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Sentenza

Immobile acquisito al patrimonio comunale. Il proprietario fa causa al Ministero...
Immobile acquisito al patrimonio comunale. Il proprietario fa causa al Ministero dell'Interno ritenendolo responsabile di avere di avere richiesto modifiche strutturali dell'immobile cosi' rilevanti per adeguarlo alle esigenze della D.I.A. e non avere concluso il procedimento.
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5180 del 2012, proposto da:

E.D.M., rappresentato e difeso dall'Avv. Domenico Luca Scordino, con domicilio eletto presso lo studio Ripa di Meana & Associati in Roma, piazza dei Caprettari, n. 70;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria, in persona del Prefetto pro tempore, Direzione Investigativa Anfimafia - Centro Operativo di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, tutti rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

Comune di Reggio Calabria, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. Mario De Tommasi, con domicilio eletto presso l'Avv. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2;

nei confronti di

Il Fallimento I.P., in persona del curatore pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. Nicola Santostefano, con domicilio eletto presso l'Avv. Alessandra Guarnaccia in Roma, via Circonvallazione Ostiense, n. 323;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA - SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00059/2012, resa tra le parti, concernente l'immobile destinato alla sala operativa della Direzione Investigativa Antimafia (D.I.A.) di Reggio Calabria - risarcimento dei danni

visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, dell'Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria, della Direzione Investigativa Anfimafia (D.I.A.) - Centro Operativo di Reggio Calabria, del Ministero dell'Economia e delle Finanze nonché del Fallimento I.P. e del Comune di Reggio Calabria;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2015 il Cons. Massimiliano Noccelli e uditi per le parti l'Avv. Pallottino su delega dell'Avv. Scordino, l'Avv. Perrone su delega dichiarata dell'Avv. De Tommasi, l'Avv. Santostefano e l'Avvocato dello Stato Tito Varrone;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. L'odierno appellante, E.D.M., ha proposto azione risarcitoria avanti al T.A.R. Calabria, sede staccata di Reggio Calabria, contro il Ministero dell'Interno, domandando di condannarlo al pagamento di Euro 2.284.037,50, somma corrispondente al valore stimato della quota del 25% di sua proprietà dell'immobile e dell'area sul quale esso insiste, siti in Reggio Calabria, località Calamizzi, immobile acquisito, a titolo gratuito, al patrimonio del medesimo Comune con ordinanza n. 5198 del 23.3.2015.

1.1. L'interessato, premesso di avere acquisito, nel 1996, tale quota sull'immobile, destinato dalla proprietaria maggioritaria, I.P. s.r.l. - poi fallita - a sede della Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria (D.I.A.), assume di avere perduto la titolarità di essa per fatto e colpa del Ministero dell'Interno che, pur avendo richiesto rilevanti modifiche strutturali dell'immobile per adeguarlo alle esigenze della D.I.A., non avrebbe poi concluso il procedimento, previsto dall'art. 81, comma secondo, del D.P.R. n. 616 del 1977 per qualificare l'opera come destinata alla difesa militare e/o nazionale, con la conseguenza che l'esecuzione degli interventi in assenza di permesso, non derogata dal riconosciuto carattere militare delle opere, ha comportato l'ingiunzione di demolizione nei confronti del proprietario e del responsabile dell'abuso, da parte del Comune, poi - nel caso, come quello in questione, di inottemperanza - l'acquisizione gratuita del bene e dell'area di sedime al patrimonio del Comune stesso ai sensi dell'art. 31, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 380 del 2001.

1.2. Nel primo grado di giudizio si sono costituite le Amministrazioni intimate, il Ministero dell'Interno, l'Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria, la Direzione Investigativa Anfimafia - Centro Operativo di Reggio Calabria e il Ministero dell'Economia e delle Finanze, per resistere al ricorso, nonché il Comune di Reggio Calabria e la curatela fallimentare de I.P. s.r.l.

1.3. Il T.A.R. Calabria, sede di Reggio Calabria, ha respinto il ricorso con sentenza n. 59 del 25.1.2012.

2. Avverso questa sentenza ha proposto appello l'interessato, E.D.M., e ne ha chiesto la riforma, con conseguente accoglimento della propria domanda risarcitoria per l'affermata illiceità della condotta, tenuta dal Ministero dell'Interno, in merito alla mancata conclusione del procedimento di cui all'art. 81, comma secondo, del D.P.R. n. 616 del 1977 relativamente a detto immobile, destinato a sede della D.I.A. di Reggio Calabria.

