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Sentenza

Dirigente dell'Ufficio Anagrafe di Roma viene condannato in primo grado a risarc...
Dirigente dell'Ufficio Anagrafe di Roma viene condannato in primo grado a risarcire al Comune 135.000 euro per danno da tangente e danno all'immagine.-
Corte dei Conti Sez. I App., Sent., (ud. 11-10-2018) 07-11-2018, n. 420
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE DI APPELLO

composta dai seguenti magistrati:

Emma Rosati - Presidente f.f.

Fernanda Fraioli - Consigliere

Elena Tomassini - Consigliere rel.

Adelisa Corsetti - Consigliere

Giuseppina Mignemi - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio in grado di appello iscritto al n. (...) del Registro di Segreteria, proposto dal sig. N.N., C.F. (...), rappresentato e difeso dall'Avv. Valerio SAMPIERI (p.e.c. valeriosampieri@ordineavvocatiroma.org) ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo in Roma, Piazza Vespri Siciliani n. 12, giusta procura in calce all'atto di appello,

avverso

la sentenza n. 21/2018 della Sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei conti, depositata il 16 gennaio 2018 e notificata l'8 marzo 2018.

Visti l'appello e gli atti e documenti tutti di causa;

Uditi, nella pubblica udienza del giorno 11 ottobre 2018, con l'assistenza del Segretario dott.ssa S.C., il consigliere relatore Elena TOMASSINI, l'Avv. Valerio SAMPIERI per l'appellante e il Pubblico Ministero, V.P.G. Luigi D'ANGELO.
Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata l'appellante è stato condannato, assieme ad un altro soggetto, al risarcimento del danno, in favore del Comune di Roma, pari alla somma di Euro 135.000,00 oltre alla rivalutazione monetaria dal 1 gennaio 2006, interessi dal deposito della sentenza al soddisfo e alle spese del giudizio, liquidate complessivamente in Euro 6.473,67.

L'appellante era stato citato in giudizio per aver procurato al Comune di Roma, nella qualità di dirigente dell'Ufficio Anagrafe del I Municipio, un "danno da tangente" e un "danno all'immagine," per aver compiuto atti contrari ai doveri di ufficio in favore di vari cittadini stranieri, ai fini della concessione della cittadinanza italiana.

La vicenda contabile era iniziata a seguito della trasmissione, da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, ai sensi dell'art. 129 disp. att. c.p.p., della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del N. e di altri 158 imputati per i reati di associazione per delinquere, corruzione, falso materiale e ideologico. Secondo gli atti del procedimento penale, e in particolare l'ordinanza applicativa delle misure cautelari, il sodalizio criminale tra le predette persone, dipendenti del Comune di Roma e della Polizia municipale, con la complicità di cittadini italiani, avrebbe permesso a numerosi stranieri di acquistare la cittadinanza italiana, assumendo l'identità di ignare persone realmente esistenti, ovvero grazie a testimoni compiacenti e rilasciando falsa documentazione, in cambio di cospicue somme di denaro.

In sede contabile, con sentenza non definitiva e contestuale ordinanza, erano state dichiarate l'improcedibilità, l'inammissibilità e la parziale nullità dell'atto di citazione, nella parte relativa al danno all'immagine contestato al N., mentre per altri convenuti la domanda era stata respinta.

In sede penale, il N. era stato condannato in primo grado a tre anni e otto mesi di reclusione, mentre in appello - dichiarata la prescrizione dei reati - erano state confermate le statuizioni civili relative ai danni subiti dal Comune per la produzione di atti falsi.

La sentenza della Sezione giurisdizionale per il Lazio, qui impugnata, quindi, sulla base delle prove raccolte in sede penale, aveva ritenuto l'odierno appellante responsabile dei fatti a lui addebitati in sede penale e, quindi, responsabile di aver rilasciato atti falsi.

