Sentenze autoesecutive e sentenze recanti prescrizioni conformative.
T.A.R. Lazio Roma, Sez. II Ter, 17 dicembre 2013, n. 10910
N. 10910/2013 REG.SEN.
N. 08307/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in ottemperanza ex artt. 112 e ss. d.lgs. n. 104 del 2010 numero di registro generale 8307 del 2013, proposto da:
Ristoranti Italiani Antonella Srl, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Francesco Saverio Marini, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via dei Monti Parioli, 48;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Rosalda Rocchi, con domicilio eletto presso l'Avvocatura Capitolina in Roma, via Tempio di Giove, 21;
per l'esecuzione
della sentenza emessa dal TAR Lazio, Roma, Sezione II Ter, n. 10478 del 16 luglio 2007, pubblicata in data 24 ottobre 2007, passata in giudicato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2013 il dott. Roberto Caponigro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. La Ristoranti Italiani Antonella Srl (di seguito denominata anche R.I.A.) ha esposto di essere titolare del locale “Caffè Strega”, sito in Roma, via Vittorio Veneto, 173.
Ha soggiunto tra l'altro che questo Tribunale, all'udienza del 16 luglio 2007, ha disposto la riunione dei giudizi via via intentati contro il Comune di Roma in relazione alla controversa occupazione di suolo pubblico antistante l'esercizio commerciale ed ha reso la sentenza n. 10478 del 2007 che ha accolto i ricorsi ed annullato gli atti impugnati.
In particolare, ha specificato che il TAR ha dichiarato l'illegittimità dei provvedimenti comunali di diniego alla richiesta di osp formulata dalla ricorrente ed ha ritenuto viziati per illegittimità derivata i provvedimenti gravati nei giudizi RG nn. 8517 del 2005 e 4406 del 2006 in considerazione del fatto che “può effettuarsi in questa sede una sufficiente prognosi che, se non fossero sussistite le uniche cause ritenute ostative al rilascio della richiesta O.S.P. denegata con d.d. n. 3284 del 19.12.2001 (consistenti nella asserzione che dalla documentazione inviata non risultava lo stato dei luoghi successivi alla sistemazione della via e dell'edicola dei giornali e inoltre nel rilievo che una foto era di formato non conforme), valutate illegittime con la presente sentenza, il Municipio I del Comune di Roma avrebbe potuto rilasciare la concessione relativa, atteso che, se fossero sussistite altre cause ostative, esse avrebbero dovuto essere indicate in detto provvedimento”.
La ricorrente ha fatto altresì presente che, con diffida del 29 luglio 2013, ha chiesto a Roma Capitale di voler provvedere all'esecuzione della predetta sentenza e di rivalutare in senso favorevole, tenendo conto dei rilievi del giudice amministrativo, l'istanza di occupazione di suolo pubblico per la somministrazione di cibi e bevande.
A fronte del riscontro negativo a tale istanza, fornito dall'amministrazione con nota dell'8 agosto 2013, ha proposto il presente ricorso per l'esecuzione della sentenza del TAR Lazio, Roma, Sezione II ter, n. 10478 del 2007 nonché per la declaratoria di nullità di tutti i successivi atti e provvedimenti adottati da Roma Capitale in elusione del giudicato.
A tal fine, ha sostenuto che l'unico comportamento che l'amministrazione comunale avrebbe dovuto porre in essere in corretta esecuzione della sentenza sarebbe stato quello di concedere alla R.I.A. l'occupazione permanente del suolo pubblico antistante il locale sito in via Veneto 173, come da delibera di Giunta Comunale n. 2061 del 1995, atteso che il TAR aveva accertato non solo l'illegittimità degli impugnati atti di diniego alle istanze, ma anche la correttezza e completezza dei progetti allegati alle medesime.
L'autorizzazione alla occupazione di suolo pubblico cui si riferisce la nota del Comune (determinazione dirigenziale n. 305 dell'11 febbraio 2008) è stata concessa in relazione ad un'istanza presentata il 22 marzo 2007, per cui sarebbe stata accordata in relazione a circostanze di fatto e di diritto anteriori alla sentenza di cui è chiesta l'esecuzione e non potrebbe considerarsi una misura esecutiva del giudicato; i provvedimenti successivi, citati dal Comune nella nota dell'8 agosto 2013, dovrebbero considerarsi tamquam non essent rispetto alla fattispecie.
