Accertamento della regolarità edilizia di manufatti realizzati ante ‘67 al di fuori dei centri abitati. Dubbia validità dei regolamenti comunali che, prima della entrata in vigore della L. 1150 del 1942, subordinavano la realizzazione di opere edilizie al previo ottenimento di una licenza.
T.A.R. Toscana, Sez. III, 29 maggio 2014, n. 899
N. 00899/2014 REG.SEN.
N. 02120/1997 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2120 del 1997, proposto da:
Miniati Paoli Pietro, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco D'Addario, Antonio Andreani e Luca Casagni Lippi, con domicilio eletto presso Studio Legale Associato Andreani in Firenze, via Fra Domenico Buonvicini, 21;
contro
Comune di Firenze, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesca De Santis e Annalisa Minucci, con domicilio eletto presso gli uffici della Avvocatura comunale in Firenze, Palazzo Vecchio - piazza Signoria;
per l'annullamento
del provvedimento dell'Assessore all'Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Firenze n. prot. 2218 in data 24 marzo 1997, comunicato in data 8 aprile 1997, con il quale è stata ingiunta al ricorrente la demolizione di una serie di manufatti realizzati sul fondo di sua proprietà sito in Firenze, Via G. D'Annunzio n. 218/A.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Firenze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 maggio 2014 il dott. Raffaello Gisondi e uditi per le parti i difensori M.C. Mannocci delegata da F. D'Addario e A. Minucci;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
L'Avv. Pietro Paolo Miniati ricorre avverso l'ordinanza con cui il Comune di Firenze gli ha ingiunto la demolizione di alcuni manufatti esistenti in un immobile di sua proprietà consistenti un due vani in murature, due tettoie ed un ripostiglio realizzati dalla sua dante causa nel 1966 come accessori alla utilizzazione agricola del fondo adiacente.
Con il primo motivo di ricorso il Sig. Miniati denuncia la violazione dell'art. 40 della L. 47 del 1985 in quanto il Comune avrebbe applicato alla fattispecie un trattamento sanzionatorio basato su norme che non erano vigenti al momento della realizzazione dell'abuso.
Con il secondo motivo di ricorso vengono denunciati la violazione dei principi di buona fede ed affidamento ed il vizio di eccesso di potere per illogicità sviamento, difetto di motivazione atteso che il Comune avrebbe adottato la contestata sanzione sulla base della asserita violazione della normativa edilizia ed urbanistica senza motivare in ordine all'interesse pubblico concreto che giustificherebbe la modificazione di una situazione di fatto consolidata da decenni sulla quale il proprietario aveva oramai risposto un legittimo affidamento.
Con il terzo motivo viene eccepita la violazione dell'art. 7 della L. 241/90 non avendo il Comune fatto precedere la inflizione della sanzione dalla comunicazione di avviso di avvio del procedimento.
Con il quarto motivo viene denunciata la violazione dell'art. 7 della L. 47 del 1985 sul presupposto che la costruzione oggetto della ordinanza al momento della sua realizzazione (primi anni '60 del secolo scorso) si sarebbe trovata al di fuori del centro abitato di Firenze e, pertanto, in base al disposto dell'art. 31 della L. 1150 del 1942, nel testo allora vigente, non avrebbe necessitato di licenza edilizia.
Con il quinto motivo di ricorso il Sig. Miniati deduce i vizi di eccesso di potere per contraddittorietà, insufficiente istruttoria, insussistenza di motivazione, illogicità, poichè l'autore del provvedimento non avrebbe tenuto in alcuna considerazione le puntuali annotazioni con le quali gli agenti della P.M., in sede di accertamento dei fatti, avrebbero rilevato che l'epoca di costruzione dei manufatti trovati in loco sarebbe risalita all'inizio degli anni '60 del 1900.
Con il sesto motivo il ricorrente lamenta che il Comune avrebbe illegittimamente posto a fondamento della ingiunzione la asserita mancanza del nulla osta previsto dalla L. 1497 del 1939 per le costruzioni su aree sottoposte a vincolo paesistico, sviando così dalla funzione tipica del potere esercitato che è di natura esclusivamente edilizia.
