Revoca del porto d'armi al padrino del figlio di un sorvegliato speciale.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 29 settembre – 14 ottobre 2016, n. 4265
Presidente/Estensore Maruotti
1. Con l'atto n. -omissis- del 9 agosto 2010, emanato ai sensi dell'art. 39 del testo unico di pubblica sicurezza, il Prefetto di Reggio Calabra ha vietato all'appellante di detenere armi e munizioni.
Col successivo atto del 30 agosto 2010, il Prefetto ha altresì disposto la revoca della licenza di porto di pistola per difesa personale.
2. Col ricorso di primo grado - omissis -(proposto al TAR per la Calabria, Sezione di Reggio Calabria), l'interessato ha impugnato tali atti, chiedendone l'annullamento per violazione di legge ed eccesso di potere.
Il TAR, con la sentenza n. - omissis - del 2015, ha respinto il ricorso ed ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.
3. Con l'appello in esame, l'interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado sia accolto.
Il Ministero dell'Interno si è costituito in giudizio ed ha chiesto che l'appello sia respinto.
All'udienza del 29 settembre 2016, la causa è stata trattenuta per la decisione.
4. Col proprio gravame, l'appellante – nel rimarcare che è un imprenditore commerciale nel settore della ristorazione – ha richiamato i fatti ed ha riportato il contenuto del ricorso di primo grado (v. pp. 1-17), ha riproposto le censure di eccesso di potere già dedotte, contestando la rilevanza dei fatti posti a base degli atti impugnati del Prefetto (v. pp. 17-18), ed ha lamentato che il TAR non ha esaminato la censura di violazione dell'art. 7 della legge n. 241 del 1990.
5. Ritiene la Sezione che l'appello sia infondato e vada respinto, pur se va in parte integrata la motivazione della sentenza impugnata.
5.1. Per comodità di lettura, va riportato il contenuto degli articoli 11, 39 e 43 del testo unico n. 773 del 1931.
L'art. 11 dispone che «Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate:
1) a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;
2) a chi è sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.
Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta.
Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione».
L'art. 39 dispone che «Il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne».
L'art. 43 dispone che «oltre a quanto è stabilito dall'art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi:
a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;
b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico;
c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.
La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi».
Da tale quadro normativo, emerge che il legislatore ha individuato i casi in cui l'Autorità amministrativa è titolare di poteri strettamente vincolati (ai sensi dell'art. 11, primo comma e terzo comma, prima parte, e dell'art. 43, primo comma, che impongono il divieto di rilascio di autorizzazioni di polizia ovvero il loro ritiro) e quelli in cui, invece, è titolare di poteri discrezionali (ai sensi dell'art. 11, secondo comma e terzo comma, seconda parte, e dell'art. 39 e 43, secondo comma).
In relazione all'esercizio dei relativi poteri discrezionali, l'art. 39 attribuisce alla Prefettura il potere di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia titolare, quando sia riscontrabile una capacità «di abusarne», mentre l'art. 43 consente alla competente autorità – in sede di rilascio o di ritiro dei titoli abilitativi - di valutare non solo tale capacità di abuso, ma anche – in alternativa - l'assenza di una buona condotta, per la commissione di fatti, pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti, ma che comunque non rendano meritevoli di ottenere o di mantenere la licenza di polizia (non occorrendo al riguardo un giudizio di pericolosità sociale dell'interessato: Cons. Stato, Sez. III, 1° agosto 2014, n. 4121; Sez. III, 12 giugno 2014, n. 2987).
5.2. Nella specie, ritiene la Sezione che il provvedimento impugnato in primo grado non sia affetto dai vizi di eccesso di potere dedotti dall'appellante.
Come ha correttamente osservato la sentenza impugnata, sussistono senz'altro i presupposti per emanare il divieto disciplinato dall'art. 39 del testo unico approvato col r.d. n. 773 del 1931, quando risulta che il titolare di una licenza di porto d'armi, anche per difesa personale, frequenti pregiudicati.
Come ha più volte rilevato questa Sezione, una tale valutazione risulta di per sé ragionevole, perché per una buona regola di prudenza è bene evitare che soggetti titolari di licenze di porto d'armi frequentino pregiudicati (Cons. Stato, Sez. III, 10 agosto 2016, n. 3612 e n. 3602), poiché chi chiede il rilascio o il rinnovo di licenze di porto d'armi, ovvero chi ha già ottenuto la licenza, deve dare pieno affidamento sulla sua buona condotta, oltre che sulla assenza di occasioni in cui altri possano usare la propria arma.
5.3. D'altra parte, la Questura di Reggio Calabria, nella relazione posta a base degli atti impugnati in primo grado, ha riferito specifiche circostanze di fatto obiettivamente rilevanti (e significative nella realtà locale), che ad avviso della Sezione hanno giustificato l'impugnazione dei contestati provvedimenti, orientati ragionevolmente «verso valutazioni rigorose, anche sulla sussistenza dei presupposti tali da far ravvisare la completa affidabilità del richiedente» (Sez. III, 6 giugno 2016, n. 2406).
Infatti, risulta incontestato il fatto che l'appellante abbia fatto da padrino al battesimo della figlia del signor - omissis - (sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per quattro anni, e poi sottoposto a detenzione, e figlio di un esponente ‘di spicco' di un clan) e della signora - omissis - (figlia di un soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale per cinque anni e condannato per reati in materia di sostanze stupefacenti).
Ad avviso della Sezione, risulta ragionevole la valutazione della Questura e della Prefettura di attribuire rilievo al fatto che l'appellante abbia fatto da padrino al battesimo: è ben vero che vi è l'assoluta libertà di intrattenere rapporti di ordine personale e di partecipare alle cerimonie religiose, ma è altrettanto vero che gli organi del Ministero dell'Interno ben possono ritenere che – specie in determinate realtà locali - la cerimonia del battesimo (conseguente alla frequentazione e a sua volta rafforzativa del relativo legame tra chi vi partecipa) vada considerata incompatibile, per ragioni precauzionali, con la titolarità di licenze di porto d'armi per chi in tal modo abbia dimostrato di frequentare ambienti nei quali non si possa escludere che vi sia l'uso indebito delle armi.
In altri termini, chi intende continuare a mantenere i requisiti necessari per ottenere le licenze di porto d'armi deve evitare la frequentazione di persone che abbiano contatti con la criminalità: una tale frequentazione è di per sé lecita, ma può allarmare gli organi del Ministero dell'Interno, che possono conseguentemente emanare le misure più appropriate per la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica.
5.4. Quanto alla censura di violazione dell'art. 7 della legge n. 241 del 1990 (effettivamente non esaminata dal TAR), essa risulta infondata e va respinta.
Il provvedimento del Prefetto di data 9 agosto 2010 ha specificamente rilevato la sussistenza di ragioni di urgenza, poste a base della ‘celere' sua emanazione: una tale valutazione sull'urgenza ha costituito una ulteriore espressione della discrezionalità dell'Amministrazione, di per sé non contestata e che nella specie si è basata su una adeguata motivazione, conforme al canone della ragionevolezza (in tal senso, v. anche Cons. Stato, Sez. III, 6 giugno 2016, n. 2407).
6. Per le ragioni che precedono, l'appello va respinto. La condanna al pagamento delle spese e degli onorari del secondo grado del giudizio segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) respinge l'appello n. 3797 del 2016.
Condanna l'appellante al pagamento di euro 1.000 (mille) in favore del Ministero dell'Interno, per spese ed onorari del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
19-10-2016 00:42
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