Per quanto riguardava invece il "danno da tangente", unica contestazione rimasta all'esame, il N., nella citata qualità, aveva sostanzialmente "organizzato" il sistema, coadiuvato da altro dipendente, non appellante, il quale ultimo si occupava di individuare soggetti disposti a dichiarare di essere genitori degli stranieri, riconoscendoli poi quali figli naturali, nonché di reperire testimoni per le dichiarazioni di residenza; inoltre, erano prodotte carte di identità false. Da qui, la Sezione di prime cure aveva riconosciuto la sussistenza del danno commisurato alle "tangenti" percepite dall'appellante, corrisposte per l'indebito conseguimento di molteplici benefici in favore degli stranieri (assistenziali, previdenziali, scolastici, sanitari, abitativi, lavorativi, elettorali, di permanenza sul territorio, di trasporto) e perciò in pieno disprezzo dei valori della Comunità e della normativa del Paese, in relazione al quale l'acquisizione della cittadinanza in modo abusivo e di persone propense alla commissione di illeciti avrebbe sicuramente comportato o la sottrazione di alcuni benefici economici a vantaggio di altri, ovvero l'aggravamento della situazione della sicurezza sociale. L'ente danneggiato, secondo la Corte territoriale, andava dunque identificato nella comunità amministrata, costituita dai vari consociati, ma poiché il pregiudizio era stato provocato da dipendenti comunali, esso era riferibile al Comune di Roma.

Con l'appello, il sig. N., premesso di essere stato condannato in secondo grado in sede penale solo per alcuni addebiti e che tutti i reati erano stati dichiarati prescritti in Corte di Cassazione, sottolineava di essersi limitato a immettere nel sistema informatico comunale i dati raccolti da dichiarazioni di alcuni nomadi, che peraltro erano stati effettivamente tratti in arresto nei luoghi indicati come loro residenza. L'appellante, che non aveva alcun collegamento con gli Uffici di Paternità e di Cittadinanza, ubicati in un diverso edificio comunale, ribadiva sia di non aver potuto influire sulle dichiarazioni di paternità o sull'ottenimento della cittadinanza dei soggetti, di cui alle contestazioni penali, sia di non aver ricevuto alcuna dazione di denaro, non accertata né in sede penale né nel primo grado davanti alla Corte territoriale.

Con il primo motivo di gravame tornava poi ad eccepire la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, questione non vagliata dal giudice territoriale, poiché le contestazioni per le quali vi era stata condanna in sede penale si arrestavano al dicembre del 2003, mentre il primo atto interruttivo era rappresentato dalla citazione, notificata il 12.6.2009.

Con il secondo motivo il N. sottolineava che la domanda del Procuratore regionale si fondava quasi esclusivamente sul contenuto dell'ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, poi annullata in Cassazione per ben due volte; a seguito del secondo rinvio, anche il Tribunale del Riesame aveva annullato il provvedimento del G.I.P. Ribadiva, poi, di essere stato assolto in primo grado per 35 capi di imputazione e condannato per nove episodi - ridotti a sette a seguito del giudizio in appello - in relazione ai quali non era stata accertata la percezione di alcuna tangente. Non essendosi formato il giudicato penale, era obbligo perciò della Corte dei conti valutare tali episodi alla luce dell'eventuale sussistenza del danno da tangente, ferme restando le eccezioni di prescrizione e di ne bis in idem. Si contestavano, poi, alcune affermazioni della sentenza impugnata, poiché gli arresti riguardavano, per la maggior parte, non dipendenti comunali ma nomadi, mentre, per l'imputazione di associazione per delinquere, era intervenuta l'assoluzione in primo grado. Lamentava, poi, l'appellante, l'erroneità di numerose affermazioni riportate nella sentenza penale, sia perché le risultanze delle intercettazioni telefoniche erano state contestate, sia perché mancavano in atti sia la prova della falsità dei documenti da lui emessi, sia quella della percezione di tangenti. La condanna in sede civile, di per sé, non provava la corruzione e sul punto la Corte dei conti non avrebbe potuto nuovamente giudicare, trattandosi di un fatto già oggetto del giudizio del Tribunale penale, cui spettava, in via esclusiva, la giurisdizione a decidere sulla domanda risarcitoria, stante la costituzione di parte civile del Comune di Roma. La Corte territoriale non aveva dato conto delle prove sulle ipotesi che riguardavano il rilascio di atti di riconoscimento di paternità falsi per la concessione della cittadinanza, poiché il N. non era addetto ai relativi uffici ma all'Ufficio Anagrafe.

