Responsabilità degli amministratori. rimborso spese legali anche per la fase conclusa nelle indagini preliminari con decreto di archiviazione.
Consiglio di Stato sez. V Data: 14/04/2000 ( ud. 15/02/2000 dep.14/04/2000 )
Numero: 2242
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha
pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 8778/1994 proposto dalla Regione Veneto,
in persona del presidente in carica della giunta regionale, e la
Sezione di Rovigo del Comitato regionale di Controllo della regione
Veneto, in persona del presidente in carica, rappresentati e difesi
dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano, in
Roma, Via dei Portoghesi, n. 12.
CONTRO
il Comune di Rovigo, in persona del Sindaco in carica, rappresentato
e difeso dall'Avvocato Alfredo Barbieri ed elettivamente domiciliato
in Roma, Via Lucrezio Caro, n. 67 presso l'avv. Gabriele Testa;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto,
Prima Sezione, n. 320, pubblicata in data 25 marzo 1994.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del comune appellato;
Esaminate le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle
rispettive difese;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore alla pubblica udienza del 15 febbraio 2000, il Consigliere
Marco Lipari;
Udito l'avvocato Testa;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
Fatto
La sentenza impugnata ha accolto il ricorso proposto dal Comune di Rovigo contro l'ordinanza del Comitato regionale di Controllo (Co.Re.Co.) del Veneto, Sezione di Rovigo, 23 aprile 1992 n. 1767, di annullamento della delibera della giunta municipale 8 aprile 1992, n. 571, concernente il rimborso al sindaco e ad un assessore delle spese legali e delle somme versate a titolo di oblazione ex art. l62bis del codice penale, in relazione a giudizi penali conclusisi con il proscioglimento degli amministratori imputati con la formula: "non doversi procedere per essere i reati loro rispettivamente ascritti estinti per intervenuta oblazione".
L'amministrazione regionale sostiene la legittimità del provvedimento tutorio annullato dal tribunale.
Il comune resiste al gravame.
Diritto
1. Con delibera della giunta municipale 8 aprile 1992, n. 571, il Comune di Rovigo stabiliva di rimborsare ai Signori C. P. e ed I. B., nelle loro rispettive qualità di sindaco e di assessore, le spese giudiziali (comprensive anche delle somme versate a titolo di oblazione) sostenute nel giudizio penale, concernente le violazioni delle norme in materia di igiene e di prevenzione degli infortuni sul lavoro, conclusosi con il proscioglimento degli imputati, per essere i reati loro ascritti estinti in seguito al pagamento dell'oblazione, ai sensi dell'articolo 162bis del codice penale.
Con l'ordinanza impugnata in primo grado, il Co.Re.Co annullava la delibera della giunta municipale, in base alle seguenti motivazioni:
a) "presupposto per il rimborso delle spese processuali sostenute dagli amministratori comunali per fatti connessi all'esercizio di funzioni pubbliche, in assenza di una precisa norma di legge, è che il relativo giudizio penale si concluda in sede istruttoria o dibattimentale, con l'assoluzione con formula piena";
b) "i procedimenti per i quali si dispone il rimborso delle spese si sono conclusi con la classica dichiarazione "non luogo a procedere...essendo i reati loro ascritti estinti per oblazione ex art. 162 bis del codice penale";
c) "non è applicabile per analogia la normativa prevista dall'art. 67 del DPR n. 268/1987 che assicura il patrocinio legale ai dipendenti degli enti locali perché la legge n. 816/1985, che disciplina lo status degli amministratori comunali, nulla ha previsto in merito".
2. La sentenza appellata ha accolto il ricorso proposto dal comune contro il provvedimento tutorio, qualificando il ragionamento sviluppato dal Co.Re.Co. come "una petizione di principio".
A dire del tribunale, pur in mancanza di una norma che preveda espressamente il rimborso delle spese processuali sostenute dagli amministratori locali nel corso dei giudizi penali, l'interprete può individuare nell'ordinamento il principio giuridico da applicare per colmare la lacuna. Inoltre, non vi sarebbe ragione per circoscrivere il rimborso alle sole ipotesi di assoluzione con formula piena.
Secondo i giudici di primo grado, il "diritto" al rimborso delle spese processuali si ricava dalla norma civilistica contenuta nell' articolo 1720 del codice civile. Solo nel caso in cui sia accertata la responsabilità diretta degli amministratori, il diritto al rimborso viene meno.
