Fruisce di 730 giorni di aspettativa nel quinquennio. Giudicato permanentemente inabile a qualsiasi servizio e collocato in congedo assoluto.
Consiglio di Stato sez. IV 28/11/2013 ( ud. 05/11/2013 , dep.28/11/2013 )
Numero: 5705
Classificazione
IMPIEGATI DELLO STATO - Dispensa dal servizio - - per motivi di salute
Impiego pubblico - Dispensa dal servizio - Per inabilità fisica - Effetti.
Intestazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10860 del 2010, proposto da:
Lu. Mo., rappresentato e difeso dall'avv. Fabrizio Perla, con
domicilio eletto presso Fabrizio Perla in Roma, via Sistina, 121;
contro
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante in
carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato,
presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è
domiciliato per legge;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. del LAZIO - Sede di ROMA - SEZIONE I BIS n.
13358/2009, resa tra le parti, concernente diniego passaggio nei
ruoli civili del ministero della difesa
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 novembre 2013 il
Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Cuoco,
per delega dell'Avv. Perla, e l'Avvocato dello Stato Bruni;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Fatto
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio
- sede di Roma - ha respinto il ricorso di primo grado proposto dall' odierna parte appellante volto ad ottenere l'annullamento del provvedimento prot. n. 0020616 del 21 marzo 2003, reso dall'amministrazione odierna appellata e recante il diniego alla richiesta di passaggio all'impiego civile ai sensi dell'art. 14, comma 5, della legge n. 266 del 1999, n. 266, formulata dall'originario ricorrente in data 02 novembre 2002.
In punto di fatto era rimasto accertato che l'odierno appellante con provvedimento del 17 gennaio 2002 era stato giudicato dall'Istituto Medico Legale di Milano, permanentemente inabile a qualsiasi servizio e da collocarsi in congedo assoluto per avere già fruito, alla data del 6 agosto 2001, di 730 giorni di aspettativa nel quinquennio.
Detta statuizione era stata confermata dalla Commissione Sanitaria di Appello di Roma,- con atto del 12 settembre 2002, notificato in data 23 ottobre 2002 - che aveva ribadito il giudizio di permanente inidoneità a qualsiasi servizio del predetto appellante e la necessità di sua collocazione in congedo assoluto alla data di scadenza del periodo di aspettativa fruibile.
L'odierna parte appellante aveva quindi presentato, in data 2 novembre 2002, istanza volta ad ottenere il passaggio all'impiego civile la quale, mediante adozione del provvedimento gravato in primo grado era stata rigettata nel ritenuto presupposto che, essendo questi cessato dal servizio permanente a decorrere dal 6 agosto 2001 per aver superato i due anni di aspettativa nel quinquennio, non poteva essere ricompreso tra i destinatari della normativa che consentiva il transito nelle are funzionali del personale civile (ciò in quanto non più vincolato da rapporto di pubblico impiego e dunque non inserito nei ruoli della Forza Armata).
Avverso detta ultima statuizione l'odierno appellante era insorto deducendo plurime doglianze di violazione di legge ed eccesso di potere, affermando di aver presentato richiesta di passaggio nei ruoli civili nel rispetto del termine previsto dall'art. 2 del D.M. del 18 aprile 2002 e di essere venuto a conoscenza della intervenuta cessazione dal servizio solo con il rigetto dell'istanza di transito nell'impiego civile, stante l'assenza di qualsivoglia precedente comunicazione in tal senso, denunciando la mancata osservanza, da parte dell'Amministrazione, dei termini previsti per la comunicazione del giudizio di permanente inidoneità di cui alla Circolare DGPM//II/SEGR./806/ Circ. del 26 ottobre 2002.
Richiamato l'art. 29 della legge n. 599 del 1954, era stato sostenuto dalla odierna parte appellante che l'Amministrazione avrebbe dovuto predisporre apposito provvedimento di collocamento in congedo dopo la comunicazione di cessazione dal servizio per infermità nel termine massimo di quindici giorni di cui al D.P.R. n. 1032 del 1973.
Sotto altro profilo, veniva censurata l'asserita violazione dei principi di cui alla legge n. 241 del 1990 per non essere stati indicati, nel gravato provvedimento, il termine e l'autorità cui ricorrere.
Il primo giudice ha partitamente esaminato tutte le censure proposte e le ha respinte in quanto infondate.
