La Cassazione conferma che i cittadini, con il sistema elettorale denominato porcellum non hanno potuto esercitare il diritto di voto personale, eguale, libero e diretto, secondo il paradigma costituzionale, nelle elezioni per la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, per la oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica. I cittadini non hanno potuto nemmeno scegliere i propri rappresentanti in Parlamento.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 4 – 16 aprile 2014, n. 8878
Presidente Vitrone – Relatore Lamorgese
Svolgimento del processo
1.- Nel novembre 2009 il sig. B.A. , in qualità di cittadino elettore, convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Milano, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell'interno, deducendo che nelle elezioni per la Camera dei Deputati e per il Senato della Repubblica svoltesi successivamente all'entrata in vigore della legge n. 270/2005 e, in particolare, nelle elezioni del 2006 e 2008, egli non aveva potuto esercitare (e non avrebbe potuto esercitare nel futuro) il diritto di voto secondo modalità conformi a principi costituzionali del voto "personale ed eguale, libero e segreto" (art. 48, comma 2, Cost.) e "a suffragio universale e diretto" (artt. 56, comma 1, e 58, comma 1, Cost.).
Nell'espressione del voto personale e diretto era implicito, a suo avviso, il diritto di esprimere la preferenza ai singoli candidati, possibilità esclusa dalla legge elettorale citata, la quale, attribuendo rilevanza all'ordine di inserimento dei candidati nella lista, affidava agli organi di partito la designazione di coloro che dovevano essere nominati, con conseguente creazione di un effettivo e concreto vincolo di mandato dell'eletto nei confronti degli organi di partito che lo avevano prescelto, in violazione dell'art. 67 Cost. secondo il quale ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Inoltre il principio di uguaglianza del voto era violato dall'attribuzione di un "premio di maggioranza" alla lista che aveva ottenuto anche un solo voto in più delle altre, senza nemmeno la previsione di una soglia minima in voti o seggi, con l'effetto di riconoscere un valore diverso ai singoli voti e di attribuire a non significative "minoranze" uscite dalle urne (anche ampiamente inferiori al 50%) ben 340 seggi alla Camera e la maggioranza qualificata del 55% dei seggi al Senato.
Il principio di uguaglianza del voto era violato anche per il peculiare "premio di maggioranza" attribuito per l'elezione del Senato su base regionale (essendo il numero dei seggi assegnati ad ogni regione proporzionale alla popolazione residente, il voto espresso dall'elettore residente nelle regioni più popolose concorreva all'attribuzione di un premio di maggioranza ben più elevato di quello cui poteva concorrere l'elettore delle regioni meno popolose). Inoltre arbitraria era la previsione dell'inserimento nella scheda elettorale del nome del capo di ciascuna lista o coalizione, che aveva l'effetto di coartare la libertà del voto e di condizionare l'autonomia del Capo dello Stato nella nomina del Presidente del Consiglio di Ministri.
1.1.- L'attore chiese quindi di dichiarare che il suo diritto di voto non poteva essere esercitato in modo libero e diretto, secondo le modalità previste e garantite dalla Costituzione e dal Protocollo 1 della CEDU, nonché nel rispetto delle forme e dei limiti concernenti il potere del Presidente della Repubblica di nominare il Presidente del Consiglio di Ministri, e di conseguenza chiese di ripristinarlo secondo modalità conformi alla legalità costituzionale. A tal fine, in relazione agli artt. 1, comma 2; 3; 48, comma 2 e 4; 56, comma 1; 67; 117, comma 1; 138 Cost. e 3 Prot. 1 CEDU, egli eccepì, in via incidentale, l'illegittimità costituzionale, quanto all'elezione della Camera dei Deputati, degli artt. 1, comma 1; 4, comma 2; 59; 83, commi 2, 3, 4 e 5, del d.P.R. n. 361/1957, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005; quanto all'elezione del Senato, degli artt. 14, 16, 17, 19, 27 del d. lgs. n. 533/1993, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005; inoltre, eccepì l'illegittimità costituzionale degli artt. 14 bis, comma 3, del d.P.R. n. 361/1957 e 8 del d. lgs. n. 533/1993, nel testo vigente, a causa della dedotta limitazione del potere del Presidente della Repubblica.
2.- Nel giudizio di primo grado intervennero ad adiuvandum altri cittadini elettori (menzionati in epigrafe) e si costituirono la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell'interno che chiesero il rigetto delle domande.
3.- Il Tribunale di Milano, con sentenza 18 aprile 2011, rigettò le eccezioni preliminari di inammissibilità delle domande per difetto di giurisdizione e insussistenza dell'interesse ad agire, nel merito rigettò le domande giudicando manifestamente infondate le proposte eccezioni di illegittimità costituzionale.
4.- Il giudizio svoltosi dinanzi alla Corte di appello di Milano, nel quale le amministrazioni convenute reiterarono le eccezioni preliminari già proposte, fu definito con sentenza 24 aprile 2012 che rigettò l'appello, giudicando manifestamente infondate le proposte questioni di legittimità costituzionale.
