E' necessario il permesso di costruire per l'ampliamento di un chiosco bar ad uso stagionale.
N. 02842/2014REG.PROV.COLL.
N. 03997/2013 REG.RIC.
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3997 del 2013, proposto dalla società ‘Lo
Smeraldo' di Ciotoli Giovanni & C. S.a.s., rappresentata e difesa dall'avvocato
Alfredo Zaza D'Aulisio, con domicilio eletto presso Francesco Cardarelli in Roma,
via G. Pierluigi Da Palestrina, 47
contro
Comune di Formia;
Ministero per i beni e le attività culturali - Soprintendenza per i beni architettonici
e paesaggistici per le province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo -
Soprintendenza dei beni archeologici del Lazio, rappresentati e difesi per legge
dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Peter Pan Disco Bar di Nucci Francesco & C. S.n.c., rappresentata e difesa
dall'avvocato Gioacchino Panzera, con domicilio eletto presso Paolo D'Onorio De
Meo in Roma, via Cola di Rienzo, 264
per la riforma della sentenza del T.A.R. del lazio – Sezione staccata di
Latina, Sezione I, n. 408/2013
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali
e della società ‘Peter Pan Disco Bar' di Nucci Francesco & C. s.n.c.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 marzo 2014 il Cons. Claudio Contessa
e uditi per le parti l'avvocato Roberto De Tilla per delega dell'avvocato Zaza
D'Alisio, l'avvocato dello Stato Biagini e l'avvocato Panzera
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
La società ‘Lo Smeraldo di Ciotoli Giovanna & c. s.a.s.' riferisce di gestire in
Formia, nella pineta di Vindicio, un'attività di bar-ristoro svolta su un'area
demaniale marittima in concessione dell'estensione di circa 552 mq.
Riferisce, altresì, che con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. del Lazio – Sezione
staccata di Latina e recante il n. 971/2010 ebbe ad impugnare gli atti con cui il
Comune di Formia aveva consentito a un'impresa concorrente (la società ‘Peter
Pan Disco Bar' di Nucci Francesco & c. s.n.c.) di ampliare il piccolo chiosco bar
già esistente nell'ambito della medesima pineta (per un'estensione di circa 12 mq.)
trasformandolo in una grande struttura di circa 120 mq.
Con il ricorso in questione, in particolare, l'odierna appellante aveva impugnato,
lamentandone l'illegittimità: i) la deliberazione del Consiglio comunale di Formia n.
35 del 21 giugno 2010 con la quale erano stati autorizzati gli uffici comunali ad
assentire l'ampliamento del chiosco-bar della società appellata, nonché ii) la
concessione demaniale marittima rilasciata in favore dell'appellata il 22 settembre
2010.
Con successivo ricorso per motivi aggiunti, l'odierna appellante aveva altresì
impugnato il titolo abilitativo edilizio mediotempore rilasciato dal Comune in favore
della stessa società appellata in data 4 marzo 2011.
Con la sentenza in epigrafe il T.A.R. del Lazio – Sezione staccata di Latina ha
respinto il ricorso ritenendolo infondato.
La sentenza in questione è stata gravata in appello dalla società ‘Lo Smeraldo' di
Ciotoli Giovanna & c. s.a.s. la quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi
motivi di doglianza.
Si è costituita in giudizio la società ‘Peter Pan Disco Bar' di Nucci Francesco & c.
s.n.c.
Con ordinanza n. 2646/2013 (resa all'esito della Camera di consiglio del 9 luglio
2013) questo Consiglio di Stato ha sospeso gli effetti della sentenza in epigrafe
rilevando che “in attesa dell'esito del giudizio di secondo grado, non emergono
elementi tali da consentire l'ampliamento del manufatto di cui è causa”.
Alla pubblica udienza del 4 marzo 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal titolare di
una licenza per pubblico esercizio nella pineta di Vindicio di Formia (LT) avverso
la sentenza del T.A.R. del Lazio – Sezione staccata di Latina con cui è stato
respinto il ricorso da lui proposto avverso gli atti con cui il Comune di Formia ha
assentito (attraverso il rilascio di un permesso di costruire) l'ampliamento di un
chiosco-bar nell'ambito della medesima pineta in favore di un'impresa
concorrente.