2.1. Si sono costituite in resistenza, con mera memoria di stile, le Amministrazioni appellate e si è, altresì, costituito il Comune di Reggio Calabria, per resistere al ricorso.

2.2. Si è costituito anche il Fallimento de I.P. s.r.l., quale cointeressato rispetto alla posizione dell'appellante, chiedendo l'accoglimento del suo gravame.

2.3. Nella pubblica udienza del 10.12.2015 il Collegio, uditi i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

3. L'appello è infondato, seppur per le ragioni che saranno meglio indicate, e va respinto.

4. La vicenda oggetto del presente giudizio, nei suoi aspetti salienti, si può così ricostruire.

5. L'odierno appellante, dott. E.D.M., in riferimento ad un'area di sua proprietà, ha ottenuto dal Comune di Reggio Calabria la concessione edilizia n. 39 del 18.3.1987 per la realizzazione di un complesso polifunzionale per attività sportive a tempo libero e di residenza speciale.

5.1. Il 5.10.1989, con rogito per atto del Notaio P.M. (rep. N. (...)), E.D.M. ha venduto una parte del suddetto terreno edificatorio, per una superficie di circa 7.498 metri quadrati, a I.P. s.r.l., che provvedeva successivamente ad ottenere dal Comune di Reggio Calabria la voltura della concessione edilizia n. 39 del 18.3.1997.

5.2. Il suddetto suolo è stato successivamente individuato dal Ministero dell'Interno quale sito adatto a realizzare un immobile da destinare a sede della Direzione Investigativa Antimafia (D.I.A.) della città di Reggio Calabria, sicché veniva dato inizio ai lavori di realizzazione dell'immobile su tale terreno di proprietà - all'epoca in via esclusiva - de I.P. s.r.l. e denominato "Kalamon".

5.3. L'immobile veniva fatto quindi oggetto dapprima di molteplici requisizioni, ai sensi dell'allora vigente art. 7 della L. n. 2248 del 1865, all. E, da parte della Prefettura di Reggio Calabria, della D.I.A. e del Ministero dell'Interno e, successivamente, di lavori di adeguamento eseguiti in forza di dettagliate prescrizioni indicate dal Ministero dell'Interno al fine di rendere lo stabile idoneo alle esigenze della sede della D.I.A. di Reggio Calabria.

5.4. Con contratto del 18.11.1992 (doc. 4 fasc. parte appellante) I.P. s.r.l. ha locato al Ministero dell'Interno una prima parte dello stabile "per uso di Uffici Direzione Investigativa Antimafia sede di Reggio Calabria" e, nel contempo, la stessa D.I.A. ha richiesto la locazione anche degli ulteriori corpi di fabbrica in corso di realizzazione.

5.5. Anche successivamente alla sottoscrizione del contratto di locazione, inoltre, si resero necessari lavori, ulteriori rispetto a quelli già richiesti dalla D.I.A., di adeguamento dell'immobile alle esigenze via via manifestate dalle Amministrazioni interessate.

5.6. Il 30.3.1993 la Prefettura di Reggio Calabria ha inviato al Ministero dell'Interno una nota (doc. 5 fasc. parte appellante), con cui ha evidenziato la necessità che l'immobile fosse qualificato opera di difesa militare, ai sensi dell'art. 81, comma secondo, del D.P.R. n. 616 del 1977 e ha allegato la Relazione della D.I.A. predisposta sulla base dello schema del Ministero della Difesa per l'applicazione dell'art. 81, comma secondo, del D.P.R. n. 616 del 1977, avanzando, quindi, espressa richiesta di attivare il relativo procedimento.

5.7. Il 14.12.1996, quando l'immobile era stato già interamente modificato in esecuzione delle richieste dalla D.I.A. e dalla stessa, ormai, utilizzato in via esclusiva, P. s.r.l., con rogito per atto del Notaio A.D.T. (rep. (...): v. doc. 8 fasc. parte appellante), ha trasferito all'odierno appellante la proprietà indivisa, pro quota del 25%, di tale immobile e, con essa, la contitolarità nella stessa misura di ogni tipo di rapporto giuridico esistente tra la stessa I.P. s.r.l. e il Ministero dell'Interno.

