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Sentenza

Compensi per il rinvenimento dello scheletro fossile del cd. “uomo di Altamura...
Compensi per il rinvenimento dello scheletro fossile del cd. “uomo di Altamura
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 16 marzo – 31 maggio 2017, n. 2619
Presidente Caracciolo – Estensore Buricelli

Fatto e diritto

1.Il ritrovamento dell' “Uomo di Altamura”, scheletro fossile di ominide vissuto circa 150.000 anni fa, scoperta paleoantropologica importantissima, avvenne nell'ottobre del 1993 in una grotta in Altamura (BA) grazie all'intervento congiunto –come si dirà meglio più avanti- di due gruppi speleologici: il Centro Altamurano Ricerche Speleologiche (d'ora in poi CARS) e il Gruppo Speleologico Vespertilio, appartenente al Club Alpino Italiano -Sezione di Bari (in prosieguo CAI Bari o GSV).
Sin dal 1991 gli speleologi del CARS avevano iniziato l'esplorazione di una vasta zona situata nelle vicinanze di Altamura riuscendo, dopo circa tre anni e decine di uscite, a creare un'apertura idonea a penetrare nel fondo di una grotta denominata Lamalunga, situata nel suolo di una proprietà di privati.
Nel settembre del 1993 venivano invitati a prendere parte alle esplorazioni alcuni componenti del GSV e soci del CAI di Bari, tra i quali i signori M. e Di Liso.
La scoperta è descritta nei termini che seguono dal Soprintendente per i Beni Archeologici della Puglia nella nota prot. 10154 del 29 agosto 2012: in data 3 ottobre 1993, «il gruppo CARS unitamente al Gruppo CAI di Bari (W. S., L. Di Liso e M. M.) effettuavano l'ennesima esplorazione della grotta; inoltrandosi nel cunicolo in cui erano sedimentati reperti ossei non umani, al fine di effettuare rilievi topografici e fotografici. Intorno alle ore 16,00 quando oramai i membri del CARS erano usciti dalla Grotta, il sig. Di Liso, membro del C.A.I., avanzando in uno stretto cunicolo scopriva un cranio unitamene ad altri reperti scheletrici umani».
2.Dopo un lungo procedimento amministrativo rivolto a ottenere la corresponsione del premio di ritrovamento di cui all'art. 44 della l. n. 1089 del 1939 (v. , ora, gli articoli 92 e 93 del t. u. n. 42 del 2004), nel 2001 il Ministero negava il premio di rinvenimento richiesto, affermando che i proprietari del fondo ove si trova la grotta di Lamalunga avevano dichiarato all'Amministrazione “di non aver mai rilasciato autorizzazione all'accesso al proprio fondo a nessuno dei due gruppi interessati al ritrovamento”.
Il CARS, da una parte, e i signori M. e D. L., dall'altra, impugnavano il diniego dinanzi al Tar di Bari con separati ricorsi, che venivano decisi con la sentenza n. 1982 del 2007.
Nelle premesse della decisione si precisa che dagli atti dei giudizi emerge che il M. e il D. L., soci del CAI di Bari, assumevano di essere stati gli unici scopritori dei resti dell' “Uomo di Altamura”, e di avere quindi diritto in via esclusiva al pagamento del premio.
Con la sentenza il Tar ha accolto i ricorsi riuniti.
In particolare, al p. 3. della motivazione in Diritto è stato rilevato che i proprietari del fondo hanno, sia pure per fatti concludenti, “acconsentito ai membri del CARS e del CAI di accedervi. Nessun dubbio quindi sulla spettanza del premio agli scopritori”.
Nel ricorso del CARS si erano costituiti “ad opponendum” i signori M. e D.L. sostenendo che il CARS non aveva titolo a rivendicare una quota del premio.
Sulla spettanza del premio la sentenza, al p. 4., ha motivato come segue: il problema consiste nell'individuare lo "scopritore". Orbene, dall'esame della documentazione presente in atti emerge che il giacimento paleontologico è stato scoperto dai membri del CARS i quali hanno invitato anche alcuni membri del CAI ad assistere alle discese. In occasione di una di queste discese i membri del CARS hanno imboccato un cunicolo, quelli del CAI un altro cunicolo e in tale secondo cunicolo sono stati trovati i resti dell' "Uomo di Altamura". Ritiene il Collegio che per "scoperta" non debba e non possa intendersi i soli resti dell' "Uomo di Altamura", ma l'intero giacimento paleontologico (contenente anche altri resti umani, oltre ai primi ritrovati, nonché resti di animali), che per come si legge dalla documentazione del Ministero costituisce una "straordinaria scoperta che si deve alla attività pluriennale di alcuni speleologi raggruppati sotto le insegne del CARS... e del… CAI di Bari" (v. comunicato stampa del Ministero prodotto dai ricorrenti…). Segue da ciò che il premio di rinvenimento deve essere diviso al 50% tra i due gruppi che hanno contribuito alla scoperta».
