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Sentenza

Per il Consiglio di Stato il proprietario è responsabile degli eventuali abusi e...
Per il Consiglio di Stato il proprietario è responsabile degli eventuali abusi edilizi compiuti dall'inquilino con le relative conseguenze previste dal TU edilizia, compresa quella della perdita del bene.
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 14 aprile – 4 maggio 2015, n. 2211
Presidente Baccarini – Estensore De Felice

Fatto

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Valle d'Aosta i signori M. e Ma. C., proprietari di un terreno con fabbricato nel Comune di Aymavilles, agivano per l'annullamento dell'ordinanza n. 62 del 2009 del 21 settembre 2009, con cui il Sindaco aveva ordinato loro, unitamente alla conduttrice ditta De Marzi Giada s.a.s., che deteneva in locazione dal 1999 il bene, il ripristino dei luoghi mediante rimozione di strutture abusive di diverso materiale, di una recinzione, di un cancello e altro.
Il provvedimento veniva adottato ai sensi dell'art. 77 comma 1 l.r. 11 del 1998, con l'avviso che, in caso di inottemperanza nel termine di novanta giorni, l'immobile e l'area sarebbero stati acquisiti gratuitamente al patrimonio del Comune.
I ricorrenti sostenevano di essere completamente estranei all'abuso; gli immobili, ereditati dal padre C. Rino, erano detenuti in locazione fin dal 1999 dalla ditta “Autoriparazioni Parigi” dei signori Giorgio e Giada De Marzi , che li utilizzava come deposito di automezzi e bonifica e smaltimento di rifiuti.
Il 23 giugno 2008 i ricorrenti avevano ricevuto comunicazione di avvio del procedimento per accertare le violazioni urbanistico-edilizie; il sopralluogo era avvenuto in data 18 maggio 2009 e in tale sede si era constatato che gli abusi erano consistiti in “deposito veicoli, realizzazione di quattro strutture, di cancello e recinzioni in ferro in assenza di titolo abilitativo e presenza di animali da allevamento”; delle quattro strutture, tre venivano descritte come realizzate in lamiera e di tipo cantiere e la quarta di tipo cassone, forse parte di un vecchio camper, utilizzata come deposito; in data 19 maggio 2009 (con atto notificato in data 22 maggio 2009) il Comune diffidava la sola ditta conduttrice al ripristino dei luoghi concedendo il termine di sessanta giorni; i ricorrenti, che non avevano ricevuto diffida, in data 5 agosto 2009 presentavano richiesta di accesso; in data 14 settembre 2009 il sopralluogo di verifica avveniva con la presenza del signor Celi Stefano in rappresentanza dei proprietari, attuali appellanti; in tale occasione si rilevava il permanere dei veicoli depositati, di due strutture di diverso materiale, del cancello e delle recinzioni in ferro; successivamente, il Sindaco emanava l'ordinanza oggetto del ricorso di primo grado; quanto ai veicoli, in data 25 febbraio 2010 la Regione, Assessorato Territorio e Ambiente, diffidava la società De Marzi Giada s.a.s. dal ricevere nuovi veicoli fuori uso da sottoporre a bonifica nonché dall'effettuare ulteriori operazioni di bonifica e smaltimento di rifiuti.
Con il ricorso i ricorrenti proprietari sostenevano che non si trattava di opere permanenti, per la cui realizzazione era necessario il permesso di costruire, ma di opere precarie, essendo sufficiente la denuncia di inizio di attività, con la conseguenza che, in caso di rilevata difformità, sarebbe stata irrogabile la sola sanzione pecuniaria.
Secondo il primo giudice, che accoglieva soltanto parzialmente il ricorso per quanto riguarda l'ordine di demolizione della recinzione e del cancello, respingendolo per il resto, mentre la tesi della precarietà poteva valere per il cancello e la recinzione, trattandosi di opere che non comportano la trasformazione urbanistica del territorio, sulla base delle fotografie a corredo dell'istruttoria, a diverse e opposte conclusioni doveva pervenirsi in relazione alla struttura in lamiera e al deposito dei mezzi, dovendosi avere riguardo ai due parametri giurisprudenziali “della natura e delle dimensioni” delle opere nella loro destinazione e funzione; pertanto, laddove le opere comportino una significativa trasformazione edilizia del territorio per effetto della realizzata volumetria è necessario il rilascio del permesso di costruire, di tal che, in assenza, è irrogabile la misura della demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi.
