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Sentenza

Concessione occupazione di suolo pubblico...
Concessione occupazione di suolo pubblico
Cons. St., Sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5103

N. 05103/2014

N. 02568/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso numero di registro generale 2568 del 2014, proposto dalla società Italian Food S.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv. Alessandro Bianconi e Paolo Giovannelli, con domicilio eletto presso Paolo Giovannelli in Roma, via Giovanni Nicotera, n. 29;

contro

Roma Capitale, in persona del sindaco in carica, rappresentata e difesa per legge dagli avv. Rosalda Rocchi e Alessandro Rizzo, dell'avvocatura di Roma Capitale, con domicilio eletto in Roma, via del Tempio di Giove n. 21; Soprintendenza per i Beni architettonici e per il Paesaggio per il Comune di Roma, in persona del soprintendente in carica, Ministero per i Beni e le Attivita' culturali in persona del Ministro in carica, Ministero per i.Beni e le Attività culturali - Direzione regionale per i Beni culturali e per il Paesaggio del Lazio in persona del dirigente in carica, tutti rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II TER n. 07682/2013, resa tra le parti, concernente revoca concessione occupazione di suolo pubblico all'esercizio di somministrazione di alimenti e bevande


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale, della Soprintendenza per i Beni architettonici e per il Paesaggio per il Comune di Roma, del Ministero per i Beni e le Attività culturali e del Ministero per i Beni culturali e per il paesaggio - Direzione regionale per i Beni culturali e per il Paesaggio del Lazio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 luglio 2014 il Consigliere Carlo Schilardi e udita per l'appellata Roma Capitale l'avvocato Rosalda Rocchi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il sig. Fortunato Baldassarri nel 2002 affittava alla Myosotis s.r.l. l'attività di ristorazione sita in Piazza delle Coppelle n. 49, angolo Vico della Vaccarella n. 3.

Il Comune di Roma, con determina dirigenziale n. 3755 dell'11 dicembre 2002 rilasciava alla Myosotis s.r.l. una concessione di o.s.p. su suolo demaniale, permanente, a servizio della predetta attività di ristorazione (mq. 12,80 in Piazza Coppelle e mq. 10,60 in via della Vaccarella).

Nel 2008 il sig. Baldassarri riprendeva l'attività e, successivamente, la cedeva nel 2009 alla Coppelle Service s.r.l.. Quest'ultima, a sua volta, concedeva alla Italian Food s.r.l. la gestione dell'attività di ristorazione, giusto contratto di affitto del ramo d'azienda sottoscritto in data 14 ottobre 2009.

L'amministrazione comunale, in occasione dell'ultima voltura, con determinazione dirigenziale n. 716 del 27 aprile 2010 notificata alla sola Italian Food s.r.l., revocava la precedente concessione demaniale permanente di occupazione di suolo pubblico in Piazza delle Coppelle n. 49, rilasciata per mq. 12,80 con la citata determinazione dirigenziale n. 3755 dell'11 dicembre 2002 e, contestualmente, rilasciava la concessione demaniale permanete di occupazione di suolo pubblico in vicolo della Vaccarella nn. 2 e 3 per mq. 10,05.

Avverso tale determinazione la società Italian Food s.r.l. proponeva ricorso al T.A.R. (R.G. n. 6059 del 2010) che, con ordinanza n. 3466 del 27 luglio 2010, accoglieva la domanda di sospensione. Conseguentemente il Comune di Roma in esecuzione della predetta ordinanza, con provvedimento n. 83325 del 25 ottobre 2010, rilasciava all'interessata un titolo concessorio a carattere provvisorio, nelle more della definizione della causa nel merito.

2. Successivamente il Comune di Roma, con nota del 15 novembre 2012, comunicava alla Italian Food s.r.l., che il Municipio Roma Centro Storico, con delibera C.M. n. 6 del 25 febbraio 2010, aveva definito le aree in cui istituire il piano di massima occupabilità, mentre, con successiva delibera C.M. n. 2 del 31 gennaio 2011, aveva approvato la scheda di dettaglio del piano di massima occupabilità municipale relativo a Piazza delle Coppelle che, per il locale in questione, non prevedeva la possibilità di rilasciare concessioni per l'occupazione di suolo pubblico.

Pertanto, nelle more delle decisione di merito sul ricorso pendente al TAR Lazio n. 6059 del 2010, l'amministrazione comunicava alla società interessata che l'autorizzazione temporanea del 25 ottobre 2010, ad occupare per mq 12,05 Piazza delle Coppelle n. 49, doveva intendersi priva di efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2013.