La sentenza veniva impugnata dai signori D.L. e M., nella parte in cui il Tar aveva riconosciuto un eguale contributo causale nella scoperta da parte dei due gruppi.
L'appello è stato respinto con la sentenza di questa Sezione n. 116 del 2013 nella quale –v. p. VI) della motivazione- è stato affermato in particolare che la ripartizione del premio operata dal primo giudice corrisponde alla corretta imputazione dell'azione all'agente secondo il nesso di causalità, essendo evidente che i membri del CAI, scopritori materiali dei reperti, si sono introdotti nella grotta solo perché invitati, e che, d'altra parte, è al CARS che va imputata l'attività che ha reso possibile la scoperta.
E' stata così confermata la statuizione di primo grado.
3.Con nota del 17 dicembre 2014, prot. 15479, la Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia –Taranto, ha comunicato al CAI di Bari che in virtù di un "maggior approfondimento dell'istruttoria" e in particolare dall'esame della "nota CAI del 7.11.2001", con la quale quest'ultimo "dichiarava di non avere competenza alla riscossione del premio di rinvenimento", gli aventi diritto al premio erano i signori M. e D. L. personalmente, anziché il CAI di Bari.
Nella nota, la Soprintendenza fa richiamo anche alla sentenza del Tar n. 1982 del 2007, confermata dal Consiglio di Stato con la decisione n. 116 del 2013.
La Soprintendenza ha pertanto assegnato al M. e al D.L. € 112.500 “pro capite”, ferma la spettanza, alla CARS, della somma di € 225.000 (a rendere ancora più aggrovigliata l'intera vicenda vi è il fatto che la Soprintendenza, con nota prot. n. 4400 del 22 aprile 2015, ha dichiarato che il precedente provvedimento del 17 dicembre 2014 era stato adottato per un mero errore materiale, avendo l'Amministrazione inteso che il CAI fosse rappresentato dai signori M. e D. L. La nota del 22 aprile 2015 risulterebbe, peraltro, essere stata revocata, in base a quanto affermano gli appellati, senza contestazione alcuna al riguardo da parte del CAI).
Il CAI di Bari ha impugnato l'atto del 17 dicembre 2014 dinanzi al Tar il quale, con la sentenza in epigrafe, ha respinto il ricorso, compensando le spese.
Nella sentenza le posizioni delle parti sono sintetizzate come segue:
-il CAI di Bari reclama l'attribuzione della quota parte del premio assegnato personalmente ai signori M. e D. L. evidenziando che gli stessi parteciparono alla spedizione che condusse al rinvenimento dei reperti paleontologici non a titolo personale ma esclusivamente “quali componenti del CAI”. Nei due motivi articolati viene dedotta l'erroneità delle decisione della Soprintendenza nella parte in cui attribuisce ai signori M. e D.L. in proprio – in quanto scopritori del c. d. “Uomo di Altamura”- benché appartenenti, all'epoca, al CAI, la metà del premio di rinvenimento, poiché:
“1) la sentenza (del) Tar n. 1982/2007, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 116/2013, che per prima si è occupata della vicenda, statuendo sulla spettanza del premio, lo avrebbe attribuito, in realtà, all'associazione odierna ricorrente (unitamente al CARS, in misura del 50% per ciascuno dei due gruppi);
2) la nota del 7.11.2001, con cui l'allora Presidente del CAI dichiarava che “questa associazione, pur essendo al corrente dell'attività personale posta in essere dai predetti soci (M. e Di Liso n.d.e.), non ha mai avuto alcun ruolo ufficiale sia nella scoperta sia nelle vicende successive e che non ha nulla da pretendere o rivendicare in merito alla stessa”, posta a fondamento ulteriore della determinazione impugnata, non avrebbe validità alcuna in quanto adottata dal Presidente, in assenza di un precedente deliberato del Consiglio Direttivo, e priva di data certa”;
-da parte propria gli scopritori M. e D.L.rivendicano l'attribuzione del 50% del premio di rinvenimento, sostenendo di avere partecipato alla spedizione a titolo personale, e che la sentenza n. 1982/2007 è stata resa su ricorso presentato a titolo esclusivamente personale dagli allora ricorrenti M. e Di L. e in tal senso va interpretata la statuizione sulla spettanza del premio di ritrovamento ai due “gruppi speleologici che avevano contribuito alla scoperta”, con riferimento al CARS da un lato e al “gruppo” M. -D.L. dall'altro;