In ordine alla asserita estraneità all'abuso dei proprietari ricorrenti, il primo giudice osservava che, almeno a partire dalla data di accesso agli atti che essi stessi avevano presentato (5 agosto 2009), i proprietari C. erano ben al corrente dell'abuso; sotto altro profilo, la dichiarazione, peraltro non documentata, da essi presentata in data 13 aprile 2012, secondo cui a quella data essi stavano “formalizzando la risoluzione del contratto di locazione de quo”, quanto dichiarato era rimasta una mera intenzione, di fatto non attuata.
I proprietari venivano quindi ritenuti coinvolti nel fatto abusivo e giusti destinatari dei provvedimenti sanzionatori, potendo la posizione del proprietario ritenersi neutra rispetto alle sanzioni per abusi edilizi e segnatamente rispetto all'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area di sedime sulla quale insiste il bene, soltanto quando risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell'opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza, si sia poi adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall'ordinamento.
Avverso tale sentenza, ritenuta errata ed ingiusta, propongono appello i signori M. C. e Ma. C., affidandosi ai seguenti motivi.
Con un primo motivo contestano la correttezza di applicare ai proprietari la sanzione dell'acquisizione gratuita del bene, essendo gli stessi completamente estranei alla realizzazione dell'abuso; il Comune, consapevole di tale estraneità, ha dapprima diffidato e notificato l'ordine di messa in pristino solo al conduttore e, solo dopo tre mesi, anche ai proprietari, ordinando, solo in tale ultimo provvedimento, ad entrambe le parti la demolizione, pena l'acquisizione gratuita; i proprietari non hanno, neanche all'attualità, la materiale disponibilità del bene e non potrebbero procedere alla intimata demolizione o rimozione dell'opera abusiva; dalla Relazione del Comune in data 17 gennaio 2012 emerge (sulla base della segnalazione del Maresciallo della stazione forestale di Aymavilles del 16 agosto 2007 e sulla base del contratto di locazione) che “solo a seguito di specifica richiesta dell'Ufficio, questa Amministrazione comunale ha desunto che l'area oggetto di deposito era locata e in disponibilità del predetto”; da ciò si evincerebbe che solo dopo l'adozione dei provvedimenti impugnati il Comune si sarebbe reso conto che l'area non era nella disponibilità dei proprietari coniugi C., attuali appellanti; è errata la sentenza nella parte in cui stabilisce che i proprietari avrebbero dovuto attivarsi con la completa riduzione in pristino o quanto meno dissociarsi completamente dalla condotta della parte conduttrice, quando invece i proprietari non solo erano estranei al fatto dell'abuso, ma ne ignoravano perfino l'esistenza; è evidente la contraddittorietà della sentenza, in quanto i proprietari non possono essere colpiti con la sanzione dell'espropriazione (o meglio, acquisizione) se si riconosce che essi sono estranei all'abuso; non si può affermare il principio della responsabilità dei proprietari estranei all'abuso, che abbiano acquistato o riacquistato la disponibilità del bene in quanto, nella specie, essi non sono ancora rientrati in tale disponibilità,
Con altro motivo di appello si lamenta il vizio di omessa pronuncia, in quanto con il ricorso originario l'acquisizione era stata contestata non solo sotto il profilo della violazione di legge ma anche per l'eccesso di potere consistente nel difetto di istruttoria, relativamente alla affermata estraneità dei signori C. all'abuso.
Con ordinanza n.3431 in data 31 ottobre 2012 la Sezione ha respinto l'istanza cautelare di sospensione di esecutività della sentenza.
Si è costituito con memoria depositata in data 3 novembre 2014 il Comune di Aymavilles chiedendo il rigetto dell'appello perché infondato.
Con memoria depositata in data 16 marzo 2015 gli appellanti hanno ribadito le stesse difese e conclusioni del'appello.
Alla udienza pubblica del 14 aprile 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

Diritto

L'appello è infondato.
In materia di abusi edilizi commessi da persona diversa dal proprietario, costituisce principio consolidato che la posizione del proprietario possa ritenersi neutra rispetto alle sanzioni (previste dal d.P.R. n. 380 del 2001) e, segnatamente, rispetto all'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area di sedime sulla quale insiste il bene, quando risulti, in modo inequivocabile, la completa estraneità del proprietario stesso al compimento dell'opera abusiva o che, essendone venuto a conoscenza, si sia poi adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall'ordinamento.
La tesi svolta in appello evidenzia che il Comune era consapevole di tale estraneità: l'amministrazione prima aveva diffidato e ordinato il ripristino al solo conduttore e solo successivamente, dopo tre mesi, si era rivolto anche ai proprietari; l'amministrazione era ben quindi a conoscenza della materiale indisponibilità dei proprietari, che permane tuttora.
