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Sentenza

Il Comune di Potenza per fare cassa tenta di vendere il Palazzo di Giustizia. No...
Il Comune di Potenza per fare cassa tenta di vendere il Palazzo di Giustizia. No del Consiglio di Stato: i beni del patrimonio indisponibile non possono essere alienati perchè seguono lo status dei beni demaniali.
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 3 dicembre 2013 – 5 marzo 2014, n. 1065
Presidente Volpe – Estensore Schilardi

Fatto e diritto

Il Comune di Potenza, al fine di pervenire al riassetto finanziario del bilancio comunale, avviava procedure per la dismissione del proprio patrimonio immobiliare sia disponibile che indisponibile.
Tra i beni alienabili era stato individuato l'immobile adibito ad uffici giudiziari di mq. 14.022, a suo tempo costruito con diversi finanziamenti statali concessi al Comune ai sensi dell'art. 2 l. n. 26/1957 (contributi erogati con provvedimenti del 20/9/1972 e del 2/3/1978), dell'art. 11 del d.l. n. 662/1979 (contributo erogato con provvedimento del 13/5/1981), dell'art. 28 della legge n. 146/1980 e dell'art. 19 l. n. 119/1981 (contributi erogati con provvedimenti del 6/3/1984, del 12/8/1987, del 17/1/1989 e del 28/11/1991) per un importo complessivo di euro 17.345.160,00.
A sua volta il Comune contribuiva alla costruzione del palazzo con fondi propri e mutui a proprio carico contratti con la Cassa depositi e prestiti per euro 4.751.405,27.
Con deliberazione n. 84 del 30.7.2008 il consiglio comunale dava mandato alla direzione generale dell'ente di definire le procedure amministrative volte alla alienazione dell'immobile, con patto di successiva locazione.
Il direttore generale, con determinazione n. 67 del 22.12.2008, in esecuzione della delibera n. 84/2008, approvava lo schema di avviso pubblico per l'alienazione dell'immobile e con determinazione n. 16/2009 disponeva le condizioni della vendita.
All'acquisto dell'immobile si interessavano prima la Cassa nazionale forense (che però in data 25.9.2009 comunicava al Comune di non voler più proseguire nella trattativa) e successivamente una società immobiliare, la cui proposta d'acquisto (€.38.000.000,00 da pagare in due rate) non veniva ritenuta favorevole per il raggiungimento degli obiettivi finanziari stabiliti con la deliberazione n. 84/2008, dalla direzione per la gestione del patrimonio comunale dell'ente. In data 18.2.2011 la direzione generale dell'ente trasmetteva al dirigente dell'ufficio patrimonio l'offerta di acquisto, con patto di successiva locazione, proposta da altra società denominata Maya Immobiliare s.r.l..
Dopo aver acquisito il parere di congruità del dirigente del locale ufficio patrimonio e la documentazione per la predisposizione degli atti necessari all'alienazione trasmessa dal segretario generale in data 2.5.2011, il dirigente dell'unità di direzione gestione patrimonio, con propria determinazione n. 117 del 6.5.2011, approvava lo schema di avviso pubblico, lo schema di documento descrittivo e lo schema di contratto di locazione inerenti la proposta della Maya Immobiliare s.r.l. che prevedeva un prezzo di acquisto di 32 milioni di euro, un canone di locazione annuale pari a 3,290 milioni di euro ed una durata della locazione di anni trenta.
Con determinazione n. 203 del 6.7.2011 il dirigente dell'unità di direzione gestione patrimonio, preso atto che la gara era andata deserta, avviava la procedura di vendita con la proponente Maya Immobiliare s.r.l., che si concludeva con la sottoscrizione, in data 28.12.2011, del contratto preliminare di vendita e del collegato contratto di locazione.
Avverso i citati provvedimenti il Ministero della Giustizia proponeva ricorso al T.A.R. per la Basilicata, deducendo violazione degli artt. 2 l. n. 26/1957, 11 d.l. n. 662/1979, 28 l. n. 146/1980 e 19 l. n. 119/1981, violazione dell'art. 828, comma 2, c.c., violazione e disapplicazione di provvedimenti ministeriali statali (segnatamente, decreti interministeriali 15/4/1972 e 7/1/1977 di approvazione dei progetti e decreti vari di approvazione delle perizie di variante successive), privazione di causa giuridica ai decreti di finanziamento, eccesso di potere; violazione ed erronea interpretazione dell'art. 29 del d.l. n. 269/2003, convertito dalla legge n. 326/2003; violazione degli artt. 7 e seguenti l. n. 241/1990; violazione ed erronea interpretazione dell'art. 12 della legge n. 127/1997; violazione ed erronea interpretazione dell'art. 1 l. n. 392/1941 e del d.p.r. n. 187/1998.
Il T.A.R. per la Basilicata, con sentenza n. 25 dell'11 gennaio 2013, ha preliminarmente rigettato le eccezioni pregiudiziali sollevate dal Comune di Potenza in ordine alla asserita tardività ed inammissibilità del ricorso. Nel merito, poi, i giudici di primo grado hanno accolto il ricorso proposto dal Ministero della Giustizia ed hanno annullato la deliberazione del consiglio comunale n. 84 del 30 luglio 2008 e tutti gli atti consequenziali.
Avverso la sentenza ha proposto appello, iscritto al n. 1530/2013, il Comune di Potenza, previa istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della stessa.
Con altro ricorso, iscritto al n. 1441/2013, la società Maya Immobiliare s.r.l. ha proposto, a sua volta, appello avverso la citata sentenza del T.A.R. n. 25/2013.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia che ha chiesto di rigettare gli appelli perché inammissibili e infondati in fatto ed in diritto.