Nel caso di una sentenza di annullamento, l'amministrazione dovrebbe esercitare il potere non rapportandosi più alla astratta norma attributiva dello stesso, ma alla regola iuris del caso concreto così come individuata dal giudice e l'unico effetto conformativo della pronuncia giurisdizionale di cui è chiesta l'esecuzione sarebbe stato quello di concedere alla ricorrente l'occupazione permanente.
La ricorrente, in definitiva, avrebbe diritto all'esecuzione del giudicato in base allo stato di fatto e di diritto vigente al momento dell'adozione degli atti lesivi caducati in sede giurisdizionale.
La Ristoranti Italiani Antonella ha altresì chiesto che, una volta accertata la violazione e la mancata esecuzione della sentenza n. 10478 del 2007, le sia riconosciuto il risarcimento dei danni ad essa conseguenti.
Roma Capitale ha contestato le argomentazioni formulate dalla ricorrente concludendo per il rigetto del ricorso.
Alla camera di consiglio del 27 novembre 2013, la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. Il ricorso per l'esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza di questa Sezione n. 10478 del 2007 è infondato e va di conseguenza respinto.
L'azione è stata proposta a seguito della nota dell'8 agosto 2013, con cui l'Avvocatura di Roma Capitale, nel riscontrare la diffida per l'esecuzione della sentenza, ha rappresentato che la problematica “si appalesa ampiamente superata da vicende successive che hanno portato, dapprima, al rilascio della concessione di occupazione di suolo pubblico alla società con scadenza al 31 dicembre 2010 (D.D. n. 305 dell'11.2.2008) e, successivamente, a seguito d'impugnazione da parte di un controinteressato, alla rettifica della stessa (nota del 28 ottobre 2008); infine, con nota del 20 settembre 2010, l'Amministrazione ha comunicato alla Società che dal 1° gennaio 2011 l'occupazione doveva intendersi non più autorizzata, con archiviazione della domanda di nuova concessione di osp in data 10.6.2010 e ferma restando la possibilità di presentare nuova documentata istanza. I citati provvedimenti hanno già superato il vaglio del Giudice Amministrativo che ne ha dato puntuale riscontro nel ricorso proposto dalla RIA srl avverso i menzionati atti con sentenza pubblicata in data 21.6.2013 (Consiglio di Stato, sez. V, n. 3400/2013)”.
Con la sentenza n. 10478 del 2007, questo Tribunale, previa riunione dei relativi giudizi, ha accolto i ricorsi RR.GG. n. 4057 del 2001, ed i primi ed i secondi motivi allo stesso aggiunti, n. 8517 del 2005 e n. 4406 del 2006.
Con il primo ricorso (R.G. n. 4057 del 2001), R.I.A. aveva impugnato, attraverso l'atto introduttivo del giudizio, la determinazione dirigenziale del 19 dicembre 2001, di reiezione dell'istanza del 10 agosto 2000 per l'occupazione di suolo pubblico in Roma, via Veneto 173-175 nonché, con i primi motivi aggiunti, la determinazione dirigenziale del 24 novembre 2006 di diniego della richiesta del 18 settembre 2003 di osp in via Veneto 173 nonché, con i secondi motivi aggiunti, la determinazione dirigenziale del 14 dicembre 2006 di diniego di ulteriore richiesta di osp in via Veneto 173.
Con il ricorso R.G. n. 8517 del 2005 aveva impugnato la determinazione dirigenziale del 3 maggio 2005, di diffida dal persistere nell'occupazione abusiva del suolo pubblico, e, con il ricorso R.G. n. 4406 del 2006, aveva impugnato la determinazione dirigenziale del 22 marzo 2006 di sospensione per tre giorni dall'attività di somministrazione di alimenti e bevande nel locale “Caffè Strega di Via Vittorio Veneto” con intimazione al ripristino dello stato dei luoghi.
Di talché, occorre in primo luogo rilevare che il primo ricorso ed i relativi motivi aggiunti sono stati proposti a tutela di una situazione di interesse legittimo pretensivo, atteso che sono stati impugnati i dinieghi di concessione osp che si sono via via succeduti, mentre il secondo ed il terzo ricorso sono stati proposti a tutela di interessi legittimi pretensivi, in quanto sono stati impugnati la diffida a dal persistere nell'occupazione abusiva e la sanzione della sospensione per tre giorni dell'attività con intimazione al ripristino dello stato dei luoghi.
