Vincoli di inedificabilità di natura strumentale.
Cons. St., Sez. V, 31 ottobre 2013, n. 5251
N. 05251/2013
N. 11332/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
sul ricorso numero di registro generale 11332 del 2003, proposto dalla Societa' Farmdale Developments Limited, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Alessandra Sandulli, con domicilio eletto presso la medesima in Roma, corso Vittorio Emanuele II 349;
contro
Comune di Roma;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II BIS, n. 8439/2002, resa tra le parti, concernente diniego concessione edilizia per costruzione albergo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2013 il Cons. Nicola Gaviano e udito per la parte appellante l'avv. Sandulli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La Società Veronese '84 S.p.a. in data 12 maggio 1995 presentava al Comune di Roma – Rip. XV un progetto (prot. n. 23925) teso ad ottenere la concessione edilizia per la costruzione di un albergo, da realizzare su di un'area della Capitale in via P.Veronese – via A.Mantegna della superficie di mq 3.500, in zona D (completamento) del Piano Regolatore. La proprietà dell'area nel frattempo veniva trasferita con atto del 22 dicembre 1995 alla Società Farmdale Development Limited, mentre la Società Veronese '84 ne acquisiva la gestione.
Il Comune di Roma, nella persona del Dirigente Superiore Reggente la competente Ripartizione XV – Edilizia privata, respingeva la domanda di concessione con provvedimento negativo n. prot. 411/96 dell'8 maggio 1996, notificato alla Società Veronese il successivo 26 settembre 1996.
Ne scaturiva il ricorso delle due società al T.A.R. del Lazio avverso tale provvedimento reiettivo, impugnato unitamente alla delibera di C.C. del 14.9.1995 n. 203, da esso espressamente menzionata (recante controdeduzioni alle osservazioni alla delibera di G.M. n. 3622/90 di adozione della variante al P.R.G. per il reperimento di aree per servizi e verde pubblico). Venivano altresì contestualmente impugnate le delibere del C.C. n. 157 del 27 luglio 1995 e n. 158 del 27/31 luglio 1995, aventi rispettivamente ad oggetto la perimetrazione dei centri abitati ai sensi dell'art. 41 quinquies L. n. 1150/1942, come modificato dall'art. 17 L n. 765/1967, e la definizione delle zone omogenee di cui allo stesso articolo per l'applicazione del Decreto Interministeriale del 2.4.1968 n. 1444, delibere entrambe richiamate dalla già citata n. 203/1995.
Le numerose censure dedotte dalle società ricorrenti sarebbe state così sunteggiate dal Giudice adìto:
A) Censure a carico della Determinazione Dirigenziale n. 411/1996, avente ad oggetto il diniego di concessione edilizia:
1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 2 della L. 1187 del 19.11.1968. Eccesso di potere per errore dei presupposti. Conseguente violazione dei contenuti sostanziali della disciplina della zona D di cui all'art. 7 delle N.T.A. del P.R.G.. In sintesi: il progetto edilizio è conforme alla disciplina sostanziale prevista per la zona D; il Comune non può opporre con il provvedimento impugnato il vincolo di attesa dei piani particolareggiati, tenuto conto che tale vincolo è decaduto per decorso del quinquennio di efficacia;
2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 delle N.T.A. del P.R.G.. Eccesso di potere per errore e falsità dei presupposti. In sintesi: lo strumento attuativo nel caso in esame comunque non necessita, essendo l'area ubicata in zona già edificata e urbanizzata;
3) Violazione e falsa applicazione dell'art. 17, 8° e 9° comma, L. n. 765/1967 e del D.M. n. 1444/68. Violazione dei giudicati aventi efficacia erga omnes. In sintesi: con l'impugnato provvedimento si asserisce che l'area sarebbe carente secondo la delibera C.C. n. 203/95 di standards urbanistici, ma la disposizione, introdotta dalla Regione come modifica alla variante adottata con delibera C.C. 2632/74, che prescriveva l'inedificabilità di tutte le aree inedificate in zona D in funzione di esigenze di standards urbanistici, è stata annullata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 784/87, avente efficacia erga omnes: pertanto la zona D non è sottodimensionata quanto a standards; inoltre il Comune di Roma, dopo l'annullamento, non ha provveduto, come in casi analoghi, ad individuare nella zona D determinate aree inedificate attribuendo ad esse specifiche destinazioni vincolistiche M3 (servizi pubblici locali) ed N (Verde pubblico di quartiere);
B) Vizi a carico della delibera di C.C. del 14.9.1995 n. 203:
4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 10 L. n. 1150/42 e succ. modif. ed integrazioni. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà manifeste. In sintesi: la delibera n. 203/95 non si è limitata a formulare controdeduzioni alle osservazioni avverso la delibera di G.M. n. 3622/90, ma ha accorpato zone urbanistiche diverse di PRG e zone territoriali omogenee diverse ex D.M. 1444/68 in nuovi contesti territoriali definiti “Ambiti”; ha posto perciò in essere una variante di P.R.G., cosa non ammissibile in sede di delibera di controdeduzioni e, comunque, tale da richiedere una nuova pubblicazione; tale variante è inoltre intimamente contraddittoria avendo previsto che l'adeguamento complessivo degli standards doveva effettuarsi con successivo provvedimento;