Si è costituito il Comune di Firenze il quale ha preliminarmente eccepito la improcedibilità del ricorso sul presupposto che l'ordinanza impugnata sarebbe decaduta per effetto della presentazione da parte del ricorrente di quattro istanze di sanatoria relative agli immobili di cui è stata ordinata la demolizione.
Il comune ha chiesto, in ogni caso, anche la reiezione del ricorso nel merito.
L'eccezione di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse è infondata.
Pur essendo venuta meno l'utilità della pronuncia di annullamento, occorre dare atto che il ricorrente ha prospettato un interesse ad ottenere una pronuncia di mero accertamento della legittimità degli atti impugnati da far valere nell'ambito di una successiva azione risarcitoria.
A tal fine egli ha dedotto che l'impugnata ingiunzione di demolizione, ancorchè sospesa in via cautelare, avrebbe, tuttavia, di fatto ostacolato la libera disponibilità dell'immobile scoraggiando i potenziali contraenti interessati al suo acquisto e avrebbe, inoltre, bloccato ogni possibilità di risanamento funzionale del bene anche dal punto di vista ambientale.
Non è compito del Collegio vagliare la fondatezza di tali affermazioni.
L'art. 34 c.p.a. pone a carico del ricorrente che, venuta meno in corso di giudizio l'utilità della pronuncia costitutiva di annullamento, intenda insistere per una sentenza accertamento della illegittimità degli atti impugnati, di allegare un interesse alla proposizione di una successiva domanda risarcitoria avente ad oggetto il ristoro del pregiudizio arrecatogli dagli atti medesimi.
Ai fini della sussistenza di tale interesse non occorre che la domanda risarcitoria sia stata effettivamente proposta nè occorre che il ricorrente dia una dimostrazione puntuale della effettiva esistenza di un danno, bastando che la futura richiesta risarcitoria appaia prima facie fondata su elementi plausibili e razionali dai quali possa trasparire la sua serietà. Cosa che, nel caso di specie, accade perchè, in effetti, l'ordinanza di demolizione adottata dal Comune di Firenze, ancorchè sospesa, ha generato un alea intorno alla futura sorte dei beni che potrebbe aver dissuaso potenziali compratori dal loro acquisto o depresso il prezzo di mercato degli stessi.
Anche prescindere dalle predette considerazioni, il Collegio non può, comunque, esimersi dall'osservare come il presente ricorso sia stato iscritto al ruolo nell'anno 1997.
Il fatto che il Sig. Miniati, nell'attesa della decisione, abbia cercato di conseguire attraverso strumenti stragiudiziali alternativi il bene che i tempi della giustizia non gli hanno consentito di ottenere non può costituire una valida ragione per determinarne l'infruttuosa conclusione del processo.
La richiesta di condono, invero, è stata presentata in via cautelativa e non certo perchè il Sig. Miniati abbia riconosciuto carattere abusivo dei manufatti a suo tempo realizzati (come dimostrano le contrapposte memorie fino all'ultimo presentate dalle parti); la controversia sul punto è, quindi, ancora viva così come è vivo l'interesse alla sua decisione anche se il provvedimento che ne ha determinato l'insorgenza ha perduto la sua efficacia: una eventuale sentenza favorevole, infatti, farebbe venir meno la necessità di ottenere la (peraltro solo eventuale) sanatoria e consentirebbe al ricorrente di evitare il pagamento degli onere ad essa connessi.
Tanto premesso in linea di fatto reputa il Collegio che il giudice amministrativo, ove sussista l'interesse della parte, possa adottare sentenze meramente dichiarative anche al di fuori delle ipotesi tipiche previste dagli art. 31 commi 1 e 5 e 34 comma 3.
Nella impostazione del nuovo codice del processo amministrativo, infatti, il contenuto della decisione deve modellarsi intorno alle necessità di tutela della posizione soggettiva dedotta in giudizio (art. 34 comma 1 lett. c); necessità che, in casi particolari, come quello di specie, possono richiedere la adozione di una sentenza di accertamento anche qualora non occorra più eliminare gli effetti del provvedimento impugnato.