2.b Avverso il provvedimento di revoca di O.S.P., nonché la deliberazione n. 2 del 31 gennaio 2011 con cui era stato approvato la scheda di dettaglio del piano di massima occupabilità per Piazza delle Coppelle, nella parte in cui non prevedeva la possibilità per il civico n. 49 di rilascio di autorizzazione di occupazione suolo pubblico e la deliberazione n. 6 del 25 febbraio 2010, nella parte ostativa al mantenimento dell'occupazione di suolo pubblico, la Italian Food s.r.l. proponeva ricorso al T.A.R. per il Lazio.

Si costituiva in giudizio Roma Capitale ed il Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

2.c Il T.A.R., con sentenza n. 7682 del 26 giugno 2013, depositata il 29 luglio 2013, ha rigettato il ricorso e condannato alle spese la Italian Food s.r.l. in favore di Roma Capitale, compensandole invece nei confronti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Avverso la sentenza del T.A.R. ha proposto appello la Italian Food s.r.l., con contestuale istanza di sospensione della sua efficacia esecutiva, adducendo 9 motivi di censura della sentenza stessa.

Si è costituita in giudizio Roma Capitale che ha chiesto di respingere l'appello e confermare, conseguentemente, la sentenza del T.A.R. n. 7682/2013.

Con memoria depositata in vista dell'udienza pubblica di trattazione la società Italian Food s.r.l. ha osservato che, pur essendoci precedenti giurisprudenziali in materia negativi, alcuni motivi di impugnazione proposti ed in particolare il primo e l'ottavo, non sarebbero mai stati oggetto di precedenti pronunce; l'appellante ha dedotto, anche, che il T.A.R. erroneamente non avrebbe esaminato determinate questioni ritenendo che la ricorrente società non avesse assolto all'onere della prova.

All'udienza pubblica del 15 luglio 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

3.- L'appello è infondato e va respinto.

Appare opportuno, alla luce di quanto rappresentato da ultimo dall'appellante, trattare preliminarmente i motivi di appello dal secondo al settimo e il nono.

4. Con il secondo motivo di censura, ripetitivo dei motivi II, XII e XIII del ricorso originario, l'appellante lamenta: violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 88 del cod. proc. amm.; violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 7 legge n. 241 del 1990 per omessa comunicazione di avvio del procedimento e difetto di motivazione; eccesso di potere per illogicità, difetto di istruttoria, ingiustizia manifesta; violazione e falsa applicazione della DCM 2/2011 e dell'art. 3 della legge n. 241 del 1990 per difetto di motivazione ed eccesso di potere per erroneità nei presupposti di fatto e di diritto, ingiustizia manifesta, sproporzionalità.

L'appellante sostiene che il provvedimento impugnato non sarebbe stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento e che se la società fosse stata ammessa al contraddittorio, il provvedimento in questione avrebbe potuto avere contenuto diverso, atteso che i criteri che hanno portato alla revoca della concessione sono stati applicati erroneamente e ciò sarebbe dimostrato dalla relazione tecnica di parte dell'arch. Nicoletta Lattanzi, depositata agli atti del giudizio.

Sotto altro profilo, l'appellante assume che il provvedimento non si qualificherebbe né quale revoca della concessione (nel qual caso sarebbe stata necessaria la preventiva comunicazione dello stesso, come disposto dall'art. 9 del regolamento Cosap) né quale disdetta della concessione, atteso che la concessione in parola non era in scadenza, perché temporanea e valida fino all'esito del giudizio del T.A.R. di cui al ricorso n. 6059/2010.

La società lamenta l'erroneità della sentenza gravata laddove è sato qualificato quale "disdetta" il provvedimento dell'amministrazione del 15 novembre 2012 e nella parte in cui il giudice ha ritenuto che lo stesso provvedimento fosse di contenuto vincolato, senza, dunque, la necessità di comunicare l'avvio del procedimento.

4.b - Quanto assunto dall'appellante non è condivisibile.

Va ritenuta in primo luogo corretta la ricostruzione effettuata dal Giudice di prima istanza, che esclude che l'atto originariamente impugnato possa essere sussunto nella categoria della revoca, vertendosi, invece, in presenza di un atto di disdetta, che si discosta, per la sua natura giuridica e per i suoi effetti, in modo radicale dall'atto di revoca, in quanto l'atto impugnato utilizza chiaramente il nomen juris di "disdetta", fa esplicito richiamo all'art. 10 della delibera C.C. n. 75/2010 (regolamento in materia di occupazione di suolo pubblico e del canone comprensivo delle norme attuative del P.G.T.U.), rubricato "rinnovo e disdetta" ed osserva puntualmente la disciplina giuridica della norma da ultimo citata. Ed infatti, la disdetta de qua è stata comunicata nelle forme prescritte dal comma 5 del citato art. 10, ben prima dei trenta giorni dalla scadenza della concessione con effetto a decorrere dalla data di scadenza della concessione.