Viene citata anche la relazione del 17 gennaio 2012, dalla quale emergerebbe che, sulla base della segnalazione del Maresciallo della stazione forestale di Aymavilles del 16 agosto 2007 e del contratto di locazione, “solo a seguito di specifica richiesta dell'Ufficio, questa Amministrazione comunale ha desunto che l'area oggetto di deposito era locata e in disponibilità del predetto”.
I motivi di appello sono infondati, tenendo conto della posizione che in ogni caso ricopre il proprietario non autore dell'abuso edilizio e i suoi indiscutibili doveri, quanto meno, in modo sicuramente pregnante, a partire dal momento in cui sia venuto a conoscenza in modo formale della realizzazione abusiva sul suo immobile.
L'art. 77 della legge regionale n. 11 del 16 aprile 1998, mutuando la normativa nazionale del Testo unico dell'edilizia sul punto (art. 31), prevede al secondo comma, in continuità procedimentale con il primo comma che disciplina l'ordine di demolizione e ripristino dell'abuso edilizio, che “ove il responsabile dell'abuso non provveda alla demolizione e, in ogni caso, al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni, l'immobile oggetto dell'abuso e l'area di pertinenza dello stesso, determinata sulla base delle norme urbanistiche vigenti, e comunque non superiore a dieci volte l'area di sedime, sono acquisite gratuitamente al patrimonio del Comune”.
Come ha già osservato questo Consesso (Cons. Stato, V, 26 febbraio 2013, n.1179), l'ordine di demolizione è legittimamente, in caso di locazione, notificato anche al proprietario il quale, fino a prova contraria, è quanto meno corresponsabile dell'abuso, almeno dal momento in cui ne sia venuto a conoscenza (in tal senso, anche Cons. Stato, V, 31 marzo 2010, n.1878; VI, 10 dicembre 2010, n.8705).
Se, nella specie, può ammettersi la completa estraneità e ignoranza nel momento della realizzazione dell'abuso e anche nel momento iniziale del primo procedimento di accertamento dell'abuso, non può invece negarsi la conoscenza da un dato momento, e quindi la sussistenza di doveri del proprietario, che riemergono a partire dal momento di conoscenza certa dell'abuso realizzato.
Non vale ad escludere l'incombenza dei doveri di gestione dominicale la circostanza della stipulazione del contratto di locazione, in quanto tale negozio, se comporta il trasferimento al conduttore della disponibilità materiale e del godimento dell'immobile, non fa affatto venire meno in assoluto in capo al proprietario i poteri e doveri di controllo, cura e vigilanza spettanti al proprietario locatore, il quale, anche se in un ambito diverso da quello in cui si esplica a sua volta il potere di custodia del conduttore, conserva un effettivo potere fisico sull'entità immobiliare locata (si pensi alla manutenzione straordinaria), con conseguente obbligo, sotto tutti i profili, di vigilanza sull'immobile (così Cassazione civile, sezione III, 27 luglio 2011, n.16422).
Sotto il profilo edilizio, se è giustificabile che tale vigilanza non sia stata attiva nella situazione di ignoranza dell'abuso, ciò non può valere dal momento in cui il proprietario ne sia stato notiziato.
Il giudice di primo grado ha argomentato rilevando che, pur potendosi dare per dimostrato e ammesso che la parte proprietaria fosse del tutto estranea alla realizzazione delle opere abusive e ignorasse del tutto l'abuso fino alla data di comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio, a partire da quella data (23 giugno 2008) e certamente a decorrere dalla successiva data del suo accesso agli atti (5 agosto 2009), la stessa parte proprietaria avrebbe dovuto attivarsi per la riduzione in pristino o quanto meno, dissociarsi completamente dalla condotta della parte conduttrice. Successivamente, in data 14 settembre 2009, avveniva il sopralluogo di verifica, con la presenza del signor Celi Stefano in rappresentanza dei proprietari, che pertanto, a quel punto, erano pienamente a conoscenza di tutte le circostanze fattuali.
Anche la relazione comunale citata dall'appello, risalente al 17 gennaio 2012, non può essere riportata a favore; con essa, certamente il Comune non si riferisce al periodo della stesura della relazione (anno 2012), essendo noto l'abuso ai proprietari almeno dal 2009; in essa si fa riferimento chiaramente a fatti accertati nel 2007 (epoca in cui era verosimile che i proprietari fossero nella ignoranza dell'abuso), mentre, come detto, è innegabile che successivamente, non tanto con la comunicazione del 23 giugno 2008, ma certamente con l'accesso presentato e esercitato in data 5 agosto 2009, poi con il sopralluogo del 14 settembre 2009, poi con l'ordinanza del 21 settembre 2009 notificata nei loro confronti, i proprietari erano oramai venuti a conoscenza dell'abuso edilizio realizzato sulla loro proprietà.
