Avvocato Amministrativista a Trapani - Diritto Amministrativo - Notizie, Articoli, Sentenze

Sentenza

L'annullamento in autotutela alla luce delle recenti riforme legislative....
L'annullamento in autotutela alla luce delle recenti riforme legislative.
In tema di autotutela, la rimozione d'ufficio di un atto favorevole esige una articolata esplicitazione delle ragioni di interesse generale che impongono l'eliminazione dell'atto invalido, attraverso la chiara esemplificazione degli effetti concreti che si assumono contrastanti con i valori tutelati dall'ordine legale infranto, per come atteggiantesi nello specifico contesto empirico e non per come astrattamente considerati dalla disciplina normativa.
Il Consiglio di Stato ha rilevato - in tema di autotutela -  che recenti riforme hanno inciso sui presupposti per l'esercizio di tale potere: l'art. 25, comma 1, lettera b-quater, del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito nella legge n. 164/2014, ha modificato l'art. 21-nonies della l. n. 241/90, escludendo la possibilità di procedere ad annullamento d'ufficio nei casi di provvedimenti già non annullabili dal giudice amministrativo nella ricorrenza dei requisiti di cui all'art. 21-octies, comma 2, l.cit.; la successiva legge n. 124 del 2015 − nel segno di una tendenziale riduzione dei poteri discrezionali dell'amministrazione, al fine di garantire maggiore certezza e stabilità ai rapporti giuridici dei soggetti la cui azione risulta condizionata dalle decisioni amministrative – ha introdotto due importanti modifiche (ossia la fissazione del termine massimo di diciotto mesi per la valida adozione dell'annullamento d'ufficio di atti autorizzatori e attributivi di vantaggi economici; nonché la previsione, con il comma aggiunto 2-bis, della possibilità di annullare, anche dopo quel termine, i provvedimenti ottenuti sulla base di dichiarazioni false, ma solo quando la falsità sia stata accertata in sede penale con sentenza passata in giudicato).
In tal senso - precisa la sentenza -  sussiste un "vistoso allontanamento" dalla tradizionale ricostruzione dell'istituto fondata sull'immanenza ed inesauribilità del potere amministrativo e sull'idea che si tratti di una prerogativa a tutela del solo interesse pubblico ancorato a presupposti necessariamente elastici.
Ciò posto, il Consiglio ha sottolineato che:
- il rafforzamento della tutela dell'affidamento si è manifestata anche nella direzione della ridefinizione dei rapporti fra autotutela e SCIA, con la più rigida perimetrazione dei poteri inibitori e conformativi attribuiti all'amministrazione destinataria della segnalazione [in particolare, l'art. 19, comma 4, della l. n. 241 del 1990, come modificato dall'art. 6, comma 1, lettera a), della l. 7 agosto 2015, n. 124, prevede ora che, decorso il termine ordinario (di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis, dello stesso articolo 19), l'amministrazione competente può adottare i medesimi provvedimenti di inibizione e di conformazione in presenza delle condizioni di cui all'articolo 21-nonies. L'art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 222 del 2016, ha inoltre chiarito che i diciotto mesi iniziano a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l'esercizio dei poteri ordinari di verifica da parte dell'Amministrazione competente];
- la rimozione d'ufficio di un atto favorevole esige una articolata esplicitazione delle ragioni di interesse generale che impongono l'eliminazione dell'atto invalido, attraverso la chiara esemplificazione degli effetti concreti che si assumono contrastanti con i valori tutelati dall'ordine legale infranto, per come atteggiantesi nello specifico contesto empirico e non per come astrattamente considerati dalla disciplina normativa (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 27 gennaio 2017 n. 341).