Ciò, beninteso, nel rispetto dei limiti generali che il c.p.a. pone ai poteri decisori del g.a. i quali sono costituiti dal divieto di pronunciarsi su questioni afferenti poteri non ancora esercitati, dal divieto di accertare la fondatezza della pretesa al di fuori dei casi in cui si tratti di attività vincolata o non residuino ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e dal divieto di adottare sentenze costitutive che pongano in essere un nuovo atto, modifichino o riformino quello impugnato al di fuori dei casi di giurisdizione di merito.
Nessuna di queste ipotesi, però, ricorre nella specie posto che la richiesta sentenza dichiarativa verte su questioni di fatto e di diritto non implicanti apprezzamenti discrezionali intorno alle quali il Comune di Firenze si è già definitivamente pronunciato.
Nel merito il ricorso è fondato.
In particolare, merita favorevole ed assorbente considerazione il quarto motivo di ricorso con il quale il Sig. Miniati afferma che le opere di cui è stata ordinata la demolizione, all'epoca in cui furono eseguiti i lavori, (inizio degli anni '60 del 1900), potevano essere legittimamente realizzate senza necessità di alcun titolo edilizio in quanto l'art. 31 della L. 1150 del 1942, nel testo allora vigente, non prescriveva il rilascio della licenza edilizia per le costruzioni realizzate su terreni ricadenti al di fuori del centro abitato.
In linea di fatto l'affermazione contenuta nel motivo risulta suffragata dal verbale degli agenti di P.M. che hanno redatto il verbale di accertamento e non puntualmente contestata dal Comune di Firenze durante il corso del procedimento e nelle memorie depositate in giudizio.
Il Comune di Firenze contesta, invece, la tesi del ricorrente in linea di diritto, affermando che nel suo territorio l'obbligo di ottenere un permesso edilizio anche per le costruzioni realizzate al di fuori del centro abitato vigeva ancor prima della entrata in vigore della L. 765 del 1967 (che, modificando le originarie previsioni dell'art. 31 della l.u., ha esteso a tutto il territorio comunale il sistema di controllo preventivo delle nuove costruzioni), in quanto previsto da un regolamento edilizio risalente al 1931.
Si tratta di una tesi che il Collegio non condivide.
Come questo Tribunale ha in altre occasioni affermato, ai fini dell'accertamento della regolarità edilizia di manufatti realizzati al di fuori dei centri abitati in epoca anteriore alla entrata in vigore della L. 765 del 1967, assume rilevanza esclusiva la norma primaria sopravvenuta di cui all'art. 31 della L. 1150 del 1942 che ha disciplinato la materia con efficacia cogente su tutto il territorio nazionale introducendo l'obbligo di preventivo titolo abilitativo limitatamente agli immobili ricadenti nei centri abitati (Cons. Stato, V, 21/10/1998 n. 1514; TAR Toscana, III, 29/01/2009 n. 52, id. 4/02/2011 n. 197).
Detta norma deve considerarsi prevalente rispetto alla disciplina regolamentare preesistente atteso che, come ha sancito la Corte Costituzionale nella sentenza 303 del 2003, la disciplina dei titoli abilitativi rientra nell'ambito dei principi fondamentali della materia edilizia che la Costituzione (anche prima della riforma del Titolo V) riservava e ancora oggi riserva allo Stato al fine di garantire uno standard uniforme di trattamento del diritto di proprietà su tutto il territorio nazionale anche in coerenza con la riserva di legge prevista dall'art. 42 Cost.
In base ai suddetti principi la delimitazione dei confini fra attività edilizia libera ed attività edilizia soggetta a permesso preventivo spetta alla legge dello Stato e non può, invece, essere frutto di una regolamentazione a macchia di leopardo dettata dai regolamenti dei singoli comuni.