Ad avviso dell'appellante la motivazione della decisione era, quindi, astratta e aveva fondato la condanna dell'appellante su mere illazioni. Sottolineava che anche gli stranieri che risiedono stabilmente in Italia devono regolarizzare la propria posizione anagrafica, anche per accedere ai servizi sanitari e che gli accertamenti relativi riguardavano la Questura, i Carabinieri, il Ministero dell'Interno o altre Autorità, ma non certo il Comune di Roma, il quale aveva previsto in bilancio cospicue sovvenzioni in favore dei nomadi. Costoro avevano semplicemente ottenuto dal N. l'iscrizione nel luogo di effettiva residenza, dove, in effetti, alcuni di loro erano stati tratti in arresto. Non era stata provata né dimostrata, poi, l'esistenza del danno da tangente, affermata dalla Corte territoriale senza un pur minimo esame specifico dei fatti e degli episodi nei quali si sarebbero verificati gli illeciti di cui è condanna, nella congerie dei capi di imputazione, molti dei quali erano stati ritenuti infondati in sede penale.

La Corte aveva, poi, duplicato la posta risarcitoria, poiché il Tribunale penale già aveva liquidato equitativamente tra gli imputati, condannati solidalmente, tanto il danno all'immagine quanto quello da tangente. Pertanto, essendo stata dichiarata inammissibile l'azione della Procura regionale per il danno all'immagine, la Corte non avrebbe più potuto giudicare in merito al danno da tangente, passato in giudicato, né potuto aggravare la posizione debitoria del N., già condannato a risarcire la somma di Euro 100.000,00 come stabilito dal Tribunale penale per entrambi i profili di danno. L'appellante non aveva mai corrisposto alcuna somma con riguardo a tale condanna; si lamentava, ulteriormente, l'erronea condanna dell'appellante alle spese del giudizio, poiché era stata dichiarata l'inammissibilità dell'azione risarcitoria riguardante il danno all'immagine con una precedente decisione del 2013.

Conclusivamente, si chiedeva di annullare la sentenza impugnata, in accoglimento dei motivi di gravame; in via subordinata, di annullare la sentenza per quanto esposto nel secondo motivo e, comunque, di dichiarare l'inammissibilità dell'azione per il risarcimento del danno da tangente ovvero la prescrizione del diritto al risarcimento per quanto esposto al primo motivo, con vittoria delle spese del primo grado del giudizio.

La Procura Generale, nelle sue conclusioni del 17 settembre scorso, chiedeva la reiezione del gravame.

Sull'eccezione di prescrizione sottolineava che la costituzione di parte civile in sede penale dell'amministrazione danneggiata, Comune di Roma, aveva prodotto l'interruzione del termine prescrizionale sino alla definizione del giudizio penale, come da consolidata giurisprudenza. Tale conclusione, con la declaratoria di prescrizione a seguito della sentenza della V Sezione penale della Corte di Cassazione del 1 agosto 2017, n. 38390, era intervenuta, addirittura, dopo l'esercizio dell'azione contabile. Nel merito, la sentenza impugnata aveva correttamente utilizzato il materiale probatorio del processo penale, in base al quale era stata provata la percezione di tangenti sia in primo che in secondo grado. Sul punto, l'appellante si era limitato a contestare il contenuto delle intercettazioni telefoniche, riportate diffusamente nell'atto di citazione, senza indicare specificamente alcun capo della sentenza del primo giudice.

Circa, poi, l'asserita duplicazione delle condanne risarcitorie in sede penale e in sede contabile, permaneva attuale l'interesse del P.M. contabile a perseguire l'azione risarcitoria, ferma rimanendo la detrazione, in sede esecutiva, delle eventuali somme riscosse.

Non era, dunque, degna di seguito l'affermazione per la quale il N. sarebbe stato costretto a pagare due volte per lo stesso danno, poiché l'amministrazione danneggiata avrebbe potuto agire in via esecutiva soltanto per le somme non riscosse in sede penale.

In ordine alla statuizione sulle spese di lite, il giudice di primo grado aveva correttamente applicato il principio della soccombenza.

All'odierna udienza l'Avv. Sampieri, per l'appellante, esponeva diffusamente tutti i motivi di gravame, insistendo, in particolare, sull'assenza di prova del danno da tangente e sull'assoluzione in via definitiva e nel merito, dalla maggior parte degli addebiti contestati in sede penale. La sentenza di primo grado aveva condannato l'appellante ad una somma di molto superiore a quella determinata in sede penale, che, tra l'altro, riguardava una condanna da ripartirsi tra più soggetti. Deduceva, poi, il bis in idem in ordine alla duplice condanna in sede penale -con riguardo alle statuizioni civili - e contabile, nell'identità delle poste di danno.