Si osserva, in particolare, che la revoca è un provvedimento discrezionale attraverso il quale l'amministrazione persegue l'interesse pubblico primario, comparando gli interessi pubblici e privati intercettati dall'azione amministrativa ed esternando le correlate ragioni; la disdetta, se adottata isolatamente, rappresenta l'esercizio di un diritto potestativo, che non necessita di motivazione puntuale.

Al riguardo, questo Consiglio di Stato (sez. V, 13 marzo 2000, n. 1327) ha affermato che: "la revoca di una concessione di gestione di servizio pubblico, presentando caratteristiche peculiari rispetto alla figura del recesso anticipato nei contratti di durata, legate al potere eccezionalmente riconosciuto alla pubblica amministrazione di intervenire dall'esterno nel rapporto concessorio (anche in assenza di apposita clausola convenzionale), deve essere congruamente motivata ed ancorata a rigorosi presupposti oggettivi, al contrario di ciò che è richiesto per la disdetta, la quale, essendo espressione di un diritto meramente potestativo, non richiede alcuna giustificazione, né la circostanza che una disdetta adottata per decorso del termine di durata della concessione, sia accompagnata dall'indicazione sintetica di peculiari motivi considerati dalla P.A. per determinare lo scioglimento del rapporto ne modifica la natura giuridica e la trasforma in una revoca".

Nello stesso senso, sulla distinzione tra revoca e disdetta e sulla possibilità per la pubblica amministrazione di utilizzare quest'ultima in luogo della prima si è espressa anche la Corte di Cassazione (sezioni unite, 11 maggio 1998, n. 4749).

4.c- Va, inoltre, ribadita la natura vincolata della disdetta, che deve ineluttabilmente seguire l'esercizio della discrezionalità amministrativa e tecnica, che caratterizza la deliberazione del consiglio municipale n. 2 del 31 gennaio 2011, con la quale è stata approvata la scheda di dettaglio del piano di massima occupabilità (P.M.O.) di piazza delle Coppelle, nonché la deliberazione del consiglio comunale di Roma n. 2/2011 che al punto 2 del suo deliberato stabilisce che "...le eventuali O.S.P. già concesse fino alla data di approvazione dei Piani di Massima Occupabilità si intendono concesse fino alla loro naturale scadenza da considerarsi dalla data di comunicazione del rilascio della OSP, fatta salva la possibilità di rinnovo, ed eventuale applicazione degli istituti della disdetta e della decadenza".

Alla luce di ciò, non risulta fondata la censura di omesso avviso di avvio del procedimento di disdetta, in quanto l'amministrazione non poteva che adottare un atto del contenuto in questione, dovendosi necessariamente attenere al rispetto delle prescrizioni contenute nel P.M.O.

Risulta, infatti, palese, come richiede l'art. 21 octies della legge n. 241/1990, senza necessità di ulteriore dimostrazione, che nella fattispecie non poteva che essere adottato un atto di disdetta del contenuto in concreto posto in essere, poiché altrimenti sarebbero state eluse le prescrizioni adottate dall'amministrazione municipale con i citati atti presupposti.

5.- Con il terzo motivo di censura (anche esso ripetitivo di motivi proposti in primo grado) l'appellante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 88 del cod. proc. amm., illogicità e contraddittorietà della motivazione, violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990 per difetto di motivazione, eccesso di potere per illogicità, difetto di istruttoria, sproporzionalità e ingiustizia manifesta.

L'appellante sostiene che la sentenza è erronea in quanto il provvedimento impugnato sarebbe privo di elementi a sostegno, anche alla luce della relazione tecnica di parte, che avrebbe dimostrato che l'o.s.p. in questione era compatibile con i criteri adottati dal Comune per il piano di massima occupabilità.

5.a- La censura non è condivisibile, atteso che nel provvedimento sono richiamate le delibere del C.M. n. 6 del 2010 e n. 2 del 2011 e il provvedimento contestato costituisce l'applicazione di esse, mentre, per individuare l'area assentibile per Piazza delle Coppelle occorreva fare riferimento ai criteri di cui al verbale della riunione della commissione tecnica del 9 novembre 2010; l'appellante non prova, peraltro, che l'amministrazione si sarebbe determinata in modo illogico.

Deve ritenersi, anche, infondata la doglianza contenuta nell'atto di gravame, circa la inadeguata motivazione dell'atto impugnato, poiché, non essendosi in presenza di un atto di revoca, non era necessaria una motivazione puntuale, ma risultava sufficiente, nel caso di specie, il riferimento alla formulazione delle prescrizioni contenute nella scheda tecnica del P.M.O. predisposta per piazza delle Coppelle, dove è situato l'esercizio commerciale dell'appellante.