5) Violazione e falsa applicazione dell'art. 17, 8° e 9° comma L. n. 765/67 e D.M. n. 144/68 sotto altro profilo: il Comune di Roma ha ignorato l'art. 4 del cit. D.M. applicando gli standards in misura normale, e non dimezzata, anche nelle zone A) e B) (la zona D di P.R.G. corrisponderebbe ad una zona omogenea B);
6) Violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 15 delle N.T.A. del P.R.G. Eccesso di potere per errore e falsità di presupposti. Mancato computo degli standards di alcuni comparti e aree già vincolate. In sintesi: con la delibera n. 203/1995 il Comune ha omesso di considerare le zone I di P.R.G.; alcuni comparti, tra cui “Cristoforo Colombo” confinante con l'area in esame, presentano un saldo complessivo per spazi pubblici pari a 562 ha; la tab. 3 della delib. 3622/90, relativa agli standards a livello urbano indica saldi attivi per servizi pubblici e verde pubblico; la tab. 2, relativa agli standards di quartiere, indica saldi attivi o negativi per le varie Circoscrizioni; manca qualsiasi calcolo di compensazione tra superfici in esuberanza, prevalenti, e superfici in deficit.;
7) Violazione e falsa applicazione del D.M. n. 1444/68 e art. 17, VIII e IX comma L. n. 765/67. Eccesso di potere per errore e difetto di presupposti nonché per illogicità e contraddittorietà manifeste. Eccesso di potere per carenza di istruttoria. In sintesi: l'Amministrazione non ha tenuto conto della variante di P.R.G. n. 74/79, con la quale erano stati reperiti gli standards un misura più che sufficiente, applicando indici per spazi e servizi pubblici superiori a quelli del D.M. cit.; con la delibera 3622/90 l'Amministrazione ha provveduto alla riconferma in blocco degli stessi precedenti vincoli sugli stessi siti, non tenendo conto che le previsioni originarie di P.R.G., erano state modificate a seguito di eventi urbanistici sopravvenuti (Varianti generali e speciali, P.T.P., P.U.P ecc.), che avevano comportato una riduzione di esigenze di standards; in relazione a ciò l'Amministrazione non avrebbe dovuto concludere nel senso di una asserita carenza di standards nella zona di riferimento;
8) In subordine, eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà manifeste, nonché per difetto di motivazione e di istruttoria sotto altro profilo. In sintesi: la delibera impugnata senza istruttoria e motivazione ha proceduto ad una delimitazione dei c.d. ambiti, diversa e in contrasto con quella effettuata in precedenza (delibere C.C. n. 2982/77 e n. 158/95);
9) a)Violazione e falsa applicazione dell'art. 17, 8° e 9° comma L. n. 765/67 e D.M. n. 144/68 sotto altro profilo. b) Eccesso di potere per illogicità manifesta. In sintesi: l'Amministrazione ha illegittimamente creato la categoria dei c.d. ambiti, non prevista dalla normativa vigente, inserendo in uno stesso ambito una pluralità di zone urbanistiche di P.R.G. e di zone omogenee ex cit. D.M.; i criteri di delimitazione degli ambiti (caratteristiche fisiche del territorio, particolari linee di separazione del tessuto urbano) sono illogici, non essendo rilevanti le predette caratteristiche fisiche, ma solo quelle urbanistiche, cioè le diverse Z.T.O.; gli ambiti, infine, non coprono l'intero territorio comunale, ma solo la parte interessata dalle osservazioni dei privati;
10) Violazione dei principi generali in materia di pianificazione ed in particolare dell'art. 7 e seguenti della L. n. 1150/42, nonché dell'art. 3 della L.R. n. 72/75 e dell'art. 7 della L.R. n. 36/87 in relazione all'art. 7, 8° e 9° c. L. n. 765/67 e del D.M. n. 1444/68. Eccesso di potere per illogicità manifesta. In subordine, difetto di motivazione. In sintesi: in base ai principi espressi dalla normativa statale e regionale l'operazione di individuazione delle Z.T.O. deve essere effettua in sede di formazione e approvazione dello strumento urbanistico generale: sono pertanto illegittime la delibera C.C. n. 158/95 e la delibera n. 203/95, la prima che ha individuato le Z.T.O. e la seconda che ha individuato i c.d. ambiti, tutto ciò con atto autonomo e non in sede di formazione e approvazione di una variante al P.R.G., con conseguente violazione della normativa statale sul procedimento in materia di P.R.G. e delle Varianti, e con conseguente violazione del principio di partecipazione al procedimento mediante la presentazione di osservazioni; in subordine, l'Amministrazione non avrebbe potuto comunque provvedere per la sola parte di territorio interessata dalle osservazioni dei privati; l'Amministrazione ha omesso gli adempimenti previsti dall'art. 3 della L.R. n. 75/1972; in subordine, ha omesso qualsiasi motivazione in ordine all'iter logico seguito;
11) Violazione e falsa applicazione della Legge 1902/52 e succ. mod. e integrazioni. Eccesso di potere per carenza di presupposti. In sintesi: la delibera impugnata, in quanto atto endoprocedimentale, non avrebbe potuto far scattare le misure di salvaguardia
C) Censure relative alla delibera di C.C. n. 157/95:
12) A) Violazione e falsa applicazione dell'art. 41 quinquies :L. n. 1150/42 come modificato dall'art. 17 L. n. 765/67 e dell'art. 4.u.c. L n. 10/77.; B) Incostituzionalità della normativa di cui agli art. 17, I e III comma e 4, u.c., L. n. 10/77 ove applicabile anche ai Comuni forniti di strumento urbanistico generale e della L.R. n. 86/90. In sintesi. La delibera n. 157/95 ha provveduto alla perimetrazione del centro abitato di cui all'art. 17 L. n. 765/676 motivando col fatto che, secondo la giurisprudenza, tutte le destinazioni ai fini pubblici del P.R.G. perdono efficacia col decorso di un quinquennio, e che il regime delle aree così svincolate è quello previsto dall'art. 4.u.c. L. n. 10/77. In realtà, però, tale giurisprudenza (.C.S., A.P., n. 7, 10 e 12/1984) contrasta con i principi affermati dalla C.Cost. (sent. n. 92/1982), che in questi casi prevede l'applicazione della disciplina delle zone omogenee. Conseguentemente la perimetrazione operata è illegittima. In via subordinata la normativa in questione sarebbe incostituzionale per violazione dell'art. art. 42, c.3, Cost., perché la disciplina di cui al cit. art. 4 u.c è maggiormente limitativa dello ius aedificandi rispetto alla disciplina decaduta, imponendo un vincolo sostanzialmente equivalente a quello precedente di in edificabilità, ma oltre il termine quinquennale; per le medesime ragioni è incostituzionale la L.R. n. 86/90 che ha equiparato l'ipotesi di aree comprese in strumenti urbanistici vigenti ma con destinazioni urbanistiche scadute a quella dei Comuni sprovvisti di strumenti urbanistici (cui esclusivamente si riferisce il cit. art. 4, u.c.);
C) Censure relative alla delibera di C.C. n. 158/95:
13) Violazione dei principi generali in materia di pianificazione, ed in particolare dell'art. 7 e seguenti della L. n. 1150/42, nonché dell'art. 3 della L.R. n. 72/75 e dell'art. 7 della L.R. n. 36/87 in relazione all'art. 17, 8° e 9° c, L. n. 765/67 e del D.M. n. 1444/68. Eccesso di potere per illogicità manifesta. In subordine, difetto di motivazione. La delibera n. 158/95, violando la normativa statale e regionale, ha individuato le Z.T.O. con atto separato e autonomo e non in sede di formazione e approvazione di una variante al P.R.G. (si rinvia a quanto dedotto avverso la delibera 203/95 nel 10° motivo);
14) In subordine [al precedente motivo] : A) Eccesso di potere per errore e falsità di presupposti, per contraddittorietà ed illogicità manifeste; B) Violazione degli artt. 9 e 10 L.U. 1150/42 e sue successive modificazioni. In sintesi: A) la delibera n. 158/95 ha affermato di non costituire variante ma di essere solo uno strumento di lettura del territorio, ma in realtà ha operato una serie di modificazioni alle destinazioni di P.R.G. (ritenendo superata la destinazione B1, B2 e B3 di alcune zone); B) la delibera è di variante ma concretizza la violazione dei cit. Art. 9 e 10 L.U. (si rinvia alle ragioni esposte nel motivo 10 sub b);
15) Più in subordine [rispetto ai due precedenti motivi]: violazione sotto altro profilo degli artt. 9 e 10 L.U. n. 1150/42 e sue successive modificazioni. In sintesi: anche se la delibera in esame non costituisse una variante, la stessa, avendo stabilito che le Z.T.O. sono propedeutiche a una revisione complessiva degli standards, e avendo operato una sottoclassificazione zonizzativa, con conseguente evidenziazione della diversa dotazione e reperibilità degli standards, costituisce una parte o premessa essenziale rispetto alla quale la successiva Variante di P.R.G. risulterà obbligata, non consentendo la possibilità di interloquire con lo strumento delle osservazioni;
16) Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, del D.M. n. 1444/68, in particolare dell'art. 2. In sintesi: la delibera, ritenendo insufficiente per i Comuni di grandi dimensioni come Roma l'articolazione in Z.T.O. operata dal D.M., ha proceduto ad una sottoclassificazione zonizzativa, mentre avrebbe dovuto attivarsi per un adeguamento in parte qua del D.M. stesso;
17) Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, del D.M. 1444/68. Eccesso di potere per mancanza di istruttoria e di motivazione: l'Amministrazione non ha provveduto allo studio del territorio, ma ha semplicemente riperimetrato delle zone di P.R.G. con semplice raggruppamento di destinazioni di P.R.G. effettuate solo sulla carta;
18) Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà manifeste nonché per difetto di istruttoria e di motivazione sotto altro profilo: con l'impugnata delibera il Comune ha completamente ignorato la precedente delibera di C.C. n. 2982/77, con cui l'Amministrazione aveva già provveduto alla suddivisione in Z.T.O. (si rinvia a quanto dedotto nell'8° motivo avverso la delibera 203/95);
19) Violazione art. 17, 8° e 9° comma L. n. 765/67 e D.M. n. 1444/68 sotto altro profilo. Violazione dei giudicati aventi efficacia erga omnes. Eccesso di potere per contrasto con precedenti provvedimenti comunali. (si rinvia a quanto dedotto nei motivi 3°, 7° e 8° avverso la delibera 203/95);
20) Violazione e falsa applicazione del D.M. n. 1444/68: in particolare, dell'art. 2 in relazione all'art. 10 N.T.A. sulla zona G, sottozona G5 di P.R.G., e all'art. 14 N.T.A. sulla zona M sottozona M2 di P.R.G.. In sintesi: l'impugnato provvedimento ricomprende nelle Z.T.O. di tipo F, cioè di livello urbano, tutte le sottozone G5 ed M2, il che è illegittimo perché parte notevole degli impianti ed attrezzature di queste sottozone sono di scala di quartiere; ciò determina un artificioso sottodimensionamento degli standards urbanistici di quartiere; analoga censura vale anche per le zone N di verde pubblico.