IL V.P.G. Luigi D'Angelo insisteva per la reiezione dell'appello, deducendo che l'appellante non aveva dato prova del risarcimento, anche parziale, del danno cui era stato condannato, in via definitiva, dal giudice penale. Pertanto, su tale punto, non vi era una duplicazione della condanna. Si riportava per il resto alle conclusioni scritte.

In tale stato la causa passava in decisione.
Motivi della decisione

1. Preliminarmente va disatteso il primo motivo di gravame, che torna a lamentare la prescrizione dell'azione del Procuratore contabile.

Esso è infondato perché l'appellante ha considerato esclusivamente i passaggi temporali del giudizio amministrativo - contabile con riferimento alla data dei fatti dannosi, risalenti al 2003, ma senza valutare la parallela azione civile esercitata in sede penale da parte del Comune di Roma per entrambe le poste risarcitorie, che, pacificamente, ha validità interruttiva del decorso, costituendo manifestazione di interesse della volontà risarcitoria dell'amministrazione danneggiata; è altresì principio consolidato in giurisprudenza (cfr. C.d.c., Sez. II centr. App. n. 550 del 2018 e giurisprudenza ivi richiamata) che, dopo tale costituzione, il termine prescrizionale ricomincia a decorrere dalla data di passaggio in giudicato della sentenza penale; è altresì indubbio che l'esercizio dell'azione civile dell'amministrazione danneggiata giovi anche all'azione del P.M. contabile, in quanto "il danno erariale e la relativa pretesa risarcitoria della pubblica amministrazione sono unici, sia che si attivi per il risarcimento l'amministrazione danneggiata con la costituzione di parte civile nel giudizio penale o con un'autonoma azione civile, sia che si attivi, con una propria azione recuperatoria, la magistratura contabile" (Sez. I centr. App. n. 74 del 2004; Id. n. 102 del 2002; II App., n. 550/2018, cit.).

In fattispecie, l'azione civile da parte del Comune di Roma è stata esercitata nell'ambito del procedimento penale n. 46710/2004 R.G.I.P. nel 2009, a seguito del rinvio a giudizio del 2007, mentre la sentenza della Corte di cassazione, in sede penale, è del 1 agosto 2017 n. 38390.

2. Con riguardo al secondo, complesso motivo di appello, esso è invece fondato (non nella parte in cui si contesta la commissione dei fatti illeciti, di cui ai numerosi capi di imputazione, per i quali non vi è stata assoluzione in sede penale, ma soltanto una declaratoria di prescrizione), ma sotto l'ulteriore profilo della mancata prova del danno da tangente, così come indicato nella citazione introduttiva e - con una diversa prospettazione rispetto alla domanda - nella sentenza impugnata.

2.1 Va subito detto che dal tenore delle sentenze penali di primo e di secondo grado e da quello degli atti raccolti e depositati nel fascicolo della Procura erariale in primo grado, ivi compresi i verbali dei dibattimenti, emergono copiose prove dell'attività criminosa posta in essere dal N., scoperta soltanto a seguito della rilevazione di un incremento significativo di riconoscimenti di cittadini nomadi da parte di cittadini italiani, che da uno a due salivano, negli anni dal 2000 al 2003, a quaranta e/o cinquanta, circa due o tre volte a settimana; a seguito delle indagini della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma era anche emerso che numerosi nomadi avevano carte di identità rilasciate dal I Municipio, e che tutte le pratiche avevano la firma dell'ufficiale di stato civile N.N.. Dalle intercettazioni telefoniche disposte su utenze in uso al N., una delle quali dedicata agli "zingari", nonché da pedinamenti della P.G., nella seconda metà del 2004, si scoprì che l'odierno appellante, identificato con il nome di Roberto, riceveva cospicue somme di denaro per organizzare i falsi riconoscimenti da parte di persone anziane, bisognose e con precedenti, le quali, dietro compenso, si recavano presso l'Ufficio di stato civile nel quale operava il N., con testimoni compiacenti e riconoscevano come figli naturali soggetti stranieri, per lo più di etnia rom. Per effetto di tali falsi riconoscimenti, i rom cambiavano cognome e, tra l'altro, risultavano incensurati al casellario giudiziale, con conseguente irrilevanza delle altre identificazioni, segnalazioni e condanne.