-il CARS, nel costituirsi in giudizio “ad adiuvandum”, evidenzia l'assenza di un proprio interesse oppositivo alla domanda e rimarca che i signori M. e D.L. non parteciparono all'esplorazione del sito in proprio, ma quali rappresentanti del CAI di cui utilizzarono il “nomen” e le attrezzature;
-in sede di discussione orale il Ministero ha avallato la posizione della Soprintendenza in ragione delle notevoli difficoltà interpretative, quanto alla spettanza della metà del premio in questione, recate dalla sentenza 1982/2007, il che ha reso non agevole l'individuazione degli aventi diritto, evidenziandone la riferibilità ai ricorrenti personalmente e non quali esponenti del CAI, e aderendo alla tesi dei controinteressati;
-in motivazione il giudice rileva dapprima che “la corretta individuazione dei titolari del premio di rinvenimento quanto alla quota spettante al gruppo speleologico che si affiancò al CARS nella scoperta dei resti paleontologici è resa non del tutto piana dal rapporto tra il contenuto delle sentenze n. 1982/2007 del Tar e n. 116/2013 del Consiglio di Stato, da un lato, e i soggetti ricorrenti in quella sede, dall'altro”.
Nel giudizio definito con la sentenza n. 1982/2007 il M. e il D. L. avevano agito anche per l'attribuzione della quota di premio in loro favore.
Nello stabilire a chi spettasse il premio il Tar ha statuito “che il premio dovesse “essere diviso al 50% tra i due gruppi che hanno contribuito alla scoperta”, ripetutamente facendo riferimento a due gruppi di speleologi raggruppati sotto le insegne del CARS e del CAI”.
“Depone nello stesso senso il passaggio motivazionale della sentenza di appello n. 116/2013, laddove testualmente afferma “.... la sentenza impugnata, nella parte in cui dichiara la spettanza del premio agli scopritori e la spettanza per la metà ciascuno al C.a.r.s. e al C.a.i. non è stata oggetto di appello da parte del Ministero ...” (v. par. V della decisione)”.
“Tanto ha indotto il Collegio, nella fase cautelare, ad individuare la regula iuris del caso concreto dettata dalla sentenza n.1982/2007 di questo Tar, nell'assegnazione del premio di ritrovamento, al 50% alle due associazioni (CAI e CARS) e non al CARS ed ai signori M. – Di L. in proprio”.
“Nello stesso solco interpretativo si pone la nota impugnata, nella parte in cui riconosce valore alla nota del CAI del 7.11.2001, di rinuncia alla riscossione del premio, in favore di M. – Di Liso a titolo personale”.
“Il provvedimento impugnato, infatti, nel riconoscere efficacia alla rinuncia del CAI, implicitamente riconosce in quest'ultimo il soggetto titolare alla riscossione (in quanto solo il titolare del diritto può disporne, rinunciandovi), evidentemente interpretando le sentenze in esame nello stesso senso fatto proprio dal Collegio in sede cautelare”.
“Sennonché” –argomenta la sentenza alle pagine 7 e 8-, in seguito alla discussione orale di merito è stato posto in risalto:
-in primo luogo, che nel 2001 il M. e il Di L. agirono dinanzi al Tar “a titolo personale e in proprio”, come si ricava dalla intestazione dell'atto introduttivo del giudizio e dalle conclusioni, nella parte in cui si reclama l'attribuzione ai ricorrenti, in qualità di scopritori, della quota di premio;
-in secondo luogo, che i principi “in tema di legittimazione attiva e di corrispondenza tra chiesto e pronunciato impongono di riferire le statuizioni della decisione … ai soggetti che hanno agito in giudizio per il riconoscimento delle proprie posizioni soggettive” posto che “risulterebbe … distonica rispetto a tali principi la statuizione che attribuisse il bene della vita reclamato ad un soggetto giuridico diverso da quello che ha agito in giudizio (in proprio) per il suo riconoscimento”, sicché la statuizione della sentenza del 2007 va riferita, per la parte di interesse, alle posizioni giuridiche personali dei controinteressati e non al CAI, con il conseguente riconoscimento della “spettanza del premio agli scopritori M. e Di Liso in proprio”.