Si è costituita in giudizio, altresì, l'associazione di avvocati denominata "Autonomia Forense", chiedendo il rigetto degli appelli.
Con il primo motivo di censura il Comune di Potenza lamenta error in iudicando relativamente alla parte della sentenza del T.A.R. che ha ritenuto infondate le eccezioni di tardività del gravame avverso la deliberazione n. 84/2008 del consiglio comunale di Potenza.
Il Comune insiste nel ritenere la estraneità del Ministero alla procedura negoziata ad evidenza pubblica, avviata dal Comune di Potenza con l'atto deliberativo in contestazione per l'alienazione dell'immobile, perché considerato esso di sua esclusiva proprietà, benché adibito a sede degli uffici giudiziari, con conseguente ritenuta tardività del gravame, perché il termine di impugnazione in tal caso decorrerebbe dalla pubblicazione dei provvedimenti oggetto del ricorso.
Sul punto, che va esaminato preliminarmente, non vi sono ragioni per discostarsi da quanto ritenuto dal T.A.R., atteso che negli stessi atti allegati alla delibera del consiglio comunale n. 84/2008 il Ministero della Giustizia viene riconosciuto quale fruitore del vincolo di destinazione afferente l'immobile, tanto che viene evidenziata la condizione che l'acquirente non debba modificare detta destinazione e viene contestualmente affermato che il Ministero è tenuto per legge al rimborso al comune degli oneri di gestione per l'uso.
Non è contestabile, quindi, che il Ministero della Giustizia sia coinvolto nella vicenda, quale codestinatario degli effetti e delle conseguenze della delibera adottata e che, pertanto, la delibera stessa andava ad esso partecipata.
Con il secondo motivo di censura il Comune lamenta l'erroneità della sentenza del T.A.R. nella parte in cui il tribunale ha ritenuto infondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso originario per carenza di interesse dell'amministrazione giudiziaria.
Il Comune sostiene che l'alienazione dell'immobile, di proprietà comunale, non ne avrebbe pregiudicato la destinazione ad uffici giudiziari, essendo stato espressamente previsto il mantenimento del relativo vincolo.
Con il terzo articolato motivo il Comune lamenta error in procedendo e in iudicando, erronea valutazione e travisamento dei fatti, errata percezione ed omessa valutazione delle risultanze processuali, errata interpretazione dell'art. 828, comma 2, cod. civ., errata interpretazione della natura del vincolo di destinazione e violazione e/o errata interpretazione degli artt. 2645 ter e 2645 quater del codice civile.
Il Comune sostiene che sull'immobile in questione, realizzato anche con contributi statali, non ci sarebbe alcun vincolo di inalienabilità, né alcun vincolo di destinazione, che peraltro sarebbe potuto essere apposto dal solo Comune in quanto unico proprietario del bene.
Il Comune sostiene, inoltre, che l'immobile, pur rientrando nel patrimonio indisponibile dell'ente, sarebbe comunque commerciabile, purché ne sia mantenuto il vincolo di destinazione come avvenuto nel caso di specie.
L'Ente locale ritiene, ancora, che l'art. 2645 ter, contrariamente a quanto sostenuto dal T.A.R., avrebbe connotazione pubblicistica, in quanto prevede che le stesse pubbliche amministrazioni possano essere beneficiarie del vincolo derivante dalla trascrizione dell'atto di destinazione.
Con il quarto e quinto motivo il Comune lamenta l'errata applicazione degli artt. 7 e seguenti (ss.) della legge n. 241/1990 e il difetto di motivazione della sentenza gravata. L'ente sostiene che il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere il Ministero della Giustizia soggetto legittimato a ricevere la comunicazione di avvio del procedimento di alienazione dell'immobile, non essendo lo stesso il diretto destinatario del provvedimento finale, non essendoci un diritto di prelazione all'acquisto dell'immobile in capo allo stesso e non essendovi alcun obbligo di acquisire il preventivo assenso del Ministero in merito al trasferimento della proprietà.
Con ulteriore motivo di censura (il sesto) l'appellante Comune lamenta l'errata, omessa o insufficiente motivazione della sentenza nella parte in cui ha ritenuto erronea la relazione illustrativa della deliberazione consiliare n. 84/2008, riguardante il rimborso del contributo previsto dalla legge n. 392/1941 a favore dei comuni nei quali hanno sede gli uffici giudiziari.
Similmente, nelle proprie censure la Maya Immobiliare s.r.l. nell'appello lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge n. 104/2010, degli artt. 826 e ss., degli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale, degli artt. 2645-ter e 2645-quater, dell'art. 100 c.p.c., degli artt. 1321 e ss., 1372 del codice civile, dell'art. 2 della legge n. 26/1957, dell'art. 11 del d.l. n. 662/1979, dell'art. 28 della legge n. 146/1980 e dell'art. 19 della legge n. 119/1981, dell'art. 29 d.l. n. 269/2003, convertito dalla legge n. 326/2003, dell'art. 12 della legge n. 127/1997, nonché degli artt. 7 e 13 della legge n. 241/1990.
La società sostiene, in particolare, che la sentenza del T.A.R. sarebbe contraddittoria, in quanto da un lato riconosce il difetto di giurisdizione, quanto all'impugnazione del contratto preliminare di compravendita e di quello di alienazione, dall'altro annulla la delibera consiliare n. 64/2008 per profili che riguarderebbero proprio
Avv. Antonino Sugamele

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