Non è qui il caso di riepilogare le numerosissime telefonate intercettate, di inequivocabile tenore e indicate nelle pagg. 15 e 16 della decisione penale di appello, nonché nell'atto di citazione; da esse emerge un fosco quadro di mercimonio delle pubbliche funzioni da parte dell'appellante, il quale, con protervia, insisteva nell'avere cospicue somme, ammontanti a migliaia di Euro e corrisposte in via anticipata, per l'ottenimento del riconoscimento della cittadinanza.

2.2. Vanno, quindi, respinte tutte le proteste di innocenza e buona fede dell'appellante. Dalla sentenza penale di secondo grado si evince infatti che - tranne in un caso, relativo all'imputazione per i capi Q-A e Q-B relativi ad un falso matrimonio, per i quali il N. è stato assolto - non sono emerse, neppure in tale processo, elementi tali da porre nel dubbio le evidenze di giudizio, per le quali il N. - che aveva peraltro una relazione con una imputata, appartenente all'etnia rom - era il punto di riferimento di soggetti nomadi negli uffici comunali di Roma centro, soggetti per lo più pluripregiudicati, i quali corrispondevano cospicue somme per il riconoscimento della cittadinanza italiana. La sentenza di appello riepiloga le numerosissime telefonate nelle quali l'appellante, nonostante una certa cautela, insiste nell'ottenere la corresponsione del pagamento anticipato per lo svolgimento delle pratiche; a mero titolo di esempio va riportato il contenuto della telefonata del 29 marzo 2005, ore 11,09, n. 809, ff. 348 nella quale "Roberto" risponde all'interlocutore che dice "Ma guarda Roberto quando mi porti carta d'identità vieni e ti do...No, ancora insisti, io a pratica non 'a faccio se nummedai quei soldi e te o dico subito", e molte altre, indicate nella pag. 21 della motivazione della decisione di appello.

Non è quindi credibile la protesta di innocenza dell'appellante, perché risulta smentita per tabulas dagli atti in possesso del Collegio e pienamente valutabili ai fini probatori.

3. Sotto il secondo profilo, di cui al precedente punto 2, peraltro, l'appello deve trovare invece favorevole accoglimento.

Premesso infatti che la decisione di inammissibilità e di nullità parziale dell'atto di citazione per quanto riguarda il danno all'immagine - con sentenza non definitiva/ordinanza n. 62 del 2013 della Corte territoriale - non è stata impugnata, per il restante profilo del "danno da tangente", benché debba ritenersi provata la dazione di tangenti per la commissione di svariati reati, tra cui quelli di falso ideologico e materiale in atto pubblico, nondimeno né l'atto di citazione, né la sentenza impugnata hanno dato conto della prova del danno subito dal Comune di Roma per effetto della commissione dei suddetti illeciti.

Ferma restando la condanna al risarcimento del danno in favore dell'ente disposta in sede penale, per il danno da tangente la condanna è stata disposta perché era stato provato il disservizio cagionato, con i comportamenti delittuosi, agli uffici comunali, i quali hanno dovuto riesaminare centinaia di pratiche relative alla concessione della cittadinanza italiana nonché all'acquisizione dello status relativo, con le successive conseguenze; tale aspetto, tuttavia, non è stato neppure indicato nel giudizio contabile.

L'atto di citazione ha riportato pedissequamente il contenuto dell'ordinanza applicativa delle misure cautelari, successivamente annullata, ritenuto dimostrativo della responsabilità a titolo di dolo delle condotte contestate al N., assieme ad altri soggetti. Tuttavia, nella parte relativa alla percezione delle tangenti da parte dell'appellante, il danno per il Comune è indicato in quello corrispondente alle somme versate al dipendente infedele. Ma tale assioma non convince, perché non spiega in che modo, a seguito della dazione delle tangenti, il Comune sia stato danneggiato. Mentre, infatti, in alcuni casi (come in quello dell'affidamento di appalti senza seguire la procedura di pubblica gara o comunque una procedura che assicuri la concorrenza tra i vari soggetti invitati) è possibile, ad alcune condizioni, inferire che la dazione di tangenti abbia influito sul costo del servizio ovvero abbia turbato l'affidamento al miglior offerente, con conseguente danno costituito dalla differenza del prezzo dell'appalto, nel caso in esame la Procura regionale non ha nemmeno indicato in che modo l'erogazione di denaro da parte di soggetti privati abbia potuto danneggiare l'Amministrazione. Certamente, trattasi di atti illeciti e falsi i quali però, di per sé non recano insita la dimostrazione di una diminuzione patrimoniale per l'Amministrazione.

