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Sentenza

Discoteche sovraffollate e alcool servito troppo tardi, al Comune il potere di s...
Discoteche sovraffollate e alcool servito troppo tardi, al Comune il potere di sospendere l'attività.
T.A.R. Puglia Bari Sez. III, Sent., 18-06-2014, n. 746
Fatto - Diritto P.Q.M.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1545 del 2012, proposto da:

R.T. Service S.a.s. di M.R. & C., rappresentato e difeso dagli avv. Luca Galli, Marco Galli, con domicilio eletto presso Nicola Cipriani in Bari, via A. Da Bari, 109;

contro

Comune di Manfredonia, rappresentato e difeso dall'avv. Teresa Totaro, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. Bari in Bari, Piazza Massari; Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato Di Bari, presso la quale è domiciliato in Bari, via Melo, 97;

per l'annullamento del provvedimento di sospensione di attività ricettiva e per la condanna al risarcimento dei danni

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Manfredonia e di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 maggio 2014 la dott.ssa Maria Colagrande e uditi per le parti i difensori Luca Galli e Anna Rita Armiento;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

La Società ricorrente, titolare di licenza del 22 dicembre 2012 rilasciata dal Comune di Manfredonia, gestisce la discoteca all'aperto "Villa Hermosa".

In data 24 luglio 2012, durante un controllo, agenti del Commissariato di Polizia di Manfredonia contestavano al rappresentante della Società di aver ammesso nel locale 600 persone, ben oltre il limite di 200, e aver servito alcolici dopo l'orario consentito.

Al verbale di contestazione, trasmesso per competenza al Comune, faceva seguito la sospensione immediata dell'attività commerciale per dieci giorni, con provvedimento del Dirigente del IV Settore - I servizio annona e Polizia Municipale del Comune di Manfredonia, notificato il 17 agosto 2012.

Con ricorso notificato il 2 novembre 2012 la ricorrente impugna i predetti provvedimenti per i seguenti motivi:

1) violazione e falsa applicazione dell'art. 7 L. n. 241 del 1990 per mancato avviso di avvio del procedimento, illogicità della motivazione, insufficienza della motivazione, eccesso di potere e sviamento di potere; l'omessa comunicazione avrebbe impedito alla ricorrente di dimostrare, allegando le matrici dei biglietti venduti che gli avventori erano meno di 200 e che le bevande servite erano solo analcoliche; inoltre dal verbale di polizia non si evincerebbero le modalità con le quali furono accertati i fatti;

2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 54 D.Lgs. n. 267 del 2000, violazione degli articoli 23 e 51 dello Statuto del Comune di Manfredonia, violazione e falsa applicazione degli articoli 10 e 100 del R.D. n. 773 del 1931 (TULPS), eccesso di potere e sviamento di potere, carenza di potere. Invalidità del verbale del Commissariato di polizia; il provvedimento di sospensione adottato dal Dirigente del IV Settore del Comune di Manfredonia sarebbe viziato da incompetenza, in quanto, avendo natura contigibile e urgente avrebbe dovuto adottarlo il Sindaco ex art. 54 D.Lgs. n. 267 del 2000, come confermato dallo Statuto comunale, anzi la competenza non sarebbe neanche del Sindaco perché la materia non figura fra quelle trasferite a regioni e enti locali; il provvedimento sarebbe poi viziato da illegittimità derivata perché il verbale di segnalazione non proviene dal Prefetto, cui l'art. 100 TULPS riserva la vigilanza sugli atti di sospensione delle licenze commerciali per ragioni di ordine pubblico sicurezza moralità e buon costume e infine nel provvedimento dirigenziale non verrebbe spiegato, come invece richiesto dall'art. 100 TULPS, in che modo le violazioni accertate avrebbero potuto ledere la tutela e la sicurezza pubblica.

Il secondo motivo di censura, che per ragioni di ordine logico va esaminato prioritariamente, nel quale è dedotta l'incompetenza del Responsabile dell'Ufficio Attività Produttive del Comune di Manfredonia, è infondato.

Il provvedimento impugnato non è, come ritenuto dalla ricorrente un'ordinanza di necessità adottata ai sensi dell'art. 54 del D.Lgs. n. 267 del 2000 e quindi riservata alla competenza del Sindaco quale ufficiale di governo (Consiglio di Stato, sez. VI, 13 giugno 2012, n. 3490) per ragioni di incolumità pubblica e sicurezza urbana, ma è espressione del potere di polizia amministrativa, trasferito dallo Stato alle Regioni ex art. 19 D.P.R. n. 616 del 1977 (Cons. St., sez. IV, 25 novembre 2003, n. 7777, e sez. V, 24 ottobre 2000, n. 5698).