Da qui, la legittimità dell'atto impugnato “nella sua parte dispositiva, laddove riconosce ai signori M. – Di L. personalmente la quota parte del 50% del premio di rinvenimento, atteso che la regola iuris dettata dalla sentenza n. 1982/2007, confermata in appello, va – diversamente da quanto inizialmente ritenuto - correttamente interpretata…” alla luce delle considerazioni su esposte; ciò a prescindere dalla ulteriore ragione giustificatrice, riferita alla rinuncia del premio da parte del CAI, atteso che il provvedimento impugnato, plurimotivato, rimane assistito da una sufficiente motivazione e, soprattutto, “si manifesta esatto nel decisum che, alla luce della corretta individuazione delle statuizioni contenute nella sentenza n. 1982/2007, si atteggia di natura vincolata”.
4.Il CAI di Bari ha proposto appello con due articolati motivi, concernenti “erroneità della sentenza” e violazione dei principi in tema di interpretazione ed esecuzione delle sentenze e degli atti amministrativi, e ha concluso chiedendo l'annullamento del provvedimento della Soprintendenza del 17 dicembre 2014 e l'accertamento che l'unico soggetto avente diritto alla corresponsione del premio di rinvenimento, fermo il diritto del CARS, è il CAI –Sezione di Bari.
Resistono i signori M. e Di Liso, i quali hanno chiesto la condanna del CAI di Bari per lite temeraria ai sensi dell'art. 96 c.p.c., mentre il Mibact ha svolto una difesa di pura forma.
5.L'appello è fondato e va accolto.
Si è già rilevato sopra, al p. 3, che con il provvedimento del 17 dicembre 2014 il Soprintendente ha considerato quali soggetti “aventi diritto alla riscossione del premio, fermo restando il diritto acquisito dal CARS”, i signori Di Liso e M., “nelle loro persone fisiche”, richiamando in primo luogo la nota del 7 novembre 2001 con la quale il CAI di Bari aveva dichiarato di non avere competenza alla riscossione del premio di rinvenimento, e menzionando inoltre la sentenza del Tar n. 1982 del 2007, confermata da questo Consiglio di Stato con la decisione n. 116 del 2013.
5.1. Per quanto riguarda la prima ragione giustificatrice, che, invero, sembra costituire effettivamente “presupposto essenziale” della decisione dell'Amministrazione, il Collegio ritiene anzitutto corretta l'asserzione compiuta in sentenza, nella prima parte della motivazione in Diritto, vale a dire prima del “Sennonché…” di pag. 7, con la quale si osserva che “il provvedimento impugnato, nel riconoscere efficacia alla rinuncia del CAI, implicitamente riconosce in quest'ultimo il soggetto titolare alla riscossione (in quanto solo il titolare del diritto può disporne, rinunciandovi), evidentemente interpretando le sentenze (del 2007 e del 2013) nello stesso senso fatto proprio dal Collegio in sede cautelare”, ossia nel senso che il riferimento, contenuto nella sentenza del 2007, al p. 4. , ai due gruppi speleologici che avevano contribuito alla scoperta, riguardava il CARS e il CAI e non il M. e il Di L. a titolo personale (conf. ord. n. 181 del 2015, pronunciata nel ricorso definito con la sentenza n. 663 del 2016, nella parte in cui il Tar afferma che la sentenza del 2007 confermata in appello assegna il premio al 50 % alle due associazioni, CAI e CARS e, più avanti, rileva che il premio dello scopritore spetta esclusivamente al CAI, e non ai suoi associati).
Il Collegio ritiene poi di dover porre in evidenza la considerazione della parte appellante con la quale si sottolinea che il Tribunale civile di Bari, con ordinanza emanata il 4 febbraio 2016, peraltro impugnata, ha accertato e dichiarato la “radicale inattitudine della nota CAI (del 7 novembre 2001) a integrare gli estremi di una rinuncia patrimoniale o comunque di un atto produttivo di effetti di sorta in danno del CAI Bari”.
