L'aspirante vigile del fuoco non può essere più basso di 165 cm: lo ha affermato il Consiglio di Stato.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 28 novembre - 3 dicembre 2013, n. 5739
Presidente/Estensore Lignani
Fatto e diritto
1. L'appellante, già ricorrente in primo grado, vigile del fuoco “volontario”, ha partecipato ad una procedura selettiva per la copertura dei posti di ruolo vacanti nel Corpo dei Vigili del Fuoco; ma è stata esclusa dal concorso in quanto nel corso delle verifiche relative all'idoneità fisica la sua statura era stata accertata in cm 160, a fronte dei cm 165 richiesti dal bando nonché dal d.P.C.M. 22 luglio 1987, n. 411.
L'interessata ha proposto ricorso al T.A.R. del Lazio, impugnando tanto il provvedimento di esclusione, quanto gli atti presupposti e cioè il bando e le disposizioni regolamentari. In estremo subordine, ha prospettato una questione di legittimità costituzionale nei riguardi del decreto legislativo n. 198/2006 (norme per le pari opportunità), art. 31, comma 2, il quale, nel contesto delle disposizioni antidiscriminatorie in materia di requisiti di statura per l'accesso ai pubblici impieghi, fa salve le specifiche disposizioni relative al Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco.
2. Il T.A.R. del Lazio, in sede istruttoria, ha disposto una verificazione in merito alla statura della ricorrente; all'esito della verificazione è risultata accertata una statura di cm 161, in luogo dei 160 accertati nel corso della procedura selettiva.
Decidendo il ricorso, il T.A.R. si è posto, preliminarmente, il problema della tempestività del ricorso nella parte in cui impugnava il bando e gli atti regolamentari presupposti, dal momento che le disposizioni concernenti i requisiti di statura dei candidati e delle candidate apparivano escludenti e immediatamente lesive; sarebbe stato quindi necessario impugnare direttamente il bando, senza attendere un provvedimento di esclusione. Tuttavia il T.A.R. ha concluso che nella vicenda vi erano margini di incertezza sufficienti a giustificare la scelta fatta dall'interessata, di impugnare gli atti presupposti solo congiuntamente al provvedimento di esclusione.
Nel merito il T.A.R. – considerando acquisito il dato di una statura di cm 161 risultante dall'apposita verificazione istruttoria – ha giudicato legittima l'esclusione, sulla base della clausola di bando e delle presupposte disposizioni regolamentari che richiedevano una statura minima di cm 165 ugualmente per gli uomini e per le donne. Quanto alla legittimità di tali disposizioni (con particolare riferimento alla mancata previsione di una statura diversa per le candidate di sesso femminile) ha rigettato, con ampie e analitiche motivazioni, tutte le eccezioni comunque prospettate, anche sul piano della costituzionalità.
3. L'interessata ha proposto appello a questo Consiglio, reiterando e sviluppando le censure già dedotte in primo grado.
L'amministrazione resiste con memorie difensive.
4. Il Collegio osserva, innanzi tutto, che si può ritenere appurato che la statura dell'interessata non supera cm 161, tale essendo il risultato della verificazione istruttoria disposta dal T.A.R.; risultato più favorevole di quello (cm 160) degli accertamenti effettuati in sede di concorso. Le allegazioni di parte, che darebbero una statura di cm 165, non hanno alcuna attendibilità.
Ciò posto, ne consegue che il provvedimento di esclusione non può essere giudicato che legittimo, alla luce della clausola del bando che stabiliva il requisito di una statura di almeno cm 165.
5. Si deve verificare ora la legittimità dello stesso bando, nonché delle disposizioni regolamentari cui esso si conforma. In proposito va notato che il T.A.R. ha ritenuto ammissibile e tempestiva l'impugnazione di questi atti – pur rigettandola nel merito – e sul punto non è stato proposto appello incidentale.