6.- Con il quarto articolato motivo di censura, ripetitivo dei motivi IV, V e VI del ricorso originario, l'appellante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 88 cod. proc. amm. e illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza appellata.

L'appellante sostiene che per l'occupazione di suolo pubblico occorre tener conto delle previsioni in materia tributaria, per l'applicazione del relativo canone, della normativa in tema di tutela monumentale, per la peculiarità del territorio della Capitale e della normativa in tema di commercio.

La legge regionale n. 21 del 2009 ed il regolamento regionale n. 1 del 2009 attribuirebbero, poi, competenza autorizzatoria ai soli comuni e non ai municipi e alle loro commissioni tecniche.

Secondo l'appellante, ferma l'incompetenza dei municipi nell'adozione degli atti in questione, sussisterebbe, comunque, un eccesso di delega nei confronti dei municipi, giusto quanto previsto dall'art. 4 bis della deliberazione del regolamento Cosap approvato con deliberazione del C.C. n. 75 del 2010.

6. a - Precisato che la censura non concerne il potere dei municipi di adottare i piani di massima occupazione, ma la sola possibilità che attraverso essi possano essere introdotte ed individuate dai municipi altre aree in cui è vietata la concessione di O.S.P., la Sezione è dell'avviso che i primi giudici abbiano correttamente evidenziato il rapporto intercorrente tra il disposto di cui al comma 2, 'articolo 2, della delibera consiliare n. 119 del 2005 (recante l'approvazione del regolamento Cosap), a mente del quale "… la giunta comunale individua con deliberazione le aree che non possono costituire oggetto di concessione” e quello di cui al comma 4, articolo 4 bis, secondo cui “... i municipi possono subordinare il rilascio di concessione di suolo pubblico alle prescrizioni di appositi piani che individuino la massima occupabilità delle aree di rispettive competenza. Tali piani sono approvati dal consiglio del municipio”.

Il Tribunale ha osservato, con motivazione approfondita e convincente, che mentre spetta solo alla giunta comunale stabilire le aree della città che non possono costituire oggetto di concessione, il potere attribuito ai singoli municipi di individuare la massima occupabilità delle aree rientranti nella propria circoscrizione territoriale non elide affatto la possibilità di escludere dalla concessione di suolo pubblico permanente specifiche zone.

Invero, anche a voler prescindere dalla mancanza di un divieto espresso o anche di un limite intrinseco in tal senso desumibile dalle ricordate norme regolamentari (come già sottolineato dai primi giudici), è del tutto logico e ragionevole ammettere che nella concreta individuazione della massima occupabilità delle aree rientranti nella loro circoscrizione (e nella conseguente disciplina di tale occupabilità attraverso l'adozione dei piani di massima occupabilità) i singoli municipi, in virtù della specifica situazione di fatto esistente e per altrettanti specifici e motivati interessi pubblici, possano escludere dalle concessioni alcune aree, diverse ed ulteriori rispetto a quelle individuate dalla giunta municipale. Mentre infatti la scelta operata da quest'ultima trova giustificazione nell'interesse pubblico di carattere generale, relativo cioè all'intero territorio urbano, quella operata dai singoli municipi trova giustificazione nelle esigenze, anch'esse pubbliche e generali, ma limitate all'ambito territoriale dei municipi stessi.

Giova soggiungere, per quanto concerne i municipi romani, che con delibera consiliare n. 10 del 18 gennaio e 8 febbraio 1999, il Comune di Roma ha approvato il "regolamento del decentramento amministrativo" che disciplina l'organizzazione e le funzioni delle circoscrizioni, poi divenute municipi (delibera consiliare n. 22 del 19 gennaio 2001).

In base allo statuto di Roma Capitale, i municipi “esercitano le funzioni” loro attribuite dalla legge, dallo statuto medesimo o dal regolamento del decentramento e le ulteriori funzioni loro attribuite con deliberazione dell'assemblea capitolina (in precedenza il consiglio comunale) (art. 26).

Il fenomeno cui allude la citata previsione statutaria è quello della delega, con cui l'ente comunale titolare della funzione, ne devolve l'esercizio al Municipio, al fine di realizzare le istanze ed i principi del decentramento e della sussidiarietà, di cui questi ultimi livelli di governo sono espressione.

Tanto precisato, nel caso di interesse, la delega dal Comune al municipio della competenza amministrativa, è stata del tutto legittimamente disposta sulla base di una norma regolamentare adottata dall'organo consiliare, e cioè dal sopra citato art. 4-bis, comma 4, del regolamento in materia di occupazione di suolo pubblico, per cui non vi è dubbio della legittima esistenza di un titolo di competenza.