5.8. Con contratto del 28.11.997 (doc. 9 fasc. parte appellante) l'odierno appellante e P. s.r.l. locavano al Ministero dell'Interno la restante parte dello stabile "per uso di Uffici ed alloggi (funzionali) della Direzione Investigativa Antimafia - Centro Operativo di Reggio Calabria", parte anch'essa già occupata dalla D.I.A. ed oggetto delle modifiche richieste dalla stessa D.I.A.

5.9. Il Comune di Reggio Calabria, dapprima con Provv. del 6 luglio 2004 notificato a I.P. s.r.l. e, poi, con Provv. del 29 marzo 2005 notificato all'odierno appellante, verificata la sussistenza di irregolarità urbanistiche nell'immobile di cui è causa, ha disposto la revoca della concessione edilizia n. 39 del 1987; ha ordinato lo sgombero e la demolizione dello stesso immobile, prevedendo, in caso di inosservanza, la sua acquisizione gratuita, insieme all'area di sedime, al patrimonio comunale.

5.10. Tali atti sono stati impugnati da E.D.M. avanti al T.A.R. Calabria, sede staccata di Reggio Calabria che, con sentenza n. 154 del 13.1.2006, ha accolto il ricorso, annullandoli per vizi sia formali che sostanziali del procedimento.

5.11. Tale sentenza, appellata dal Comune di Reggio Calabria e dal Fallimento de I.P. s.r.l., è stata tuttavia riformata da questo Consiglio di Stato che, con sentenza della sez. IV, 10.4.2009, n. 2227 (doc. 1 fasc. parte appellante), ha rigettato l'originario ricorso proposto da E.D.M., confermando la legittimità dei provvedimenti comunali.

5.12. Contro tale sentenza l'odierno appellante ha successivamente proposto ricorso per revocazione, ma questo Consiglio di Stato, con la sentenza della stessa sez. IV, 3.5.2011, n. 2639, ha respinto il ricorso (doc. 3 fasc. parte appellante), confermando definitivamente la sentenza.

6. Dall'esposizione di tali circostanze, qui sinteticamente rappresentate e ricordate, l'appellante trae le seguenti conclusioni e, cioè, che il Ministero dell'Interno:

a) in primo luogo, per far fronte alle esigenze del Centro Operativo della D.I.A. di Reggio Calabria, ha proceduto alla individuazione dell'immobile e alla sua immediata destinazione alla D.I.A. di Reggio Calabria;

b) poi, e sempre al medesimo fine, lo ha requisito ai sensi dell'art. 7 della L. n. 2248 del 1865, al tempo vigente;

c) poi, e sempre allo stesso fine, lo ha modificato rispetto alla concessione edilizia;

d) poi, e ancora e sempre allo stesso fine, lo ha ottenuto in locazione, avendolo del resto reso inservibile ad altro fine, ed avendolo, altresì e sempre, utilizzato a partire dalle requisizioni;

e) poi avrebbe avviato il procedimento in favore della D.I.A. per ottenere la formalizzazione della qualità di "opera di difesa" dell'immobile stesso, ai sensi dell'art. 81, comma secondo, del D.P.R. n. 616 del 1977 , per come modificato dal Ministero stesso, procedimento che, peraltro, era stato testualmente definito dalla D.I.A. indispensabile sia per ottenere l'esonero dal controllo urbanistico sia per evitare che le esigenze di riservatezza e segretezza dell'ufficio e degli impianti fossero vanificate dal deposito degli atti inerenti al progetto comunale presso i competenti uffici comunali;

f) poi, però, si sarebbe dimenticato del provvedimento formale che consentisse la piena regolarità di quella qualificazione dell'edificio destinato alla D.I.A., invece "compiuta" dal Ministero stesso e dallo stesso "fondata" nella locazione;

g) conseguentemente avrebbe reso abusivo l'immobile, come questo Consiglio avrebbe accertato nelle sentenze n. 2227/2009 e n. 2639/2011, sempre per come dallo stesso Ministero modificato;

h) infine ha fatto sì che il Comune di Reggio Calabria, nel frattempo a conoscenza di tutto, ma silente, acquisisse gratuitamente la proprietà del bene e del fondo sul quale lo stesso insiste, così sottratti manu militari al legittimo comproprietario, odierno appellante, che in questa sede ne chiede il conseguente risarcimento del danno.