In ordine al regime transitorio (giacché gli impugnati atti di autotutela erano stati adottati nel vigore della legge n. 124 del 2015, entrata in vigore il 28 agosto 2015), il Collegio ha altresì evidenziato che:
a) ribadendo quanto già affermato dal Consiglio di Stato (sez. V, sentenza 19 gennaio 2017, n. 250) il termine dei diciotto mesi non può applicarsi in via retroattiva, nel senso di computare anche il tempo decorso anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, atteso che tale esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi), finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l'esercizio del potere di autotutela amministrativa;
b) infatti  - prosegue la sentenza - si giungerebbe all'irragionevole conseguenza per cui, con riguardo ai provvedimenti adottati diciotto mesi prima dell'entrata in vigore della nuova norma, l'annullamento d'ufficio sarebbe, per ciò solo, precluso. Ne consegue che, rispetto ai provvedimenti illegittimi (di primo grado) adottati anteriormente all'attuale versione dell'art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, il termine dei diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione, fatta salva, in ogni caso, l'operatività del “termine ragionevole” già previsto dall'originaria versione dell'art. 21-nonies legge n. 241 del 1990. In merito al rispetto del parametro della ragionevolezza del termine, il Consiglio ha inoltre precisato che − per quanto i diciotto mesi non possano considerarsi (per i motivi anzidetti) ancora decorsi − è anche vero che la novella non può non valere come prezioso indice ermeneutico ai fini dello scrutinio dell'osservanza della regola di condotta in questione (Consiglio di Stato, sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5625).
In definitiva, la decifrazione della nozione indeterminata di termine ragionevole, ai fini dello scrutinio della sua corretta interpretazione da parte dell'amministrazione, deve essere, quindi, compiuta con particolare rigore quando il potere di autotutela viene esercitato su atti attribuitivi di utilità giuridiche od economiche.
Nella specie, la sentenza in esame ha posto in rilievo che il ricorrente impugnava la pronuncia del TAR ritenuta erronea nella parte in cui non avrebbe tenuto conto della modifica apportata all'art. 21-nonies della L. n. 241/1990 dall'art. 6, lettera d), della l. n. 124/2015, il quale prescrive il termine perentorio di 18 mesi entro il quale l'Amministrazione può agire in autotutela che, nel caso concreto, sarebbe stato ampiamente trascorso.
Il Consiglio ha ritenuto fondato il motivo di impugnazione con il quale gli appellanti rimarcavano l'illegittimità dei contestati atti di ritiro, in quanto adottati in violazione dei canoni normativi relativi al termine entro cui può essere validamente rimosso (d'ufficio) un provvedimento illegittimo e alla sussistenza di un interesse pubblico (attuale e specifico) che ne giustifichi l'eliminazione.
Ciò posto, il Consiglio ha altresì evidenziato che: l'identificazione dell'interesse pubblico all'eliminazione dell'atto viziato nelle medesime esigenze di tutela implicate dalla norma violata con lo stesso, si risolve in ogni caso nella (inammissibile) coincidenza del presupposto vincolante consistente nell'invalidità del provvedimento originario con l'ulteriore e diversa condizione (secondo l'assetto regolativo di riferimento) della sussistenza di un interesse pubblico alla sua rimozione d'ufficio. Sennonché - chiarisce il Collegio - tale esegesi dev'essere rifiutata nella misura in cui si risolve nella pratica disapplicazione della parte del precetto che esige la ricorrenza dell'ulteriore (rispetto all'illegittimità dell'atto originario) condizione della ricorrenza dell'interesse pubblico attuale alla eliminazione del provvedimento viziato e, quindi, all'elisione dei suoi effetti giuridici. In altri termini, non solo occorre che l'interesse pubblico alla rimozione dell'atto viziato non coincida con la mera esigenza della restituzione all'azione amministrativa della legalità violata, ma anche che non si risolva nella semplice e astratta ripetizione delle stesse esigenze regolative sottese all'ordine giuridico infranto, in quanto una motivazione siffatta finirebbe logicamente proprio per esaurire l'apprezzamento del presupposto discrezionale in un esame nel mero riscontro della condizione vincolante (l'illegittimità dell'atto da annullare d'ufficio), con un palese (e inammissibile) tradimento della chiara volontà del legislatore.
Pertanto, la Sezione – chiarito nella specie che l'esercizio del potere di autotutela è intervenuto a distanza di un periodo compreso tra i sei e i tre anni dalla presentazione dei titoli asseritamente illegittimi e che la tardività dell'intervento correttivo imponeva, a fronte della consistenza dell'affidamento ingenerato nei destinatari circa il consolidamento della loro efficacia, una motivazione particolarmente convincente circa l'apprezzamento degli interessi dei destinatari dell'atto, in relazione alla pregnanza e alla preminenza dell'interesse pubblico alla eliminazione d'ufficio del titolo edilizio illegittimo  – ha accolto l'appello.
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza