Il Magistrato di Sorveglianza dispone che l’interessato venisse sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata per un anno.-
TAR Marche, sez. I, ordinanza 13 giugno – 24 luglio 2018, n. 519
Presidente Filippi – Estensore Morri
Fatto e diritto
1. Con ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Ancona n. 2107/1089, depositata in data 14 novembre 2017, il ricorrente veniva sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata per anni uno con decorrenza dal 18 novembre 2017. In conseguenza di ciò il Prefetto di Ancona, con il provvedimento qui impugnato, disponeva la revoca della patente di guida ai sensi dell'art. 120, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), secondo cui:
“1. Non possono conseguire la patente di guida i delinquenti abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ad eccezione di quella di cui all'articolo 2, e dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi, nonché i soggetti destinatari dei divieti di cui agli articoli 75, comma 1, lettera a), e 75-bis, comma 1, lettera f), del medesimo testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 per tutta la durata dei predetti divieti. Non possono di nuovo conseguire la patente di guida le persone a cui sia applicata per la seconda volta, con sentenza di condanna per il reato di cui al terzo periodo del comma 2 dell'articolo 222, la revoca della patente ai sensi del quarto periodo del medesimo comma.
2. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 75, comma 1, lettera a), del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, se le condizioni soggettive indicate al primo periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in data successiva al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della patente di guida. La revoca non può essere disposta se sono trascorsi più di tre anni dalla data di applicazione delle misure di prevenzione, o di quella del passaggio in giudicato della sentenza di condanna per i reati indicati al primo periodo del medesimo comma 1”.
Si è costituita per resistere al gravame, chiedendone il rigetto, la Prefettura di Ancona.
Nella camera di consiglio del 13 giugno 2018 il Collegio avvisava le parti della possibilità di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 del codice del processo amministrativo.
2. Il ricorso è affidato ad un'unica censura di violazione di legge ed eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità. In particolare parte ricorrente sostiene che il provvedimento del Prefetto si pone in contrasto con la sopra citata ordinanza n. 2107 del 1089 del Tribunale di Sorveglianza, nella parte in cui essa così stabilisce: “quanto all'utilizzo della patente di guida, nulla osta da parte di questa A. G. a che il soggetto possa continuare a farne uso in costanza di misura di sicurezza per ragioni legate all'attività lavorativa”. Inoltre il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo perché non indica la durata della revoca della patente e ciò si porrebbe in contrasto con la durata della misura di sicurezza limitata ad anni uno.
L'amministrazione resistente riferisce di aver esercitato un potere vincolato nei presupposti e negli effetti: acquisito il parere del Magistrato di Sorveglianza di Ancona e preso atto dell'avvenuta sottoposizione del ricorrente alla misura di sicurezza, ha disposto la revoca del titolo di guida ai sensi del citato art. 120, comma 2, del codice della strada.
Sul punto va in effetti osservato che il prevalente orientamento della giurisprudenza sia amministrativa, sia civile, ritiene che il provvedimento prefettizio di revoca della patente in dipendenza di misure di sicurezza personali, come nel caso in esame, sia espressione di discrezionalità amministrativa, cioè di potere idoneo a degradare la posizione di diritto soggettivo della persona abilitata alla guida, ma costituisca un atto dovuto, nel concorso delle condizioni all'uopo stabilite dalla norma (cfr. Cass. Civ., SS.UU., 14 maggio 2014, n. 10406; TAR Lazio, Roma, I-ter, 17 gennaio 2018, n. 548). Di conseguenza, il prevalente orientamento della giurisprudenza esclude la giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. tra le ultime, Cass. 10406 del 2014 cit.; TAR Campania, Napoli, Sez. V, 24 gennaio 2018, n. 487; TAR Lazio, n. 548 del 2018 cit.).
3. Il Collegio rileva, tuttavia, che tale orientamento potrebbe essere rivisitato per effetto della recente pronuncia della Corte Costituzionale 9 febbraio 2018, n. 22 (in G.U. 14 febbraio 2018, n. 7), che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 120, comma 2, del richiamato D. Lgs. n. 285 del 1992, come sostituito dall'art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), nella parte in cui dispone che il prefetto “provvede” - invece che “può provvedere” - alla revoca della patente.
La citata declaratoria di incostituzionalità veniva tuttavia pronunciata “con riguardo all'ipotesi di condanna per reati di cui agli artt. 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza)”, mentre, in questa sede, il presupposto della decisione amministrativa riguarda l'applicazione di misure di sicurezza personali.