3. La Regione appellante contesta analiticamente la decisione di primo grado. L'ampiezza e la specificità degli argomenti sviluppati pongono l'appello al riparo della eccezione di inammissibilità prospettata dal comune, a nulla rilevando la circostanza che l'atto di gravame evidenzi anche alcuni profili di illegittimità della delibera comunale, non partitamente esaminati dall'organo di controllo.
Va sottolineato, poi, che la radicale contestazione della decisione di primo grado e lo sviluppo di tesi difensive certamente incompatibili con quelle esposte dalla sentenza di primo grado rendono l'appello senz'altro ammissibile, anche in difetto di una separata confutazione dei diversi argomenti giuridici della sentenza, concernenti l'asserita illogicità della motivazione del provvedimento tutorio e la violazione dell'articolo 1720 del codice civile. In particolare, non e seriamente dubitabile che l'impugnazione investe non solo il capo relativo alla dedotta violazione di legge, ma anche quello concernente l'ipotizzato vizio logico del provvedimento di controllo. Ciò anche perché l'asserita illogicità della pronuncia dell'autorità di controllo, è comunque riferita, nel percorso argomentativo compiuto dal tribunale, alla ricostruzione della normativa applicabile alla presente vicenda.
Pertanto, le critiche esposte dall'amministrazione regionale non possono considerarsi né insufficienti né ultronee rispetto alla motivazione della sentenza impugnata.
4. Nel merito, l'appello è fondato.
Il problema concernente l'individuazione dei presupposti della rimborsabilità delle spese processuali sostenute dagli amministratori locali, non dipendenti dell'ente, è correttamente impostato, nelle sue linee di fondo, dalla sentenza appellata, che individua i parametri normativi di riferimento. Tuttavia, gli ulteriori sviluppi argomentativi della pronuncia e le sue conclusioni non possono essere condivisi, perché presuppongono una inadeguata interpretazione delle norme.
In primo luogo, occorre considerare che, come opportunamente rilevato dai giudici di primo grado, la disciplina ricavabile dal quadro legislativo applicabile alla presente vicenda presenta una evidente lacuna: manca, infatti, una disposizione specifica che regoli i rapporti patrimoniali tra comune ed amministratori, con particolare riferimento all'eventuale obbligo dell'ente locale di tenere indenne il sindaco e gli assessori delle spese processuali sostenute in giudizi penali concernenti imputazioni oggettivamente connesse (in modo più o meno intenso) all'espletamento dell'incarico. Né i testi unici del 1915 e del 1934, né la legge n. 816 del 1981, né la legge n. 142/1990 fissano regole puntuali o principi sufficientemente chiari in materia. Solo la legge n. 265/1999 (non applicabile, ratione temporis, nella presente vertenza), che pure non si occupa espressamente della questione, getta le basi per una più analitica regolamentazione della materia, prevedendo la possibilità di una assicurazione dei soggetti interessati - ponendo l'onere del premio assicurativo a carico dell'ente - e riconoscendo, comunque, un'ampia autonomia statutaria e regolamentare a ciascun ente locale, investito della potestà di definire, secondo le proprie valutazioni, l'assetto peculiare del rapporto patrimoniale tra ente ed amministratori.
La riscontrata lacuna normativa non potrebbe essere colmata facendo riferimento ai regolamenti relativi allo stato giuridico ed economico del personale dipendente degli enti locali, trattandosi di disposizioni caratterizzate da una puntuale delimitazione del loro raggio di azione oggettiva e, comunque, ispirate dalla ratio propria degli accordi collettivi in materia di rapporto di lavoro pubblico.
Anzi, proprio la presenza di apposite norme regolamentari dirette a disciplinare, con una certa minuzia, gli aspetti sostanziali e procedimentali del rimborso delle spese legali affrontate dai dipendenti comunali, rafforza l'opinione secondo cui, manca, per gli altri soggetti legati da un rapporto di servizio onorario con le amministrazioni comunali, una specifica disposizione diretta a definire se e quando gli amministratori locali possono vantare la pretesa qualificata al rimborso.