2. Con un primo ordine di motivi l'appellante lamenta che i primi Giudici abbiano
erroneamente fondato la pronuncia reiettiva sul carattere precario del chiosco-bar
per cui è causa, il quale – per il suo carattere di temporaneità e stagionalità – non
sarebbe idoneo a comportare una modifica dell'assetto del territorio tale da
giustificare la richiesta e il rilascio di un titolo abilitativo edilizio.
Sotto tale aspetto, la sentenza sarebbe viziata per aver operato una indebita
commistione fra la nozione di ‘temporaneità' e quella di ‘stagionalità': al riguardo,
non potrebbe negarsi che il manufatto in questione fosse idoneo ad apportare una
oggettiva modificazione dell'assetto del territorio, atteso che esso risulta idoneo a
soddisfare esigenze stagionali ma ricorrenti nel tempo.
Allo stesso modo, la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per avere
ritenuto che la facile amovibilità del manufatto ne comportasse ipso facto la
precarietà strutturale.
Al contrario, riguardando la questione nei suoi tratti sostanziali, i primi Giudici
avrebbero dovuto rilevare che il manufatto in parola fosse certamente destinato a
soddisfare esigenze non temporanee e che, quindi, richiedesse certamente il rilascio
di un apposito titolo abilitativo edilizio.
Il titolo in questione, tuttavia, non avrebbe potuto essere rilasciato, ostandovi: a) il
vincolo di inedificabilità esistente nell'area (classificata dal vigente P.R.G.
comunale come di ‘verde pubblico'); b) il vincolo di inedificabilità parimenti
derivante dal P.T.P. il quale classifica l'area in parola come ambito T1 – ‘Fascia
costiera ad alto valore paesistico'.
Né a conclusioni diverse potrebbe giungersi avuto riguardo all'articolo 56 del
Regolamento edilizio comunale il quale riconosce sempre un carattere
ontologicamente precario ai chioschi. Ed infatti, a tale disposizione non potrebbe
riconoscersi un significato concreto contrastante con le previsioni del d.P.R. 6
giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
edilizia).
La società appellata osserva, in contrario, che l'iniziativa avversata in entrambi i
gradi di giudizio aveva ottenuto tutti i necessari atti di assenso e titoli abilitativi (in
particolare: nulla-osta della competente Capitaneria di porto in relazione ai profili
di sicurezza della navigazione, nulla-osta dell'Azienda A.S.L. di Latina alla
realizzazione di ulteriori servizi igienici, parere favorevole dell'Agenzia delle
Dogane, parere favorevole da parte della competente Soprintendenza).
Fa notare, inoltre, che il manufatto oggetto dell'iniziativa avversata in primo grado
non avrebbe un'estensione di 120 mq. (come affermato dall'appellante), bensì di
soli 56,13.
Osserva, altresì, che ai fini della risoluzione della vicenda di causa risulta dirimente
la previsione di cui all'articolo 56 del regolamento edilizio comunale, il quale
riconosce carattere ontologicamente precario ai chioschi di qualunque tipologia e
dimensione.
La società appellata rileva poi che l'eventuale (e comunque contestata) non
conformità dell'intervento con le pertinenti norme di piano risulterebbe comunque
superata in considerazione del fatto che l'istanza a suo tempo rivolta al Comune
era stata formulata ai sensi dell'articolo 5 del 20 ottobre 1998, n. 447 (il quale è
appunto finalizzato a consentire la realizzazione di impianti a destinazione
produttiva anche in deroga alle pertinenti disposizioni di Piano).
Ad ogni modo risulterebbe del tutto condivisibile l'argomento offerto dai primi
Giudici, secondo cui dal momento che la tipologia costruttiva dei ‘chioschi' è
solitamente destinata ad essere realizzata in aree caratterizzate da particolare pregio
(e solitamente sottoposte a vincolo di inedificabilità), laddove si accedesse a
un'interpretazione troppo rigorosa del pertinente paradigma normativo, si
finirebbe puramente e semplicemente per impedire la realizzazione di tale tipologia
di interventi (che, viene ripetuto, è invece quella tipica delle aree caratterizzate da
particolare pregio).