La sentenza di accoglimento assume connotazioni differenti a seconda che il provvedimento annullato sia lesivo dell'una o dell'altra tipologia di interesse protetto.
In particolare, l'annullamento di un provvedimento lesivo di un interesse legittimo oppositivo è solitamente autoesecutivo, nel senso che la conservazione del “bene della vita” che il ricorrente mira a preservare è effetto diretto della stessa pronuncia giurisdizionale, laddove l'annullamento di un provvedimento lesivo di un interesse legittimo pretensivo necessita del riesercizio del potere in quanto il “bene della vita” cui il ricorrente aspira può essere attribuito solo in esito ad una nuova attività amministrativa che tenga conto delle prescrizioni conformative della sentenza.
Nella fattispecie in esame, quindi, la decisione di accoglimento dei ricorsi RR.GG. nn. 8517 del 2005 e 4406 del 2006 è autoesecutiva in quanto l'eliminazione dal mondo giuridico della diffida a rimuovere l'occupazione abusiva e della sospensione per tre giorni dell'attività di somministrazione nonché dell'intimazione al ripristino dello stato dei luoghi è idonea di per sé a soddisfare l'utilità sostanziale perseguita dalla ricorrente.
Diversamente, la decisione di accoglimento del ricorso n. 4057 del 2001 e dei relativi motivi aggiunti non è autoesecutiva in quanto l'eliminazione dal mondo giuridico dei dinieghi di concessione osp determina l'obbligo dell'amministrazione di riprovvedere sul rapporto, ma non è direttamente attributiva dell'utilità sostanziale richiesta.
Né tale utilità può considerarsi un effetto diretto dell'annullamento degli atti lesivi dell'interesse legittimo oppositivo, atteso che l'annullamento di tali atti è derivato dal sindacato giurisdizionale di legittimità sugli stessi nel cui ambito il riferimento alla spettanza del “bene della vita”, costituito dalla concessione di occupazione di suolo pubblico, è avvenuto solo in via incidentale e meramente prognostica, sicchè non implica e non può di per sé implicare l'accertamento della fondatezza delle pretesa e la conseguente attribuzione del “bene” in assenza delle ulteriori valutazioni che l'amministrazione è tenuta a compiere nel riesercizio del potere.
Il Collegio, in sostanza, ritiene che la sentenza n. 10478 del 2007 non abbia accertato la fondatezza della pretesa al “bene” e, di conseguenza, non abbia conformato l'attività dell'amministrazione in modo da rendere il riesercizio del potere del tutto vincolato nel senso della necessaria attribuzione alla ricorrente della richiesta concessione di occupazione di suolo pubblico.
Il ricorso introduttivo del giudizio, infatti, è stato accolto per difetto di motivazione dell'atto di diniego impugnato, con assorbimento degli altri motivi di ricorso.
La Sezione in proposito ha rilevato “che, sebbene non sia desumibile, né dai principi del nostro ordinamento né da norme specifiche, l'esistenza di un inderogabile obbligo per la P.A., nell'ambito del procedimento amministrativo, di procedere alla integrazione delle carenze documentali riscontrate nel corso dell'istruttoria, tuttavia deve riconoscersi che sussiste un potere discrezionale dell'Amministrazione di attivarsi, per una leale collaborazione con il privato (e altresì al fine della maggiore economicità ed efficienza dell'azione amministrativa), perché l'istruttoria che precede l'adozione dell'atto sia quanto più possibile completa e rappresentativa della realtà; tanto si desume sia dal principio di buon andamento della P.A. di cui all'art. 97 della Costituzione italiana, sia dall'art. 2 e dall'art. 6, I c., lett. b), della L. 7 agosto 1990 n. 241 (T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 22 settembre 2005, n. 1431). Nel caso che occupa tale potere discrezionale non risulta essere stato esercitato, con illegittimità della motivazione che adduce a ragione della adozione del negativo provvedimento finale, la carenza di documentazione, che avrebbe ben potuto e dovuto essere acquisita dall'Amministrazione prima della emanazione di esso”.