In particolare, il Tribunale amministrativo ha in primo luogo richiamato il contenuto dell'art. 14 comma 5, della legge n. 266 del 1999, facendo presente che le modalità attuative di detto precetto si rinvenivano (relativamente al personale delle Forze Armate e dell'Arma dei Carabinieri) nel D.M. 18 aprile 2002.
Posto che il transito nelle aree del personale civile era riservato agli appartenenti alle Forze Armate ed agli altri Corpi ivi indicati, detta condizione non poteva essere riconosciuta esistente in capo alla odierna parte appellante: ciò in quanto, al momento della presentazione della domanda di transito nel personale civile, intervenuta in data 2 novembre 2002, non sussisteva la persistente appartenenza alle Forze Armate per avere egli superato il periodo massimo di aspettativa nel quinquennio alla data del 6 agosto 2001 ai sensi dell'art. 16 comma 1 e dell'art. 29 della legge n. 599 del 1954.
Egli infatti era stato collocato in congedo nella categoria della riserva alla data di superamento del periodo massimo di aspettativa, e quindi - come affermato nei giudizi medicolegali datati 17 gennaio 2002 e 30 settembre 2002, rispettivamente dell'Istituto Medico Legale di Milano e della Commissione Sanitaria di Appello di Roma - da collocarsi in congedo assoluto.
Difettava pertanto al ricorrente il requisito dell'appartenenza alle Forze Armate al momento della presentazione dell'istanza di transito nei ruoli civili ed era venuto meno il rapporto di pubblico impiego che avrebbe legittimato e consentito il transito in questione.
La mancanza di tale indefettibile presupposto, non essendo l'appellante più inserito nei ruoli delle Forze Armate ma collocato in riserva, rendeva inconferenti - ad avviso del Tar- le censure volte a denunciare il mancato rispetto, da parte dell' Amministrazione, dei termini previsti per la dispensa dal servizio in caso di permanente non idoneità (dovendo precisarsi, peraltro, come la fattispecie in esame riguardi la diversa ipotesi di superamento del periodo massimo di aspettativa e di conseguente collocamento in congedo).
Né - ad avviso del primo giudice- valeva invocare l'avvenuta presentazione, da parte del ricorrente, dell'istanza di transito nel personale civile nel rispetto del termine stabilito dal D.M. 18 aprile 2002, inerendo la fattispecie in esame al collocamento in congedo nella categoria della riserva per avvenuto superamento del periodo massimo di aspettativa nel quinquennio, quale effetto diretto di tale evenienza, a nulla rilevando l'eventuale - seppur non commendevole - ritardo nella sua constatazione che, dunque, non valeva ad incidere sugli effetti sostanziali prodotti dalla data di superamento del periodo massimo di aspettativa.
Con riferimento inoltre all'affermazione circa la mancata conoscenza della dispensa o della cessazione dal servizio in data antecedente a quella di adozione del gravato provvedimento, il Tar ha sostenuto che l'originario ricorrente doveva essere a conoscenza della durata del periodo di aspettativa fruito: peraltro la disciplina normativa espressamente prevede il collocamento in congedo al momento del superamento del periodo massimo di aspettativa, a nulla rilevando lo stato soggettivo di conoscenza o meno di tale effetto in capo al dipendente.
Quanto all'ultima censura, volta a denunciare la mancata indicazione, nel gravato provvedimento, del termine e dell'autorità cui ricorrere, tale omissione non incideva in alcun modo sulla legittimità del provvedimento (potendo eventualmente dare luogo alla concessione dell'errore scusabile).
Il gravame è stato pertanto integralmente disatteso.
L' odierno appellante, già ricorrente rimasto soccombente nel giudizio di prime cure ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell'appellata decisione.
Ha ripercorso il risalente e prolungato contenzioso intercorso con l'Amministrazione ed ha sostenuto che il provvedimento gravato era illegittimo in quanto reso in violazione del disposto di cui all'art. 14 comma 5, della legge n. 266 del 1999.
Tale ultima norma prevedeva il transito nei ruoli civili del personale "iscritto nei ruoli" che fosse stato giudicato permanentemente inabile al servizio militare incondizionato: tale era la posizione di parte appellante che, infatti, aveva ricevuto il diniego definitivo in data 23.10.2002 ed aveva presentato l'istanza in data 2.11.2002.
Il superamento dei due anni di aspettativa nel quinquennio alla data del 6.8.2001 non poteva rilevare, in quanto non aveva determinato alcuna cessazione del rapporto di lavoro (tanto che l'appellante, il 17.1.2002, era stato sottoposto a visita da personale dipendente presso l'Istituto medico legale di Milano).