7. La tesi dell'odierno appellante è stata respinta dal T.A.R. Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con la sentenza n. 59 del 25.1.2012, qui impugnata, sulla base delle seguenti considerazioni.

7.1. Il primo giudice ha osservato che E.D.M. ha acquisito il diritto di proprietà sul 25% dell'immobile solo nel 1996, quando ormai le opere abusive erano già state realizzate dalla sua dante causa, I.P. s.r.l., con la quale l'Amministrazione aveva avvito il rapporto locatizio e, ancor prima, le trattative e i contratti che avevano poi dato impulso al procedimento di speciale qualificazione, ai sensi dell'art. 81, comma secondo, del D.P.R. n. 616 del 1977 , infine non conclusosi.

7.2. Il ricorrente in primo grado avrebbe acquistato un bene immobile difforme rispetto alla concessione edilizia "sul presupposto, tra l'altro non dichiarato nel rogito, che il procedimento finalizzato a sottrarre la difformità al potere di controllo dell'autorità urbanistica locale si fosse già concluso, o comunque si sarebbe in futuro positivamente concluso" (p. 10 della sentenza impugnata), ma la perdita definitiva del bene, costituente un'ipotesi di evizione totale, sarebbe riconducibile, secondo il T.A.R., alla vicenda traslativa originaria e alla sua conformità al paradigma normativo civilistico.

7.3. L'odierno appellante dunque, secondo il primo giudice, potrebbe dolersi della lesione inferta al suo diritto, acquistato a titolo derivativo, nei confronti del suo dante causa, ma non già direttamente nei confronti dell'Amministrazione, per la mancata conclusione del citato procedimento, perché si tratterebbe di un affidamento soggettivo "del quale potrebbe dolersi in funzione risarcitoria solo la società P., ossia il proprietario che in costanza del rapporto locativo con l'amministrazione ha realizzato abusivamente i lavori confidando nella loro sanabilità su intervento della stessa amministrazione interessata", mentre "l'avente causa dal proprietario costruttore ha invece fatto affidamento solo nella regolarità urbanistica del bene dando per scontato che la stessa sussistesse e per questo soccombendo nel giudizio amministrativo dal quale invece è emerso che al momento dell'acquisizione gratuita da parte del Comune nessuna autorizzazione o qualificazione era mai intervenuta" (pp. 12-13 della sentenza impugnata).

8. Le motivazioni del primo giudice, in sintesi qui riportate, non sono condivisibili.

8.1. L'odierno appellante ha infatti lamentato di aver subito un danno, conseguente alla perdita irreversibile del suo diritto dominicale, in conseguenza dell'inadempimento dell'Amministrazione che, secondo la sua prospettiva, non avrebbe concluso il procedimento, come avrebbe accertato la sentenza n. 2227/2009 di questo Consiglio, per la qualificazione del bene come opera militare, ai sensi dell'art. 81, comma secondo, del D.P.R. n. 616 del 1977 , facendo sì che il Comune di Reggio Calabria abbia poi acquisito il bene, con il sedime sottostante, a titolo gratuito, ai sensi dell'art. 31, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 380 del 2001, per l'esecuzione di interventi in assenza di permesso.

8.2. E.D.M. assume e deduce di aver subito un danno diretto alla sua sfera giuridica da tale condotta omissiva da parte del Ministero dell'Interno, avendo acquistato una quota del bene che poi ha definitivamente perduto per asserita colpa dell'Amministrazione, responsabile di non aver concluso il procedimento di cui all'art. 81, comma secondo, del D.P.R. n. 616 del 1977 , come invece era suo obbligo fare.

8.3. Non si può negare quindi - e in ciò, almeno, si conviene con i rilievi critici svolti dall'appellante - che egli abbia titolo, in quanto comproprietario del bene, a richiedere il danno nei confronti dell'Amministrazione sull'assunto, che però dovrà ora essere verificato nella fondatezza dei suoi presupposti, di aver perduto la sua proprietà per fatto e colpa dell'Amministrazione stessa, che avrebbe - a suo dire - reso definitivamente e irrimediabilmente abusivo il bene, con conseguente acquisizione dello stesso, a titolo gratuito, da parte del Comune.

9. Nondimeno, ferma restando l'astratta condivisibilità, sul punto, dei rilievi critici svolti dall'appellante, non ha errato la sentenza nella conclusione alla quale è pervenuta, respingendo la domanda risarcitoria, che si rivela infondata per altre e ben più solide ragioni, emergenti dalla lettura degli atti qui prodotti a cominciare, tra tutti, dalle sentenze n. 2227/2009 e n. 2639/2011.