Su questo tema il Collegio ritiene, in ogni caso, nell'esercizio dei propri poteri di cognizione incidentale di cui all'art. 8 del c.p.a. , dato che viene in rilievo una questione da risolvere in via necessaria per poter pronunciare sulla domanda principale, che la nota –dichiarazione del CAI del 7 novembre 2001, in quanto priva di data certa e di protocollo, priva della indicazione del destinatario, con conseguente carenza di prova che la nota fosse effettivamente indirizzata alla Soprintendenza medesima, non preceduta da alcun deliberato dei competenti organi dell'associazione che autorizzassero in modo esplicito e sicuro l'autore apparente del documento a porre in essere un atto di rinuncia patrimoniale collegato alla vicenda del ritrovamento dei resti dell'Uomo di Altamura, come prescritto dall'art. 30 dello Statuto il quale vieta al Presidente di disporre del patrimonio sociale senza una preventiva deliberazione del Consiglio direttivo (nulla desumendosi in questo senso dal verbale del C. D. del CAI di Bari del 28 giugno 2001), e inviata alla Soprintendenza solo il 3 luglio 2013 proprio dall'odierno appellato, signor M., non potesse avere efficacia alcuna (conf. Cass. n. 7724 del 2000 sulla inefficacia di un negozio giuridico posto in essere dal presidente di una associazione non riconosciuta in assenza della previa deliberazione del consiglio dei delegati, prescritta dallo statuto).
Non solo.
Parte appellante ha inoltre puntualmente indicato svariati elementi, concordanti e significativi, a sostegno della tesi della riconducibilità anche delle uscite esplorative del settembre –ottobre 1993 –e, segnatamente, dell'uscita, fondamentale, del 3 ottobre 1993- all'attività del GSV -il quale, come si è rilevato, fa capo al CAI di Bari- e alle condotte dei signori M. e S., e soprattutto del Di Liso, non a titolo personale ma quali componenti del CAI di Bari invitati dal CARS alle esplorazioni, con la conseguente “co-ascrivibilità” del ritrovamento –e spettanza del premio- al CAI di Bari anziché al M. e al Di L. in proprio.
A questo riguardo, pare il caso di rilevare, preliminarmente, che la speleologia non è un'attività praticata a livello individuale.
Sempre in via preliminare, parte appellante sottolinea che i soci del GSV –CAI di Bari condividono attrezzature tecniche e materiali.
Va premesso inoltre che il signor F. D.V., speleologo e socio sia del CARS e sia del GSV –CAI di Bari –il primo avviso telefonico dell'avvenuto ritrovamento è stato effettuato, alla Direttrice del Museo Archeologico di Altamura, proprio dal signor D.V.o- risulta avere contribuito in modo rilevante alla esplorazione della grotta ove è stato rinvenuto l'Uomo di Altamura.
Il medesimo signor Del Vecchio, nel mese di settembre del 1993, risulta avere invitato alcuni membri del GSV –CAI di Bari a prendere parte alle esplorazioni.
Benché non si tratti certo di un aspetto decisivo ai fini del decidere, ben può ritenersi che la qualifica e il ruolo rivestiti dal D. V. nella vicenda abbiano concorso ad avvalorare l'affermazione dell'appellante per cui l'invito ad aggiungersi alle uscite esplorative era stato rivolto ai tre speleologi suindicati non a titolo rigorosamente personale ma in stretta connessione con l'appartenenza dei tre (o, perlomeno, dello S. e del D.L.: parte appellata insiste sul fatto che il M., nell'ottobre del 1993, non si era ancora associato al CAI) al GSV –CAI di Bari.
Va poi rimarcato che dagli atti risulta che, in occasione della presentazione della scoperta alla stampa, avvenuta in data 24 novembre 1993 presso la sede del Ministero per i beni e le attività culturali, venne dichiarato pubblicamente che la grotta era stata scoperta dal CARS, mentre lo scheletro umano dal CAI Vespertilio di Bari (cfr. relazione della Soprintendenza Archeologica della Puglia –Taranto, del 5.10.2000, in atti, che descrive gli antefatti della scoperta, dal dicembre del 1992, e la cronaca del ritrovamento).
Ancora, va richiamata, a favore della tesi della rapportabilità della scoperta alla attività del CAI di Bari anziché a quella dei rinvenitori “in proprio”, o “a titolo personale”, la denuncia di ritrovamento presentata alla Soprintendenza, il 5 novembre 1993, dal M., dallo S. e dal Di Liso, nella qualità di appartenenti al GSV –CAI di Bari (“il ramo nel quale è stato fatto il ritrovamento dei reperti ossei umani è stato prima esplorato dal CARS di Altamura, sino a un certo punto, poi dal GSV di Bari, che è andato oltre e ha per primo trovato i resti umani”).
