La movimentazione o la detenzione di valori non rappresentano un presupposto abilitante ai fini del rilascio o del rinnovo del porto d’armi per difesa personale.
TAR Lombardia - Brescia, sez. I, sentenza 14 – 20 novembre 2018, n. 1101
Presidente/Estensore Politi
Fatto e diritto
1. Espone il ricorrente di aver chiesto, con istanza presentata in data 15 aprile 2016, il rinnovo della licenza di porto di pistola per difesa personale, di cui era in precedenza titolare in virtù dell'autorizzazione sulla base della comprovata sussistenza di una reale situazione di rischio a carico del richiedente e del conseguente bisogno di circolare armato.
Con l'impugnato decreto, il Prefetto di Bergamo, escluso che dai condotti accertamenti fossero "emerse concrete situazioni di pericolo che suffraghino l'effettiva necessità di difesa personale" e rilevato che "la situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica nel Comune di C. è da ritenersi normale", respingeva l'istanza di rinnovo della licenza di porto di pistola.
Evidenzia al riguardo l'interessato di essere imprenditore nel settore medico odontoiatrico, nonché legale rappresentante della -omissis-, società che si occupa principalmente della fornitura di materiale ed apparecchiature per attività professionali odontoiatriche ed odontotecniche.
Soggiunge di trovarsi, quotidianamente, nelle condizioni di trasportare consistenti somme di denaro e quantità elevate di metalli impiegati nel suddetto settore medico e destinati alle varie sedi operative, aventi ingente valore economico; e di aver sovente fatto ritorno da solo nella propria abitazione di C., posta in una villa isolata in zona periferica in cui vive con la propria famiglia.
E rappresenta, ulteriormente, di aver presentato varie denunce per furto, danneggiamento dell'autovettura, truffa, e, da ultimo, furto in abitazione (quest'ultima risalente al 12 giugno 2015).
Assume che l'atto gravato sia illegittimo per:
Eccesso di potere per difetto di motivazione e per carenza di istruttoria. Violazione degli artt. 3 e ss. della legge 7 agosto 1990 n. 241. Violazione del principio del legittimo affidamento.
In ragione della pregressa titolarità del porto d'armi, evidenzia il ricorrente che l'Amministrazione, nel contesto dell'atto impugnato, abbia omesso di fare riferimento alle sopravvenute circostanze che hanno comportato il diniego del rinnovo della licenza e di renderle esplicite attraverso una puntuale motivazione.
Né sarebbe stata condotta alcuna istruttoria da cui risulti il mutamento delle condizioni di pericolo del richiedente, ovvero evidenziante l'emersione di elementi suscettibile di indurre un giudizio di non affidabilità del soggetto o, comunque, tali da giustificare una diversa determinazione rispetto alle valutazioni contenute nella precedente autorizzazione del 27 giugno 2012.
Conclude la parte ricorrente insistendo per l'accoglimento del gravame ed il conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.
L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha eccepito l'infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell'impugnativa.
2. Il ricorso è stato chiamato in decisione all'odierna Camera di Consiglio a seguito di istanza dalla parte ricorrente presentata in data 14 agosto 2018 ai sensi dell'art. 71-bis c.p.a. e preceduta da istanza di prelievo depositata il 27 giugno 2017.
Va, in proposito, rammentato come la sopra citata disposizione preveda che "a seguito dell'istanza di cui al comma 2 dell'articolo 71, il giudice, accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata".
Ciò osservato, ravvisata la presenza dei presupposti indicati dalla riportata previsione di legge e sentite le parti presenti all'odierna Camera di Consiglio, dispone il Collegio di trattenere la controversia ai fini della decisione della medesima con sentenza in forma semplificata.
3. Il ricorso è infondato.
L'avversato diniego non è conseguito ad un giudizio di "inaffidabilità" del ricorrente: quanto, piuttosto, alla risultanze dei condotti accertamenti di polizia, sulla base dei quali non è risultata la presenza di elementi indicativi di condizioni attuali di concreta, grave e potenziale esposizione a rischio.