Era stato pertanto rispettato il disposto di cui al dM 18 aprile 2002 secondo cui la domanda di "transito" nei ruoli civili doveva essere proposta entro il termine decadenziale di trenta giorni dalla comunicazione del giudizio definitivo di inidoneità.
La gravata decisione aveva avallato una condotta dell'Amministrazione gravemente illegittima, sostanziantesi in una presunta cessazione "implicita" del rapporto di lavoro (inammissibile, ovviamente, in regime di pubblico impiego, in quanto incentrato sulla adozione di atti formali).
Con il secondo motivo di ricorso si è ribadita l'illegittimità dell'azione amministrativa per carenza ed insufficienza di motivazione, in spregio alle prescrizioni di cui alla legge n. 241/1990, mentre con l'ultima parte dell'appello si è chiesta la riforma della gravosa ed immotivata condanna alle spese del giudizio resa in primo grado.
Alla odierna pubblica udienza del 5 novembre 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio
Diritto
1. L'appello è palesemente infondato e va pertanto respinto.
1.1. Il nodo centrale dell'appello riposa nella valutazione degli effetti discendenti dall'avvenuto superamento del periodo massimo di aspettativa nel quinquennio da parte del pubblico dipendente, e nella qualificazione (ricognitiva, ovvero, dispositiva) del relativo provvedimento eventualmente reso da parte dell'Amministrazione.
In sostanza, l'appellante ha presentato domanda di transito nei ruoli civili nel termine prescritto dalla legge, e decorrente dalla comunicazione del giudizio di inidoneità: senonché, come rimasto incontestato tra le parti, l'avvenuto superamento del periodo massimo di aspettativa nel quinquennio era maturato ben prima della comunicazione del giudizio definitivo di inidoneità.
Ad avviso dell'appellante, posto che tale evento non era stato in alcun modo "recepito" dall'Amministrazione, doveva affermarsi che lo stesso non aveva prodotto effetto alcuno sul rapporto di impiego da questi intrattenuto con l'Amministrazione medesima: egli, cioè, doveva reputarsi ancora "in servizio".
La tesi opposta è stata positivamente affermata nella sentenza gravata.
Ritiene il Collegio che la pur pregevole ricostruzione contenuta nell'atto di appello non possa essere favorevolmente delibata.
1.2. La costante giurisprudenza amministrativa, infatti, dalla quale il Collegio non ravvisa motivo per discostarsi, ha sempre ritenuto che (T.A.R. Lazio Roma Sez. III bis Sent., 25062008, n. 6160) "il provvedimento di dispensa dal servizio del pubblico dipendente per inabilità fisica che sia stato adottato a seguito del superamento del periodo massimo di aspettativa, ha carattere dichiarativo della inabilità e produce effetti "ex tunc", cioè dalla scadenza del periodo massimo di aspettativa.".
La detta prospettazione ha ottenuto il favorevole avallo della giurisprudenza di secondo grado (cfr. C.d.S. Sez. VI 26/1/2006 n. 208:"il provvedimento di dispensa dal servizio che sia stato emesso a seguito degli accertamenti sanitari, ha indubbio carattere dichiarativo della inabilità fisica del soggetto e produce effetti dalla scadenza del termine, ha cioè effetti retroattivi.") muovendo dalle prescrizioni di cui agli artt. 129 e 130 T.U. n. 3/1957.
Nella decisione in ultimo citata, infatti, si è posto in luce che dette due disposizioni " hanno determinato i periodi massimi di aspettativa e individuato la data di cessazione del rapporto, nella consapevolezza che, di per sé, la perduranza del rapporto implica il diritto di fruire delle ferie, non godute a causa della malattia. Tali articoli, inoltre, hanno valutato gli interessi in conflitto (del dipendente alla conservazione del rapporto di lavoro e dell'Amministrazione ad avvalersi delle sue prestazioni), predeterminando una data "oggettiva" di estinzione del rapporto (coincidente col giorno successivo alla scadenza della durata massima della aspettativa: diciotto mesi consecutivi ovvero trenta mesi nel quinquennio, con proroga non superiore a sei mesi, eccezionalmente consentita). Ciò comporta che l'Amministrazione non può legittimamente determinare le date di cessazione dei rapporti di lavoro, diversamente da tali previsioni di legge.".