In senso contrario non potrebbe assumere rilievo la diversa normativa concernente la responsabilità dei dipendenti e degli amministratori (articolo 58 della legge n. 142/1990). La disposizione si limita a stabilire che entrambe le categorie di soggetti sono sottoposte alla disciplina prevista per gli impiegati civili dello Stato in materia di responsabilità. Si tratta di una equiparazione solo parziale, non estensibile ad altri aspetti dei rapporti patrimoniali tra ente ed amministratore.
È quindi corretto ricercare la norma di carattere generale, applicabile in via analogica alla fattispecie oggetto di esame, in un ambito diverso e più vasto di quello concernente l'ordinamento degli enti locali. A questo proposito risulta convincente l'assunto in forza del quale occorre analizzare la disciplina civilistica del contratto di mandato, trattandosi di normativa estensibile, in linea di principio, a tutte le ipotesi in cui va stabilito l'esatto contenuto dei rapporti patrimoniali tra rappresentante legale ed ente, anche in difetto di un apposito vincolo negoziale riconducibile al paradigma tipico del mandato.
In termini generali, va ricordato che, secondo il giudice contabile, anche nel campo del diritto pubblico, coloro che sono investiti di una carica (onoraria) agiscono per un interesse non proprio in quanto legittimamente investiti (in forza di un mandato pubblico) del compito di realizzare interessi di altri centri di imputazione giuridica (enti, collettività o altri organismi pubblici), con la conseguenza che i pubblici amministratori non devono sopportare nella propria sfera personale gli effetti svantaggiosi o dannosi della propria attività; e, pertanto, i componenti degli organi statutari degli enti pubblici hanno, in linea di principio, titolo a ricevere il rimborso delle spese sostenute ed il risarcimento dei danni sofferti per adempiere fedelmente il loro mandato (Corte Conti sez. riun., 5 aprile 1991 n. 707).
Anche le sezioni consultive del Consiglio riconoscono, in linea di principio, l'applicazione agli amministratori locali ed ai titolari di organi amministrativi non dipendenti dall'ente, delle regole tratte dal codice civile (Cons. Stato, III, 13 febbraio 1996, n. 69/1996).
Al riguardo, assume particolare rilievo la disposizione contenuta nell'articolo 1720 del codice civile, secondo la quale "il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni, con gli interessi legali, dal giorno in cui sono state fatte, e deve pagargli il compenso che gli spetta. Il mandante deve inoltre risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell'incarico".
La disposizione definisce, con adeguati margini di chiarezza, la misura dei diritti patrimoniali vantati dal mandatario nei confronti del mandante, individuando, in riferimento ai rapporti interni, il punto di equilibrio tra le contrapposte pretese delle parti e la ripartizione dei rischi economici derivanti dalla esecuzione del contratto, secondo criteri largamente derogabili dalla diversa volontà delle parti, le quali, nel rispetto dei generali limiti dell'autonomia negoziale, potrebbero diversamente regolare le vicende economiche del rapporto.
In particolare, si è chiarito che la disposizione:
a) nonostante la sua formula impropria, non concerne un risarcimento nascente da un illecito del mandante, per cui il termine "danni" va inteso nel senso generico di perdita economica;
b) ha un ambito di applicazione riguardante le sole spese sostenute dal mandatario in stretta dipendenza dei propri obblighi: il legislatore del 1942 ha consapevolmente sostituito l'espressione "a causa" alla locuzione "in occasione" contenuta nel codice del 1865;
c) ha un portata generale, costituendo indice rilevatore del divieto di arricchirsi a spese altrui, espresso da numerose norme del codice civile, e di cui l'articolo 2041 costituisce disposizione di chiusura.
L'attitudine dell'articolo 1720 ad essere applicato analogicamente a fattispecie strutturalmente diverse, ma connotate da elementi di similitudine, ai sensi dell'articolo 12 delle preleggi, è chiaramente affermata dalla Cassazione civile, con riferimento specifico, fra l'altro, alla posizione degli amministratori di società di capitali ed alla loro relazione con la persona giuridica nel cui interesse esplicano l'incarico. Il principio è affermato con l'autorevolezza delle pronunce rese a Sezioni Unite: la norma di cui all'art. 1720, comma 2, c.c., secondo cui il mandante deve risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell'incarico, è applicabile, in via analogica, anche a favore dell'amministratore di una società di capitali- la cui posizione quanto ai rapporti societari interni, è simile a quella del mandatario - atteso che l'assenza di una disposizione riferita specificamente alle perdite sopportate dall'amministratore da' luogo - in presenza di un principio legislativo di rimborsabilità delle spese, o comunque di ristoro delle perdite sopportate nella gestione dell'interesse altrui, principio desumibile, oltre che dal citato art. 1720, comma 2, dall'art. 2031, comma 1, c.c., in materia di gestione di affari, e dall'art. 2234 c.c., in materia di rapporti tra clienti e professionista intellettuale - ad una lacuna in senso proprio che richiede, ai sensi dell'art. 12, comma 2, disp. prel. c.c., il ricorso all'interpretazione analogica, il quale evita altresì il determinarsi di una situazione normativa contrastante con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3, comma 1, cost. (Cassazione civile sez. un., 14 dicembre 1994, n. 10680).