Infatti il provvedimento adottato ai sensi dell'art. 10 del TULPS - che dispone la sospensione delle autorizzazioni rilasciate ex art 9 TULPS nell'esercizio dei poteri di polizia amministrativa o di sicurezza - trova la sua motivazione nel fatto che sono state violate le prescrizioni impartite dall'autorizzazione e, in concreto, nell'aver consentito l'accesso al locale contemporaneamente a 600 persone, nonostante nell'autorizzazione fosse stabilito il limite di 200, e nell'aver somministrato bevande alcoliche oltre l'orario consentito, in assenza di SCIA o altro titolo abilitativo.

Pertanto, dovendosi esercitare le attività oggetto di autorizzazioni o licenze amministrative, conformemente alle prescrizioni contenute nelle leggi e nelle altre fonti sub-primarie, la loro violazione costituisce un uso anomalo e quindi un abuso del titolo, da sanzionare ai sensi del R.D. n. 773 del 1931 art. 10 (Consiglio Stato sez. VI, 9 settembre 2010, n. 7185).

E' allora evidente che la sospensione dell'autorizzazione, quale contrariusactus e proiezione della funzione di controllo sulle attività oggetto di autorizzazione all'esercizio di attività da parte dei privati, è espressione essa stessa dei poteri di polizia amministrativa del Comune di rilasciare le autorizzazioni, non già dei poteri di polizia di sicurezza che il Sindaco esercita, ai sensi dell'art. 54 TUEL, come ufficiale di governo.

Considerato poi che, ai sensi dell'art. 107 D.Lgs. n. 267 del 2000, i provvedimenti di autorizzazione all'esercizio di attività soggette a controllo, sono adottati dai Dirigenti, deve ritenersi, in continuità con l'indirizzo seguito da questa sezione (T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 10/11/2010, n. 3892) che anche i successivi atti di gestione, e fra questi il controllo del rispetto delle prescrizioni e le conseguenti comminatorie, rientrano nella competenza degli stessi, come del resto è espressamente previsto in via generale dall'art. 21 quater L. n. 241 del 1990 che riserva all'organo adottante il potere di sospendere il provvedimento amministrativo per gravi ragioni.

Né depongono in senso contrario gli articoli 23 e 51 dello Statuto comunale riportati nel ricorso.

Dette disposizioni ripartiscono le competenze fra Dirigenti e Sindaco, all'uno riservando l'adozione di ordinanze e decreti in materia di sanità ed igiene pubblica, edilizia e polizia locale, agli altri, in via residuale, tutti i compiti che la legge, lo statuto o i regolamenti non riservino agli organi di governo e semmai confermano, riconoscendo il primato della legge nel riparto delle competenze, la disposizione dell'art. 107 come sopra interpretata, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente.

Parimenti infondato è il primo motivo di ricorso sotto il profilo della violazione dell'art. 7 L. n. 241 del 1990 - omessa comunicazione di avvio del procedimento.

L'art. 7 L. n. 241 del 1990 prescrive di dare comunicazione dell'avvio del procedimento a coloro nei confronti dei quali il provvedimento finale potrebbe produrre effetti e, in linea di principio, a tale regola non si sottrae il procedimento in oggetto, a meno che non sussistano particolari esigenze di celerità che esonerano l'amministrazione procedente dall'inviare la comunicazione .

Tali esigenze, ferma la sufficienza - ai fini dell'adozione della sospensione - della violazione di misure chiaramente preventive (quali il divieto di somministrazione di bevande alcoliche dopo le 3 del mattino e il limite di accoglienza di 200 persone), sono ricondotte al la tutela e al la sicurezza pubblica perché chiaramente connesse alla intrinseca pericolosità delle predette trasgressioni, che non consentono di seguire il normale iter procedimentale, previa comunicazione di avvio.

Quanto detto, da un lato consente di ritenere manifestamente infondato l'ulteriore motivo di ricorso secondo il quale non risulterebbe dal provvedimento in che modo le violazioni contestate possano ledere la tutela e la sicurezza pubblica, dall'altro non muta la natura del provvedimento, da atto di ordinaria gestione dell'autorizzazione perché abusata (come tale di competenza dirigenziale), a strumento straordinario necessario per fronteggiare situazioni emergenziali (riservato al Sindaco o ad altro organo dotato di poteri di ordinanza).

L'esigenza di tutela e di sicurezza pubblica espressa nel provvedimento gravato deriva infatti dalla violazione amministrativa ed è accertata, non in via esclusiva, come avverrebbe se si trattasse di potere di ordinanza, ma quale conseguenza della violazione dei limiti posti all'autorizzazione (Consiglio di Stato, sez. V 24/10/2000 n. 5698).

Si rivela dunque pertinente il richiamo nel provvedimento dell'art. 10 del R.D. n. 773 del 1931, che conferma come la sospensione dell'autorizzazione trovi ragione proprio nell'abuso da parte del suo titolare, mentre il potere extra ordinem di ordinanza ex art. 54 D.Lgs. n. 267 del 2000 ne prescinde, perché la legge tratteggia solo l'ambito (sicurezza, igiene e sanità, ordine pubblico), non il presupposto - ampiamente discrezionale - dell'esercizio del potere.