Ciò esclude che la decisione dei primi giudici sul punto costituisca un'inammissibile forzatura.

7.- Con il quinto motivo di censura, ripetitivo dei motivi VII e VIII del ricorso originario, l'appellante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 88 cod. proc. amm. e illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza appellata per invalidità propria e derivata degli atti presupposti alla revoca, nonchè violazione e falsa applicazione della legge regionale del Lazio n. 21/2006 e del regolamento regionale n. 1 del 2009.

L'appellante contesta la sentenza laddove non avrebbe dato rilevanza alla circostanza che l'azione di pianificazione del Municipio sarebbe illegittima con riguardo alla normativa regionale, in quanto non vi sarebbe armonizzazione delle procedure di rilascio delle o.s.p. e perché non si sarebbe tenuto conto della salvaguardia dei livelli occupazionali e della continuità imprenditoriale degli esercizi di somministrazione già esistenti ed operanti nel centro storico.

7 a. - La censura non è condivisibile.

L'art. 1 della legge regionale del Lazio 29 novembre 2006, n. 21, indica quali finalità della disciplina dello svolgimento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, tra le altre: " n) il giusto equilibrio tra gli obblighi di tutela dei contesti ambientali, artistici ed architettonici e l'esigenza di occupazione di suolo pubblico per le attività di somministrazione di alimenti e bevande, con particolare riferimento alle piazze e alle vie dei centri storici ed ai centri commerciali naturali, al fine di perpetuare usi e tradizioni locali e salvaguardare l'occupazione; o) la salvaguardia dei locali storici; p) il corretto equilibrio tra la necessità di sviluppo economico ed occupazionale e quella di tutela dei cittadini con particolare riferimento alla riduzione dell'inquinamento acustico".

L'art. 2, comma 1, del regolamento della regione Lazio n. 1/2009, del pari precisa che: "I comuni, nell'adozione degli atti in materia di occupazione di suolo pubblico, tengono conto dei seguenti criteri generali:... d) garanzia dell'equilibrio tra lo svolgimento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, di seguito denominate attività di somministrazione, e le esigenze di tutela e di promozione degli aspetti storico-artistici nell'ambito dei contesti urbani in cui le suddette attività sono insediate, con particolare riferimento ai centri storici e alle aree relative alla cosiddetta città consolidata".

Si tratta, come appare evidente, di operare una valutazione discrezionale complessa che non può risolversi tout court a vantaggio dello sviluppo economico ed occupazionale, ma che necessita di un bilanciamento tra interessi che devono convivere in modo ordinato. Sotto questo profilo i criteri contenuti nel P.M.O. non appaiono viziati da illogicità, contraddittorietà o ingiustizia manifesta. Infatti, con la delibera del consiglio municipale è stato approvato l'elaborato tecnico predisposto dalla commissione tecnica per la redazione del piano di massima occupabilità relativo a piazza delle Coppelle, sulla scorta di criteri particolarmente articolati, che rassicurano, come correttamente sottolineato dal Giudice di prime cura, in ordine all'avvenuta ponderazione di tutti gli interessi in gioco.

8.- Con il sesto motivo di censura, ripetitivo del IX motivo del ricorso originario, l'appellante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 88 del cod. proc. amm.; illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza appellata per invalidità propria e derivata degli atti presupposti alla revoca per violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97 Costituzione; violazione dell'art. 49 del d.lgs. n. 267 del 2000.

L'appellante sostiene l'illegittimità del provvedimento impugnato in quanto non sarebbe stato richiesto preventivamente il parere del ragioniere generale sulla sua regolarità contabile , stante il decremento che avrebbe prodotto nelle entrate comunali.

8.a Orbene, diversamente da quanto assunto dalla società Ital Eventi s.r.l., il T.A.R. ha correttamente evidenziato che l'amministrazione comunale deve procedere, nel determinarsi, ad una valutazione discrezionale complessa che non può risolversi tout court a vantaggio dello sviluppo economico ed occupazionale, ma che necessita di un bilanciamento tra interessi che devono convivere in modo ordinato.

Deve convenirsi con il T.A.R., peraltro, che non appare sussistere alcuna legittimazione della ricorrente ad avanzare censure in ordine alla asserita mancanza di uno studio sull'impegno di spesa o la diminuzione di entrate e sulla assenza del parere, asseritamente necessario, del ragioniere generale in ordine alla “regolarità contabile” della delibera impugnata.