La ratio decidendi espressa dal giudice ordinario, motivatamente indirizzata alla individuazione di un principio generale, rende palese che la regola civilistica costituisce lo strumento necessario per colmare la lacuna normativa concernente la disciplina dei rapporti patrimoniali tra amministratori ed enti locali.
La sentenza appellata risulta correttamente impostata in questo senso: il riferimento esclusivo alla disciplina comune del codice civile implica il sostanziale riconoscimento della tesi difensiva dell'amministrazione regionale, secondo la quale la regola applicabile alla presente fattispecie non è desumibile dal D.P.R. n. 270/1987. In tal modo, la pronuncia perviene a conclusioni sostanzialmente coincidenti con quelle esposte dal provvedimento impugnato dal Co.Re.Co., il quale, peraltro, chiarisce, negativamente, che la normativa regolamentare riguardante il personale degli enti locali non può essere applicata agli amministratori, ma non indica, positivamente, attraverso quali strumenti normativi è possibile colmare la riscontrata lacuna dell'ordinamento.
5. Ciò chiarito, si tratta di stabilire l'esatta portata applicativa dell'articolo 1720 c.c., decidendo se esso concerne anche il rimborso delle spese processuali affrontate dal mandatario (e quindi del soggetto ad esso equiparato) nel corso di giudizi penali.
La sentenza appellata afferma in modo deciso che la portata della norma è tale da estendersi alle spese processuali penali anticipate dal mandatario, anche in caso di esito del processo non pienamente assolutorio.
Ma la giurisprudenza civile è orientata in senso nettamente contrario, che conduce ad escludere la sussistenza di un diritto del mandatario ad essere indennizzato degli oneri sopportati in dipendenza di un procedimento penale relativo a fatti collegati all'esecuzione del contratto.
E va sottolineato che la tesi affermata dal giudice civile si spinge oltre le stesse conclusioni espresse dal Co.Re.Co.: il diritto al rimborso delle spese processuali penali va escluso non solo nel caso di condanna e di proscioglimento con formula processuale, ma anche nelle ipotesi in cui sia positivamente accertata l'infondatezza dell'accusa nei confronti del mandatario (assoluzione con formula piena).
Dunque, l'applicazione dei criteri elaborati dalla giurisprudenza civile conduce a risultati opposti a quelli indicati dal tribunale, e, addirittura, nei confronti degli amministratori locali, comporta soluzioni ancora più severe di quanto abbia ritenuto l'organo di controllo.
Secondo la Cassazione, non sussiste nesso di causalità tra l'adempimento dell'incarico di amministratore di società e le spese dallo stesso amministratore sopportate per difendersi da una pur infondata imputazione penale mossagli per fatti inerenti all'adempimento dell'incarico (Cassazione civile sez. un., 14 dicembre 1994, n. 10680). Infatti, ai fini del rimborso, è necessario accertare che le spese siano state sostenute a causa e non semplicemente in occasione dell'incarico.
Si tratta di una conclusione coerente con l'ovvio principio secondo il quale la responsabilità penale ha carattere personale, così come strettamente personale è il giudizio volto ad accertare la sussistenza del reato contestato all'imputato.
6. Né questa tesi ricostruttiva si pone in contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza in ordine alla responsabilità civile del mandante o della stessa amministrazione pubblica per fatti commessi dal rappresentante o dal dipendente.