Essendo indubbio quindi, che a partire da una certa data o da un certo momento, i proprietari erano venuti ben a conoscenza dell'abuso edilizio realizzato sula loro proprietà, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza che regolano la materia, il proprietario incolpevole di abuso edilizio commesso da altri, che voglia sfuggire all'effetto sanzionatorio di cui all'art. 31 del testo unico dell'edilizia della demolizione o dell'acquisizione (come prevede anche la legge regionale della Valle d'Aosta), come effetto della inottemperanza all'ordine di demolizione, deve provare la intrapresa di iniziative che, oltre a rendere palese la sua estraneità all'abuso (e in ciò si può convenire con la parte appellante), siano però anche idonee a costringere il responsabile dell'attività illecita a ripristinare lo stato dei luoghi nei sensi e nei modi richiesti dall'autorità amministrativa.
Perché vi siano misure concretanti le “azioni idonee” ad escludere l'esclusione di responsabilità o la partecipazione all'abuso effettuato da terzi, prescindendo dall'effettivo riacquisto della materiale disponibilità del bene, si ritiene necessario un comportamento attivo, da estrinsecarsi in diffide o in altre iniziative di carattere ultimativo nei confronti del conduttore (“che si sia adoperato, una volta venutone a conoscenza, per la cessazione dell'abuso”, tra tante, si veda Cassazione penale, 10 novembre 1998, n.2948), al fine di evitare l'applicazione di una norma che, in caso di omessa demolizione dell'abuso, prevede che l'opera abusivamente costruita e la relativa area di sedime siano, di diritto, acquisite gratuitamente al patrimonio del Comune, non bastando invece a tal fine un comportamento meramente passivo di adesione alle iniziative comunali.
Se, per ipotesi, la proprietà potesse dissociarsi soltanto con mere dichiarazioni o affermazioni di dissociazione o con manifestazioni di intenti, senza alcuna attività materiale o almeno giuridica di attivazione diretta ad eliminare l'abuso (risoluzione iniziata giudiziariamente per inadempimento contrattuale, diffide ad eliminare l'abuso, attività materiali), la tutela dagli abusi rimarrebbe inefficace nei casi di locazione.
Rispetto a tale necessaria attività di dissociazione, che il primo giudice ha ritenuto insussistente tanto da relegarla ad una mera intenzione di fatto rimasta inattuata, risulta soltanto la mera dichiarazione, non documentata, peraltro, da parte degli appellanti, risalente al 13 aprile 2012, con cui essi dichiarano che “stanno formalizzando la risoluzione del contratto di locazione de quo”.
Rispetto a tale motivo di rigetto del ricorso originario, in realtà l'appello non deduce adeguatamente, al fine di sostenere e dimostrare una maggiore e sufficiente attività dissociativa.
Nel giudizio amministrativo, costituisce invece specifico onere dell'appellante formulare una critica puntuale della motivazione della sentenza appellata, posto che l'oggetto di tale giudizio è costituito da quest'ultima e non dal provvedimento gravato in primo grado, e che il suo assolvimento esige la deduzione di specifici motivi ed argomentazioni di contestazione della correttezza del percorso argomentativo che ha fondato la decisione appellata (per tale principio, Cons. Stato, IV, 13 dicembre 2013, n.6005).
E' infondato il motivo di appello con cui si lamenta la omessa pronuncia per non avere il primo giudice esaminato e trattato il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria: è evidente come la sentenza, nell'esaminare il motivo con il quale si deduceva la estraneità dei proprietari rispetto all'abuso in relazione a tutte le circostanze fattuali, abbia esaminato tale censura sub specie di vizio di violazione di legge (sulla base della asserita violazione delle norme che stabiliscono la responsabilità dell'autore dell'abuso), accertando i medesimi fatti e le stesse censure (di asserito mancato accertamento dei fatti a sostegno della istruttoria circa la reale responsabilità dei proprietari inerti) riproposte poi come vizio di eccesso di potere, riproposto in modo ridondante, come ripetitivo del precedente, oltre che infondato, è il motivo di omessa pronuncia.
Sulla base delle sopra esposte considerazioni, l'appello va respinto, con conferma dell'appellata sentenza.
La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, con conferma dell'appellata sentenza.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidandole in complessivi euro quattromila.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Avv. Antonino Sugamele

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