21) Eccesso di potere per errore e falsità dei presupposti, per illogicità e contraddittorietà manifeste sotto altro profilo, nonché per genericità e difetto di istruttoria e di motivazione sotto altro profilo. In sintesi: la delibera del 1995 è stata adottata su un rilievo aereofotogrammetrico di ben 4 anni prima; inoltre ha utilizzato tavole in scala 1:25000, mentre il P.R.G. ha utilizzato tavole in scala 1:10.000;
22) Illegittimità derivata: il provvedimento di reiezione dell'istanza di concessione edilizia censurato nella parte A del ricorso, e la delibera n. 203/95 censurata nella parte B, quali atti strettamente consequenziali, si fanno portatori di tutte le illegittimità denunciate nei precedenti motivi a carico degli atti di cui alle parti C e D, e sono destinati a rimanere travolti per illegittimità derivata.
Il Comune di Roma, costituitosi nel relativo giudizio, chiedeva in via preliminare che il Tribunale verificasse la legittimazione attiva delle ricorrenti ed il loro interesse all'impugnativa, avuto riguardo al fatto che la Soc. Veronese, per sua stessa ammissione, aveva ormai venduto il terreno alla Soc. Farmdale.
L'Amministrazione obiettava, inoltre, che il diniego di concessione avversato aveva richiamato la delibera n. 203/95 non già in ragione del suo contenuto dispositivo, ma solo per la certificazione istruttoria, ad essa allegata, da cui risultavano le carenze degli standards: onde se oggetto del ricorso avrebbero dovuto intendersi gli aspetti formali o di collocazione fisica dell'accertamento il relativo gravame avrebbe dovuto ritenersi inammissibile per carenza di interesse.
Il ricorso sarebbe stato inoltre tardivo: e questo con particolare evidenza per le due deliberazioni del Consiglio Comunale più risalenti, che, non essendo atti normativi, laddove lesive di interessi concreti avrebbero dovuto essere immediatamente impugnate.
Infine, le censure attoree avrebbero dovute essere specificamente correlate al terreno di proprietà delle ricorrenti, mentre erano rimaste a livelli di inammissibile genericità ed astrattezza.
Nel merito, la difesa dell'Amministrazione opponeva l'infondatezza del ricorso.
Il Tribunale adìto con la sentenza n. 8439/2002 in epigrafe, disattesa l'eccezione comunale di difetto di legittimazione attiva e di interesse delle società ricorrenti, respingeva il loro gravame nel merito.
Seguiva la proposizione del presente appello da parte della (sola) Soc. Farmdale, che riproponeva le proprie censure, criticando le valutazioni con le quali il primo Giudice le aveva disattese.
Le doglianze dell'appellante venivano infine selettivamente riprese ed approfondite con una conclusiva memoria, con la quale, richiamati gli indirizzi giurisprudenziali più recenti, si insisteva per l'accoglimento dell'impugnativa.
Alla pubblica udienza dell'8 ottobre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
L'appello è fondato nei termini di seguito esposti.
1 Il provvedimento reiettivo della domanda di concessione edilizia oggetto dell'originario gravame (la determinazione dirigenziale n. 411 del 1996) è stato motivato sulla base della “relazione dell'Ufficio Tecnico che ha evidenziato il contrasto delle progettate opere con l'art. 7 delle N.T.A del P.R.G. (area priva di P.P. o di altro strumento attuativo e con standards urbanistici carenti secondo la delibera C.C. n. 203/95)”.
La relazione così richiamata, una volta constatato che il progetto prevedeva la costruzione di un albergo in zona D del P.R.G., su di un'area libera e in un ambito privo di piano particolareggiato o altro strumento attuativo, aveva fatto presente che il Dirigente Superiore della Ripartizione XV, con propria circolare, aveva impartito disposizioni nel senso che, nel caso di progetti ricadenti nella suddetta zona, lo strumento al quale doveva farsi riferimento per la puntuale analisi dello stato di fatto esistente era l'allegato C inserito nella Deliberazione del C.C. n. 203 del 14.9.95 (recante controdeduzioni alle osservazioni presentate avverso la deliberazione della G.M. n. 3622/90, ratificata con atto C.C. n. 448/1991, riguardante la Variante al P.R.G. per il reperimento di aree per Servizi e Verde Pubblico), allegato nel quale erano individuati 87 ambiti edificabili di riferimento.