5.1. L'impugnazione è costruita con esclusivo riferimento alla tematica delle “pari opportunità” fra uomini e donne nell'accesso al lavoro e agli impieghi nella pubblica amministrazione. In questo contesto uno dei fattori di discriminazione viene correntemente individuato nella circostanza, statisticamente accertata e del resto di comune dominio, che la statura media degli individui di sesso femminile è alquanto minore di quella degli individui di sesso maschile. Secondo l'opinione corrente, se per un determinato impiego la statura costituisce un requisito di accesso, e tale requisito viene stabilito in misura uguale per uomini e donne, automaticamente ciò si risolve in un sensibile svantaggio per le candidate donne, che presumibilmente saranno assunte in numero inferiore a quello dei candidati uomini.
5.2. Per questo motivo, la legislazione in materia di “pari opportunità” si è occupata, fra l'altro, anche delle discriminazioni legate alla statura delle persone, per tutelare le persone di bassa statura in generale e le donne in particolare.
La soluzione legislativa al problema è rappresentata dall'art. 31, comma 2, del decreto legislativo n. 198/2006, del seguente tenore: «L'altezza delle persone non costituisce motivo di discriminazione nell'accesso a cariche, professioni e impieghi pubblici ad eccezione dei casi in cui riguardino quelle mansioni e qualifiche speciali, per le quali è necessario definire un limite di altezza e la misura di detto limite, indicate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i Ministri interessati, le organizzazioni sindacali più rappresentative e la Commissione per la parità tra uomo e donna, fatte salve le specifiche disposizioni relative al Corpo nazionale dei vigili del fuoco».
5.3. La norma (abbastanza chiara nella sostanza, ancorché non ineccepibile nella sua formulazione) si articola in tre livelli diversi:
(a) in linea generale, è fatto divieto di discriminare i candidati in relazione all'altezza, e ciò tutela tutte le persone di bassa statura, a prescindere dal sesso;
(b) a titolo di eccezione, è consentito stabilire limiti minimi di altezza per “mansioni e qualifiche speciali”; a tal fine è prevista l'emanazione di un apposito atto regolamentare, con una specifica procedura; la formulazione di limiti differenziati per le donne non è imposta positivamente, ma sembra implicita nello spirito della disposizione come traspare anche dalla circostanza che è previsto fra l'altro l'intervento della Commissione per la parità tra uomo e donna;
(c) in via ancor più eccezionale, sono fatte salve le specifiche disposizioni relative al Corpo nazionale dei vigili del fuoco; secondo il legislatore, pertanto, le speciali esigenze di servizio del Corpo sottraggono la relativa disciplina non solo al principio generale che vieta l'imposizione di una statura determinata, ma anche al principio secondario per cui, nelle situazioni eccezionali in cui sia necessario stabilire requisiti di statura, questi debbono essere stabiliti in modo differenziato per uomini e donne.
5.4. In applicazione del citato art. 31, comma 2, è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 luglio 1987 n. 411, “Specifici limiti di altezza per la partecipazione ai concorsi pubblici”. Il suo art. 3 (nel testo modificato dall'art. 1, d.P.C.M. 27 aprile 1993, n. 233) dispone: «1. Per l'accesso ai ruoli del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia (...), è richiesta una statura non inferiore a m 1,65 per gli uomini e a m 1,61 per le donne. - 2. Per l'ammissione ai concorsi a posti di vigile del fuoco nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco è richiesta una statura non inferiore a m 1,65».
5.5. Come si vede, la disposizione regolamentare appare, per quanto qui interessa, coerente con la norma primaria (d.lgs. 198/2006 art. 31, co. 2) e ne risulta pienamente legittimata. Conseguentemente risulta legittimato anche il bando del concorso impugnato dalla ricorrente.