Il primo atto di motivi aggiunti, assorbiti gli ulteriori motivi, è stato accolto in quanto il Collegio ha osservato “che l'art. 20, II c., del D. Lgs. n. 285 del 1992 stabilisce che ‘Nei centri abitati, ferme restando le limitazioni e i divieti di cui agli articoli ed ai commi precedenti, l'occupazione di marciapiedi da parte di chioschi, edicole od altre installazioni può essere consentita fino ad un massimo della metà della loro larghezza, purché in adiacenza ai fabbricati e sempre che rimanga libera una zona per la circolazione dei pedoni larga non meno di 2 m. Le occupazioni non possono comunque ricadere all'interno dei triangoli di visibilità delle intersezioni, di cui all'art. 18, comma 2. Nelle zone di rilevanza storico-ambientale, ovvero quando sussistano particolari caratteristiche geometriche della strada, è ammessa l'occupazione dei marciapiedi a condizione che sia garantita una zona adeguata per la circolazione dei pedoni e delle persone con limitata o impedita capacità motoria'. Il Collegio ritiene che la Via Vittorio Veneto è sicuramente, per comune conoscenza, zona di rilevanza storico ambientale, sicché deve condividersi la censura in esame, non essendo stato tenuto nel debito conto che alla fattispecie era applicabile anche la seconda parte del citato III comma dell'art. 20 del D. Lgs. n. 285 del 1992, che fa eccezione alle disposizioni di cui alla prima parte”.
La Sezione, in ordine ai primi motivi aggiunti, ha ancora evidenziato “che nel procedimento amministrativo ha rilievo giuridico il principio generale del tempus regit actum. Pertanto ogni fase ed atto del procedimento riceve disciplina, per quanto riguarda la struttura, i requisiti ed il ruolo funzionale, dalle disposizioni di legge e di regolamento vigenti alla data in cui ha luogo ciascuna sequenza procedimentale. La legittimità di un provvedimento amministrativo, quindi, va valutata in relazione alla situazione di fatto e di diritto vigente al tempo in cui lo stesso è stato adottato (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 04 maggio 2007, n. 3967). All'atto della adozione del sopra indicato parere del I Gruppo di P.M. del 26.10.2004 era sicuramente ancora vigente la deliberazione del C.C. ivi richiamata, n. 104 del 2003, ma essa non lo era più, perché sostituita dalla deliberazione n. 119 del 2005, alla data di adozione del provvedimento finale impugnato n. 2717 del 24.11.2006. In base ai principi sopra riportati e condivisi dal Collegio, all'epoca della sequenza procedimentale consistente nella definitiva adozione di detta d.d. n. 2717 del 2006, non era più vigente la deliberazione n. 114 del 2003, ivi richiamata, ma la successiva n. 119 del 2006, sicché tanto vizia la relativa motivazione di essa d.d.”.
Con riferimento al secondo atto di motivi aggiunti, la Sezione ha rappresentato “che la giurisprudenza in materia è concorde nel rilevare come la fase procedimentale prevista dal citato art. 10 bis della L. n. 241 del 1990 costituisca presupposto di legittimità del provvedimento finale (laddove di segno negativo). A tal fine, peraltro, non è sufficiente che detta fase procedimentale sia stata concretamente attivata, ma occorre che l'Amministrazione espliciti compiutamente, nel provvedimento finale, le ragioni del non accoglimento delle osservazioni presentate dal privato (T.A.R. Basilicata, 2 agosto 2005, n. 738). L'effetto deflativo del contenzioso perseguito dal legislatore, infatti, si ottiene proprio grazie alla collaborazione del privato, le cui osservazioni, ove pertinenti all'oggetto del procedimento, possono chiarire elementi di fatto (o giuridici) erroneamente valutati o non considerati dall'Amministrazione procedente (T.A.R. Sardegna, sez. II, 28 marzo 2006, n. 402). A tanto consegue l'illegittimità del provvedimento che non esterni compiutamente e specificamente la motivazione che ha indotto l'Amministrazione all'adozione dell'atto, pur in presenza di controdeduzioni formalizzate dal destinatario dell'azione amministrativa (T.A.R. Marche, sez. I, 7 febbraio 2006, n. 14). Il provvedimento di diniego in esame non soddisfa, sotto il profilo dell'adeguatezza del corredo motivazionale, i requisiti indicati, poiché, in presenza di argomentate controdeduzioni del privato, l'Amministrazione si è limitata ad un generico richiamo ai motivi ostativi individuati nel preavviso di diniego, asserendo apoditticamente l'impossibilità di accogliere l'istanza. L'Amministrazione, per contro, era tenuta a dimostrare di aver vagliato gli elementi di valutazione apportati dal privato nonché a rendere conto, anche con motivazione sintetica, delle ragioni che la inducevano a respingerne le osservazioni (T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 07 febbraio 2007, n. 505).”.
