzia del demanio, in questa fase, non hanno svolto attività giudiziale.
Motivi della decisione
1. - La società Ambassador di F.N. & C. sas lamenta: a) Con il primo motivo di ricorso la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Violazione o falsa applicazione degli artt. 28, 32 e 35 c.n., art. 58 reg. nav. mar., nonchè degli artt. 822, 823 e 829 c.c.. Secondo la ricorrente, posto che taluni beni rientrano nel demanio marittimo per il solo fatto delle loro caratteristiche naturali, e altri, in quanto destinati o utili ad usi attinenti alla navigazione, un provvedimento di sdemanializzazione sarebbe necessario solo per quei beni per i quali sia indispensabile a monte il giudizio di utilizzabilità. Al contrario per i beni che vengono inclusi nel demanio marittimo, unicamente, in ragione delle loro caratteristiche naturali, sarebbe congruo affermare che non sarebbe necessario l'atto espresso di non utilizzabilità, quando, ab origine, non vi è stato alcun atto espresso di utilizzabilità;
b) - Con il secondo motivo, la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, lett. c)) - Violazione o falsa applicazione degli artt. 28, 32, 35 c.n., art. 58 reg. Nav. Mar., artt. 822, 823 e 829 c.c. e degli artt., 2, 9 e 42 Cost. - Violazione dei principi di finalizzazione e funzionalizzazione dei beni "comuni" o pubblici al perseguimento di scopi di pubblico interesse, accertati e percepiti. Violazione e falsa applicazione del principio concernete l'obbligo di "governance" dei beni comuni o pubblici.
Secondo la ricorrente, alla luce degli artt. 28, 32 e 35 c.n., artt. 822, 823 e 829 c.c., interpretati ed applicati in coerenza coi principi costituzionali di cui agli artt. 2,9 e 42 Cost., direttamente operanti, deve affermarsi che fanno parte del demanio pubblico e, comunque, sono "comuni", nel senso e nel significato espressi dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n 3665/2011, solo quei beni che, formalmente iscritti o, anche, non formalmente iscritti, nella proprietà statale o di altri Enti, siano per natura e conformazione ascrivibili ai beni demaniali e, al contempo, siano funzionali al perseguimento di pubblici interessi per la collettività e finalizzati con atti concreti dell'Amministrazione competente a perseguire tali interessi pubblici. Rispetto a questi beni l'Amministrazione ha un dovere di governance, cioè, di assunzione ed espletamento di attività concrete e di cura, valorizzazione e adibizione all'uso pubblico, mediante prelevamento dalle pubbliche risorse.
Nel caso in cui, anche, in presenza dell'elemento naturalistico (che nella fattispecie, peraltro, non esiste per accertamento del C.T.U.), manchino la funzionalizzazione e la finalizzazione ai pubblici interessi della collettività e manchi l'attività di governo da parte della P.A., il bene non può essere considerato pubblico o "comune".
c) 3. - Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) - Violazione dei principi in materia di giurisdizione generale di accertamento del Giudice civile. Violazione o falsa applicazione dell'art. 2909 c.c. e degli artt. 100 e 37 c.p.c.. Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale nel ritenere che il Giudice civile non poteva pronunciarsi sulla domanda in ordine alla insussistenza dei presupposti fattuali richiesti dalla legge, affinchè il sedime in contestazione fosse incluso nel demanio marittimo, non avrebbe tenuto conto che la domanda era una domanda di mero accertamento demandata all'autorità giudiziaria.
1.1. - I primi due motivi che vanno esaminati congiuntamente sono infondati, perchè il bene, di cui si dice, risulta, ancora, essere un bene demaniale.
Secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, la sdemanializzazione di un bene, con la conseguente configurabilità di un possesso del privato ad usucapionem, può verificarsi "in via di principio", anche, tacitamente, in carenza di un formale atto di declassificazione, purchè si sia in presenza di atti e fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà della P.A. di sottrarre il bene medesimo a detta destinazione e di rinunciare definitivamente al suo ripristino. Il provvedimento sul passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio, a norma dell'art. 829 c.c., ha carattere, semplicemente, dichiarativo, considerando che la dichiarazione della cessazione di demanialità, quando già sussistono le condizioni di fatto di incompatibilità con la volontà di conservare la destinazione ad uso pubblico, si limita in sostanza a dare atto del passaggio dei beni stessi dall'uno all'altro regime (Cass., Sez. 2, 22/04/1992, n. 4811; Cass., Sez. 1, 04/03/1993, n. 2635; Cass., Sez. 2, 19/02/2007, n. 3742).
Questo principio non vale, tuttavia, per i beni del demanio marittimo (che fanno parte del c.d. "demanio necessario"), relativamente ai quali la disciplina è più rigorosa.