6. Si pone ora il problema se la stessa norma primaria sia legittima dal punto di vista costituzionale.
6.1. La questione è stata esaminata in modo approfondito dalla sentenza di primo grado, che l'ha ritenuta manifestamente infondata. Qui si deve giungere alle stesse conclusioni.
6.2. Al pari del principio di uguaglianza (del quale peraltro è una derivazione) il principio della “pari opportunità” si realizza bilanciandosi e contemperandosi con altri valori costituzionali, secondo il criterio della ragionevolezza. Così, il divieto di discriminare le persone in relazione alle caratteristiche fisiche (fra le quali la statura) incontra un limite nel dato oggettivo che talune attività, per essere svolte proficuamente nell'interesse pubblico, richiedono determinate attitudini fisiche, come ad es. una vista e un udito perfetti, o anche una certa prestanza. Fortunatamente, il progresso della tecnica rende sempre meno frequenti tali casi, ma questi non possono (ancora) essere eliminati del tutto.
6.3. Di questo problema si è dato carico il citato art. 31 del d.lgs. n. 198/2006, e lo ha risolto nel modo che si è visto: individuando l'attività di vigile del fuoco come meritevole di una specialissima deroga al divieto di discriminare uomini e donne in relazione alla statura.
E', questa, una tipica manifestazione di discrezionalità legislativa, suscettibile di essere censurata solo per manifesta irragionevolezza. E un vizio di questo genere non si ravvisa in concreto.
Appartiene, infatti, alle comuni conoscenze ed esperienze la nozione che l'attività ordinaria del vigile del fuoco (in relazione agli incendi, ma anche agli altri sinistri e calamità che ne richiedono l'intervento) richiede per sua natura una certa prestanza fisica, ben più di quanto si richieda, ad es., agli agenti delle forze dell'ordine. In questa luce, la disposizione in esame, pur frutto di discrezionalità e come tale opinabile per definizione, non appare manifestamente irragionevole.
Donde la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità.
7. Tutt'altra questione è se la disposizione regolamentare del d.P.C.M. n. 411/1987 (come modificata dal d.P.C.M. n. 233/1993) si possa considerare irragionevole e viziata per contraddittorietà, nella parte in cui detta per i vigili del fuoco di ruolo una regola diversa da quella dettata per il personale “volontario” dello stesso Corpo dal regolamento emanato con d.P.R. 6 febbraio 2004, n. 76. Quest'ultimo, infatti, richiede per il personale volontario la statura minima di cm 162, diversa da quella di cm 165 richiesta per il personale permanente ossia di ruolo.
Ferma restando la legittimità (anche sotto il profilo della costituzionalità) di una disciplina speciale per i vigili del fuoco, si potrebbe ravvisare una incongruità o contraddizione interna alla disciplina propria di tale Corpo, qualora la diversità delle disposizioni relative alla statura non risulti giustificata da una sufficiente diversità delle mansioni.
Tuttavia, la questione così delineata (e prospettata, in effetti, dall'appellante) non è rilevante nel presente giudizio.
Ed invero, anche volendo supporre che la disciplina regolamentare del personale “permanente” dei VV.F. risulti illegittima nella parte in cui si differenzia da quella stabilita per il corrispondente personale “volontario”, resta il fatto che la statura accertata dell'attuale appellante è di cm 161, inferiore dunque non solo a quella richiesta per i vigili del fuoco “permanenti” (cm 165), ma anche a quella richiesta per i vigili “volontari” (cm 162).
In questo contesto, non è poi rilevante la circostanza che, di fatto, l'interessata sia stata ammessa suo tempo fra i vigili del fuoco “volontari”, in quanto la lex specialis dell'attuale concorso richiede che alla verifica dell'idoneità fisica siano assoggettati anche i candidati già arruolati come “volontari”, e questo punto non è stato oggetto d'impugnazione.
8. In conclusione, l'appello va respinto; ma si ravvisano giusti motivi per compensare le spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) rigetta l'appello. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
05-01-2014 22:31
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