3.1 Quanto sopra puntualizzato, può fondatamente escludersi che riveli carattere di presupposto abilitante ai fini del rilascio/rinnovo della licenza di che trattasi, la circostanza rappresentata dalla movimentazione e/o dalla detenzione di valori.
La giurisprudenza è, infatti, concorde nel giudicare insufficiente - ai fini della prova del "dimostrato bisogno" - lo svolgimento di determinate attività commerciali o professionali che potrebbero, in quanto tali, esporre a reati contro la persona o il patrimonio, neppure se tali attività siano svolte in aree del Paese particolarmente colpite da fenomeni criminali e malavitosi ["Il "dimostrato bisogno" della licenza di portare armi è da considerare insussistente quando l'esigenza rappresentata a fondamento della domanda di rilascio o di rinnovo della licenza, per essere comune ad una categoria di soggetti (identificati, ad esempio, alla luce dell'attività svolta), sia contraddistinta da intrinseca astrattezza e sia quindi incoerente con la ratio della norma, fondata chiaramente sull'ineludibile condizione del concreto ed individuale pericolo di divenire vittima di fatti delittuosi": T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 19 febbraio 2008 n. 104; "La qualità di investigatore, socio accomandante e dipendente di un istituto di investigazioni, coinvolto in mansioni direttive ed amministrative che prevedono il maneggio di somme di denaro e la qualità di vice presidente di un'associazione di supporto alle vittime dell'usura, di per sé considerate e genericamente fatte valere, non configurano il "bisogno" connesso ad esigenze di difesa personale particolarmente pressanti ed evidenti che possono giustificare il rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale": Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2007, n. 2536; "Appare legittimo il diniego di autorizzazione, motivato con la mancata dimostrazione, da parte del richiedente, dell'assoluto bisogno di portare l'arma, non potendosi tale necessità desumere automaticamente dalla particolare attività professionale svolta dal ricorrente (e dalle modalità del suo svolgersi) ovvero dal fatto di operare egli in una regione (come la Calabria) infestata dalla criminalità organizzata: in tale prospettiva, si ritiene legittimo il diniego dell'autorizzazione al titolare di un esercizio commerciale, che abbia evidenziato nella sua richiesta l'esigenza di una protezione personale durante il frequente trasporto di valori a seguito di atti delittuosi eventualmente subìti": Cons. Stato , sez. VI, 14 febbraio 2007, n. 621; nello stesso senso Tar Lombardia, Milano, sez. I, 1 agosto 2007, n. 5514, che ha giudicato insufficiente, ai fini del porto d'arma, il fatto di svolgere una professione che comporta il trasporto di molto denaro e la circostanza di abitare in una zona isolata).] Il principio, del tutto condivisibile, sotteso alla citata giurisprudenza è costituito dalla necessità di impedire l'innesco di una "spirale perversa" in cui l'aumento (o il paventato pericolo di aumento) di reati contro la persona e il patrimonio - o l'operare di un oggettivo "rischio geografico", legato alla particolare presenza della criminalità in determinate aree - possano alimentare una generalizzata diffusione delle armi e condurre, da un lato, a un ulteriore aumento dei fatti di sangue che costituiscono gravissima turbativa della sicurezza pubblica e, dall'altro, a un vero e proprio sovvertimento del principio per cui la tutela della sicurezza pubblica e la difesa sociale sono riservati e affidati allo Stato (ed, entro ambiti limitati, alla polizia locale), tanto più e soprattutto in quelle aree - geografiche e sociali - nelle quali il rischio del ricorso generalizzato all'autodifesa può essere più alto.
In ogni caso, il Ministero dell'Interno, nelle sue articolazioni centrali e periferiche, ben può effettuare valutazioni di merito in ordine ai criteri di carattere generale per il rilascio delle licenze di porto d'armi, tenendo conto del particolare momento storico, delle peculiarità delle situazioni locali, delle specifiche considerazioni che - in rapporto all'ordine ed alla sicurezza pubblica - si possono formulare a proposito di determinate attività e di specifiche situazioni.
