Tifoso si finge cameriere per evitare la polizia all’ingresso dello stadio, quali conseguenze a chi lo ha aiutato?
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 21 – 22 maggio 2015, n. 2572
Presidente/Estensore Lignani
Fatto e diritto
1. L'appellante, già ricorrente in primo grado, è titolare della ditta aggiudicataria dell'appalto del servizio bar all'interno dello stadio di Cesena. E' stato destinatario di un provvedimento di interdizione dell'accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive (c.d. “daspo”), ai sensi degli artt. 6 e 6-bis della legge n. 481/1989, emesso nei suoi confronti dal Questore di Forlì-Cesena il 20 maggio 2014, n. 357.
Il provvedimento era motivato, in sostanza, con riferimento al fatto che, in occasione di un incontro di calcio in quello stadio, l'interessato aveva consentito a due tifosi di una squadra ospite di entrare dall'ingresso riservato al personale di servizio, in elusione dei controlli, spacciandoli come propri collaboratori.
2. L'interessato ha impugnato il provvedimento davanti al T.A.R. dell'Emilia Romagna, esponendo che in questo particolare caso il provvedimento produceva effetti atipici, in quanto si risolveva, di fatto, non solo nel divieto di accedere agli impianti sportivi quale praticante ovvero quale spettatore, ma anche in un impedimento ad esercitare la sua legittima attività commerciale. Inoltre contestava che la condotta addebitatagli rientrasse nelle previsioni della norma che prevede i provvedimenti di “daspo”.
Nel corso del processo di primo grado l'istanza cautelare è stata respinta dal T.A.R. ma accolta in sede di appello da questa Sezione con ordinanza n. 5072/2014, motivata con la considerazione che il fatto appariva estraneo alla previsione normativa.
Il T.A.R. invece ha conclusivamente respinto il ricorso con sentenza n. 177/2015.
3. L'interessato propone ora appello a questo Consiglio chiedendo anche la sospensione cautelare della sentenza.
L'Amministrazione si è costituita opponendosi all'appello.
In occasione della trattazione della domanda cautelare alla odierna camera di consiglio, il Collegio ravvisa le condizioni per procedere alla definizione immediata della controversia.
4. Viene in questione l'art. 6-bis della legge n. 401/1989, che ha esteso a nuove fattispecie l'applicazione del c.d. “daspo” già previsto dall'art. 6 della medesima legge.
L'art. 6-bis è rubricato «Lancio di materiale pericoloso, scavalcamento e invasione di campo in occasione di manifestazioni sportive» e nel suo testo dispositivo si riferisce al fatto di chi «supera indebitamente una recinzione o separazione dell'impianto ovvero invade il terreno di gioco». Questa disposizione è stata interpretata da questa Sezione (sentenza n. 5926/2013) come applicabile solo nell'ipotesi che vi sia scavalcamento o superamento di un ostacolo materiale, e non anche nel caso (come nella fattispecie allora esaminata) di chi pacificamente si sposti da un settore all'altro degli spazi riservati al pubblico, approfittando di un varco occasionalmente lasciato aperto da altri.
5. Ciò premesso, pare al Collegio che anche in questo caso il fatto esuli dalla previsione della norma.
L'autorità emanante ha operato una duplice forzatura interpretativa. In primo luogo ha assimilato allo “scavalcamento” o “superamento di una recinzione o separazione” il fatto di chi si introduce - in modo palese e pacifico ancorché fraudolento - attraverso l'ingresso riservato al personale di servizio, simulando di averne titolo. In secondo luogo ha ulteriormente esteso la sanzione al fatto di chi (come l'attuale appellante) essendo legittimamente all'interno dello stadio, si presta ad avallare l'inganno altrui. Ma la formulazione complessiva degli artt. 6 e 6-bis (nel testo attualmente vigente) rivela l'intenzione del legislatore di elencare una serie di fattispecie tipiche, dettagliatamente individuate, e ciò sembra escludere la possibilità di estensioni interpretative o analogiche; quanto meno quando il fatto non abbia prodotto disordini, turbative, etc.
6. Non è compito di questo Collegio stabilire quali illeciti siano stati commessi e come debbano essere sanzionati. Si deve ora decidere solamente se il fatto rientri nella previsione dell'art. 6-bis ai fini dell'applicazione del “daspo” e la risposta deve essere negativa.
In conclusione l'appello deve essere accolto e in riforma della sentenza appellata deve essere accolto il ricorso proposto in primo grado con annullamento dell'atto impugnato.
In considerazione del fatto che – a parte il problema dell'applicabilità o meno del “daspo” – nella specie vi è stato un comportamento quanto meno reprensibile si giustifica la compensazione delle spese per l'intero giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) accoglie l'appello e in riforma della sentenza appellata accoglie il ricorso di primo grado nei sensi di cui in motivazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
04-06-2015 05:59
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