Di talché, con la sentenza di cui è chiesta l'esecuzione, il Tribunale ha ritenuto il provvedimento impugnato con i secondi motivi aggiunti viziato da difetto di motivazione e lo ha annullato, assorbiti gli ulteriori motivi di gravame.
I provvedimenti di diniego di concessione di occupazione di suolo pubblico che si sono succeduti nel tempo fino al diniego del 14 dicembre 2006, quindi, sono stati sostanzialmente annullati per difetto di motivazione degli atti impugnati e, comunque, senza alcun compiuto accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale dedotta in giudizio dalla ricorrente.
Va da sé, pertanto, che il Comune di Roma (ora Roma Capitale), in esecuzione della sentenza di questa Sezione n. 10478 del 2007 avrebbe dovuto riprovvedere nel pieno esercizio del suo potere, attraverso una più adeguata motivazione e tenendo conto di quanto indicato nella pronuncia giurisdizionale, la quale, però, non aveva accertato la spettanza alla RIA del “bene della vita” richiesto.
La ricorrente, con il presente ricorso, peraltro, valorizza in misura maggiore il contenuto della motivazione della sentenza nella parte in cui ha accolto i ricorsi in cui era stata chiesta la tutela dell'interesse legittimo oppositivo.
Con riferimento al ricorso n. 8517 del 2005, con cui R.I.A. aveva chiesto l'annullamento della d.d. del Direttore della Circoscrizione I del Comune di Roma n. 30736 del 3.5.2005, di diffida dal persistere nell'occupazione abusiva del suolo pubblico, la Sezione ha rappresentato “che l'impugnato provvedimento ha, come presupposto logico di legittimità, non solo una occupazione di suolo pubblico senza la prescritta concessione (accertato dalla P.M. con rapporto prot. n. 178907 del 23.12.2004), ma anche che il diniego di essa, causa della carenza di questa, fosse valido ed efficace e che alla ricorrente non potesse essere rilasciata la concessione stessa. Può invece effettuarsi in questa sede una sufficiente prognosi che, se non fossero sussistite le uniche cause ritenute ostative al rilascio della richiesta O.S.P. denegata con d.d. n. 3284 del 19.12.2001 (consistenti nella asserzione che dalla documentazione inviata non risultava lo stato dei luoghi successivi alla sistemazione della via e dell'edicola dei giornali e inoltre nel rilievo che una foto era di formato non conforme), valutate illegittime con la presente sentenza, il Municipio I del Comune di Roma avrebbe potuto rilasciare la concessione relativa, atteso che, se fossero sussistite altre cause ostative, esse avrebbero dovuto essere indicate in detto provvedimento”.
Analogamente, nell'esame del ricorso n. 4406 del 2006 con cui la ricorrente ha chiesto l'annullamento della d.d. del Direttore della Circoscrizione I del Comune di Roma n. 566 del 22.3.2006, di sospensione per tre giorni della attività di somministrazione di alimenti e bevande nel locale “Caffè Strega di Via Vittorio Veneto”, con intimazione al ripristino dello stato dei luoghi mediante rimozione di tavoli, pannellature, ombrelloni e fioriere, la Sezione – “considerato che la d.d. del Direttore della Circoscrizione I del Comune di Roma n. 566 del 22.3.2006 (di sospensione per tre giorni della attività di somministrazione di alimenti e bevande, nel locale “Caffè Strega di Via Vittorio Veneto”, e di intimazione al ripristino dello stato dei luoghi) è basata sulla recidività della abusiva occupazione di suolo pubblico, già accertata in data 23.12.2004 e oggetto di diffida del 3.5.2005, nuovamente rilevata con rapporto della P.M. prot. n. 160222 del 7.10.2005” ha ritenuto fondato “per le medesime considerazioni in precedenza svolte circa la accertata illegittimità del diniego di rilascio della O.S.P. in questione e la effettuabilità una sufficiente prognosi che, se non fossero sussistite le uniche cause ritenute ostative al rilascio della richiesta O.S.P. denegata con d.d. n. 3284 del 19.12.2001, valutate illegittime con la presente sentenza, il Municipio I del Comune di Roma avrebbe potuto rilasciare la concessione relativa, con insussistenza dei presupposti logici posti a base dell'impugnato provvedimento (che sussistesse una occupazione di suolo pubblico senza la prescritta concessione, che il diniego di essa, causa della carenza di questa, fosse valido ed efficace e che alla ricorrente non potesse essere rilasciata la concessione stessa)”, per cui, assorbiti gli ulteriori motivi, ha accolto il ricorso, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Sul punto, il Collegio ribadisce che la sentenza n. 10478 del 2007 ha svolto il rilevato giudizio prognostico al solo e limitato fine di sindacare la legittimità degli atti lesivi dell'interesse legittimo oppositivo, mentre l'accertamento della fondatezza della pretesa non è stato compiuto al fine di apprezzare la legittimità o meno degli atti lesivi dell'interesse legittimo pretensivo che, infatti, sono stati annullati essenzialmente per difetto di motivazione.