In tale quadro, poi, non assumono rilevanza primaria eventuali perdite occupazionali e eventuali mancate entrate di natura tributaria conseguenti alla decadenza di concessioni di O.S.P. nel centro storico, prevalendo su qualsiasi altro interesse, l'interesse pubblico alla salvaguardia dei luoghi storici e artistici della Città.

9.- Con il settimo motivo di censura, ripetitivo del X motivo del ricorso originario, l'appellante lamenta: violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 88 del cod. proc. amm. e illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza appellata per invalidità propria e derivata degli atti presupposti alla revoca per violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 285 del 1992 e del d.P.R. n. 495 del 1992; eccesso di potere per violazione del principio di ragionevolezza; difetto di istruttoria, disparità di trattamento, sviamento, arbitrarietà, violazione del legittimo affidamento e manifesta ingiustizia.

L'appellante sostiene che i criteri assunti dalla commissione tecnica sarebbero illegittimi ed arbitrari e generici al punto da renderne l'applicazione non facilmente sindacabile.

9.a - Deve osservarsi, al riguardo, che l'individuazione delle aree da ricomprendere nei piani di massima occupabilità e gli stessi criteri in virtù dei quali operare detta individuazione, costituiscono espressione della discrezionalità amministrativa e come tali sono sottratti al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salva l'ipotesi della manifesta irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà ed illogicità delle scelte e salvo il caso che queste ultime siano determinate da un altrettanto macroscopico travisamento dei fatti.

Nel caso di specie, tali evenienze negative non si sono verificate, non potendo evidentemente coincidere con le diverse soggettive opinioni della società appellante, che in realtà si atteggiano come mero dissenso alle diverse determinazioni dell'amministrazione.

I criteri utilizzati dall'amministrazione per la individuazione dei piani di massima occupabilità, quali l'esistenza per le singole aree considerate di precedenti richieste di occupazione di suolo pubblico e la vicinanza dell'area considerata con altre zone già sature di attività di somministrazione, lungi dal costituire inammissibili restrizioni alla libera attività commerciale ed in generale alla concorrenza, rappresentano ragionevoli e non illogici né arbitrari elementi di astratta valutazione degli interessi pubblici in gioco, ai fini del corretto ed adeguato assetto del territorio e della loro efficace disciplina, cui è finalizzata la stessa adozione dei piani in questione. Non può, pertanto, neppure ipotizzarsi una pretesa disparità di trattamento tra operatori economici che siano già titolari di concessioni e operatori cui non sarebbe consentito di fruire di tali titoli. D'altra parte, non è seriamente contestabile l'alto pregio storico-culturale dell'area di cui si discute, così che anche la sola esistenza di un futuro progetto di sistemazione dell'area non costituisce un mero espediente sviato per negare le concessioni di O.S.P., come sostenuto dall'appellante.

Legittimamente l'amministrazione ha esercitato il proprio potere di recesso dalle concessioni rilasciate precedentemente all'adozione del piano contestato, avvalendosi del diritto di non rinnovarle, ab origine convenuto.

L'obiettivo perseguito è chiaro e consiste nell'adeguare la situazione materiale alle previsioni e prescrizioni dello strumento pianificatorio, le quali rimarrebbero inattuate se fosse impedito di intervenire sulle concessioni di occupazione di suolo pubblico preesistenti.

Pertanto, altro non rimaneva al Municipio che disdettare queste ultime, così da rendere il nuovo piano applicabile a tutti i potenziali concessionari, ivi compresi quelli nei confronti dei quali sono state emesse le disdette, ai quali è stato rivolto l'invito a presentare nuove istanze. E' ancora il caso di sottolineare che la pretesa dell'appellante si pone in evidente contrasto con le caratteristiche dello strumento concessorio e con la regolamentazione convenzionale ad esso accessiva.

Giova al riguardo evidenziare che pur dandosi luogo a moduli di stampo consensuale, gli stessi devono comunque essere conformi al pubblico interesse a cui le concessioni amministrative rispondono, il quale pubblico interesse consiste nell'uso particolare di un bene pubblico se e nella misura in cui questo sia conforme al primo.

In questa chiave si spiega la natura precaria di detto uso, vale a dire la sua soggezione al potere di disdetta dell'amministrazione concedente.

9 b. - Quanto alla circostanza che i criteri per la redazione dei piani sarebbero stati definiti solo dalla commissione tecnica, è da condividersi quanto evidenziato dal T.A.R., laddove il Tribunale ha ritenuto che l'approvazione dei citati criteri sarebbe avvenuta in re ipsa, con l'approvazione da parte del consiglio di municipio (deliberazione n. 2/2011) della scheda di dettaglio del piano.

