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Sentenza

Danno erariale da disservizio nella giurisdizione contabile....
Danno erariale da disservizio nella giurisdizione contabile.
Come per l'illecito civile, e a differenza di quello penale, le ipotesi di danno erariale sono atipiche (in assenza di categorie tipizzate ex lege, anche se non mancano alcune tipizzazioni in singole previsioni legislative) e frutto di condotte a forma libera. Inoltresi assiste da anni alla progressiva dilatazione del concetto di bene e di patrimonio pubblico al di là delle mere res, fino a comprendere ogni interesse della comunità, purchè affidato in cura ad un apparato pubblico ed economicamente valutabile.
La natura del danno erariale. Questo danno ha avuto nella giurisprudenza natura tradizionalmente patrimoniale, traducendosi in un pregiudizio suscettibile di valutazione economica e quantificato secondo il noto criterio «differenziale», anche se la Corte dei conti ha da tempo interpretato estensivamente tale nozione, giungendo a sussumere nella sua portata applicativa anche la compromissione di interessi di carattere generale del corpo sociale o la lesione dell'interesse pubblico generale all'equilibrio economico e finanziario dello Stato e di interessi pubblici costituzionalmente protetti [1]. Trattasi, secondo la Corte, di danni a beni che non appartengono al patrimonio dello Stato-persona, ma a tutti i membri indifferenziati della collettività. La tematica refluisce in parte nel più ampio problema afferente l'interpretazione dell'art. 103, comma 2, Cost., e dunque dei limiti della giurisdizione contabile sul danno alla finanza pubblica.
Tale responsabilità si configura non solo a fronte di danni subiti direttamente dall'amministrazione (es. sottrazione di una somma o danneggiamento di un arredo da parte del dipendente), ma anche quando il danno sia stato subito indirettamente dalla p.a., chiamata innanzi al giudice ordinario (o, oggi, anche innanzi al giudice amministrativo ex art. 7, l. 21 luglio 2000, n. 205 ed ex artt. 30, 34 e 117, d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104) [2]a risarcire, ex art. 28 Cost., il terzo danneggiato dal proprio lavoratore durante l'attività di servizio. Si pensi ai danni risarciti dalla p.a. ad un alunno feritosi a causa della omessa vigilanza di un insegnante; danni risarciti dalla p.a. ad una impresa illegittimamente esclusa da una aggiudicazione dai membri della commissione di gara; danni risarciti dall'amministrazione agli eredi di un cittadino ucciso da un militare per l'imperito uso di un'arma; danni da attività provvedimentale o da inerzie o ritardi della p.a.; danni risarciti dalla p.a. ad un paziente, o ai suoi eredi in caso di decesso, di una struttura ospedaliera pubblica leso da un imperito intervento chirurgico di un sanitario; danni risarciti dalla p.a. a titolo di «accessione invertita» al proprietario di un suolo su cui è stata realizzata un'opera pubblica, danni da attività provvedimentale dannosa, danni da silenzi o da ritardi della P.A. forieri di danno [3], etc.
Tale riponderazione in sede giuscontabile di danni indiretti imputati alla P.A. in sede civile o amministrativa, comporta comunque una attenta riponderazione da parte della Corte delle risultanze dei pregressi giudizi, soprattutto in ordine alla individuazione della persona fisica (anche in concorso con altri) responsabile del danno, all'elemento psicologico colpa grave ed al quantum addebitabile al dipendente, evitando automatismi valutativi.
Una volta erogata, a seguito di sentenza di condanna civile (o amministrativa), la somma al terzo danneggiato, la p.a. dovrà recuperare doverosamente l'importo, denunciando alla Corte dei conti l'autore materiale dell'illecito. Difatti, il danno erariale c.d. indiretto si configura al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna della p.a. e il relativo termine prescrizionale quinquennale dell'azione giuscontabile decorrerà da tale momento (e non già dalla data della più risalente condotta materiale illecita, né dalla data del materiale pagamento).