Di talchè, da un lato, il giudizio prognostico è stato effettuato incidenter tantum senza che su di esso possa ritenersi formato il giudicato impositivo all'amministrazione dell'obbligo di rilascio della osp, dall'altro, detto giudizio, proprio in quanto svolto in via incidentale e prognostico, afferisce alla probabilità dell'amministrazione comunale, in assenza degli elementi ostativi evidenziati, potesse concedere la osp, per cui anch'esso, concretandosi in un mero giudizio probabilistico, non accerta la spettanza del “bene della vita”.
Diversamente, sulla base del portato motivazionale e conformativo della sentenza di cui è chiesta l'esecuzione, il Comune di Roma (oggi Roma Capitale) avrebbe dovuto riesercitare un potere non completamente conformato dalla pronuncia giurisdizionale sulla base del principio tempus regit actum, vale a dire sulla base della situazione di fatto e di diritto esistente al momento dell'adozione dei singoli atti endoprocedimentali e, soprattutto, del provvedimento conclusivo del procedimento.
L'esigenza di certezza propria del giudicato, ossia di un assetto consolidato degli interessi coinvolti, infatti, non può proiettare l'effetto vincolante nei riguardi di tutte le situazioni sopravvenute di riedizione di un potere, ove questo, pur prendendo atto della decisione del giudice, coinvolga situazioni nuove e non contemplate in precedenza (cfr. Adunanza Plenaria Consiglio di Stato 15 gennaio 2013, n. 2).
Sulla base del descritto iter argomentativo, l'azione di esecuzione del giudicato - in quanto volta a dimostrare come l'unico comportamento che l'amministrazione comunale avrebbe dovuto porre in essere in corretta esecuzione della sentenza sarebbe stato quello di concedere alla Ristoranti Italiani Antonella Srl l'occupazione permanente del suolo pubblico antistante il locale come da delibera di Giunta Comunale n. 2061 del 1995, atteso che il TAR aveva accertato non solo l'illegittimità degli impugnati atti di diniego alle istanze, ma anche la correttezza e completezza dei progetti allegati alle medesime – si rivela infondato.
A ciò si aggiunga che gli atti adottati successivamente alla pubblicazione della sentenza di questo Tribunale n. 10478 del 2007 (nonché le circostanze di fatto e di diritto venute in essere medio tempore), come diffusamente esposti da Roma Capitale nella propria memoria difensiva e come dalla stessa indicati nella nota dell'8 agosto 2012, hanno disciplinato ex novo il rapporto controverso.
In primo luogo, l'amministrazione comunale, con determinazione dirigenziale n. 305 dell'11 febbraio 2008, vista l'istanza del 22 marzo 2007, ha autorizzato alla ricorrente la concessione demaniale permanente di mq. 68,81 in via Vittorio Veneto 173-175 con scadenza al 30 dicembre 2010.
Con successivo atto del 28 ottobre 2008, il Comune di Roma, in assenza delle liberatorie relative a due zone interessate dalla concessione osp ma ricadenti su pertinenze di terzi, ha rappresentato alla R.I.A. che la determinazione dirigenziale n. 305 dell'11 febbraio 2008 si deve intendere rettificata e valida solo per l'area direttamente all'esterno del locale nelle pertinenze dello stesso in aderenza con le mura.
