Esposti anonimi reiterati per sollecitare controlli dell'Ispettorato del Lavoro. L'impresa ha diritto di accesso agli atti.
Tar Campania, sez. Napoli VI, sentenza 13 gennaio – 4 febbraio 2016, n. 653
Presidente Maiello – Estensore Ianigro
Fatto e diritto
1. Con riscorso ex art. 116 c.p.a. la società E., quale azienda operante da oltre 25 anni nella produzione di sistemi modulari di arredamento e semilavorati per conto terzi, impugnava, chiedendone l'annullamento, il diniego di accesso oppostole con atto del 23.07.2015 dall'amministrazione intimata sulla richiesta di ostensione delle denunce asseritamente “anonime” ivi menzionate cui avevano fatto seguito verbali di accesso ispettivo dell'Inps in un periodo di tempo compreso tra il 2004 ed il 2014 conclusesi tutte in assenza di rilievi a carico della istante.
A sostegno del ricorso deduceva i seguenti motivi di diritto:
1) Violazione e falsa applicazione del d.m. 757/1994 in relazione agli artt. 22 e segg della legge n. 241/1990, violazione artt. 24, 41 e 97 Cost. eccesso di potere, sviamento, irragionevolezza, illogicità;
Il regolamento di cui al d.m. 4.11.1994 n. 757 concernente le categorie di documenti formati o stabilmente detenuti dal Ministero del lavoro e della Previdenza Sociale inserisce all'art. 2 lettere b) e c) tra quelli sottratti al diritto di accesso: “i documenti concernenti le richieste di intervento dell'Ispettorato del Lavoro”, nonché “ i documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi”.
In ogni caso le necessità difensive riconducibili all'art. 24 Cost. sono prioritarie rispetto alla riservatezza ed il dettato normativo in tal senso richiede che l'accesso sia garantito comunque, ferma restando la valutazione caso per caso che potrebbe condurre a ritenere prevalenti le esigenze difensive in questione.
Nel caso di specie, nel bilanciamento tra diritto di difesa e tutela della riservatezza deve prevalere il primo poiché, nel corso di questi anni, numerose sono state le denunce che hanno portato ad ispezioni risoltesi con esito negativo.
Ciò ha provocato ingenti danni alla ricorrente che ha dovuto impiegare e sottrarre molto tempo al lavoro per seguire l'attività degli ispettori durante le loro visite.
2) Violazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990, violazione e falsa applicazione del d.m. 757/1994 in relazione agli artt. 22 e segg. della legge n. 241/1990, violazione degli artt. 24,41 e 97 della Cost., Eccesso di potere, difetto di motivazione;
Nel provvedimento non è stato chiarito quale sarebbe l'effettivo pregiudizio per i dimostranti.
3) Violazione e falsa applicazione del d.m. 757/1994 in relazione agli artt. 22 e segg. della legge n. 241/1990, violazione degli artt. 24, 41 e 97 Cost., eccesso di potere, violazione della norma di rango primario, sviamento;
La legge n. 241/1990 prevale sul d.m. 757/1994, poiché, nel caso di dichiarazione rese dai lavoratori a carico del datore di lavoro nel corso di indagini ispettive, il diritto alla riservatezza recede di fronte al diritto di difesa, per cui, nel conflitto fra due norme di rango diverso, va data preminenza alla norma di fonte legislativa rispetto a quella regolamentare. In ogni caso l'amministrazione non ha dato alcuna motivazione delle ragioni per cui la norma di rango primario debba essere disattesa rispetto a quella di fonte regolamentare.
4) Violazione e falsa applicazione del d.m. 757/1994 in relazione agli artt. 22 e segg. della legge n. 241/1990, violazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990, eccesso di potere, difetto di motivazione e di istruttoria;
La motivazione è inesistente rispetto all' istanza presentata che invece è molto articolata ed esprime gli orientamenti esistenti sulla necessità di una valutazione caso per caso.
Concludeva quindi per l'accoglimento del ricorso con ogni conseguenza di legge quanto alle spese.
L'amministrazione si costituiva per opporsi al ricorso chiedendone il rigetto.
Alla camera di consiglio del 13.01.2016 il ricorso veniva introitato per la decisione.
2. Nel presente giudizio si controverte in ordine alla legittimità dell'atto prot. 14761 del 23.07.2015 con cui la Direzione Territoriale del Lavoro di Avellino, pronunciandosi sull'istanza inoltrata nell'interesse della ditta ricorrente in data 29.06.2015, non consentiva l'accesso a tre denunce cui avevano fatto seguito accessi ispettivi nelle seguenti date così verbalizzati: per la prima denuncia i verbali del 29.01.2004, 21.05.2004, 21.04.2005, 8.06.2005, per la seconda il verbale ispettivo del 30.08.2006, e per la terza quello 15.10.2014. Quale motivo di diniego veniva opposto il disposto di cui all'art. 2 comma 1 lettera b) del d.m. 757/1994 recante “Regolamento concernente le categorie di documenti formati o stabilmente detenuti dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale sottratti al diritto di accesso ai sensi dell'art. 24 comma 4 della legge n. 24171990” a tenore del quale tra le categorie di atti sottratti al diritto di accesso sono ricomprese “le richieste d'intervento”, e la durata della preclusione ai sensi del successivo art.3 lettera a) del medesimo d.m. è di 5 anni.