Altra rilevante ipotesi di danno indiretto è quello originato da rivalse per sanzioni amministrative pecuniarie inflitte da altre amministrazioni o da Autorities ad amministrazioni pubbliche per condotte illecite di suoi dirigenti.
Dunque, in entrambe le ipotesi di responsabilità amministrativa (da danno diretto ed indiretto), giudice della rivalsa del credito vantato dall'amministrazione nei confronti del dipendente autore della condotta illecita è la Corte dei Conti.
La giurisprudenza contabile ha più volte chiarito che il Giudice contabile è chiamato ad accertare e quantificare un pregiudizio patrimoniale certo ed attuale con riferimento al momento del giudizio, stante l'irrilevanza dei possibili recuperi dei quali si dovrà eventualmente tener conto in sede di esecuzione della decisione [4].
La legge non sancisce soglie minime di importo del danno preclusive all'azione di recupero giuscontabile. Tuttavia, al pari di quanto spesso l'Avvocatura dello Stato suggerisce alle amministrazioni patrocinate per (onerosi) recuperi di somme di modesto valore e di incerta recuperabilità (per palese incapienza del debitore), riteniamo che, sulla base di una valutazione di merito insindacabile, possa omettersi la denuncia alla Procura contabile o si possano archiviare segnalazioni di danni minimali di costosa o non certa recuperabilità.
Va ribadito che le decisioni della magistratura contabile originate da giudizio di rivalsa per danni patrimoniali indiretti patiti dalla p.a. sono destinate ad un progressivo ampliamento, a seguito del moltiplicarsi di condotte illecite omissive da inosservanza di una normativa generale, anche di matrice comunitariae settoriale (spesso assai complessa) in crescita esponenziale, sia delle progressive acquisizioni scientifiche, che consentono di ricondurre alla condotta inerte dell'uomo eventi dannosi un tempo ritenuti frutto di fattori casuali e accidentali [5].
Ma, soprattutto, il progressivo ampliamento del danno erariale indiretto risarcibile deriva dal progressivo ampliamento della sfera del danno risarcibile ad opera della giurisprudenza e dello stesso legislatore, entrambi giunti ad ammettere la risarcibilità dell'interesse legittimo. Corollario di tale evoluzione è il seguente: se la p.a. viene chiamata a risarcire in sede civile o amministrativa danni a situazioni nuove (interessi legittimi), in precedenza non giustiziabili, ne consegue che, una volta condannata, potrà (rectius dovrà) rivalersi innanzi alla magistratura contabile nei confronti dei propri dipendenti autori delle relative condotte illecite.
Il danno da disservizio oggetto di giudizio contabile. Tra tale voci di danno oggetto di giudizio contabile va analizzato il «danno da disservizio» [6], ben distinto dal danno all'immagine, ma del quale è ancora difficile cogliere i caratteri essenziali, stante la differente qualificazione che viene operata nell'ambito delle stesse Procure della Corte dei conti.
In primo luogo il «danno da disservizio» si caratterizza per l'inosservanza di doveri del pubblico dipendente (oggi canonizzati in leggi, nel CCNL e nei codici di comportamento) con conseguente diminuzione di efficienza dell'apparato pubblico: esso può tradursi in una mancata o ridotta prestazione del servizio o nella cattiva qualità dello stesso [7].
Come felicemente sintetizzato di recente da C. conti, sez. Puglia, 10 maggio 2012 n. 621, il danno patrimoniale da disservizio è una sottospecie del danno erariale, che si registra quando si sia verificato o «un esercizio illecito di pubbliche funzioni», o «una mancata resa della prestazione dovuta dal pubblico dipendente» (fra le altre, C. conti, sez. Umbria n. 371 del 2004) o, ancora, un mancato conseguimento della legalità, efficienza, efficacia, economicità e produttività dell'azione della p.a., per via della disorganizzazione del rispettivo servizio dovuta alla condotta commissiva od omissiva, connotata da dolo o da colpa grave, del pubblico dipendente (in tal senso, C. conti, sez. Veneto n. 866/2005).