Ed è un fatto, rilevante al fine di meglio inquadrare e comprendere la vicenda nel suo dipanarsi, che in calce alla denuncia i suddetti membri del GSV, pur essendosi espressamente così qualificati, domandarono specificatamente alla Soprintendenza di inviare ogni successiva comunicazione presso i propri indirizzi personali (in particolare, in base a quanto affermato dal CAI senza alcuna contestazione sul punto da parte degli appellati, presso l'indirizzo personale del signor Marco M., il che risulta essere avvenuto a partire dalla nota del 7 febbraio 1994 con la quale i tre speleologi chiesero chiarimenti alla Soprintendenza sullo stato della pratica firmandosi “Gruppo Speleologico Vespertilio CAI Bari –corrispondenza c/o Marco M.…”), anziché presso la sede del GSV -CAI Bari, sicché quello che gli appellati definiscono come “disinteressamento del CAI” in ordine alla questione in trattazione va riportato invece secondo logica e verosimiglianza, in base agli atti, al fatto che –perlomeno fino all'avvenuta notifica del ricorso CARS del 2001- il GSV -CAI Bari non poteva essere informato su note ed atti della Soprintendenza eventualmente adottati nei suoi confronti poiché le comunicazioni venivano inviate esclusivamente al Vespertilio CAI di Bari presso il signor Marco M. all'indirizzo personale di quest'ultimo.
Il CAI di Bari è stato estromesso per lungo tempo da ogni comunicazione e informazione.
Il CAI, non ricevendo –e non potendo ricevere, giusta quanto si è detto- comunicazioni in merito al ritrovamento, poiché le stesse erano inviate all'indirizzo del signor Marco M., non avrebbe potuto trovarsi nella condizione di impugnare decisioni della P. A. e, in particolare, gli atti del Mibact del gennaio –febbraio del 2001, dai quali ebbero origine i ricorsi decisi dal Tar nel 2007, nei quali si faceva riferimento ai “gruppi speleologici” CARS e CAI e coi quali venne comunicata l'impossibilità di corrispondere il premio di rinvenimento, richiesto “da codeste Associazioni”, come specificato, in quanto i proprietari del fondo avevano segnalato alla Soprintendenza di non avere mai rilasciato autorizzazioni all'accesso al proprio fondo “a nessuno dei due gruppi interessati al ritrovamento” (v. in particolare la nota Sopr. 26 febbraio 2001, prot. n. 3617).
Sempre a questo proposito parte appellante indica diverse note della Soprintendenza, del 1994 e anni successivi, acquisite dal CAI di Bari in sede di accesso agli atti e ai documenti amministrativi effettuato nel 2015, indirizzate al CAI Vespertilio, presso l'indirizzo personale del M. anziché presso l'indirizzo ufficiale del CAI e dalle quali risulta che rinvenitori erano stati i soci del Vespertilio CAI di Bari.
Va soggiunto che anche nella comunicazione scritta del CARS, in data 8 ottobre 1993, rivolta alla Soprintendenza Archeologica, di avvenuta scoperta del reperto, veniva indicato che l'esplorazione della grotta era stata effettuata “con alcuni speleologi del Vespertilio del CAI di Bari” (nel maggio del 2001 il CARS ebbe a notificare il ricorso contro gli “arresti procedimentali” del gennaio –febbraio 2001 anche al Vespertilio –CAI di Bari, e al M. e al D. L. quali soci CAI, precisando nel ricorso che questi ultimi avevano partecipato alla discesa in grotta del 3 ottobre 1993 quali soci del gruppo speleologico Vespertilio del CAI di Bari).
Solo a partire dalla nota del 3 luglio 2013 il M. ha dichiarato, in contrasto con la documentazione e la corrispondenza precedente, con la quale era stato speso il nome del GSV –CAI Bari, quale soggetto coinvolto nel ritrovamento, che la scoperta del reperto era stata effettuata “durante una esplorazione a titolo personale”.
Dall'insieme delle circostanze di fatto e delle considerazioni esposte sopra, ferma ovviamente l'attribuzione al Di Liso della scoperta del reperto, emerge una stretta connessione tra la partecipazione del M. e del Di Liso alle uscite esplorative del settembre –ottobre del 1993 e l'appartenenza dei medesimi al GSV –CAI di Bari.