Per il personale militare valgono analoghi principi: "il provvedimento di cessazione dal servizio dei militari - adottato al termine del periodo massimo (due anni) di aspettativa per motivi di salute non dipendenti da causa di servizio, in applicazione degli articoli 16 e 29 della legge 31 luglio 1954, n. 599 - ha natura interamente vincolata, concernendo dati e situazioni di servizio ai quali la legge direttamente riconnette effetti specificamente determinati, una volta verificata la loro oggettiva sussistenza." (Consiglio di Stato Sez. V, sent. n. 7621 del 22102010).
Da tale armonico e composito quadro si ricava pertanto che l'Amministrazione competente è totalmente vincolata dalla prescrizione di legge, ed il provvedimento conseguente assume natura dichiarativa: ne consegue che, in subiecta materia, eventuali violazioni formali, del contraddittorio infraprocedimentale, etc, assumono valore recessivo in quanto il provvedimento emanato (ove corretto, sotto il profilo del computo del periodo di aspettativa) non potrebbe avere contenuto diverso, appunto in quanto integralmente predeterminato ex lege. (ex multis: Cons. Giust. Amm. Sic., 28022013, n. 301 "la necessità della comunicazione dell'avvio del procedimento ai destinatari dell'atto finale è stata prevista in generale dall'art. 7 della legge n. 241 del 1990 non soltanto per i procedimenti complessi che si articolano in più fasi, ma anche per i procedimenti semplici che si esauriscono direttamente con l'adozione dell'atto finale, i quali comunque comportano una fase istruttoria da parte della stessa Autorità emanante. Orbene, al di là di casi in cui sono state previste specifiche deroghe (speciali esigenze di celerità, atti normativi, atti generali, atti di pianificazione e di programmazione, procedimenti tributari), in linea di massima, è necessario garantire la comunicazione dell'avvio del procedimento, salvo che non venga accertata in giudizio la sua superfluità in quanto il provvedimento adottato non avrebbe potuto essere diverso anche se fosse stata osservata la relativa formalità. In definitiva, posto che l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo è strumentale ad esigenze di conoscenza effettiva e, conseguentemente, di partecipazione all'azione amministrativa da parte del cittadino nella cui sfera giuridica l'atto conclusivo è destinato ad incidere, in modo che egli sia in grado di influire sul contenuto del provvedimento, si rileva che l'omissione di tale formalità non vizia il procedimento solamente quando il contenuto di quest'ultimo sia interamente vincolato, pure con riferimento ai presupposti di fatto, nonché tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, sì da ritenere già raggiunto in concreto lo scopo cui tende siffatta comunicazione.".
Né può ricorrere l'ipotesi del difetto di motivazione, riposando quest'ultima in un mero calcolo matematico dei periodi di servizio trascorsi in aspettativa.
2. Passando adesso ad esaminare il secondo aspetto della problematica, è d'uopo sottolineare immediatamente che su di esso la giurisprudenza ha avuto più volte occasione di interrogarsi, approdando ad esiti univoci e non collimanti con le tesi sostenute da parte appellante.
La costante giurisprudenza amministrativa, infatti, dalla quale questo Collegio non ravvisa motivi per discostarsi ha affermato che "la norma di cui all'art. 14 L. n. 266/1999, configura una particolare fattispecie di trasferimento nell'ambito della stessa Amministrazione di appartenenza, per cui appare evidente come per la sua applicazione si richiede la sussistenza, alla data di entrata in vigore della legge, del requisito dell'attualità del rapporto di servizio. (Consiglio di StatoSez. IV, sent. n. 5758 del 02102006).
Da ciò si è fatto conseguire in passato, ad esempio, la conseguenza per cui "poiché l'allievo frequentatore del corso Allievi Marescialli presso la Scuola Sottufficiali dell'Esercito, giudicato inidoneo al servizio militare incondizionato, non può risultare, al momento della declaratoria di inidoneitàà, legato da un rapporto di servizio stabile con l'Arma dei Carabinieri, allo stesso non possono applicarsi i disposti di cui all'art. 14, comma 5, della L. n. 266/1999, ed al D. M. 18/04/2002, non potendo, egli essere trasferito nelle corrispondenti aree funzionali del personale civile." (Consiglio di Stato Sez. IV, sent. n. 1211 del 03032009 ma si veda, per un principio analogo, anche Consiglio di Stato Sez. IV, sent. n. 6951 del 06112009:"il beneficio di cui all'art. 14 L. n. 266/1999 -diritto di transito ai ruoli civili per il personale militare giudicato inidoneo- si deve considerare riferito al personale militare che sia legato all'Amministrazione da rapporto di servizio in atto al momento del transito, che deve qualificarsi come una peculiare fattispecie di trasferimento nell'ambito della medesima Amministrazione; tale beneficio quindi, non può ritenersi applicabile al personale in ferma volontaria per la sua condizione di stato precaria e non stabile. ").