Diversamente, in sede penale è stata dimostrata una diversa tipologia di danno, certamente apprezzabile, ossia il nocumento arrecato agli uffici comunali dalla commissione delle innumerevoli falsità da parte dell'appellante, mediante la produzione delle opportune prove. Di tali aspetti, però, non vi è traccia negli atti del giudizio contabile di primo grado, innestato dalla Procura sulla base di atti compiuti durante la fase delle indagini preliminari, ma non seguiti dai necessari e autonomi approfondimenti istruttori per la dimostrazione di un danno erariale da responsabilità amministrativa, economicamente apprezzabile. Dal suo canto, la decisione impugnata non ha dato conto, né avrebbe potuto farlo, del passaggio mancante nella domanda.

Al riguardo la motivazione si poggia essenzialmente sull'equazione tra dazione di tangenti e riconoscimento dello status illegittimo di cittadini italiani. Da tale innegabile premessa la decisione ha fatto discendere il corollario che l'acquisizione dello status di cittadino italiano è foriera di una serie di benefici (assistenziali, previdenziali, scolastici ecc.) suscettibili di valutazione economica quantomeno pari alla misura della tangente, pari al minimo danno arrecato all'erario e per esso al Comune di Roma. Tale nocumento è stato da un lato identificato dalla Corte territoriale nell'aver concesso la cittadinanza italiana a "soggetti che, proprio per il loro delinquere, manifestano la disutilità e l'indesiderabilità sociale della loro presenza uti cives pleno iure sul territorio" e, dall'altro, nel fatto che "la propensione ai comportamenti illeciti di tali persone diminuirà la sicurezza sociale e aumenterà le connesse spese per garantire tale sicurezza". Sotto altro profilo, "alcuni benefici economici di cittadinanza saranno, comunque, sottratti ai legittimi destinatari a vantaggio di altri con stravolgimento dell'allocazione delle risorse che costituisce modo di programmazione dello sviluppo di un paese".

Tali assunti, sebbene condivisibili in linea teorica, non soltanto non sono stati neppure enunciati nell'atto di citazione ma, soprattutto, non hanno trovato alcun sostegno probatorio nel giudizio di primo grado. Anche a non voler considerare la diversa prospettazione contenuta nella sentenza rispetto a quella dell'atto di citazione, nel quale tali circostanze non sono state neppure enunciate, il duplice nocumento avrebbe dovuto trovare un sostegno probatorio mediante l'indicazione dei soggetti pregiudicati e degli illeciti da loro commessi a danno della collettività ovvero dei benefici sottratti ai cittadini italiani legittimi (ad esempio, mediante la produzione, sia pure a campione, delle graduatorie dei benefici indicati in sentenza e correlativa prova della sottrazione ai cittadini italiani). Sul punto la sentenza impugnata, nel ritenere che in caso contrario "si incorrerebbe in un'inammissibile probatio diabolica" si sforza altresì di ricondurre all'amministrazione danneggiata Comune di Roma gli ipotetici danni arrecati ai cittadini italiani, con ciò cercando di dare consistenza ad un ragionamento privo, però, di fondamento probatorio. Del resto, la stessa Corte si esprime con verbi al futuro, e quindi smentisce, implicitamente, il proprio assunto, indicando degli elementi di incertezza e di aleatorietà dell'effettivo danno che, di conseguenza, impediscono la condanna dell'appellante per un nocumento che deve essere concreto, attuale e provato in giudizio.

4. L'accoglimento del secondo motivo di gravame, in parte qua, assorbe anche l'asserita duplicazione delle poste risarcitorie affermata dall'appellante.

Ne consegue la riforma della sentenza impugnata e l'assoluzione dell'appellante.

In applicazione dell'art. 31 c.g.c. allo stesso è dovuta la rifusione delle spese di costituzione e difesa del doppio grado, quantificate in complessivi Euro 3.000,00 (tremila/00), a carico dell'amministrazione di appartenenza Comune di Roma.

Nulla sulle spese di giustizia.
P.Q.M.

Definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, in riforma della sentenza impugnata assolve l'appellante dall'addebito e liquida in suo favore le spese di costituzione e difesa del doppio grado, quantificate in Euro 3.000,00 (tremila/00).

Nulla per le spese di giustizia.

Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.

Così deciso in Roma, all'esito della camera di consiglio dell'11 ottobre 2018.

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2018.
Classificazione	Nuova Ricerca
Avv. Antonino Sugamele

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