Tale danno è ontologicamente connesso ad un pubblico servizio, e si verifica allorquando lo stesso è «desostanziato», per l'utenza, delle sue intrinseche qualità, in una valutazione attuata secondo i parametri dell'efficienza e della efficacia. In altri termini, nei casi di «disservizio», l'azione pubblica non raggiunge, sotto il profilo qualitativo, quelle utilità ordinariamente ritraibili dall'impiego di determinate risorse, così da determinare uno spreco delle stesse [8].
Tra le varie applicazioni, una fattispecie di «disservizio» nell'ambito dell'assenteismo del settore pubblico ha portato a valutare le ingiustificate assenze dal servizio di una insegnante di scuola media, condannata a risarcire, oltre al danno cagionato dall'indebita percezione della retribuzione per i giorni d'assenza, anche quello consistente nel minor profitto ricavabile dagli alunni da un insegnamento caratterizzato da ripetute interruzioni della continuità didattica [9].
Altro filone giurisprudenziale è quello relativo al mancato utilizzo di costosi strumenti diagnostici acquistati da struttura sanitaria pubblica.
Ulteriore ipotesi di danno da disservizio è poi quella delle verifiche fiscali compiacenti, in cui il soggetto, nell'esercizio di pubbliche funzioni, compie dolose azioni criminose omissive, così ponendosi in una posizione di estraneità rispetto alla pubblica funzione, dovendosi considerare la vicenda sotto il profilo dell'attrazione egoistica del comportamento illecito all'interno dell'interesse personale; distinta è poi l'ulteriore ipotesi di danno in cui il servizio sia reso così negligentemente da essere assolutamente inutile, quindi non un «disservizio», ma un «mancato servizio», in altri termini un «aliud pro alio».
Altra applicazione giurisprudenziale ha riguardato la dolosa distrazione di beni appartenenti all'amministrazione e la mancata o inesatta prestazione lavorativa sua e dei suoi dipendenti [10].
Né mancano casi di disservizio (in aggiunta al danno diretto) derivanti dalla appropriazione da parte di un agente contabile, con diversi artifici e raggiri e valendosi del ruolo ricoperto, di ingenti somme di denaro appartenenti all'Ente medesimo con conseguente dispendio delle risorse che, sottratte ad altre destinazioni, sono state impiegate per gli accertamenti interni sui fatti illeciti, nonché nella susseguente attività di riorganizzazione dei servizi coinvolti dal comportamento illecito del dipendente [11]. Tale danno è stato poi ipotizzato anche nel segnalato filone della erogazione di finanziamenti pubblici in assenza dei relativi presupposti e dei costi sopportati dalla P.A. per l'espletamento di attività ispettive o di inchiesta per acclarare danni imputabili ad un dipendente [12].
Il danno in parola deve consistere in un pregiudizio effettivo, concreto ed attuale, da riferirsi sia al costo del servizio che all'utilità collettiva mancata. Va rammentata l'intima connessione del giudizio su tale figura di danno con le risultanze di efficienti controlli (compiutamente strutturati dal d.lgs. n. 286/1999).
Peraltro, la quantificazione concreta del danno — in casi del genere — resta ancora una volta affidata al prudente apprezzamento del giudice, ai sensi dell'art. 1226 c.c., che nell'esercizio del suo potere dovrà tener conto dei criteri obiettivi di rilevazione dei costi delle risorse inutilmente impiegate per l'azione amministrativa intrapresa, o in sostituzione dell'attività non correttamente svolta dal titolare dell'incarico, o dei costi per le operazioni di accertamento delle irregolarità dei colleghi [13](valutando la maggiore o minore complessità del procedimento posto in essere, il numero degli organi intervenuti, l'entità degli strumenti elettronici o degli altri mezzi utilizzati etc.), risultando impraticabile ogni altro sistema di determinazione del danno stesso.

