Forze armate - In genere - Militari - Assegno vittime del dovere - Importo - Aumento ex lege - Automatismo.
Consiglio di Stato sez. IV 23/12/2013 ( ud. 10/12/2013 , dep.23/12/2013 )
Numero: 6199.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7395 del 2012, proposto da:
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge
dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei
Portoghesi, 12;
contro
Or. Ar., rappresentato e difeso dagli avv. Andrea Bava, Enrico Rossi,
con domicilio eletto presso RossiDe Nardo Studio in Roma, via
Ottaviano, 66;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA:SEZIONE III n. 01145/2012,
resa tra le parti, concernente ottemperanza della sentenza del
Tribunale di Venezia n. 195/2011 passata in giudicato - attribuzione
assegno vitalizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Or. Ar.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2013 il
Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti l'Avvocato dello Stato
Grumetto e l'Avv. Enrico Rossi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Fatto
FATTO e DIRITTO
Il signor Or. Ar. ha agito per il riconoscimento dei benefici spettanti alle vittime del dovere, esponendo che nel 1966, mentre prestava servizio come militare di leva in qualità di geniere, era rimasto vittima della deflagrazione di materiale incendiario, riportando gravi lesioni.
Con sentenza 2 marzo 2011, n. 195, il Tribunale di Venezia in funzione di giudice del lavoro, ritenuta la propria giurisdizione, ha accolto la domanda.
Nell'adempiere, il Ministero della difesa ha attribuito al signor Argenta l'assegno vitalizio previsto dall'art. 2 della legge 23 novembre 1998, n. 407, senza, però, corrispondergli i relativi aggiornamenti, quale quello ex art. 4, comma 238, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, a partire dal 1° aprile 2004.
Il signor Argento ha agito per l'ottemperanza della sentenza del giudice ordinario, proponendo ricorso, che il T.A.R. per il Veneto, sez. III, ha accolto con sentenza 9 agosto 2012, n. 1145.
L'Amministrazione ha interposto appello contro la sentenza, chiedendone anche la sospensione dell'efficacia esecutiva.
Il signor Argenta si è costituito in giudizio per resistere all'appello, che considera inammissibile (nella misura in cui farebbe valere difese destinate semmai a essere proposte nel giudizio civile, ove l'Amministrazione avrebbe solo inviato una memoria, giudicata irricevibile) e comunque infondato.
La domanda cautelare è stata respinta dalla Sezione con ordinanza 6 novembre 2011, n. 4383.
Nell'approssimarsi dell'udienza di discussione, la parte privata ha depositato una memoria.
Alla camera di consiglio del 10 dicembre 2013, l'appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
La ricordata sentenza del giudice del lavoro ha riconosciuto al signor Argenta, fra l'altro, il diritto all'assegno vitalizio previsto dall'art. 2 della legge n. 407 del 1998. La legge fissava l'importo di tale assegno in lire 500.000 mensili, soggetto alla perequazione automatica.
L'art. 4, comma 238, della legge n. 350 del 2003, ha stabilito che "con effetto dal 1° gennaio 2004 i trattamenti mensili dei soggetti destinatari dell'assegno vitalizio di cui all'articolo 2 della legge 23 novembre 1998, n. 407, e successive modificazioni, sono elevati a 500 euro mensili".
La tesi dell'Amministrazione, secondo cui tale aumento non spetterebbe all'interessato, per non avere il giudice del lavoro richiamato anche la legge ora citata, è palesemente infondata. Una volta accertato il presupposto (cioè la titolarità dell'assegno vitalizio ex legge n. 407 del 1998), la conseguenza (vale a dire l'incremento della misura dell'assegno) opera di diritto, senza necessità di alcuno specifico richiamo nel provvedimento giurisdizionale che ha riconosciuto il diritto al beneficio.
Qualunque argomento voglia poi trarsi in contrario dal decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2006, n. 243, deve tenersi per irrilevante, sia perché una fonte regolamentare non può incidere sulla titolarità di un diritto attribuito dalla legge, sia perché il d.P.R. ricordato si muove su un terreno diverso, in quanto - come detto nel titolo e nelle premesse - esso intende piuttosto disciplinare i termini e le modalità di attuazione di una diversa normativa (art. 1, commi 562, 563, 564 e 565, della legge 23 dicembre 2005, n. 266).
Dalle considerazioni che precedono, discende che l'appello è infondato e va perciò respinto.
Le spese seguono la soccombenza, conformemente alla legge, e sono liquidate come da dispositivo.
PQM
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna l'Amministrazione soccombente alle spese del grado, che liquida nell'importo di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 23 DIC. 2013
23-03-2014 19:04
Richiedi una Consulenza