Si precisava nella relazione che l'area del progetto di cui trattasi era individuata nell'ambito n. 61, nel quale, alla stregua del predetto allegato C, si riscontravano carenze di Servizi e Verde Pubblico, rispettivamente, nella misura di Ha 26,08 e 33,50.
Da ciò la relazione concludeva che “detto progetto va respinto per contrasto con l'art. 7 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G. in quanto area priva di Piano Part.to o altro Strumento Attuativo e con Standards Urbanistici carenti secondo quanto riportato nell'allegato ‘C' della delibera n. 203 citata”.
L'art. 7 delle N.T.A. subordinava, difatti, in via di principio l'attività edificatoria nelle aree libere della zona D all'adozione di “piani particolareggiati o altri strumenti attuativi”.
2 Tanto premesso, la prima doglianza riproposta dall'attuale appellante attiene all'intervenuta decadenza del vincolo c.d. strumentale di inedificabilità opposto dal Comune per scadenza del quinquennio previsto dalla legge.
Il mezzo non è suscettibile di valutazione positiva.
La società si richiama al tradizionale orientamento secondo il quale l'art. 2 comma 1 l. 19 novembre 1968 n. 1187, che prevede la durata quinquennale dei vincoli che comportano l'inedificabilità dei suoli, si riferisce a tutti i vincoli discendenti dal p.r.g., senza possibilità di distinzione tra vincoli di natura sostanziale e vincoli di natura solo strumentale, tra i secondi dei quali rientra la subordinazione dell'edificabilità di un'area alla previa formazione di un piano esecutivo (cfr. ad es. C.d.S., V, 14 aprile 2000, n. 2238; 6 marzo 1991, n. 223).
La Sezione deve però osservare che, pur rimanendosi sul terreno dell'orientamento tradizionale appena detto, la censura risulta comunque infondata.
La giurisprudenza ha infatti uniformemente escluso che la decadenza ex L. n. 1187/1968 dei vincoli strumentali previsti dallo strumento urbanistico possa applicarsi nei casi in cui, in alternativa al piano particolareggiato, sia prevista dal piano regolatore la possibilità di ricorso ad un piano di lottizzazione ad iniziativa privata. In questo ultimo caso, infatti, la possibilità di una pianificazione di livello derivato ad iniziativa privata, consentendo di porre rimedio ad eventuali inerzie o ritardi della P.A., esclude la configurabilità dello schema ablatorio, e quindi, conseguentemente, la decadenza quinquennale del relativo vincolo (C.d.S., IV, 24 marzo 2009, n. 1765; V, 3 aprile 2000, n. 1908). E nella fattispecie concreta si profila proprio una condizione siffatta, atteso che l'art. 7 delle N.T.A. subordinava l'attività edificatoria nelle aree libere della zona D all'adozione non solo di piani particolareggiati, ma anche, in alternativa e senza limitazioni, di “altri strumenti attuativi”.
Senza dire che l'indirizzo giurisprudenziale posto a base della doglianza comporterebbe che l'area in precedenza sottoposta a vincoli, anche strumentali, dopo la loro decadenza quinquennale risulterebbe priva di regolamentazione urbanistica (e quindi “bianca”), in quanto, mentre la disciplina preesistente era stata ormai abrogata, quella successiva sarebbe diventata inefficace, con il risultato che all'area in questione si applicherebbe la disciplina di cui all'art. 4, ultimo comma, della L. 28 gennaio 1977 n. 10 (C.d.S., V, 23 novembre 1996, n. 1413; 30 ottobre 1997, n. 1225). Donde l'onere della ricorrente, rimasto inadempiuto, di giustificare il proprio interesse a base della censura, dimostrando l'utilità effettiva dell'accoglimento della medesima ai fini del positivo corso del proprio progetto edificatorio.
3 Una volta confermata la permanente vigenza del suddetto vincolo strumentale all'epoca del pronunciamento dell'Amministrazione sul progetto di parte, occorre peraltro ricordare che, secondo una consolidata giurisprudenza, previsioni urbanistiche del genere possono, in casi particolari, risultare superate dai fatti e non più vincolanti in concreto, ove sia stato raggiunto il risultato -l'adeguata dotazione di infrastrutture, primarie e secondarie- cui tali previsioni di “attesa” erano finalizzate.