2.1. In carenza del presupposto della "costanza del servizio" la domanda di parte appellante non aveva alcuna possibilità di essere accolta.
3. Il rapporto di servizio stabile nei ruoli delle Forze Armate, costituisce quindi il presupposto necessario perché possa essere disposto il trasferimento nelle corrispondenti aree funzionali del personale civile del Ministero della Difesa.
La contemporanea applicazione dei due consolidati principi sino ad ora menzionati, comporta, all'evidenza, la reiezione del gravame; la domanda di transito proposta dall'appellante è stata presentata in un momento successivo al venire meno del rapporto di servizio: e per quanto si è sinora chiarito, operando il superamento del periodo massimo di aspettativa in termini oggettivi, e rivestendo il provvedimento dell'Amministrazione una semplice valenza dichiarativa ex tunc, a nulla rileva che non fosse stato previamente comunicato a parte appellante ed è parimenti improduttiva di effetti la constatazione secondo la quale era stato rispettato il termine decadenziale previsto dal D.M. 18 aprile 2002 all'art. 1 ("Il personale della Guardia di finanza giudicato non idoneo al servizio militare incondizionato per lesioni dipendenti o meno da causa di servizio, transita, a domanda ed ai sensi dell'art. 14, comma 5, della legge 28 luglio 1999, n. 266, nelle corrispondenti aree funzionali del personale civile del Ministero dell'economia e delle finanze, secondo le corrispondenze definite nell'annessa tabella A, sempreché l'infermità accertata ne consenta l'ulteriore impiego. La domanda deve essere presentata, per via gerarchica, alla direzione generale degli affari generali e del personale del Ministero dell'economia e delle finanze, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notifica all'interessato del giudizio definitivo di inidoneità"), applicandosi la fattispecie in ultimo citata alla diversa situazione del militare ancora in costanza di servizio, del quale venga accertata la infermità.
3.1.Quanto alle censure attingenti il capo relativo alla condanna alle spese in primo grado, essa è palesemente infondata alla stregua del condivisibile orientamento secondo cui "la decisione del giudice di merito in materia di spese processuali è censurabile in sede di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge, soltanto quando le spese siano state poste, totalmente o parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa; non è invece sindacabile, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, l'esercizio del potere discrezionale del giudice di merito sull'opportunità di compensare, in tutto o in parte le spese medesime. Tali principi trovano applicazione non soltanto quando il giudice abbia emesso una pronuncia di merito, ma anche quando egli si sia limitato a dichiarare l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'atto introduttivo del giudizio. Infatti, pure in tali ultimi casi sussiste pur sempre una soccombenza, sia pure virtuale, di colui che ha agito con un atto dichiarato inammissibile o improcedibile che consente al giudice di compensare parzialmente o totalmente le spese, esercitando un suo potere discrezionale che, nel caso specifico considerato, ha come suo unico limite il divieto di condanna della parte vittoriosa e che si traduce in un provvedimento che rimane incensurabile in cassazione purché non illogicamente motivato. (Cassazione civile, sez. lav., 27 dicembre 1999, n. 14576)
Detto principio è stato più volte predicato dalla giurisprudenza amministrativa, che ha avuto modo di affermare che la statuizione del primo giudice sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisca espressione di un ampio potere discrezionale, come tale insindacabile in sede di appello, fatta eccezione per l'ipotesi di condanna della parte totalmente vittoriosa, oppure per il caso che la statuizione sia manifestamente irrazionale o si riferisca al pagamento di somme palesemente inadeguate." (Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2005, n. 7581).
Ciò non si è verificato nella fattispecie per cui è causa, dal che discende la reiezione anche di questa censura e la integrale conferma dell'appellata decisione
4. L'appello è quindi infondato, e va disatteso, mentre tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
5. La natura della controversia e la particolare posizione di parte appellante legittima l'integrale compensazione tra le parti delle spese processuali sostenute.
PQM
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese processuali sostenute
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Francesca Quadri, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 28 NOV. 2013
06-03-2014 22:35
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