A giudizio del Collegio emergono tuttavia i presupposti per affermare la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 120, comma 2, del D. Lgs. n. 285 del 1992, nella parte in cui dispone che il prefetto “provvede” - invece che “può provvedere” - alla revoca della patente anche quando il relativo presupposto riguardi la sottoposizione dell'interessato a misure di sicurezza personali come nel caso in esame.
3.1 Sul punto è utile ricordare le seguenti considerazioni che si leggono al paragrafo 7 della citata pronuncia della Corte Costituzionale n. 22 del 2018:
“7.- La seconda questione - relativa all'automatismo della revoca della patente, da parte dell'autorità amministrativa, in caso di sopravvenuta condanna del suo titolare, per reati in materia di stupefacenti - è, invece, fondata per violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.
La disposizione denunciata - sul presupposto di una indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida - ricollega, infatti, in via automatica, il medesimo effetto, la revoca di quel titolo, ad una varietà di fattispecie, non sussumibili in termini di omogeneità, atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve, entità. Reati che, per di più, possono (come nella specie) essere assai risalenti nel tempo, rispetto alla data di definizione del giudizio. Il che dovrebbe escluderne l'attitudine a fondare, nei confronti del condannato, dopo un tale intervallo temporale, un giudizio, di assenza dei requisiti soggettivi per il mantenimento del titolo di abilitazione alla guida, riferito, in via automatica, all'attualità.
Ulteriore profilo di irragionevolezza della disposizione in esame è, poi, ravvisabile nell'automatismo della "revoca" amministrativa rispetto alla discrezionalità della parallela misura del "ritiro" della patente che, ai sensi dell'art. 85 del d.P.R. n. 309 del 1990, il giudice che pronuncia la condanna per i reati in questione «può disporre», motivandola, «per un periodo non superiore a tre anni».
È pur vero che tali due misure - come già evidenziato - operano su piani diversi e rispondono a diverse finalità.
Ma la contraddizione non sta nel fatto che la condanna per reati in materia di stupefacenti possa rilevare come condizione soggettiva ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida, agli effetti della sua revocabilità da parte dell'autorità amministrativa, anche quando il giudice penale (non ritenendo che detto titolo sia strumentale al reato commesso o che possa agevolare la commissione di nuovi reati) decida di non disporre (ovvero disponga per un più breve periodo) la sanzione accessoria del ritiro della patente.
La contraddizione sta, invece, in ciò che - agli effetti dell'adozione delle misure di loro rispettiva competenza (che pur si ricollegano al medesimo fatto-reato e, sul piano pratico, incidono in senso identicamente negativo sulla titolarità della patente) - mentre il giudice penale ha la "facoltà" di disporre, ove lo ritenga opportuno, il ritiro della patente, il prefetto ha invece il "dovere" di disporne la revoca.
Per tali profili di contrasto con l'art. 3 Cost. (nei quali restano assorbite le altre formulate censure) va, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'esaminato comma 2 dell'art. 120 cod. strada, nella parte in cui dispone che il prefetto «provvede» - invece che «può provvedere» - alla revoca della patente di guida, in caso di sopravvenuta condanna del suo titolare per reati di cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990”.
3.2 Anche in caso di misure di sicurezza personali l'odierno Collegio rileva la disomogeneità di tali misure applicabili in base alle circostanze (libertà vigilata, ex artt. 228-232 c.p.; divieto di soggiorno, ex art. 233 c.p.; divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche, ex art. 234 c.p.), ma tutte compatibili con la possibilità di utilizzare il titolo di guida.
La durata complessiva delle misure di sicurezza è poi variabile in relazione alla pericolosità sociale del destinatario, ferma restando la loro durata minima.
L'automatismo delineato dall'art.120, comma 2, del Codice della strada risulterebbe quindi irragionevole di fronte alla molteplicità di situazioni (pericolosità del soggetto più o meno grave) e di misure di sicurezza che potrebbero essere applicate (più o meno rigorose e più o meno protratte nel tempo).
3.3 Emerge inoltre l'ulteriore profilo di irragionevolezza dell'art. 120, comma 2, del codice della strada, nella contraddizione tra scopi e poteri esercitati dalle diverse autorità (Giudice e Prefetto) di fronte alla medesima vicenda.