Quanto appena detto consente di ritenere infondato anche il motivo di ricorso secondo il quale il Comune, e per esso il Sindaco, non avrebbero alcuna competenza sull'adozione dell'atto impugnato, perché attinente ad una materia non trasferita alle Regioni e agli Enti locali.

Il motivo, in palese contraddizione con quanto dalla ricorrente sostenuto in precedenza ed al limite del difetto di specificità, è comunque infondato.

La Corte Costituzionale ha infatti chiarito che l'art. 19 del D.P.R. n. 616 del 1977 ha trasferito a Regioni ed Enti locali una serie di funzioni, prima demandate agli organi di pubblica sicurezza, riconducibili all'ambito dei poteri di "polizia amministrativa" per differenziarle da quelle propriamente di "pubblica sicurezza" che restano riservate allo Stato ex art. 4 D.P.R. n. 616 del 1977 (Corte cost. 23 marzo 1987 n. 77).

Le funzioni di polizia amministrativa restano dunque separate dalle funzioni relative alla sicurezza ed all'ordine pubblico, tuttora riservate allo Stato, ma entrambe si articolano in atti di amministrazione attiva, regolamentare e provvedimentale con il rilascio di concessioni, autorizzazioni e licenze negli ambiti di propria competenza (Corte cost. 4 aprile1990 n. 162)

E' sul piano degli atti di secondo grado che si registra un'interferenza, solo apparente, fra le competenze trasferite e quelle riservate allo Stato, che per ragioni di tutela della sicurezza pubblica può, tramite i suoi organi, intervenire ex art. 20 D.P.R. n. 616 del 1977, sui titoli abilitativi rilasciati dagli Enti locali.

Ciò non vuol dire che gli Enti locali, titolari del potere di rilasciare i titoli abilitativi non dispongano essi stessi del potere di adottare un contrariusactus, ma solo che tale potere concorre con quello dello Stato, diversi essendone i presupposti di legge: l'uno finalizzato a reprimere violazioni delle prescrizioni inerenti al titolo abilitativo, l'altro ad evitare che l'esercizio dell'attività, sia pure conforme al titolo, possa esporre a pericolo l'ordine pubblico, inteso ai sensi dell'art. 159 D.Lgs. n. 112 del 1998 come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni.

Merita di essere disatteso anche il motivo che lamenta la violazione dell'art. 100 TULPS perché il provvedimento gravato è stato adottato su segnalazione del Commissariato di pubblica sicurezza e non del Prefetto.

In verità l'accertamento compiuto dal personale di pubblica sicurezza costituisce valido presupposto del provvedimento gravato perché trova titolo nel citato art. 20 del D.P.R. n. 616 del 1977, secondo il quale spetta alle forze di pubblica sicurezza vigilare sul rispetto delle prescrizioni impartite dal Comune agli esercenti attività soggette al potere di autorizzazione trasferito ai Comuni dall'art. 1 dello D.P.R. n. 616 del 1977

Inammissibili infine sono le censure di insufficiente motivazione, illogicità della motivazione e sviamento di potere perché non risulterebbero dal verbale le modalità di accertamento del numero delle persone eccedente il prescritto limite di 200 e la somministrazione di bevande alcoliche.

Occorre premettere, in linea di principio, che il verbale di accertamento proveniente da pubblici ufficiali fa fede fino a querela di falso delle circostanze attestate come avvenute in presenza degli accertatori, purché esenti da profili di contraddittorietà tali da elidere una circostanza per mezzo dell'altra, onde sarebbe vanificata la stessa capacità probatoria del documento (Cass., sez. un., 24 luglio 2009, n. 17355).

Ne consegue che le contestazioni in punto di motivazione sono ammissibili, senza necessità di proporre querela di falso, solo se i fatti, che il verbalizzante attesta come avvenuti in sua presenza, sono oggettivamente e insanabilmente contraddittori, oppure se detti fatti non sono avvenuti in sua presenza, ma sono stati raccolti a verbale de relato o mediati da valutazioni soggettive del verbalizzante.

E' chiaro che, prescindere da tali limiti e ritenere ammissibile la censura di vizio della motivazione, perché non sono enunciate nel verbale le modalità di assunzione dei fatti cui gli accertatori hanno assistito, vuol dire privare l'accertamento della fede privilegiata che l'art. 2700 c.c. gli riconosce.

La ricorrente però, da un lato si astiene dal proporre querela di falso su circostanze che risultano accadute alla presenza degli accertatori e come tali verbalizzate, dall'altro non allega profili di contraddittorietà del verbale sufficienti a inficiare il valore di prova legale.

Per le ragioni spiegate il ricorso deve essere respinto e con esso la domanda di risarcimento perché priva del presupposto di illegittimità del provvedimento.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la Società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 1.500 oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:

Sergio Conti, Presidente

Desirèe Zonno, Primo Referendario

Maria Colagrande, Referendario, Estensore
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Avv. Antonino Sugamele

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