10.- Con il nono motivo di censura l'appellante lamenta, infine, violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 88 del cod. proc . amm., in relazione all'art. 1, commi 1 e 2 della legge n. 27/2012 (così detto decreto liberalizzazioni), che richiama il contenuto dell'art. 3 della legge 148/2011 (rectius art. 3 del D.L. n. 138/2011), applicabile, a suo parere, al caso di specie.

10.a - La censura è infondata.

Al riguardo occorre prendere in considerazione la legislazione nazionale e comunitaria succedutasi nel tempo e in particolare il D.L. n. 223/2006, la direttiva 2006/123/CE con la relativa legge di recepimento (decreto legislativo n. 59/2010) fino ai più recenti decreti "Salva Italia" (D.L. n. 201/2011, con legge n. 214/2011) e "Cresci Italia" (D.L. n. 1/2012, convertito con legge n. 14/2012).

Orbene, nella normativa in questione è posto in rilievo, costantemente, il carattere preminente dei valori costituzionalmente garantiti, di salvaguardia del patrimonio ambientale, storico - artistico e culturale del Paese, rispetto ai quali la libertà di concorrenza, cui tende la liberalizzazione delle attività commerciali, può subire limitazioni nell'ambito di una programmazione volta a contemperare i bisogni delle imprese commerciali, ivi compresi i pubblici esercizi, con le esigenze di sostenibilità ambientale e con la salvaguardia dei valori storico - artistici del contesto del territorio di riferimento.

Nella medesima linea si pone la giurisprudenza della Corte Costituzionale in relazione alla sopra richiamata legislazione successiva (si ricordano tra le altre le sentenze n. 430 del 19 dicembre 2007, n. 299 del 19 dicembre 2012, n. 27 del 22 febbraio 2013, n. 38 del 15 marzo 2013 e n. 65 del 12 aprile 2013).

Circa la vigenza nel tempo di tali principi, pur nel divenire delle leggi in materia, si è poi già espressa questa Sezione, da ultimo con sentenza n. 1860 del 16 aprile 2014.

Occorre, ora, soffermarsi sul primo ed ottavo motivo di appello.

11. - Con il primo motivo di appello la Coppelle Services s.r.l. lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 88 del cod. proc. amm. ed errata qualificazione del provvedimento di cui alla nota prot. CA/92850, notificato in data 16/11/2012.

L'appellante richiama, in primo luogo, il provvedimento di autorizzazione all'occupazione di suolo pubblico n. 83325/2010 rilasciato dal Comune in data 25 ottobre 2010 a seguito dell'ordinanza del T.A.R. n. 3466/2010, resa in altro giudizio (R.g. n.6059/2010), conclusosi con sentenza n. 9017 del 18 ottobre 2013.

A parere dell'appellante, l'autorizzazione del 25 ottobre 2010, con cui l'amministrazione comunale aveva concesso all'Italian Food l'occupazione di suolo pubblico in piazza delle Coppelle, sino alla definizione del giudizio innanzi al Tar Lazio, sebbene fossero già in atto i piani di massima occupabilità, avrebbe garantito la ricorrente da successivi ripensamenti sino all'esito del detto giudizio.

La società fa presente, poi, che tale provvedimento era stato rilasciato successivamente all'adozione della delibera n. 6 del 25 febbraio 2010, con la quale il Comune stesso aveva definito le aree in cui istituire il piano di massima occupabilità (ove era stata inserita anche piazza di Coppelle) e dalla quale poi è scaturita la scheda di dettaglio del piano di massima occupabilità di cui alla delibera n. 2 del 31 gennaio 2011.

11.a- Orbene, circa la qualificazione del provvedimento prot. CA/92850 del 15.11.2012 e del rispetto da parte dell'amministrazione delle regole del giusto provvedimento, si richiama quanto già ampiamente rappresentato ai precedenti punti 4.b e 4.c..

Per il resto l'assunto non è condivisibile.

Come rilevato dal T.A.R., infatti, la delibera n. 2/2011 approvativa della scheda di dettaglio è sopravvenuta rispetto al provvedimento di autorizzazione del 25 ottobre 2010 e ha, pertanto, imposto una nuova disciplina del rapporto concessorio; da ciò la legittimità dell'atto di revoca della concessione stessa, avvenuta con provvedimento del 15 novembre 2012.

In particolare la nota n. 83325 del 2010, con cui l'amministrazione comunale ha concesso all'Italian Food l'o.s.p. a piazza delle Coppelle, sino alla definizione del giudizio innanzi al T.A.R. Lazio, sebbene fossero già in atto i piani di massima occupabilità, non si pone in contrasto con la nuova decisione del Comune del 15 novembre 2012, perché precedente all'approvazione della scheda di dettaglio del piano di massima occupabilità relativo a piazza delle Coppelle di cui alla delibera di C.M. n. 2 del 31 gennaio 2011, di contenuto vincolante per l'amministrazione.