La Ristoranti Italiani Antonella ha impugnato l'atto del 28 ottobre 2008 innanzi a questo Tribunale, che, con sentenza n. 9202 del 2008, ha dichiarato inammissibile il ricorso principale e improcedibile il ricorso incidentale proposto dalla controinteressata; il Consiglio di Stato, Quinta Sezione, con sentenza n. 3402 del 2013, ha respinto l'appello principale confermando, con diversa motivazione, la sentenza impugnata.
Con atto del 20 settembre 2010, Roma Capitale – considerato, tra l'altro, che da verifiche effettuate presso la Roma Entrate Spa sono emerse irregolarità in merito ai pagamenti del canone osp per le annualità 2008, 2009 e 2010 e che tale circostanza costituisce causa di decadenza della concessione così come disposto dall'art. 8, comma 1, lettera d), della deliberazione del Consiglio Comunale n. 75 del 2010 – ha comunicato, ai sensi dell'art. 10, comma 2, della deliberazione del Consiglio Comunale n. 75 del 2010, che l'amministrazione non avrebbe proceduto al rinnovo della concessione osp così come attualmente disposta, per cui, a far data dal 1° gennaio 2011, l'occupazione sarebbe stata considerata non più autorizzata.
Il ricorso avverso tale provvedimento è stato respinto con sentenza di questa Sezione n. 3534 del 2012; il relativo appello è stato respinto dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato con sentenza n. 3400 del 2013.
Il succedersi di tali eventi porta inequivocabilmente a ritenere che il giudicato di cui alla sentenza di questa Sezione n. 10478 del 2007 - che comunque, come si è più volte avuto modo di sottolineare, non ha accertato la spettanza del “bene della vita” – non è oggi suscettibile di alcuna esecuzione in quanto del tutto superato dal sopravvenuto mutamento delle circostanze di fatto e di diritto.
In particolare, la determinazione dirigenziale n. 305 dell'11 febbraio 2008 ha concesso l'occupazione di suolo pubblico in esito ad un'istanza del 22 marzo 2007, vale a dire ad un'istanza successiva a quelle in esito alle quali sono stati adottati i provvedimenti di diniego annullati con la sentenza di questa Sezione n. 10478 del 2007.
Pertanto, tale provvedimento, successivamente rettificato e poi non rinnovato in ragione di atti che hanno superato indenni il vaglio giurisdizionale, ha disciplinato ex novo, successivamente alla pubblicazione della pronuncia giurisdizionale di cui si chiede l'esecuzione, il rapporto controverso.
Di talché, la prospettazione di parte ricorrente, secondo cui l'amministrazione avrebbe dovuto assentire la richiesta occupazione di suolo pubblico come da delibera di G.C. n. 2061 del 1995, oltre a non poter essere considerata, come in precedenza evidenziato, un effetto del giudicato, avrebbe dovuto essere fatta eventualmente valere in sede di istanza di riesame ed eventualmente di impugnazione della stessa d.d. dell'11 febbraio 2008 in quanto adottata in esito ad una richiesta fondata su presupposti fattuali e normativi differenti da quelli iniziali e, quindi, secondo la ricostruzione della ricorrente, non completamente satisfattiva della propria posizione così come emergente dal giudicato di cui alla sentenza del TAR Lazio n. 10478 del 2007.
In altri termini, se la ricorrente sostiene che, in esecuzione di tale sentenza, l'amministrazione comunale avrebbe avuto l'obbligo di riesaminare l'originaria domanda applicando la disciplina in materia vigente al momento della proposizione della stessa e all'esito accordare l'occupazione di suolo pubblico permanente ex D.G.R. n. 2061 del 1995, avrebbe dovuto conseguentemente dolersi del provvedimento dell'11 febbraio 2008 in quanto basato su presupposti differenti, mentre, anche a prescindere dalla evidenziata infondatezza della ricostruzione operata dalla ricorrente, una volta adottato detto provvedimento e gli atti ad esso successivi, il rapporto controverso è stato disciplinato dagli stessi non residuando più alcuno spazio al dictum giurisdizionale di cui alla sentenza di cui oggi è chiesta l'esecuzione.
3. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in € 3.000,00 (tremila/00), sono poste a carico della ricorrente ed a favore dell'amministrazione resistente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda Ter, respinge il ricorso in epigrafe.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in € 3.000,00 (tremila/00), in favore dell'amministrazione resistente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Maddalena Filippi, Presidente
Roberto Caponigro, Consigliere, Estensore
Giuseppe Rotondo, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/12/2013
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
22-12-2013 19:48
Richiedi una Consulenza