Questa Suprema Corte, infatti, ha ripetutamente affermato che la sdemanializzazione dei beni appartenenti al demanio marittimo non può verificarsi tacitamente, ma richiede, ai sensi dell'art. 35 c.n., un espresso e formale provvedimento della competente autorità amministrativa, che ha carattere costitutivo (Cass., Sez. 2, 05/08/1949, n. 2231; Cass., Sez. 1, 06/05/1980, n. 2995; Cass., Sez. 2, 14/03/1985, n. 1987; Cass., Sez. 2, 02/03/2000, n. 2323). Ciò perchè l'accertamento della sopravvenuta mancanza di attitudine di determinate zone a servire agli usi pubblici del mare, è riservato a speciali organi amministrativi che vi debbono provvedere sulla base di una valutazione tecnico-discrezionale dei caratteri naturali di essi, variabili e contingenti, secondo le diverse caratteristiche geofisiche e le varie esigenze locali, in relazione alla diversità degli usi. Perciò, solo ove gli organi amministrativi competenti esprimano la volontà - in seno ad appositi provvedimenti da essi adottati - di considerare cessata l'idoneità della beni, di cui si dice, agli usi specifici della demanialità marittima si determina il trasferimento dell'area, con efficacia costitutiva, dal demanio al patrimonio.
Pertanto, va ribadito il principio di diritto - costantemente affermato da questa Corte suprema e condiviso dal Collegio - secondo cui, a differenza di quanto previsto dall'art. 829 c.c. (secondo cui il passaggio di un bene dal demanio pubblico al patrimonio ha natura dichiarativa e può avvenire anche tacitamente), per i beni appartenenti al demanio marittimo, tra i quali è inclusa la spiaggia (comprensiva dell'arenile), la sdemanializzazione non può mai avvenire in forma tacita ("per facta concludentia"), ossia per non essere il bene più adibito all'uso pubblico, ma può avvenire solo in forza di una legge ovvero mediante un espresso e formale provvedimento della competente autorità amministrativa (decreto del Ministero della Marina Mercantile, adottato di concerto col Ministero dell'Economia e delle Finanze), avente carattere costitutivo (Cass., Sez. 2, 11/05/2009, n. 10817;Cass., Sez. 2, 02/03/2000, n. 2323; Cass., Sez. 2, 14/03/1985, n. 1987; da ultimo, Cass. Sez. 1, 09/06/2014, n. 12945, che ha cassato la sentenza di merito, ritenendo che la natura demaniale di un bene non venisse meno per il semplice fatto che il terreno non facesse più parte della spiaggia, nè del lido del mare, trattandosi di circostanze insufficienti ad escludere definitivamente l'attitudine a consentire in futuro usi pubblici del mare). Facendo applicazione di tale principio, questa Corte ha affermato che la natura demaniale dell'arenile, ossia di quel tratto di terraferma che risulti relitto dal naturale ritirarsi delle acque, permane anche qualora una parte di esso sia stata utilizzata per realizzare una strada pubblica, non implicando tale evento la sua sdemanializzazione, così come la sua attitudine a realizzare i pubblici usi del mare non può venir meno per il semplice fatto che un privato abbia iniziato ad esercitare su di esso un potere di fatto, realizzandovi abusivamente opere e manufatti (Cass., Sez. 2, 11/05/2009, n. 10817) e che, in difetto di espresso e formale provvedimento di sdemanializzazione adottato dell'autorità amministrativa, l'arenile non perde la propria qualità di bene demaniale, con la conseguenza che il possesso del medesimo da parte del privato è improduttivo di effetti nei confronti della pubblica amministrazione (art. 1145 c.c., comma 1) e, in particolare, è inidoneo all'acquisto della proprietà per usucapione (Cass., Sez. 1, 06/05/1980, n. 2995).
2. - Infondato è anche il terzo motivo, perchè nel caso in esame, manca il necessario provvedimento amministrativo di sdemanializzazione.
E' opinione diffusa in dottrina e, anche, nella giurisprudenza di questa Corte, che la sdemanializzazione di un bene, come già si è detto, deve essere dichiarata espressamente, con un provvedimento amministrativo, che motivi sulle ragioni per cui sono venute meno le ragioni di pubblico interesse per il mantenimento del bene nell'ambito del demanio, tanto è vero che non si può ricavare dal mancato uso del bene la conseguenza che l'ente proprietario abbia inteso rinunciare alla demanialità del bene. Pertanto, l'accertamento in ordine all'insussistenza dei presupposti fattuali per ritenere un bene parte del demanio è demandato in via esclusiva alla PA e/o ad un atto amministrativo e non può essere effettuato dall'Autorità giudiziaria perchè, sarebbe un accertamento, comunque, privo di utilità pratica, dovendosi considerare che anche un accertamento positivo non potrebbe comportare una necessaria sdemanializzazione, nè una messa in mora della PA. ad adottare il relativo provvedimento.
In definitiva, il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione dato che il Ministero delle Infrastrutture, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, l'Agenzia del demanio, in questa fase, sono rimasti intimati. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, in solido, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 13 citato, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile di questa Corte di Cassazione, il 19 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2019
Classificazione Nuova Ricerca
17-03-2019 14:23
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