Poiché, infatti, la scheda di piano non prevedeva alcuna occupazione al civico 49 di piazza delle Coppelle, alla pari di quanto ha fatto con le altre concessioni in scadenza il Comune, con nota n. 92850 del 16 novembre 2012 ha disdettato la concessione demaniale, interinalmente rilasciata all'interessata con nota prot. 83325 del 25 ottobre 2010 a decorrere dall'1 gennaio 2013, essendo incompatibile con il nuovo P.M.O..

12.- Con l'ottavo motivo di censura l'appellante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 64 e 88 del cod. proc. amm. e degli artt. 115 e 116 del cod. proc. civ.; illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza appellata per violazione e falsa applicazione dei criteri assunti dalla Commissione tecnica; eccesso di potere per erroneità nei presupposti di fatto e di diritto, ingiustizia manifesta, sproporzionalità.

L'appellante sostiene che la concessione insisterebbe su "un tratto di strada breve, diritto e con buona visibilità" per cui, tenendo conto dei criteri ispiratori del piano di massima occubabilità, non vi sarebbe alcuna giustificazione all'eliminazione dell'occupazione e, al riguardo, l'appellante ha depositato in atti una perizia tecnica asseverata dall'arch. Lattanzi.

12.a –Sul punto si osserva, fermo restando quanto già dedotto nel precedente motivo di appello, che le norme sulle partecipazione procedimentale non trovano applicazione in relazione ad atti generali e di pianificazione, tra i quali più che ragionevolmente devono farsi rientrare i piani di massima occupabilità, la cui funzione prescinde del tutto dalle singole posizioni degli interessati, essendo diretti a definire la disciplina generale delle occupazioni di suolo pubblico (da attuare poi attraverso i singoli provvedimenti di concessione), sforzandosi di coordinare nei limiti del possibile i vari interessi pubblici in gioco (circolazione, igiene, sicurezza, estetica, ambiente e tutela del patrimonio culturale).

Dall'altra parte, come più volte ribadito dalla giurisprudenza, gli istituti di partecipazione procedimentale non possono essere applicati in materia formalistica, ciò snaturando in definitiva la loro stessa funzione.

12.b -Non è irragionevole, poi, la pronuncia del T.A.R. circa l'inconferenza della perizia tecnica di parte, perché in quest'ultima non vi è prova alcuna della violazione, da parte dell'amministrazione, dei criteri generali da essa datasi, in occasione della redazione della scheda di piano di massima occupabilità oggetto di impugnazione, né è correlatamente censurabile la determinazione del Tribunale di non ricorrere ad attività istruttorie.

Come evidenziato dal T.A.R., i criteri tecnici approvati dalla commissione in data 9 novembre 2010, sono molto articolati e dettagliati e se la loro applicazione è certamente suscettibile di sindacato di legittimità in sede giurisdizionale, è pur vero che l'appellante avrebbe dovuto dimostrare specificatamente la manifesta illogicità di detti criteri, sulla base dei quali non è stata assentita l'occupazione del suolo antistante l'esercizio commerciale, mentre la società si è limitata a sostenere che l'area in questione sarebbe interessata da un tratto di strada breve, diritto e con buona visibilità, differendo da altre aree interdette.

Le argomentazioni formulate non danno conto della illogicità o della violazione dei criteri tecnici elaborati e analiticamente richiamati, né viene dimostrato che l'area antistante l'esercizio di piazza delle Coppelle n. 49 sarebbe - come deve essere - distante oltre mt. 3,50 rispetto alla linea di transito veicolare, oltre mt. 2 rispetto alla sezione per il transito pedonale sul marciapiede rialzato e oltre mt. 1 rispetto alla sezione libera per il transito pedonale, in strada a senso unico di marcia senza marciapiede rialzato etc.. Vale a dire che si sarebbe dovuto provare che la suddetta area rispetta tutte le distanze e le condizioni elaborate in sede di criteri tecnici, ma ciò non è stato, né poteva essere fatto.

Conclusivamente l'appello è infondato e va respinto.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in misura di euro 5.000,00 (cinquemila) in favore del'appellata Roma capitale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante, soccombente, al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in misura di E. 5000,00 (cinquemila/00) in favore dell'appellata Roma Capitale .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:

Alessandro Pajno, Presidente

Fulvio Rocco, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere

Carlo Schilardi, Consigliere, Estensore

 		
 		
L'ESTENSORE		IL PRESIDENTE
 		
 		
 		
 		
 		

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/10/2014

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO
Avv. Antonino Sugamele

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