10. Con l'autorità incontrovertibile del giudicato, infatti, queste sentenze hanno acclarato le seguenti circostanze e, in particolare, che:

- nel 1996, allorché ha acquistato il 25% della proprietà dell'immobile, E.D.M. era in realtà perfettamente consapevole della grave irregolarità urbanistica dell'immobile, irregolarità ben evidente poiché non si trattava di modeste modifiche interne dello stesso, ma di radicali mutamenti per caratteristiche tipologiche e volumetriche (aumento consistente di volumetria, mancata osservanza, e in misura rilevante, degli indici di altezza massima, nonché delle distanze, edificazione in esubero rispetto al rapporto di copertura, realizzazione di corpi di fabbrica ulteriori rispetto al progetto, etc.), realizzati da I.P. s.r.l. per adattarli alle esigenze operative della D.I.A., tanto che la sentenza n. 2227 del 22.4.2009, a p. 13, ritiene un fatto ovvio tale consapevolezza, smentendo l'eccezione sollevata in quel giudizio dal D.M. che sosteneva di non averne contezza per la loro natura di opere interne, affermando "sulla scorta della elencazione degli abusi rilevati, che la questione non attiene alle opere interne, ma a ben altro";

- l'odierno appellante ha, dunque, acquistato l'immobile nella perfetta consapevolezza che le rilevanti opere realizzate da I.P. s.r.l. su richiesta della D.I.A. erano radicalmente e vistosamente difformi rispetto al titolo edilizio e, cioè, al permesso di costruire, "che egli ben conosceva per averlo egli stesso ottenuto" - come si evince a chiare lettere dalla motivazione espressa in sede di revocazione da questo Consiglio nella sentenza n. 2639 del 3.5.2011 (p. 9) - prima di vendere l'immobile a I.P. s.r.l., nel 1989, per poi riacquistarne una quota, nel 1996, a lavori già effettuati e proprio al fine di intrattenere anch'egli proficui rapporti con l'Amministrazione conduttrice dell'immobile;

- la conoscenza di tali circostanze è stata addirittura ammessa da E.D.M., con valenza confessoria, negli atti del precedente giudizio e, in particolare, nella memoria di replica depositata in sede di revocazione e, ancora, nel ricorso di primo grado promosso contro i provvedimenti comunali, laddove l'odierno appellante aveva ricordato di essere "stato sempre a conoscenza del fatto che, rispetto alla concessione da lui ottenuta, I.P. s.r.l., società accreditata di Nulla Osta Lavori Speciali e unico soggetto che in provincia poteva eseguire opere di difesa militare, avrebbe dovuto apportare all'edificio delle modifiche al fine di renderlo confacente alle esigenze rappresentate dal Ministero" e di essere inoltre informato dell'esistenza de "l'impegno del legale rappresentante del P., al momento in cui fu resa unico proprietario dell'immobile, alla riduzione in pristino", nel caso in cui non venisse data l'autorizzazione ai sensi dell'art. 81, comma secondo, del D.P.R. n. 616 del 1977 (sentenza n. 2639 del 3.5.2011, pp.9-10).

11. L'odierno appellante, incontrovertibilmente, ha sempre saputo ed accettato, dunque, di acquistare la quota di un immobile gravemente irregolare, sul piano urbanistico, subentrando nei rapporti giuridici intrattenuti da I.P. s.r.l. con il Ministero dell'Interno, come si legge anche nell'atto notarile di compravendita della quota, e ne ha tratto scientemente e deliberatamente, peraltro, tutti i benefici, anche economici, locando anche la sua quota sull'immobile, pur in detto stato di notevole irregolarità, all'Amministrazione con il contratto del 1997 (doc. 9 fasc. parte appellante).