Secondo l'insegnamento giurisprudenziale, infatti, una concessione edilizia può essere rilasciata anche in assenza del piano attuativo pur richiesto dalle norme di piano regolatore quando in sede istruttoria l'Amministrazione abbia accertato che il lotto del richiedente è l'unico a non essere stato ancora edificato, vi è già stata, cioè, una pressoché completa edificazione dell'area (come nell'ipotesi del lotto residuale ed intercluso), e si trova in una zona che, oltre che integralmente interessata da costruzioni, è anche dotata delle opere di urbanizzazione; pertanto, si può prescindere dalla lottizzazione convenzionata prescritta dalle norme di piano solo, in pratica, nei casi eccezionali in cui nel comprensorio interessato sussista una situazione di fatto corrispondente a quella che deriverebbe dall'attuazione della lottizzazione stessa, ovvero in presenza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standard urbanistici minimi prescritti (C.d.S., V, 5 dicembre 2012, n. 6229; 5 ottobre 2011, n. 5450; IV, 1° agosto 2007, n. 4276; 21 dicembre 2006, n. 7769).
4 Ciò posto, il Collegio deve rilevare la sostanziale fondatezza delle censure con cui la società in epigrafe ha contestato la valutazione comunale espressa nel senso dell'insufficienza, rispetto al sito, degli standards urbanistici per carenze, segnatamente, di servizi e verde pubblico, secondo quanto riportato nell'allegato C della delibera n. 203/1995.
In una vicenda del tutto analoga e coeva, in cui il Comune di Roma aveva parimenti denegato una concessione relativamente ad un'area della Capitale classificata in zona D, siccome reputata carente quanto a standards per servizi e verde pubblico alla stregua dei medesimi accertamenti contenuti nell'Allegato C alla delibera n. 203/1995, ed il T.A.R., di diverso avviso, aveva invece censurato il riferimento comunale all'All. C alla delibera n. 203, affermando che i relativi accertamenti non potevano considerasi attendibili, e questo sia per il tempo trascorso dal rilevamento dei dati, sia per la perplessità dei criteri usati per l'individuazione degli standards (perplessità riconosciuta dallo stesso Comune in sede di adozione della successiva variante), questa Sezione ha avuto modo di condividere le critiche in tal modo espresse dal primo Giudice, osservando quanto segue (sentenza n. 448 del 29 gennaio 2003).
“Ritiene il Collegio che l'avviso dei primi giudici vada condiviso, e ciò in considerazione, soprattutto, degli elementi desumibili dalle valutazioni espresse dallo stesso Comune in tema di carenza di standards sia all'epoca dell'adozione del provvedimento impugnato, sia successivamente.
Va tenuto presente infatti che la Relazione Tecnica alla deliberazione del Consiglio comunale di variante al P.R.G. 29 maggio 1997 n. 92 (Piano delle certezze) espone una analitica contestazione circa la correttezza dei dati adottati con la deliberazione n. 203 del 1995, assunta a fondamento del provvedimento impugnato. Vi si legge infatti, fra l'altro:“In base ad una lettura formale dell'attuale normativa risulterebbe, per la città consolidata, un deficit di 1500 ettari per il verde e di 1300 ettari per servizi. Un calcolo più realistico condurrebbe invece ad un deficit di 450 ettari per il verde e di 550 ettari per i servizi.” (pag. 41). E' da notare che l'atto, pur formalmente approvato dal Consiglio Comunale nel maggio 1997, nel dicembre del 1996, cioè due mesi prima l'adozione dell'impugnato diniego, aveva già conseguito il parere favorevole del Dirigente dell'Ufficio del Nuovo Piano regolatore, del Ragioniere generale del Comune, del Segretario generale del Comune, nonché del funzionario responsabile del Servizio competente.
Emerge quindi la fondatezza del vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione accolto dal TAR del Lazio, che aveva messo in evidenza anche l'illogicità, poi riconosciuta nella citata Relazione Tecnica, del mancato computo ai fini degli standards di verde pubblico dei parchi urbani.”
Critiche ancor più incisive avverso consimili dinieghi di concessione sono state espresse dalla Sezione, poco dopo, con la decisione n. 5127 del 17 luglio 2004, concernente ancora una volta un diniego di concessione sorretto da una valutazione di insufficienza degli standard urbanistici desunta senz'altro dalle risultanze dell'All. C alla delibera n. 203/1995.
“ 13. Ormai da oltre un decennio la giurisprudenza amministrativa si è assestata nell'opinione che debba considerarsi illegittimo un diniego di concessione edilizia, fondato sulla carenza di un piano attuativo pur prescritto dal piano regolatore, qualora l'area interessata dal progetto risulti urbanizzata e l'Amministrazione denegante abbia omesso di valutare in modo rigoroso l'incidenza del nuovo insediamento, oggetto della richiesta di assenso, sulla situazione generale del comprensorio o, in altri termini, allorquando non si sia adeguatamente tenuto conto dello stato delle urbanizzazioni già esistenti nella zona di futura insistenza dell'edificazione, né siano state congruamente evidenziate le concrete, ulteriori esigenze di urbanizzazione indotte dalla nuova costruzione (Cons. St., ad. plen., 20.5.1980, n. 18; sez. V, 16.6.1990, n. 538; sez. V, 13.11.1990, n. 776; sez. V, 6.4.1991, n. 446; ad. plen., 6.10.1992, n. 12).
14. Correttamente pertanto il Giudice di prime cure ha giudicato insufficiente l'istruttoria svolta dal Comune di Roma che … si è limitato a recepire acriticamente il dato negativo risultante, per l'ambito territoriale n. 68, dalla delibera C.C. n. 203/1995, astenendosi dal compiere qualsiasi ulteriore accertamento sul reale stato dei luoghi.