5.- Avverso la predetta sentenza B.A. e gli altri cittadini elettori hanno proposto ricorso per cassazione; la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell'interno non hanno svolto attività difensiva.
6.- Questa Corte, con ordinanza 17 maggio 2013, sul presupposto che il giudizio principale doveva essere definito con una sentenza che accertasse la portata del diritto di voto e lo ripristinasse nella pienezza della
sua espansione, per il necessario tramite dell'intervento della Corte costituzionale, ha giudicato rilevanti e non manifestamente infondate le proposte questioni di legittimità costituzionale precisate dalla corte con riferimento agli artt. 83, commi 1, n. 5, e 2, del d.P.R. n. 361/1957, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005, quanto al premio di maggioranza per l'elezione della Camera dei Deputati, in relazione agli artt. 3 e 48, comma 2, Cost.; all'art. 17, commi 2 e 4, del d. lgs. n. 533/1993, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005, quanto al premio di maggioranza per l'elezione del Senato della Repubblica, in relazione agli artt. 3 e 48, comma 2, Cost.; agli artt. 4, comma 2, e 59, comma 1, del d.P.R. n. 361/1957, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005, quanto al voto di preferenza per la Camera, in relazione agli artt. 3, 48, comma 2, 49, 56, comma 1, e 117, comma 1, Cost.; all'art. 14, comma 1, del d. lgs. n. 533/1993, nel testo risultante dalla legge n. 270/2005, quanto al voto di preferenza per il Senato, in relazione agli artt.
3, 48, comma 2, 49, 58, comma 1, e 117, comma 1, Cost.; ha invece ritenuto manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità delle norme riguardanti l'inserimento nella scheda elettorale del nome del capo di ciascuna lista o coalizione.
7.- La Corte costituzionale, con sentenza n. 1 del 13 gennaio 2014, ha accolto le questioni proposte e dichiarato l'illegittimità costituzionale delle censurate norme della legge n. 270/2005 che prevedevano l'assegnazione di un premio di maggioranza - sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica - alla lista o alla coalizione di liste che avessero ottenuto il maggior numero di voti e che non avessero conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione; la Corte ha altresì dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che stabilivano la presentazione di liste elettorali "bloccate", nella parte in cui non consentivano all'elettore di esprimere una preferenza.
8.- Il giudizio è stato fissato per il prosieguo all'udienza odierna. I ricorrenti hanno presentato una memoria nella quale hanno chiesto un rinvio della discussione nell'attesa dell'approvazione del disegno di legge elettorale n. 1385/2014 che, essendo affetto, a loro avviso, da analoghi e da altri gravi vizi di legittimità costituzionale, verrebbe a frustrare lo scopo ultimo del giudizio la cui utilità finale era quella di assicurare per il presente e il futuro la possibilità di esercitare il diritto di voto secondo Costituzione, cioè in modo personale ed eguale, libero e diretto.
9.- La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha presentato un atto di costituzione al solo fine della partecipazione all'udienza di discussione.
Motivi della decisione
1.- La preliminare richiesta dei ricorrenti, contrastata dal P.G., di rinviare la discussione del ricorso non è accoglibile, non già (come ritenuto dall'Avvocatura generale dello Stato per conto della Presidenza del Consiglio dei Ministeri) perché la domanda di accertamento della consistenza del diritto elettorale non possa dirigersi verso una legge diversa, sostitutiva o modificativa di quella originariamente censurata (la n. 270 del 2005), ma perché un rinvio non sarebbe giustificabile allo scopo di attendere la pubblicazione di una nuova legge elettorale che non è possibile sapere se, quando e con quali contenuti sarà approvata dal Parlamento e che, come ricordato dalla Corte Costituzionale (n.1/2014), potrà sempre essere approvata dal Parlamento "nel rispetto dei principi costituzionali" ed essere soggetta all'ordinario controllo di costituzionalità che, nel nostro sistema, non è preventivo.
In definitiva, il richiesto rinvio si risolverebbe in una sostanziale e inammissibile sospensione di un processo che dev'essere definito in tempi compatibili con il principio della ragionevole durata, a norma dell'art. 111, comma 2, Cost..
2.- L'Avvocatura dello Stato ha eccepito che, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014, che ha ripristinato la legalità costituzionale del sistema elettorale di voto per le elezioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, sarebbe cessata la materia del contendere, essendo stato soddisfatto l'interesse azionato dai ricorrenti nel giudizio.
2.1.- L'eccezione, contrastata dai ricorrenti e dal P.G., è infondata.
È necessario ribadire quanto già precisato nell'ordinanza 17 maggio 2013 (di rimessione alla Corte costituzionale) a proposito della natura dell'azione proposta dai ricorrenti, che è di accertamento della portata del diritto di voto come configurato dalla legge elettorale n. 270 del 2005, sotto il profilo della sua compatibilità con i parametri costituzionali del voto personale, eguale, libero e diretto (artt. 48, 56 e 58 Cost.).