11.1. E.D.M. non poteva fare affidamento, in buona fede, sulla regolarità urbanistica, nemmeno futura, del bene, avendolo acquistato con la consapevolezza - se non addirittura con la preordinata volontà - della sua consistente, evidente e, al tempo (ancora) irregolare modifica, in deroga non autorizzata allo strumento urbanistico e in radicale difformità rispetto al permesso di costruire, e accettando il rischio, a lui (come alla sua dante causa) ben noto, che la sua mancata "regolarizzazione", all'esito di un procedimento speciale come quello dell'art. 81, comma secondo, del D.P.R. n. 616 del 1977 , ne avrebbe comportato la riduzione in pristino stato o, addirittura, la sua acquisizione a titolo gratuito al Comune, conseguenza, questa, che discende - ai sensi dell'art. 31, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 380 del 2001 - dalla inottemperanza dell'ordine di ingiunzione, e che egli non poteva ignorare, comunque, per il noto principio ignorantia legis non excusat.

11.2. Si aggiunga che egli, oltre a non poter, non doveva fare affidamento, nell'acquistarne la quota del 25%, sulla futura regolarizzazione del bene, trattandosi di evento incerto, aleatorio, rimesso alla conclusione di un procedimento eccezionale, come pure si vedrà oltre, del tutto peculiare, che l'Amministrazione aveva avviato ex officio, peraltro, nel proprio esclusivo interesse e prima dell'acquisto della quota, senza tuttavia assumere alcun preciso obbligo nei confronti della sua dante causa, poiché tale impegno non risulta né si ricava, espressamente o anche solo implicitamente, da nessun atto, né provvedimentale né contrattuale, essendo emerso anzi che il legale rappresentante de I.P. s.r.l., come ben sapeva anche l'odierno appellante e ora meglio si dirà, avrebbe dovuto rimettere in pristino stato il bene se il procedimento non si fosse concluso positivamente.

11.3. Né si può affermare, come pretende l'appellante (p. 25 del ricorso), che il Ministero dell'Interno avesse l'obbligo di concludere il procedimento di cui all'art. 81, comma secondo, D.P.R. n. 616 del 1977 , al tempo vigente, per supposte ragioni di giustizia e di equità nei suoi confronti, perché tale procedimento, iniziato d'ufficio (lo ricorda lo stesso appellante a p. 29 del proprio ricorso) e non ad istanza di parte, non poteva e non doveva e non intendeva tutelare alcun interesse privato, ma era semplicemente finalizzato a consentire all'Amministrazione di soddisfare le specifiche e delicatissime esigenze alle quali era destinato l'edificio, quale sede della D.I.A.

11.4. Si legge nella relazione descrittiva allegata alla richiesta del Prefetto di Reggio Calabria (doc. 6 fasc. parte appellante), infatti, che la struttura destinata a sede della D.I.A. doveva offrire tutta una serie di accorgimenti tecnologici di difesa passiva, interna ed esterna, impianti per servizi di comunicazioni tele radiografiche, intercettazioni telefoniche, aree riservate per la protezione di magistrati e persone a rischio, e che tali esigenze di sicurezza, riservatezza e segretezza risultano incompatibili con la trasmissione degli elaborati grafici e il deposito dei progetti negli uffici comunali per le relative autorizzazioni, rendendo indispensabile l'applicazione dell'art. 81, comma secondo, del D.P.R. n. 616 del 1977 per la struttura destinata a sede della D.I.A., qualificabile sulla base dei presupposti di legge, come opera destinata alla difesa militare e/o nazionale.

11.5. È vero che nella richiesta della Prefettura al Ministero dell'Interno si dà atto anche della richiesta de I.P. s.r.l. (doc. 5 fasc. parte appellante) per attivare il procedimento di cui al più volte citato art. 81, ma nella relazione descrittiva allegata alla richiesta del Prefetto è ben spiegato che l'attivazione di tale procedura deriva dalle modifiche resesi indispensabili per adattare l'edificio alle esigenze e alle richieste del Centro Operativo D.I.A. (doc. 6 fasc. parte appellante).

11.6. L'attivazione officiosa del procedimento, da parte della Prefettura di Reggio Calabria, rispondeva dunque ad un unico esclusivo interesse, quello dell'Amministrazione, per adattare l'edificio alle proprie complesse esigenze, mentre quello della società proprietaria, che a tali esigenze si era adattata (per un evidente vantaggio economico, dimostrato anche dalla stipula del successivo contratto di locazione nel 1997), era un interesse di fatto e meramente occasionale, tanto che nella comunicazione del 30.3.1993 al Comune di Reggio Calabria la stessa Prefettura, nell'avvisare l'ente di avere attivato la procedura di cui all'art. 81, comma secondo, del D.P.R. n. 616 del 1977 , ha dichiarato che la stessa società proprietaria, I.P. s.r.l., si è impegnata formalmente ad effettuare, alla fine della locazione, le eventuali modifiche "per il ripristino dell'immobile per la conformità allo strumento urbanistico vigente" (doc. 7 fasc. parte appellante).