15. La verifica della condizione di perdurante insufficienza dell'urbanizzazione primaria e secondaria, al quale è funzionalmente collegata l'esigenza di approvare degli strumenti attuativi, costituisce adempimento istruttorio del quale è sempre onerata l'Amministrazione in sede di valutazione della domanda di concessione edilizia e va condotto con carattere di attualità ed effettività, avendo presente la situazione effettivamente esistente al momento dell'istruttoria: non vi è dunque spazio alcuno per riscontri meramente documentali, fondati su accertamenti eseguiti in tempi anteriori che potrebbero risultare non attuali.
16. Con specifico riferimento alla vicenda dedotta in contenzioso, va poi aggiunto che l'inidoneità, per i fini della verifica sopra descritta, dei dati contenuti nell'allegato “c” alla delibera n. 203/1995 discendeva, oltre che dall'inattualità della stessa, siccome esattamente messa in evidenza dal primo giudice, anche dalle particolari caratteristiche di tale atto, relativo non ad un singolo comprensorio, ma ad una vasta estensione dell'intero territorio comunale e connotato da una precipua teleologia programmatoria.
17. Merita invero attenta considerazione la circostanza che l'oggetto specifico della delibera citata sono le «Controdeduzioni alle osservazioni presentate avverso la deliberazione della Giunta Municipale n. 3622 del 4 giugno 1990, ratificata con atto consiliare n. 448 del 19 dicembre 1991, concernente la variante al P.R.G. vigente per il reperimento di aree per servizi e verde pubblico». Si tratta, all'evidenza, di un atto che recepisce il risultato di un'articolata istruttoria, condotta tuttavia secondo una particolare metodologia di verifica e, soprattutto, avendo presente una scala dimensionale differente da quella che deve propriamente venire in rilievo in occasione del rilascio di una concessione edilizia.
18. Nel caso di un'istruttoria su di una richiesta di c.e. in area soggetta a vincolo di piano, l'ambito della verifica sulla sussistenza degli standard è invero suscettibile di esatta individuazione e coincide, per evidenti esigenze di intrinseca correttezza epistemologica della metodologia istruttoria adottata, con l'area presa di volta in volta in considerazione dallo specifico “vincolo di attesa”: in linea generale quindi l'estensione territoriale rilevante è la zona territoriale omogenea di cui al d.m. 2.4.1968, n. 1444; laddove siano previste, le sottozone ed, ancor più in dettaglio, il comprensorio, siccome eventualmente individuato dallo strumento urbanistico generale.
19. Le superiori conclusioni sono, del resto, coerenti con il portato precettivo dello stesso art. 8, punto 1), delle N.T.A. del P.R.G.C. invocato dal Comune di Roma, norma che, non a caso, nel secondo paragrafo, precisa: «Il Piano Regolatore indica i singoli comprensori ai quali dovranno estendersi i relativi piani particolareggiati o le convenzioni … ».
20. L'ente civico appellante ha invece ritenuto di poter validamente utilizzare, per soddisfare le esigenze istruttorie surrichiamate, i risultati di un'indagine ispirata da tutt'altro finalismo e, per di più, effettuata nell'alveo di un procedimento pianificatorio relativo a gran parte dell'intero territorio comunale.
Nella relazione allegata alla suddetta delibera infatti il contesto urbano risulta ripartito in «ambiti edificati di riferimento». Tali entità, concepite quali estesi perimetri territoriali da sottoporre ciascuno ad una complessa metodologia di verifica degli standard, sono state congegnate appositamente per gli scopi di un'istruttoria funzionale all'approvazione di una variante generale al P.R.G.C.; esse consistono in «aggregazioni funzionali di parti della città, delimitati sulla base di caratteristiche fisiche del territorio, di particolari linee di separazione del tessuto urbano quali grandi viabilità, ferrovie, corsi d'acqua, etc... nonché dei raggi di influenza delle varie attrezzature di servizi pubblici ricompresse in detti ambiti, nei quali operare i conteggi degli abitanti insediati ed insediabili nonché la verifica degli standard urbanistici» (v. il preambolo della delibera in questione), dichiaratamente non coincidenti con le Z.T.O..
21. Del resto l'inattendibilità della delibera di C.C. n. 203/1995 è stata ben evidenziata dallo stesso Tribunale capitolino che, alle pagg. 13 e 14 della decisione, ha avuto modo di stigmatizzare l'operato amministrativo del Comune di Roma per aver opposto … una pretesa carenza di standard sulla base di un controllo per tabulas, consistito nella mera consultazione della precitata delibera: «… in presenza della conclamata incertezza, risultante dalla relazione tecnica di accompagno …, dei dati acquisiti, circa gli 87 ambiti territoriali di riferimento, attraverso un sistema di rilevamento che applica criteri virtuali e che conduce a differenti risultati a seconda del metodo e dei criteri utilizzati, come affermato dalla stessa Amministrazione nella relazione tecnica citata».