A parte l'esigenza di affrontare le emergenze della criminalità organizzata, gli organi del Ministero dell'Interno possono tener conto anche di considerazioni di carattere generale, coinvolgenti l'ordine e la sicurezza pubblica.
Ad esempio, essi possono previamente fissare i criteri secondo cui, a meno che non vi siano specifiche e accertate ragioni oggettive, l'appartenenza ad una 'categoria' non è di per sé tale da giustificare il rilascio delle licenze di porto d'armi.
Spetta infatti al Legislatore introdurre una specifica regola se l'appartenenza ad una 'categoria' giustifichi il rilascio di tali licenze e la possibilità di girare armati (tale rilascio è previsto, ovviamente, per gli appartenenti alle Forze dell'Ordine, nei limiti stabiliti dagli ordinamenti di settore).
Se invece si tratta di imprenditori, di commercianti, di avvocati, di notai, di operatori del settore assicurativo o bancario, di investigatori privati, ecc., in assenza di una disposizione di legge sul rilascio della licenza di polizia ratione personae, si deve ritenere che l'appartenenza alla 'categoria' in sé non abbia uno specifico rilievo, tale da giustificare il rilascio della licenza di porto d'armi.
Le relative valutazioni degli organi del Ministero dell'Interno - anche quando si tratti di istanze di licenze volte alla difesa personale - possono e devono tener conto delle peculiarità del territorio, delle specifiche implicazioni di ordine pubblico e delle situazioni specifiche in cui si trovano i richiedenti, ma si possono basare anche su criteri di carattere generale, per i quali l'appartenenza in sé ad una categoria non ha uno specifico rilievo.
Qualora l'organo periferico del Ministero dell'Interno si orienti nel senso che l'appartenenza in sé ad una categoria non ha uno specifico rilievo, le relative scelte di respingere le istanze di rilascio (o di rinnovo) delle licenze costituiscono espressione di valutazioni di merito, di per sé insindacabili da parte del giudice amministrativo.
3.2 La motivazione dei provvedimenti di rigetto delle istanze può basarsi dunque - come, appunto, nella fattispecie all'esame - sulla assenza di specifiche circostanze tali da indurre a disporne l'accoglimento e l'interessato può lamentare la sussistenza di profili di eccesso di potere, qualora vi sia stata una inadeguata valutazione in concreto delle circostanze.
Sulla base dei principi da ultimo riportati (enunciati anche da Cons. Stato, sez. III, 3 agosto 2016 n. 3512), ammettere che al sol fatto di svolgere un particolare attività acceda il conseguimento del titolo a portare armi, indurrebbe la conseguenza per cui a fasce molto ampie della popolazione sia consentito di girare armate, con un vero e proprio ribaltamento di fatto di quello che resta e deve rimanere (finché il Legislatore non dovesse, naturalmente, decidere di intervenire in senso diverso, nei limiti della Costituzione), un principio primo e fondante della ordinata convivenza civile e del reggimento amministrativo del nostro sistema istituzionale e giuridico, per cui è fatto divieto di portare armi ed è vietata l'autotutela (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 11 maggio 2009 n. 2522).
3.3 Con riferimento alla presente controversia, quanto precedentemente esposto persuade il Collegio che la discrezionale valutazione operata dalla competente Autorità -sostanziatasi nell'adozione del gravato provvedimento - abbia correttamente apprezzato gli elementi aventi rilevanza ai fini del rilascio del titolo abilitativo di che trattasi, alla luce dei rilievi documentali versati in atti a cura dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato in data 11 marzo 2017.
4. Sulla base di tali rilievi, e ribadite le esposte considerazioni, dispone il Collegio la reiezione del presente gravame.
La particolarità della controversia consente di compensare fra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), immediatamente ritenuto per la decisione nel merito, ai sensi dell'artt. 71-bis c.p.a., il ricorso indicato in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi della parte ricorrente, nonché degli altri soggetti nominativamente individuati nella presente pronunzia, manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini ivi indicati.
24-11-2018 14:39
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