In presenza della situazione suindicata il Tar –anche alla stregua di quanto si dirà più avanti, al p. 5.2.-, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, avrebbe dovuto trarre le conseguenze dalla inefficacia della dichiarazione di “rinuncia” del 2001, oltre che dalla imputabilità sostanziale dell'attività dei soci CAI al Vespertilio, annullando il provvedimento impugnato e assegnando il premio al CAI, anziché fare richiamo all'atto “plurimotivato” e al principio della “ragione sufficiente”.
5.2. Per quanto riguarda poi il richiamo, operato nel provvedimento impugnato in primo grado, alla sentenza del Tar n. 1982 del 2007, confermata dal Consiglio di Stato con la decisione n. 116 del 2013 –sentenza che, come ritenuto dal Tar nel 2016, andava interpretata nel senso del riconoscimento del premio di rinvenimento a favore degli scopritori M. e Di Liso in proprio, e ciò per ragioni legate al rispetto dei principi di “legittimazione attiva e di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato” (v. pag. 8 sent.), questo Collegio ritiene che la sentenza del Tar del 2007 non potesse contenere accertamenti dirimenti e vincolanti in ordine alla spettanza del premio, e al riconoscimento di una quota dello stesso, sul seguente “segmento di pretesa”: se a favore del GSV –CAI di Bari piuttosto che a beneficio degli scopritori M. e Di Liso a titolo personale.
Al riguardo va osservato in primo luogo che il ricorso al Tar del 2001 del M. e del Di Liso era sì rivolto –non solo avverso gli atti di “arresto procedimentale” del gennaio e febbraio del 2001 nei quali, peraltro, come detto, il Mibact aveva fatto riferimento ad “associazioni” e a “gruppi”- anche all'accertamento della sussistenza dei requisiti per l'attribuzione del premio a essi ricorrenti.
Tuttavia, da un lato nella narrativa del ricorso del 2001 si faceva riferimento al CAI –Gruppo Verspertilio, e alla denuncia di ritrovamento presentata alla Soprintendenza il 5 novembre 1993 dai signori M., S. e Di Liso nella loro qualità di appartenenti al Vespertilio CAI Bari, sicché non pare del tutto sicuro che la pretesa in ordine alla spettanza del premio riguardasse i ricorrenti quali persone fisiche anziché riferirsi al CAI.
Dall'altro, anche ritenendo –ipotesi oggettivamente alquanto più probabile- che il M. e il Di Liso avessero a suo tempo agito in via di accertamento e in sede di giudizio di “spettanza” in nome e per conto proprio, rimane il fatto che il ricorso non era stato notificato al Vespertilio –CAI Bari (a differenza di quanto fatto dal CARS nel proprio ricorso, rispetto al quale il CAI era però co –interessato, non avendo mai il CARS escluso in tale giudizio l'attribuzione di una quota di premio al CAI).
Il GSV -CAI di Bari non era stato notiziato, pur essendo portatore di un interesse in conflitto con quello dei due soci CAI, ed era rimasto estraneo al giudizio, sicché giammai l'appellante odierno avrebbe potuto subire pregiudizi ai propri diritti o interessi legittimi da una pronuncia resa all'esito di un giudizio nel quale non era stato evocato, pur dovendo esserlo.
Inoltre, le controversie insorte nel 2001 riguardavano, principalmente, l'accertamento della legittimità, o meno, dell'arresto procedimentale intervenuto a causa della mancata autorizzazione dei proprietari del fondo, “petitum” al quale si era aggiunta, su iniziativa degli appellati odierni, la rivendicazione del premio: corresponsione che, però, come rilevato da questa sezione al p. IV della sentenza n. 116 del 2013, pronunciata sull'appello contro la sentenza del Tar n. 1982 del 2007, avrebbe dovuto implicare un'attività di verifica dell'esistenza delle altre condizioni normativamente necessarie per riconoscere il diritto.
Se così è, in questo contesto, non privo di elementi poco perspicui e confusi, oltre che, almeno per certi versi, ambigui, da un lato dice bene parte appellante laddove sottolinea che la pronuncia del 2007, nella parte relativa alla individuazione dello “scopritore” e alla ripartizione del premio, coerentemente con quanto richiesto dalle parti, riguardava unicamente la questione se il riconoscimento economico spettasse solo al gruppo che aveva effettuato la scoperta materiale (GSV –CAI) o anche al gruppo che aveva avviato le ricerche (CARS): del resto al p. VI) della sentenza di appello si motiva sulla correttezza della ripartizione al 50% tra i due gruppi considerando che “i membri del CAI scopritori materiali dei reperti si sono introdotti nella grotta solo perché invitati, e … d'altra parte è al CARS che va imputata l'attività che ha reso possibile la scoperta”; d'altra parte, perde rilievo il “riferimento –cardine” contenuto nella impugnata sentenza n. 663/2016 all'esigenza di evitare “distonie” tra la statuizione giudiziale del 2007 e i principi di “legittimazione attiva e di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato”, compiuto a pag. 8 della sentenza appellata.