Di Giulia Camilleri - Avvocato e Giudice onorario di Tribunale 




[1] Tuttavia le sezioni riunite della Corte hanno più volte rimarcato la doverosa individuazione della « patrimonialità » del danno per poterne invocare la risarcibilità: ex pluribus C. conti, sez. riun., 3 giugno 1987, n. 544, in Riv. C. conti, 1988, f. 1, 39.
Sul superamento della correlazione tra risarcibilità e patrimonialità del danno erariale v. anche Todaro, Nuovi argomenti in tema di risarcibilità del danno all'economia nazionale, in Riv. C. conti, 1989, f. 2, 263 e Maddalena, Responsabilità civile, cit., 1432. Sul danno erariale come lesione dell'interesse pubblico generale all'equilibrio economico e finanziario dello Stato v. C. conti, sez. riun., 9 aprile 1990, n. 659/A, in Riv. C. conti, 1990, f. 4,32.
[2] Tra i vari contributi sul codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104), v. Mignone, Vipiana, Manuale di giustizia amministrativa, Padova, 2012; Gallo, Manuale di giustizia amministrativa, Torino, 2012; Juso, Lineamenti di giustizia amministrativa, Milano, 2012; Saitta, Sistema di giustizia amministrativa, Milano, 2011.
[3] Va ricordato che, ai sensi della vigente normativa (art. 28 cost.; art. 22, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3; art. 55, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165), la pubblica amministrazione risponde dei danni arrecati a terzi dai propri dipendenti, salvo che il comportamento dell'agente, doloso o colposo, non sia diretto al conseguimento dei fini istituzionali propri dell'u fficio o del servizio di appartenenza, ma sia determinato da motivi strettamente personali ed egoistici, tanto da escludere ogni collegamento di « occasionalità necessaria » tra le incombenze affidategli e l'attività produttiva del danno.
[4] Così espressamente, C. conti, sez. Campania, 29 febbraio 2012, n. 249; id., sez. Marche, n. 793 del 2003, la quale richiama id., sez. Campania, n. 52 del 2000 e id., sez. riun. 26 marzo 1987, n. 532; così, anche, C. Conti, sez. Lombardia, n. 406 del 2006, tutte in www.corteconti.it. In altri termini, il danno erariale risulta certo ed attuale se sussistente al momento dell'esercizio dell'azione di responsabilità, a nulla rilevando che lo stesso possa in futuro essere risarcito (almeno in parte) ovvero venir meno a seguito dell'attività recuperatoria dell'Amministrazione danneggiata (così, ex multis, C. conti, sez. Liguria n. 372 del 2009; C. conti, sez. Liguria n. 155 del 2008; C. conti, sez. Campania, n. 696 del 2008; C. conti, sez. Liguria, n. 609 del 2004; C. conti, sez. Basilicata, n. 208 del 2003, tutte ivi).
Il profilo dell'attualità e certezza del danno erariale può, dunque, ritenersi eliso solo dall'effettivo incameramento di una somma di denaro pari a quella indebitamente fuoriuscita dalle casse dell'Ente, non essendo a tal fine sufficiente il semplice possesso di un titolo esecutivo, il quale rappresenta, invero, uno strumento di soddisfacimento solo potenziale, non essendo affatto scontato che l'attività esecutiva che detto titolo consente si traduca automaticamente nel soddisfacimento della pretesa sostanziale (così espressamente, C. conti, sez. III, n. 565 del 2010, con la conforme giurisprudenza ivi richiamata).