Il magistrato di sorveglianza esercita un potere discrezionale, ai sensi degli articoli 228 del codice penale e 190 disp. att. del codice di procedura penale, nello stabilire le prescrizioni alle quali deve attenersi la persona sottoposta a libertà vigilata. A norma dell'art. 228 c.p. “la sorveglianza deve essere esercitata in modo da agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento della persona alla vita sociale”. Analogo indirizzo si legge nell'ultimo comma del citato art. 190 secondo cui “La vigilanza è esercitata in modo da non rendere difficoltosa alla persona che vi è sottoposta la ricerca di un lavoro e da consentirle di attendervi con la necessaria tranquillità”.
L'art. 62, comma 2, della Legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) prevede, con riferimento alle misure della libertà controllata e della semidetenzione, che “quando il condannato svolge un lavoro per il quale la patente di guida costituisce indispensabile requisito, il magistrato di sorveglianza può disciplinare la sospensione in modo da non ostacolare il lavoro del condannato”.
Proprio per garantire tali finalità, il Magistrato di sorveglianza di Ancona, con la citata ordinanza n. 2107/1089, si esprimeva anche sulla patente del ricorrente, rilasciando nulla osta “a che il soggetto possa continuare a farne uso in costanza di misura di sicurezza per ragioni legate all'attività lavorativa”.
Tale possibilità, specificatamente legata all'attività lavorativa favorita attraverso la libertà vigilata, veniva tuttavia vanificata dalla revoca del titolo di guida disposta dal Prefetto di Ancona nell'esercizio del potere – appunto vincolato – previsto dal richiamato articolo 120, comma 2, del codice della strada.
3.4 La norma che prevede un tale potere vincolato evidenzia quindi profili, non manifestamente infondati, di disparità di trattamento, sproporzionalità e irragionevolezza incidenti sulla libertà personale, sul diritto al lavoro e sulla libertà di circolazione in contrasto con gli articoli 3, 4, 16 e 35 della Costituzione.
4. L'attuale formulazione dell'art. 120, comma 2, del codice della strada, determinerebbe il rigetto del ricorso poiché il Prefetto di Ancona ha esercitato un potere vincolato, ovvero un automatismo.
L'eventuale incostituzionalità dell'art. 120, comma 2, del codice della strada, nella parte in cui dispone che il prefetto “provvede” - invece che “può provvedere” - alla revoca della patente, ne determinerebbe invece l'accoglimento, poiché l'autorità amministrativa dovrebbe rideterminarsi sulla scorta di un apprezzamento discrezionale della specifica situazione.
La questione di incostituzionalità dell'art. 120, comma 2, del codice della strada risulta quindi rilevante al fine di decidere l'odierno giudizio.
5. Tale questione, se fondata, esplicherebbe poi effetti anche sulla giurisdizione, radicando quella del giudice amministrativo.
Come ricordato nel precedente paragrafo 2, l'orientamento antecedente alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 22 del 2018 affermava la giurisdizione del giudice ordinario non venendo in rilievo l'esercizio di discrezionalità amministrative, cioè di poteri idonei a degradare la posizione di diritto soggettivo della persona abilitata alla guida.
Al contrario, la declaratoria di incostituzionalità dell'art. 120, comma 2, del codice della strada, nella parte in cui dispone che il prefetto “provvede” - invece che “può provvedere” - alla revoca della patente, renderebbe la posizione soggettiva di interesse legittimo di fronte all'esercizio di poteri discrezionali, così come già affermato dalla giurisprudenza amministrativa dopo la ricordata sentenza n. 22 del 2018 (cfr. TAR Lombardia, Brescia, I, 26 marzo 2018, n. 343; TAR Friuli Venezia Giulia, 31 maggio 2018, n. 181), ancorché in fattispecie parzialmente diverse in quanto la revoca del titolo di guida veniva disposta a seguito di condanne per reati inerenti agli stupefacenti.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), per contrasto con gli articoli 3, 4, 16 e 35 della Costituzione, nella parte in cui dispone che il prefetto “provvede” - invece che “può provvedere” - alla revoca della patente nei confronti di coloro che sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali.
Conferma, fino alla definizione del ricorso nel merito, la misura cautelare disposta con decreto presidenziale n. 93/2018 a sua volta confermata, fino all'esito dell'odierna camera di consiglio, con ordinanza collegiale 10 maggio 2018, n. 105.
Dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Ordina che, a cura della Segreteria del Tribunale, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica,
29-07-2018 13:43
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