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Sentenza

Distrutti i resti di una villa romana. La sanzione amministrativa di 1 miliardo ...
Distrutti i resti di una villa romana. La sanzione amministrativa di 1 miliardo di lire non è trasmissibile agli eredi.
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 9 – 28 gennaio 2014, n. 423
Presidente Scola – Estensore Scanderbeg

Fatto e diritto

1.- Raponi Massimo, Raponi Nazzareno, Raponi Romolo e Pizzi Rosanna, quali eredi di Raponi Silvio, impugnano la sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio, Roma, 10 luglio 2008 n. 6643, che ha respinto il ricorso n. 186 del 1998 proposto da Raponi Silvio, dante causa degli odierni appellanti, per l'annullamento del decreto del Ministero dei beni culturali 3 ottobre 1997 recante l'intimazione, ad esso Raponi Silvio, di pagamento, a titolo di sanzione amministrativa, della somma di lire 1.026.760.000, quale responsabile della distruzione di una villa romana in località Eleuterio del Comune di Cisterna (Latina).
Gli appellanti tornano a contestare in questo grado la legittimità della pretesa sanzionatoria fatta valere dall'Amministrazione di tutela dei beni culturali, rilevando l'erroneità della sua duplicazione rispetto alla misura risarcitoria e della sua determinazione da parte della speciale commissione di cui al quarto comma dell'art. 59 della legge n. 1089 del 1939.
Concludono gli appellanti per l'accoglimento, con l'appello, del ricorso di primo grado, con consequenziale annullamento dell'atto gravato con l'originario ricorso.
Si è costituita in giudizio l'appellata amministrazione per resistere all'appello e per chiederne la reiezione.
All'udienza del 9 gennaio 2014 la causa è stata trattenuta per la sentenza.
2. Osserva preliminarmente il collegio che l'appello in esame, come d'altronde il ricorso in riassunzione di primo grado, proposto dagli eredi di Raponi Silvio dopo la sua morte, e la consequenziale dichiarazione d'interruzione del giudizio di primo grado vanno dichiarati inammissibili per difetto d'interesse.
Sulla questione processuale dell'ammissibilità delle impugnazioni da parte degli aventi causa di Raponi Silvio, sollevata d'ufficio da questo collegio in udienza di discussione, le parti sono state espressamente invitate, ai sensi dell'art. 73, comma 3, cod. proc. amm., a svolgere le loro difese, come risulta dal verbale d'udienza.
3.- Ritiene il collegio che la suddetta questione dell'ammissibilità dell'appello e dell'atto di riassunzione di primo grado, da affrontare in via preliminare (stante il suo carattere assorbente) ed ex officio, involgendo la verifica di una delle condizioni dell'azione, vada risolta nei termini che subito si esporranno.
L'obbligazione di pagamento dedotta in giudizio è relativa ad una sanzione amministrativa, inflitta dal Ministero per i beni e le attività culturali a Raponi Silvio, ai sensi dell'art. 59, legge 1° giugno 1939 n. 1089, per aver questi distrutto, durante i lavori di sbancamento di un terreno di sua proprietà, i resti di un'antica villa romana.
Per gli stessi fatti, costituenti il presupposto della disposta sanzione amministrativa, Raponi Silvio ha riportato una condanna per il reato di cui all'art. 733, cod.pen., da parte dell'autorità giudiziaria ordinaria.
Non appare dubbio al collegio che la natura sanzionatoria della misura pecuniaria qui dedotta in giudizio, irrogata - con l'atto in primo grado impugnato - dall'appellato Ministero sul rilievo dell'impossibilità materiale di far luogo al ripristino dello stato dei luoghi e dei beni oggetto di tutela (appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato, ai sensi dell'art. 826, comma 2, cod. civ.), imponga una preliminare valutazione in ordine alle conseguenze giuridiche e, in particolare, per quel che qui rileva, di carattere processuale previste dall'ordinamento in caso di morte del trasgressore destinatario dell'originaria sanzione.
Orbene, rileva il collegio che le sanzioni amministrative, per principio generale, si estinguono ope legis (art. 7, legge n. 689/1981) con la morte del trasgressore, non essendo trasmissibili agli eredi.