3. L'appello è fondato.
3.1. In particolare il Collegio ritiene dirimente ai fini del decidere la fondatezza
dell'argomento con cui si è osservato che l'intervento in questione, per le sue
caratteristiche oggettive, fosse da qualificare come intervento di ‘nuova
costruzione', con quanto ne consegue ai fini del rilascio del necessario titolo
abilitativo edilizio (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) in relazione ai vincoli di in
edificabilità esistenti sull'area.
Al riguardo il Collegio ritiene di richiamare l'orientamento – da quale non si
rinvengono elementi per discostarsi – secondo cui i manufatti non precari, ma
funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad
alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla
rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e
l'assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o
chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un
utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale.
Si è condivisibilmente osservato al riguardo che la ‘precarietà' dell'opera, che
esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso
specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità la quale non
esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non
eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo (in tal senso: Cons. Stato, IV,
22 dicembre 2007, n. 6615).
Sotto tale aspetto, il Collegio ritiene che per le sue caratteristiche tipologiche e
funzionali, nonché in considerazione del regime temporale della relativa
utilizzazione il manufatto per cui è causa fosse riconducibile alle previsioni di cui
alla lettera e.5) del comma 1 dell'articolo 3 d.P.R. n. 380 del 2001 (a tenore del
quale sono comunque da considerarsi nuove costruzioni le installazioni di
manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano
usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili,
“e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”).
Al riguardo, giova qui richiamare il condiviso orientamento secondo cui non
possono comunque essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze
meramente temporanee quelli destinati a un'utilizzazione perdurante nel tempo, di
talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante (Cons. Stato, VI, 12 febbraio 2011, n. 986; id., V, 12 dicembre 2009, n.
7789;. id., V, 24 febbraio 2003, n. 986; id., V, 24 febbraio 1996, n. 226).
3.2. Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità dell'installazione del
voluminoso manufatto per cui è causa (destinato ad occupare, nella tesi della
società appellata, 56,13 mq.) conferisse al manufatto nel suo complesso il carattere
di ‘temporaneità', atteso:
- il carattere ontologicamente ‘non temporaneo' di una struttura destinata
all'esercizio di un'attività commerciale e di somministrazione (in tal senso: Cons.
Stato, IV, 23 luglio 2009, n. 4673).
- la permanente idoneità ad alterare lo stato dei luoghi che il complessivo
manufatto (di notevoli dimensioni) era idoneo a determinare, anche a prescindere
dalla rimozione per alcuni mesi l'anno.
3.3. Né a conclusioni diverse rispetto a quelle appena rassegnate può giungersi
avuto riguardo alla previsione di cui all'articolo 56 del Regolamento edilizio
comunale (il quale, nella tesi della società riconoscerebbe sempre un carattere
ontologicamente precario ai chioschi.
Al contrario, la necessaria interpretazione secundumlegem della richiamata
disposizione (volta, cioè, a preservarla da un'altrimenti inevitabile taccia di
illegittimità per contrasto con il pertinente paradigma normativo primario) porta a
ritenere che il carattere di ‘precarietà' ivi richiamato possa comunque essere
affermato solo all'esito di un'operazione di valutazione svolta ‘caso per caso' in
ordine alle caratteristiche oggettive e funzionali del manufatto di cui si discute.
3.4. Ed ancora, a conclusioni diverse rispetto a quelle sin qui delineate non può
giungersi in relazione al fatto che la società appellata avesse proposto istanza di
variazione dello strumento urbanistico ai sensi dell'articolo 5 del d.P.R. 20 ottobre
1998, n. 447 (il cui comma 1, come è noto, stabilisce che “qualora il progetto presentato
sia in contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque richieda una sua variazione, il
responsabile del procedimento rigetta l'istanza. Tuttavia, allorché il progetto sia conforme alle
norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro ma lo strumento
urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste
siano insufficienti in relazione al progetto presentato, il responsabile del procedimento può,
motivatamente, convocare una conferenza di servizi, disciplinata dall'articolo 14 della legge 7
agosto 1990, n. 241 (…), per le conseguenti decisioni, dandone contestualmente pubblico avviso.