[5] Un emblematico esempio della relatività e storicità dell'antinomia tra « caso » (che esclude il legame tra condotta ed evento dannoso) e « causalità » (che conduce invece ad ammettere tale legame), che ha portato alla progressiva crescita degli illeciti omissivi frutto di condotte negligenti, è dato dal contenzioso sanitario: l'evento morte di un cittadino, affetto da grave patologia, in una struttura pubblica, che un tempo poteva ritenersi frutto di mera casualità (vis maior), oggi, a seguito del progresso scientifico che ha affinato le conoscenze della medicina e della farmacologia, può essere spesso frutto, sul piano eziologico, di inescusabile ignoranza del sanitario che ha scorrettamente diagnosticato la patologia o la ha erroneamente curata inosservando le migliori tecniche suggerite dalla scienza. In tali casi, gli eredi del defunto potranno convenire il singolo sanitario e/o la struttura pubblica ove lo stesso opera in base ai principi generali richiamati nel testo.
Sulla responsabilità medica, da ultimo, CASTIELLO, TENORE, Manuale di diritto sanitario, Milano, 2012, 126 e 241 ss ; Lumetti, La responsabilità medica in generale, in AA.VV. (a cura di De Paolis), Il risarcimento del danno nel processo civile, amministrativo, contabile, penale, tributario, Maggioli, 2003, 215 ss.
[6] Sul danno da disservizio e sulla prova dello stesso, in dottrina TENORE, La nuova corte dei conti cit., 201 ss.; Altieri, La responsabilità amministrativa cit., 144 ss. con numerose esemplificazioni; Santoro, L'illecito contabile cit., 404. In giurisprudenza ex pluribus, v. C. conti, sez. III, 11 gennaio 2013, n. 21; id., sez. II, 11 dicembre 2012 n. 674, entrambe in www.corteconti.it (che ne richiede la prova, ribadendone la distinzione dal danno all'immagine: ergo configura ultrapetizione una condanna per danno all'immagine a fronte di una citazione per danno da disservizio); id., sez. III, 4 febbraio 2011 n. 114, in Riv. C. conti, 2011, 1-2, 160; id., sez. Toscana, 27 dicembre 2010 n. 494, in Riv. C. conti, 2010, 6, 151; id., sez. Puglia, 6 luglio 2010 n. 444, ivi, 2010, 4, 118; id., sez. I, 4 gennaio 2006 n. 2; id., sez. I, 4 febbraio 2004 n. 79/A; id., sez. Piemonte, 12 giugno 2006 n. 138; id., sez. II, 27 dicembre 2004 n. 406; id., sez. Marche, 10 marzo 2003, n. 195, in Riv. C. conti, 2003, f. 2, 219; id., sez. Emilia Romagna, 6 marzo 2003, n. 733, in Riv. C. conti, 2003, f. 2, 218; id., sez. Umbria, n. 51 del 2000, in amcorteconti.it.html; id., sez. Umbria, 4 marzo 1998, n. 252, in Riv. C. conti, 1998, f. 3, 187 e in Foro amm., 1998, f. 10; id., sez. Umbria, 23 gennaio 1998, n. 1, in Riv. C. conti, 1998, f. 2, 99; id., sez. Umbria, n. 52 del 1996, in Riv. C. conti, 1993, f. 3, 168. In dottrina v. anche Tomassini, Il danno disservizio, in Riv. C. conti., 2005, 322; Novelli, Venturini, La responsabilità amministrativa, cit., 100 ss.; Pisana, La responsabilità, cit., 187.
[7] Da ultimo, sul danno da disservizio per disavanzo di bilancio, v. C. conti, sez. III app., 11 gennaio 2013, n. 21, in www.corteconti.it.
Interessante è il caso vagliato da C. conti, sez. Toscana, 27 dicembre 2010 n. 494, in Riv. C. conti, 2010, 6, 151, secondo cui deve riconoscersi la sussistenza di un danno da disservizio per la ricerca di latitanti la cui fuga è stata favorita dall'attività illecita dei dipendenti dell'amministrazione, da circoscriversi, tuttavia, alla fase in cui dette ricerche, consistenti in un'attività prevalente se non esclusiva, sono state effettuate nella convinzione che i fuggitivi potessero essere realmente catturati, e non da quando la polizia giudiziaria ha espletato detto servizio di ricerca per mera formalità e per dovere d'ufficio, inglobandolo negli altri ordinari servizi giornalieri di controllo del territorio; fattispecie in cui due dipendenti della cancelleria del tribunale, dietro promessa di cessione di una casa, hanno avvisato due indagati della prossima esecuzione di una misura restrittiva della loro libertà, favorendone la fuga, a seguito della quale la polizia giudiziaria ha svolto un'attività di ricerca in modo prevalente fino a quando ha preso conoscenza della fuga all'estero dei ricercati svolgendo l'attività in modo soltanto formale ed inserendola nella comune attività di vigilanza del territorio.