Pertanto, nel caso in esame, gli eredi di Silvio Raponi, che hanno riassunto il giudizio di primo grado ed hanno interposto appello nella dichiarata veste di aventi causa dell'originario destinatario della sanzione, non hanno un interesse autonomo, sul piano processuale, a contrastare una pretesa sanzionatoria che l'amministrazione avrebbe potuto far valere solo nei confronti dell'effettivo trasgressore (e cioè del dante causa degli appellanti, deceduto durante la pendenza del giudizio di primo grado).
Il principio dell'intrasmissibilità agli eredi della sanzione amministrativa è corollario del carattere personale che contraddistingue (quantomeno a far data dall'entrata in vigore della legge di depenalizzazione n. 689/1981), oltre che la responsabilità penale, anche la responsabilità amministrativa dell'agente, di tal che lo stesso principio deve ritenersi di applicazione indistinta e generalizzata, senza cioè che sia necessaria una espressa previsione in tal senso nell'ambito della particolare disciplina normativa di settore (cfr. Cass. civ., sez. I, sent. 23 marzo 2004 n. 5743; Cass., sez. lavoro, sent. 8 settembre 2003 n. 13113).
4.- La correttezza della conclusione riguardo alla natura sanzionatoria della somma posta a carico del trasgressore, ai sensi del citato art. 59, legge n. 1089/1939 (applicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta, ma analoga previsione è stata riprodotta) è confermata dalla circostanza che il giudice penale (cfr. sentenza della Corte d'appello di Roma n. 3283/1996), nell'irrogare la sanzione penale all'imputato, ha riservato alla sede civile la sola determinazione del risarcimento del danno.
Tuttavia, come correttamente argomentato sul punto dal giudice di primo grado, detta misura risarcitoria non è assimilabile alla sanzione amministrativa, che qui solo viene in rilievo, la quale ultima ha natura punitiva, in quanto costituisce la monetizzazione dell'ordine di ripristino rimasto non eseguito da parte del trasgressore (per impossibilità oggettiva del recupero dei reperti ormai irreversibilmente distrutti).
Ed invero, mentre le sanzioni civili sono sanzioni aggiuntive, destinate a risarcire il danno ed a rafforzare l'obbligazione con funzione di deterrente per scoraggiare l'inadempimento, le sanzioni amministrative (di cui alla legge n. 689/1981) e quelle - altrettanto intrasmissibili - tributarie (di cui alla legge n. 472/1997) hanno un carattere afflittivo ed una portata di carattere generale e non settoriale, sicché rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire, nei limiti della ragionevolezza, quando la violazione debba essere colpita da un tipo di sanzione piuttosto che da un altro (in tal senso, cfr. Cass., sez. lavoro, sent. n. 15067 del 6 giugno 2008).
A tale scelta si ricollega il regime applicabile, anche in riferimento alla trasmissibilità agli eredi, prevista solo per le sanzioni civili, quale principio generale in materia di obbligazioni, e non per le altre, per le quali opera il diverso principio dell'intrasmissibilità, quale corollario del carattere personale della responsabilità.
5.- In definitiva, alla luce dei rilievi svolti l'appello e, prima ancora, il ricorso in riassunzione proposto in primo grado dagli odierni appellanti vanno dichiarati inammissibili per difetto d'interesse.
Va conseguentemente annullata l'impugnata sentenza del T.a.r. del Lazio, che ha omesso di rilevare la carenza di una delle condizioni dell'azione processuale.
Gli oneri del doppio grado di giudizio possono essere compensati tra le parti, ricorrendo giusti motivi, anche in considerazione del particolare epilogo della controversia.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI) dichiara inammissibili l'appello r.g.n. 9416/2008 ed il ricorso in riassunzione di primo grado e, per l'effetto, annulla l'impugnata sentenza.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Avv. Antonino Sugamele

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