Ne consegue che, una volta sancito da parte del legislatore che l'esercizio dello jus aedificandi è subordinato al rilascio del permesso edilizio solo nell'ambito dei centri abitati non è in facoltà dei comuni estendere tale limitazioni oltre i confini sanciti dalla legge e i regolamenti che ciò prevedano devono intendersi abrogati in quanto contrastanti con la disposizione legislativa letta nel quadro dei sopra menzionati principi costituzionali.
Peraltro, vi sono fondate ragioni di dubitare anche della originaria validità delle previsioni dei regolamenti comunali che, prima della entrata in vigore della L. 1150 del 1942, subordinassero la realizzazione di opere edilizie al previo ottenimento di una licenza.
Invero, l'art. 111 del r.d. 297 del 1911, che disciplinava il contento che avrebbero potuto assumere i regolamenti edilizi comunali, nulla stabiliva in ordine alla possibilità di assoggettare l'esercizio dello jus aedificandi a permesso preventivo.
Difettava, perciò, anche allora (1931) in capo ai comuni il potere di introdurre senza base legale una siffatta (non indifferente) limitazione al contenuto del diritto di proprietà del quale l'art. 29 dello Statuto Albertino sanciva la inviolabilità ammettendone solo l'espropriazione per ragioni di pubblico interesse e previo indennizzo; prova ne il fatto che, prima dell'intervento della l. n. 1150 del 1942, l'istituto della licenza edilizia fu disciplinato con legge prima dal R.D.L. 640 del 1935 (che la rese obbligatoria nell'ambito dei centri abitati) e poi con il R.D.L. 2105 del 1937 (che estese il predetto obbligo a tutto il territorio comunale) poi superato dalla legge urbanistica del 1942 che è la normativa di riferimento rispetto alla data di esecuzione delle opere in contestazione.
Le conclusioni di cui sopra non possono, peraltro, essere superate dal disposto dell'art. 31 comma 5 della L. 47 del 1985 che (soprattutto per esigenze di "cassa") ha esteso la necessità del condono agli interventi anteriori al 1967 per i quali fosse stata richiesta anche dai regolamenti edilizi comunali la licenza di costruzione.
Invero, i regolamenti edilizi a cui fa riferimento la suddetta norma non possono che essere regolamenti validi in quanto conformi alla normativa primaria e costituzionale vigente al momento della loro adozione; e tali, per le ragioni già dette, non possono considerarsi quei regolamenti che prima o dopo la l.u. hanno introdotto ex novo un regime autorizzatorio non previsto dalla legge dello Stato.
Qualora si volesse conferire all'art. 31 comma 5 una portata retroattiva di convalida di regolamenti illegittimamente adottati la norma incorrerebbe in seri problemi di costituzionalità in quanto avrebbe come effetto quello di attribuire in via retroattiva una patente di illiceità ad interventi edilizi che, secondo la disciplina primaria vigente al momento della loro realizzazione, non avrebbero potuto essere sottoposti ad alcuna autorizzazione.
Nel caso di specie, pertanto, alcuna valenza può attribuirsi all'art. 1 del regolamento edilizio del comune di Firenze adottato con atto podestarile del 29 dicembre 1931 il quale, non avendo una base legale al momento della sua emanazione e contrastando con la disciplina sopravvenuta posta dall'art. 31 della legge urbanistica del 1942 deve essere disapplicato.
I manufatti di cui all'impugnata ordinanza di demolizione devono ritenersi, pertanto, legittimamente edificati in conformità alle previsioni legislative vigenti al momento della loro realizzazione e deve, quindi, essere dichiarata la illegittimità dell'ordinanza impugnata che ne ha ingiunto la demolizione.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione III, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara improcedibile l'azione di annullamento e accoglie il ricorso stesso ai sensi dell'art. 34, comma 3, del c.p.a. ; per l'effetto, dichiara la illegittimità del provvedimento impugnato ai sensi di cui in motivazione.
Condanna il comune di Firenze alla refusione delle spese di lite che liquida in Euro 2.000 oltre IVA e c.p.a.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 13 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Maurizio Nicolosi, Presidente
Riccardo Giani, Consigliere
Raffaello Gisondi, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/05/2014
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
20-06-2014 14:44
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