[8] Tra le tante si segnala, in quanto riguardante magistrato in malattia che in tale periodo si dedica ad intensa attività sportiva, C. conti, sez. Veneto, 13 giugno 2011 n. 382 (in Diritto & Giustizia, 2011, 16 novembre 2011), secondo cui il danno da disservizio si concreta nel mancato conseguimento del buon andamento dell'azione pubblica, atteso che l'assenza del magistrato ha contribuito a disarticolare i moduli organizzativi e funzionali dell'amministrazione, con conseguente mancato raggiungimento delle utilità previste in rapporto alle risorse impiegate.
[9] C. conti, sez. Lombardia, 21 marzo 2008 n. 209, in www.corteconti.it. Sul filone dell'assenteismo pubblico v. anche id., sez. Marche, n. 107 del 2012; id., sez. Umbria, nn. 43, 55, 98 e 127 del 2012; id., sez. Molise, n. 16 del 2012, tutte ivi.
[10] C. conti, sez. Puglia, 11 marzo 2011 n. 261, in Riv. C. conti, 2011, 1-2, 303; id., sez. Calabria, 14 giugno 2011, n. 348, in www.corteconti.it: integra gli estremi del danno da disservizio il comportamento del dipendente che abbia utilizzato per fini diversi da quelli istituzionali le potestà pubbliche a lui attribuite, ponendo in essere reati di concussione o corruzione, con conseguente rottura del rapporto sinallagmatico tra prestazione lavorativa e corrispettivo ricevuto. V. anche id., sez. Campania, 1 giugno 2011, n. 976, ivi. Si è ravvisato un “disservizio”, risarcibile in misura proporzionale alle retribuzioni inutilmente pagate ai dipendenti coinvolti, non solo nello sviamento della potestà pubblica esercitata per finalità illecite diverse e contrarie rispetto a quelle cui la potestà stessa è finalizzata (nella specie: poliziotti che progettavano ed eseguivano rapine: id., sez. Piemonte, sent. n. 144 del 2012), ma anche negli intralci comunque frapposti al corretto e completo esplicarsi dell'attività amministrativa (nella specie: Ufficiale della Guardia di Finanza che rivelava notizie circa un'indagine in corso agli interessati: id., sez. Piemonte, sent. n. 178 del 2012).
Per una vasta rassegna di casistica sul danno da disservizio, v. Santoro, L'illecito contabile cit., 404.
[11] C. conti, sez. Emilia-Romagna, 6 settembre 2012, n. 210, in www.corteconti.it.
[12] Sul primo filone v. C. conti, sez. Abruzzo, 13 giugno 2012, n. 303, in www.corteconti.it: nel caso di erogazione di contributi pubblici per scopi d'investimento che non vengono realizzati, sussiste il danno da disservizio se altre imprese avrebbero avuto titolo per conseguire i finanziamenti. Sul danno da espletamento di attività di verifica v. C. conti, sez. III app., 1 febbraio 2012 n. 55, ivi.
[13] La giurisprudenza contabile tende alla valorizzazione degli effetti distorsivi della condotta fraudolenta sulla legalità e legittimità dell'azione amministrativa, del dispendio delle risorse che, sottratte ad altre destinazioni, sono state impiegate per gli accertamenti sui fatti di causa, nonché della susseguente, necessaria attività di riorganizzazione del servizio coinvolto dal comportamento illecito del convenuto.
Avv. Antonino Sugamele

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