Alla conferenza può intervenire qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati,
individuali o collettivi nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui
possa derivare un pregiudizio dalla realizzazione del progetto dell'impianto industriale”).
Al riguardo si osserva in primo luogo che la sola presentazione di un'istanza
finalizzata dalla variazione dello strumento urbanistico ai sensi del richiamato
articolo 5, lungi dal fornire argomenti in favore delle tesi della società appellata,
conferma – piuttosto – il contrasto fra il progetto presentato e la pertinente
disciplina di piano (di cui, per facta concludentia, si mostrava consapevole la stessa
società appellata nel momento stesso in cui prendeva l'iniziativa finalizzata a
superare il carattere ostativo di tale contrarietà).
In secondo luogo si osserva che la stessa appellata non ha fornito elementi
persuasivi atti a ritenere l'effettiva percorribilità dell'iter delineato dal richiamato
articolo 5 (e, in particolare, l'insussistenza nell'ambito del territorio comunale di
diverse aree idonee ad ospitare l'iniziativa proposta in assenza della richiesta
modifica di Piano).
Al riguardo si ritiene di richiamare il condiviso orientamento secondo cui
condizioni imprescindibili per l'avvio del procedimento attraverso la convocazione
della conferenza di cui al d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447, art. 5, sono da un lato la
conformità del progetto alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e della
sicurezza del lavoro; dall'altro l'impossibilità di reperire nello strumento esistente
ulteriori e diverse aree idonee all'iniziativa produttiva (in tal senso –ex plurimis -:
Cons. Stato, IV, 3 marzo 2006, n. 1038).
4. Concludendo sul punto, le osservazioni sin qui svolte inducono a ritenere che:
- l'intervento avente ad oggetto la realizzazione del manufatto per cui è causa
doveva essere qualificato come ‘nuova costruzione' ai sensi del d.P.R. 380 del
2001, risultando infondate le deduzioni in fatto e in diritto che hanno indotto il
Comune di Formia prima e i Giudici di primo grado poi ad escludere tale
qualificazione;
- una volta accertato il carattere di ‘nuova costruzione' del richiamato manufatto,
ne consegue la fondatezza del primo ricorso (così come del presente appello) in
considerazione della pluralità di vincoli di inedificabilità esistenti sull'area
interessata (si tratta, secondo risultanze pacifiche in atti, di un'area classificata
come ‘zona di verde pubblico' dal vigente P.R.G. e come ‘ambito T1 – Fascia
costiera ad alto valore paesistico' dal vigente Piano Territoriale Paesistico).
5. Per i motivi dinanzi esposti sub 3 e 4 deve concludersi nel senso
dell'accoglimento del ricorso in appello in relazione alle doglianze già articolate in
primo grado e basate sulle violazioni di carattere edilizio e urbanistico, con
conseguente impossibilità, allo stato, di realizzare il proposto intervento.
Ciò comporta l'annullamento degli atti impugnati in primo grado ed esime il
Collegio dall'esame degli ulteriori motivi di ricorso basati sugli autonomi profili di
illegittimità che vizierebbero la concessione demaniale marittima del 22 settembre
2010 e il parere paesaggistico rilasciato dalla competente Soprintendenza il 6 luglio
2011 atteso che – per le ragioni già esposte – il contestato ampliamento non
potrebbe comunque essere effettuato.
6. Per le ragioni dinanzi esposte il ricorso in epigrafe deve essere accolto e per
l'effetto, in riforma della sentenza appellata, deve accolto il ricorso di primo grado
con conseguente annullamento degli atti in tale sede impugnati.
Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l'integrale
compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente
pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in
motivazione e per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, deve accolto il
ricorso di primo grado con conseguente annullamento degli atti in tale sede
impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 marzo 2014 con
l'intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente FF
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Vito Carella, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere, Estensore
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/06/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
12-06-2014 15:00
Richiedi una Consulenza