11.7. E ciò, si noti, era proprio il contenuto dell'impegno che il geom. D.D., rappresentante legale de I.P. s.r.l., si era assunto nella propria richiesta, quello, cioè, "formalmente di ripristinare, qualora necessario, lo stato dell'immobile in questione secondo le previsioni delle norme di fabbricazione del Comune di Reggio Calabria" (doc. 11 fasc. parte appellante).

12. Era chiaro, dunque, che l'attivazione del procedimento, previsto dall'art. 81, comma secondo, del D.P.R. n. 616 del 1977 , fosse funzionale solo all'interesse dell'Amministrazione, alle cui esigenze il proprietario - I.P. s.r.l. - aveva inteso adeguarsi realizzando le parziali modifiche dello stabile, e che il proprietario non vantava alcun interesse o titolo alla definizione del procedimento, impegnandosi addirittura, qualora necessario, a riconformare di nuovo l'immobile allo strumento urbanistico vigente del Comune.

12.1. E del resto, se anche si dovesse ammettere, per mera ipotesi, che l'Amministrazione doveva concludere il procedimento nei confronti e nell'interesse anche del proprietario e quindi, pro quota, anche dell'odierno appellante, dopo l'acquisto della contitolarità del bene, non si comprende perché mai, pur intercorrendo dal 1997 un rapporto locatizio tra le parti, egli non abbia in alcuna occasione sollecitato o messo in mora il Ministero dell'Interno, peraltro all'epoca suo conduttore, nel corso degli anni, affinché si attivasse per concludere il procedimento, lasciando così acquisire passivamente il bene al Comune, con la conseguenza che, comunque, nessun danno potrebbe essergli riconosciuto a motivo della sua condotta, ai sensi dell'art. 1227, comma secondo, c.c.

13. Il vero è che, in realtà, la perdita del diritto dominicale non è stata causata dalla mancata conclusione del procedimento di cui all'art. 81, comma secondo, del D.P.R. n. 616 del 1977 ad opera del Ministero dell'Interno, bensì, come ha accertato il giudicato di cui alla sentenza n. 2227/2009, dall'abusività delle opere volontariamente eseguite da I.P. s.r.l., per quanto richieste dalla D.I.A., e consapevolmente accettate dall'odierno appellante, comperando il 25% dell'immobile e divenendo "contitolare di ogni tipo di rapporto giuridico esistente tra la società "I.P. s.r.l." e l'allora Ministero degli Interni, come si legge nell'atto di acquisto (doc. 8 fasc. parte appellante), non escluso l'obbligo di ripristinare l'immobile, se tale procedimento non fosse andato a buon fine, e quindi con la mera aspettativa di fatto o l'interesse occasionale, non giuridicamente rilevante ed ergo nemmeno tutelabile in via risarcitoria, che queste potessero essere "sanate" dal Ministero attraverso la positiva conclusione di quel procedimento.

14. Ma questa aspettativa non poteva costituire né fondare un "legittimo affidamento", giuridicamente tutelabile, non solo perché il Ministero dell'Interno nessun obbligo di concludere il procedimento aveva assunto nei confronti de I.P. s.r.l. e, men che mai e successivamente, nei riguardi dell'odierno appellante, avente causa de I.P. s.r.l.; non solo perché tale obbligo non si desume, per il caso di specie, da alcuna fonte dell'ordinamento positivo né da alcun principio, anche Europeo, di legittimo affidamento, non invocabile dal proprietario artefice e, comunque, consapevole delle opere edilizie abusivamente autorizzate e non sanabili; ma anche perché, come si è visto e come si legge nella dichiarazione del 14.3.1993 sopra citata (doc. 11 fasc. parte appellante), il geom. D.D., rappresentante legale de I.P. s.r.l., si era impegnato "formalmente di ripristinare, qualora necessario, lo stato dell'immobile in questione secondo le previsioni delle norme di fabbricazione del Comune di Reggio Calabria", e ciò era ben noto e accetto all'odierno appellante.