In tale azione era compresa la richiesta rivolta (necessariamente) al giudice dei diritti di effettuare, in prima battuta, il consueto e preliminare scrutinio di non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale di alcune disposizioni di quella legge elettorale indubbiamente rilevanti per la definizione del giudizio, in via strumentale all'accertamento dell'esistenza di una effettiva e concreta lesione del diritto di voto e al ripristino della legalità costituzionale violata, per il tramite della pronuncia costituzionale.
Al contrario dei giudici di merito, i quali in sostanza accertarono l'insussistenza della dedotta lesione del diritto di voto (come conseguenza della ritenuta manifesta infondatezza delle, pur rilevanti, questioni di legittimità costituzionale proposte), questa Corte le ha ritenute non manifestamente infondate, esprimendo un giudizio di potenziale lesione del diritto di voto esercitabile dai cittadini elettori secondo le modalità previste dalla legge n. 270 del 2005.
La Corte costituzionale ha ripristinato per il futuro (a partire dalla data di pubblicazione della sentenza n. 1 del 2014) la legalità costituzionale e la possibilità dei cittadini elettori di esercitare il diritto di voto personale, eguale, libero e diretto, ma non ha potuto accertare quali effetti abbiano avuto le disposizioni incostituzionali della legge n. 270 del 2005 sul diritto di voto dei cittadini elettori nel periodo della loro vigenza, compito questo che spetta al giudice ordinario.
3.- Deve quindi ribadirsi quanto già rilevato nell'ordinanza del 17 maggio 2013 e cioè che l'accoglimento delle proposte questioni di legittimità costituzionale non ha esaurito la tutela invocata dai ricorrenti nel giudizio principale, che si può realizzare solo a seguito e in virtù della pronuncia con la quale il giudice ordinario accerta le conseguenze della pronuncia costituzionale e, in particolare, se vi sia stata una lesione giuridicamente rilevante del diritto di voto. A tale accertamento, a cui i ricorrenti hanno diritto, deve provvedere questa Corte che, cassata la impugnata sentenza della Corte di appello di Milano, può decidere la causa nel merito, a norma dell'art. 384, comma 2, c.p.c., non essendovi ulteriori accertamenti di fatto da svolgere.
E in effetti, la dedotta lesione v'è stata per il periodo di vigenza delle disposizioni incostituzionali, poiché i cittadini elettori non hanno potuto esercitare il diritto di voto personale, eguale, libero e diretto, secondo il paradigma costituzionale, per la oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica, a causa del meccanismo di traduzione dei voti in seggi, intrinsecamente alterato dal premio di maggioranza disegnato dal legislatore del 2005, e a causa della impossibilità per i cittadini elettori di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento (come ricordato dalla Corte costituzionale, al p. 5.1, "in definitiva, è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione").
4.- A un siffatto accertamento non è di ostacolo quanto precisato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza (al p. 7) secondo cui la decisione di annullamento delle norme censurate "non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto", con la conseguenza che "le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso [...] Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali". Infatti tale precisazione, che si giustifica per il fondamentale principio di continuità dello Stato (poiché "le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare"), riguarda gli effetti della sentenza costituzionale sull'operatività degli organi costituzionali e sui relativi provvedimenti, ma non attenua la incostituzionalità che è stata accertata e dichiarata dalla Corte senza altre limitazioni (del resto non risultanti dal dispositivo della sentenza).
5.- La sopra ricordata precisazione della Corte costituzionale, la quale ha osservato che le elezioni svolte costituiscono "un fatto concluso" idoneo a giustificare che i rapporti sorti nel vigore della legge annullata "rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida" in quanto "esauriti", dimostra che la tutela riconosciuta dall'ordinamento ai ricorrenti elettori, oltre all'accertamento per il passato della lesione subita e del diritto al rimborso delle spese sostenute per conseguire tale risultato processuale (v. il successivo p. 7), è quella, pienamente satisfattiva, della riparazione in forma specifica per effetto della sentenza costituzionale che ha ripristinato la legalità costituzionale, potendo essi, a decorrere dal 13 gennaio 2014 ed attualmente, esercitare il diritto di voto secondo i precetti costituzionali.
6.- In conclusione, cassata la sentenza impugnata, la causa è decisa nel merito nel senso indicato nel precedente p. 3 e in dispositivo.
7.- Con riguardo alle spese processuali relative ai giudizi di merito e di legittimità, non vi è ragione di derogare al principio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, dichiara che i ricorrenti non hanno potuto esercitare il diritto di voto nelle elezioni per la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica, svoltesi successivamente all'entrata in vigore della legge n. 270/2005 e sino alla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014, secondo le modalità, previste dalla Costituzione, del voto personale, eguale, libero e dirette-condanna le Amministrazioni intimate alle spese del presente giudizio in favore dei ricorrenti, liquidate in Euro 10200,00, di cui Euro 10000,00 per compensi, oltre spese generali e accessori di legge, nonché alle spese dei giudizi di merito di primo grado, liquidate in Euro 4800,00 per onorari e Euro 2000,00 per competenze, e di secondo grado, liquidate in Euro 5500,00 per onorari e Euro 2400,00 per competenze, oltre spese generali e accessori di legge.
20-04-2014 17:15
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