2.1 Tanto premesso il ricorso è fondato e merita accoglimento limitatamente alle denunce indicate sub 1) e sub 2) del diniego impugnate che, in quanto sporte in data anteriore alle ispezioni di cui ai verbali redatti rispettivamente nel 2004 e nel 2006, fuoriescono dall'ambito di operatività della esclusione “quinquennale” opposta di cui all'art. 3 lett.a) del regolamento di cui al d.m. 757/1994 citato nel provvedimento impugnato. L'art. cit. nel determinare difatti la durata del divieto di accesso per le categorie di documenti indicati nell'articolo precedente, con riferimento ai documenti contenenti le richieste di intervento dell'Ispettorato del lavoro di cui all'art. 2 lett. b), stabilisce che l'esclusione perdura per una durata di cinque anni, o finché perduri il rapporto di lavoro nella ipotesi in cui la richiesta di intervento provenga da un lavoratore o abbia comunque ad oggetto un rapporto di lavoro.
Nella specie, né dalla motivazione del provvedimento impugnato, né aliunde, può ricavarsi che le denunce oggetto di richiesta di ostensione provengano da un lavoratore alle dipendenze della impresa istante sicchè in siffatta evenienza non possono ravvisarsi evidenti e individuate ragioni di tutela della riservatezza che giustifichino il procrastinarsi del divieto di ostensione opposto oltre il limite imposto dalla norma regolamentare richiamata dalla stessa amministrazione a sostegno del provvedimento impugnato.
D'altra parte, a fronte di una reiterazione di esposti volti a sollecitare in più occasioni il controllo ispettivo dell'amministrazione intimata, non può disconoscersi in capo all'istante un interesse giuridicamente rilevante e differenziato, non emulativo, nè riducibile a mera curiosità, ma collegato da uno specifico nesso con le esigenze di tutela e di esercizio del diritto di difesa poste a base della istanza inoltrata. Ed infatti il soggetto che subisce un procedimento di controllo vanta un interesse qualificato a conoscere i documenti utilizzati per l'esercizio del potere – inclusi, di regola, gli esposti e le denunce che hanno attivato l'azione dell'autorità – suscettibili per il loro particolare contenuto probatorio di concorrere all'accertamento di fatti potenzialmente pregiudizievoli. Ciò in quanto l'esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell'amministrazione, costituisce un documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un'attività ispettiva o di un intervento in autotutela, e di conseguenza il denunciante perde il controllo sulla propria segnalazione la quale diventa un elemento nella disponibilità dell'amministrazione. Peraltro nella specie, sulla base di quanto dichiarato in atti dal ricorrente e non contestato in atti dall'amministrazione intimata, le denunce oggetto della presente richiesta ostensiva sarebbero di provenienza anonima e la tolleranza verso denunce segrete e/o anonime è un valore estraneo al nostro ordinamento giuridico Non può pertanto seriamente dubitarsi che la conoscenza integrale dell'esposto rappresenti uno strumento indispensabile per la tutela degli interessi giuridici dell'istante, essendo intuitivo che solo in questo modo la ricorrente potrebbe proporre (eventualmente) contro-denunce a tutela della propria immagine verso l'esterno. Del resto il principio di trasparenza dell'attività amministrativa sotteso alla disciplina in materia di accesso vale sia per il denunciato, sia nei confronti del denunciante, in quanto la posizione di denunciante legittima l'accesso agli atti della procedura che ha preso origine dall'esposto.
Il ricorso pertanto merita accoglimento limitatamente alla richiesta di ostensione delle denunce sub 1) e 2) di cui al provvedimento impugnato, ferma restando la legittimità del diniego impugnato rispetto alla denuncia sub 3) ai sensi della norma richiamata che, ponendo un divieto solo temporalmente limitato e circoscritto, non può dirsi in contrasto con le esigenze di tutela e di difesa invocate in ricorso.
Da ultimo quanto alle spese processuali avuto riguardo all'esito del giudizio di parziale accoglimento ricorrono giusti motivi per disporne l'integrale compensazione.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie per quanto di ragione e per l'effetto ordina alla Direzione Provinciale del Lavoro di Avellino di consentire alla parte ricorrente di prendere visione ed estrarre copia, previo rimborso del costo di riproduzione e dei diritti di ricerca e visura, della documentazione richiesta con l'istanza di accesso di cui trattasi nei limiti di cui in motivazione nel termine di giorni trenta decorrente dalla comunicazione o, se a questa anteriore, dalla notificazione della presente decisione;
respinge il ricorso per la restante parte.
Spese compensate
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
21-02-2016 18:12
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