22. Alla stregua delle precedenti considerazioni, deve in conclusione affermarsi che va condiviso il giudizio espresso dal Tribunale romano nella parte in cui ha disatteso gli esiti dell'istruttoria presupposta al diniego impugnato, sia in ragione dell'apprezzabile iato temporale tra l'epoca di effettuazione della complessa attività di rilevamento descritta nella delibera di C.C. n. 203/1995 e quella, successiva, dell'esame della domanda inoltrata dalle ricorrenti, sia in considerazione della illogicità della scelta del “metro” (l'ambito edificato di riferimento, appunto) utilizzato per misurare la sufficienza dei ridetti standard urbanistici. ” (decisione n. 5127/2004 cit.).
E' peraltro il caso di aggiungere, a proposito della verifica dello stato delle urbanizzazioni già esistenti, che il principio che “l'ambito territoriale di riferimento non può essere limitato alle sole aree di contorno dell'edificio progettato, ma deve coincidere con il perimetro del comprensorio che dagli strumenti attuativi dovrebbe essere pianificato” era stato già enunciato anche nella precedente sentenza della Sezione n. 1341/2001, il cui chiaro passaggio era stato, per la verità, anche citato dal T.A.R. nella decisione in epigrafe, senza che ne fossero tratti, però, i dovuti corollari.
Va a questo punto sottolineato che il relativo, decisivo vizio era stato inequivocabilmente dedotto sin dal ricorso introduttivo di prime cure (v. le sue pagg. 20 e segg., e spec. la pag. 22), lamentandosi, appunto, come il Comune, con il più volte menzionato all. C della delibera n. 203, prescindendo anche dalle già individuate Z.T.O. avesse illegittimamente “creato” per la bisogna una categoria del tutto diversa, i c.d. ambiti, estranea alla normativa in vigore.
Dall'arbitrarietà del dimensionamento del bacino cui è stata ancorata la verifica degli standards urbanistici si desume, dunque, la fondatezza degli addebiti di difetto di istruttoria e, conseguentemente, di adeguata motivazione ascritti all'Amministrazione comunale, la quale si è sottratta alla necessaria valutazione specifica del progetto sottopostole, nel quadro della situazione urbanistica propria del pertinente bacino territoriale di riferimento.
5 Parte ricorrente aveva svolto sin dal proprio ricorso originario anche il rilievo per cui l'area di riferimento sarebbe stata già compiutamente urbanizzata. Ma la formulazione di tale assunto non era stata accompagnata dalla effettiva dimostrazione che tutti i pertinenti standard risultassero in concreto soddisfatti: il documento n. 17 della produzione di primo grado, in particolare, si limitava, come già la relazione tecnica allegata alla domanda di concessione, ad indicare le superfici che nel progetto erano destinate a parcheggi pubblici e privati.
Né la Sezione potrebbe prendere in considerazione, al fine indicato, la perizia giurata prodotta in giudizio dall'appellante il 12 luglio 2013. Si tratta di documentazione che dalla parte avrebbe ben potuto essere acquisita e prodotta già nel contesto del primo grado di giudizio, onde la sua esibizione soltanto in questo grado deve ritenersi inammissibile per violazione del divieto di jus novorum in appello (in proposito è sufficiente richiamare la giurisprudenza di questo Consiglio anteriore all'avvento del vigente C.P.A. -cfr. sez. VI, 5 ottobre 2010, n. 7293; V, 7 maggio 2008, n. 2080; IV, 4 febbraio 2008, n. 306; IV, 6 marzo 2006, n. 1122; Ad. Plen., 29 dicembre 2004, n. 14-, che ha sancito l'applicabilità al processo amministrativo dell'art. 345 c.p.c. nella sua interezza).
6 Per quanto precede, il profilo della sufficienza o meno dell'urbanizzazione ormai esistente nell'area dovrà essere dal Comune verificato in concreto, con riferimento alla situazione in atto al momento del provvedimento di diniego impugnato ed in aderenza ai principi sopra esposti.
All'uopo dovrà aversi riguardo alla specifica tipologia di intervento in discussione, vale a dire alla destinazione alberghiera della costruzione oggetto di domanda, valutando anche le previsioni di spazi di parcheggio recate dal progetto (del quale la società ha allegato l'autosufficienza).
Nell'ambito della rinnovata istruttoria che l'Amministrazione dovrà compiere, infine, potrà essere accertato anche l'effettivo possesso del requisito della disponibilità giuridica del fondo interessato in capo alla richiedente, in relazione all'obiezione sollevata in primo grado dall'avvocatura municipale (rimasta tuttavia estranea alla motivazione del provvedimento impugnato, e quindi al thema decidendum, e non suffragata da documentazione) per cui la proprietà di una parte del fondo interessato farebbe in realtà capo al Comune.
7 Per le ragioni e nei limiti esposti l'appello può trovare accoglimento, potendo rimanere assorbiti i motivi che residuano.
Si ravvisano ragioni tali da giustificare la compensazione tra le parti delle spese processuali del doppio grado di giudizio
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo accoglie, e per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado nei termini di cui in motivazione, e conseguentemente annulla il diniego di concessione impugnato.
Compensa le spese processuali del doppio grado di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 31/10/2013
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
08-11-2013 22:08
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