15. Di qui l'infondatezza della domanda risarcitoria in questa sede proposta nei confronti del Ministero dell'Interno per l'assenza dell'asserito fatto illecito, causativo del preteso danno, non essendo stata la mancata conclusione del procedimento, di cui all'art. 81, comma secondo, del D.P.R. n. 616 del 1977 , il fatto causativo della perdita del diritto, bensì essendo causa determinante di tale danno, come ha accertato anche il giudicato, la stessa condotta della P. s.r.l. e del suo dante causa, E.D.M., e, cioè, rispettivamente la realizzazione delle opera abusive e non sanabili e l'acquisto del bene nella piena consapevolezza di tale situazione, condotta non assistita né assistibile da alcun legittimo affidamento.

16. Né giova all'appellante - occorre qui, infine, rilevare al fine di fugare qualsivoglia "equivoco" già messo in luce dalla sentenza n. 2227/2009 di questo Consiglio - richiamarsi all'inciso contenuto alle pp. 13-14 della stessa sentenza per suffragare il proprio assunto, poiché tale sentenza non ha affermato in alcun modo la colpevole responsabilità del Ministero nel non concludere il procedimento, ma ha semplicemente rilevato, confutando un'eccezione sollevata in quel giudizio dall'odierno appellante, che all'avvio di tale procedimento non aveva fatto seguito alcun decreto che qualificasse l'opera come destinata alla difesa militare, anche perché la conclusione di tale procedimento richiede sempre una manifestazione di volontà da parte del Ministero per i lavori pubblici.

16.1. Osservazione, questa, che - lungi dall'affermare o anche solo dall'implicitamente ammettere la responsabilità del Ministero dell'Interno per omessa conclusione del procedimento - ribadisce e chiarisce, una volta di più, la natura del tutto peculiare, attinente a fondamentali interessi di difesa nazionale, e di stampo rigorosamente ed esclusivamente pubblicistico del procedimento in questione, previsto all'epoca dal vigente art. 81, comma secondo, del D.P.R. n. 616 del 1977 , ora abrogato dall'art. 4 del D.P.R. n. 383 del 1994, con esclusione di qualsivoglia interesse qualificato e differenziato del proprietario privato del bene, sul quale insiste l'opera, alla conclusione del procedimento, che deroga agli ordinari strumenti urbanistici, attivabile solo dall'Amministrazione, non necessariamente militare, portatrice dei citati interessi.

16.2. L'individuazione delle opere in argomento, infatti, deve essere effettuata in concreto sulla base della loro effettiva ed inequivoca destinazione alla difesa militare che si riveli mediante un chiaro nesso teologico che a questa le ricolleghi.

16.3. La giurisprudenza amministrativa, nel corso degli anni, ha avuto modo di osservare che il concetto di opera destinata alla difesa militare non può essere riferito esclusivamente alle opere realizzate o utilizzate dal Ministero della Difesa, potendo comprendere anche quelle di altre Amministrazioni, purché siano considerate tali da un'apposita norma definitoria o intervenga un formale atto di riconoscimento da parte dell'Amministrazione, come nel caso di specie per l'edificio destinato alla D.I.A. di Reggio Calabria.

16.4. È stato anche chiarito da questo Consiglio, come ricorda anche la stessa sentenza n. 2227/2009, che la qualificazione di un'opera come destinata alla difesa militare richiede sempre una manifestazione di volontà del Ministero dei lavori pubblici, dal momento che, per effetto dell'art. 81 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, essa comporta la sottrazione dell'opera stressa al controllo del Ministero, altrimenti competente ad accertare la conformità alla disciplina urbanistica o comunque a stabilirne la localizzazione, d'intesa con la Regione e gli enti locali interessati (v., ex plurimis,Cons. St., sez. VI, 3.11.1999, n. 171; Cons. St., sez. IV, 27.5.2002, n. 2930).

17. In conclusione la sentenza del primo giudice, nella sua statuizione reiettiva della domanda, va perciò confermata, per quanto con la diversa motivazione sopra esposta.

18. Le spese del presente grado di giudizio, attesa la sola formale costituzione delle Amministrazioni intimate e la particolarità della vicenda, possono essere interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto da E.D.M., lo respinge e per l'effetto conferma, con diversa motivazione, la sentenza impugnata, rigettando la domanda risarcitoria qui proposta.

Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2015 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Romeo, Presidente

Dante D'Alessio, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore

Alessandro Palanza, Consigliere

Stefania Santoleri, Consigliere
Avv. Antonino Sugamele

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