In ogni caso, una lettura e interpretazione corrette della sentenza del 2007, idonee a rivelare l'effettiva volontà del giudice, quale che possa essere la rilevanza effettiva del richiamo alla stessa operato nel provvedimento del dicembre del 2014, compiute alla luce delle considerazioni d'insieme svolte sopra al p. 5.1., non potrebbe che indurre a evidenziare che la decisione del Tar non conteneva accertamento né statuizione alcuna in ordine alla spettanza del premio ai signori M. e Di L. in proprio anziché al “gruppo” speleologico di appartenenza, ossia al GSV –CAI Bari.
Come rammentato sopra anche al p. 3. , infatti, la sentenza del 2007, ancorché “azionata” dal M. e dal Di L., al p. 4. faceva ripetutamente riferimento al CAI, ai membri del CAI e ai “gruppi”.
E la stessa sentenza di appello “confermativa” n. 116/2013 parla ripetutamente di CAI e di membri del CAI, messi a raffronto con il CARS.
Del resto, come già rilevato, i dinieghi impugnati, risalenti al gennaio –febbraio del 2001, avevano rifiutato il premio alle due associazioni, sia pure per una ragione, per dir così, “pregiudiziale”, inerente alla mancanza dell'autorizzazione dei proprietari, facendo riferimento ai “gruppi interessati al ritrovamento” (e, secondo logica, va esclusa la riferibilità del termine “gruppo” a persone fisiche in sé considerate).
Correlativamente, la parola “gruppo”, nel contesto in discussione, andava e va coerentemente legata all'aggettivo “speleologico”.
E occorre convenire con il CAI allorché parte appellante puntualizza che se il premio per la scoperta dell'Uomo di Altamura in sé considerato avesse dovuto essere devoluto ad uno scopritore nella sua qualità di "persona fisica", il 50% del premio di rinvenimento non avrebbe mai potuto essere assegnato a un "gruppo" ma, semmai, avrebbe dovuto essere devoluto unicamente al signor Lorenzo Di Liso posto che in quel frangente il signor Marco M. non aveva scoperto alcunché.
In definitiva, risulta chiara la statuizione del Tar del 2007 nel senso della attribuzione del premio in favore dei gruppi speleologici CARS e GSV -CAI in egual misura come, del resto, ebbe in seguito a opinare lo stesso Tar nella sede cautelare del presente giudizio con l'ord. n. 181 del 2015 rilevando l'attribuibilità del premio per il 50 % a favore di ciascuna delle due associazioni, CAI e CARS.
Il Collegio ritiene dunque che le ragioni del CAI Bari “pesino” più di quelle degli appellati.
Dall'annullamento della nota della Soprintendenza del 17 dicembre 2014 discende –diversamente da ciò che ritengono gli appellati (v. anche pag. 15 memoria M. e Di Liso del 17 ottobre 2016)- l'attribuzione della quota di premio al CAI di Bari e non ai singoli scopritori in proprio.
L'esito della controversia esime ovviamente il Collegio dal pronunciarsi sulla istanza degli appellati rivolta alla condanna di controparte ex art. 96 del c.p.c. per lite temeraria.
Le spese del doppio grado –e in ciò si conviene con la statuizione del Tar sul punto, considerando “a fortiori” gli sviluppi del giudizio in sede di appello- possono essere compensate integralmente, in via del tutto eccezionale e in deroga al principio della soccombenza, “in ragione dell'andamento complessivo della controversia, delle particolari difficoltà interpretative offerte dal caso concreto” e della complessità anche in fatto della vicenda.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, e in accoglimento del ricorso di primo grado annulla il provvedimento impugnato in primo grado e accerta che l'unico soggetto avente diritto alla corresponsione del premio di rinvenimento, fermo il diritto acquisito dal CARS, è il CAI –sezione di Bari.
Spese del doppio grado del giudizio compensate.
Dispone che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Avv. Antonino Sugamele

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