In tale contesto interpretativo, si è affermato che:
a) il mandante è responsabile, ex articolo 2049 del codice civile, per i fatti compiuti dal mandatario, anche se con colpa o dolo;
b) la responsabilità indiretta del mandante non viene meno nei casi di reato commesso dal mandatario, purché sia appurata l'esistenza di un nesso di occasionalità necessaria tra la condotta del preposto e l'incarico conferito;
c) la responsabilità dell'amministrazione per fatto dei dipendenti sussiste anche nel caso di condotte dolose e nelle ipotesi di reati, in presenza di un nesso anche meramente occasionale (ma necessario) tra l'attività dell'impiegato e i compiti istituzionali dell'ente pubblico.
Peraltro, questo indirizzo giurisprudenziale si riferisce esclusivamente ai rapporti esterni con i soggetti terzi rispetto al rapporto di mandato ed ha lo scopo di rafforzare la protezione del danneggiato, senza pregiudicare l'esatta definizione del riparto degli oneri economici fra le parti del mandato.
Nell'ambito dei rapporti interni tra mandante e mandatario, in difetto di apposite pattuizioni contrattuali, trova applicazione integrale la regola racchiusa nell'articolo 1720 c.c., così come viene interpretata dal giudice civile.
In tale contesto, appare ragionevole che il mandante, una volta adempiute le obbligazioni relative alla somministrazione dei mezzi necessari per l'espletamento dell'incarico, non debba sopportare gli oneri direttamente imputabili al mandatario, o comunque non strettamente connessi all'espletamento dell'incarico.
D'altro canto, il mandatario è tenuto ad eseguire il mandato con diligenza (articolo 1710): la profondità dell'impegno obbligatorio impostogli esige, quanto meno, che le condotte esecutive poste in essere rispettino gli obblighi di natura penale imposti dall'ordinamento.
7. In questa cornice di riferimento, dunque, la determinazione di annullamento dell'organo tutorio risulta senz'altro legittima, in quanto ha correttamente affermato l'inesistenza di una norma giuridica che consenta, o addirittura imponga, agli enti locali di rimborsare ai propri amministratori le spese legali sostenute nei giudizi penali.
Al tempo stesso, l'Autorità di controllo, pur non articolando un ragionamento giuridico incentrato sul riferimento all'articolo 1720 del codice civile, è pervenuta a conclusioni in larga parte coincidenti con quelle proposte dal giudice civile, solo attenuando il rigore del principio affermato dalla Cassazione (in concreto ritenuto non applicabile nei casi di assoluzione con formula piena).
La sinteticità della motivazione non impedisce di rilevarne la logicità e la coerenza (diversamente da quanto ritenuto dal tribunale), con particolare riguardo alla corretta affermazione secondo cui le disposizioni regolamentari riferite ai dipendenti non possono essere estese agli amministratori.
8. Detta argomentazione è di per sé idonea a sorreggere, validamente, la pronuncia di annullamento della delibera comunale. Pertanto, è superfluo esaminare a fondo l'altro aspetto evidenziato dall'organo tutorio, secondo cui il rimborso potrebbe essere consentito nei soli casi di assoluzione con formula piena.
Fra l'altro, non si vede che utilità possa avere, nella presente vertenza, nella quale gli amministratori imputati dai reati contravvenzionali loro ascritti sono stati prosciolti con formula meramente processuale, dichiarativa dell'estinzione del reato, stabilire se sia corretto o meno escludere il rimborso delle spese legali penali nei casi di assoluzione con formula piena.
Senza dire, poi, che l'asserita illogicità del provvedimento tutorio potrebbe essere ragionevolmente superata non già allargando le ipotesi di rimborsabilità delle spese, ma, semmai, riducendo la possibilità di rimborso secondo le puntuali indicazioni della cassazione civile.
In ogni caso, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, la tesi affermata dal provvedimento negativo di controllo non è affatto illogica, né contraddittoria, perché circoscrive ragionevolmente l'eccezionale possibilità di rimborso delle spese ai soli casi in cui sia incontestabilmente accertata l'assenza di responsabilità penale degli imputati. Si tratta di una tesi forse opinabile, tenendo conto dell'indirizzo interpretativo della Cassazione, nettamente più restrittivo, ma che valorizza in modo non intrinsecamente illogico il rilievo della positiva assenza di colpa in capo all'amministratore.
In effetti, anche volendo sostenere una ricostruzione dei principi in materia di rapporti patrimoniali tra enti pubblici locali ed amministratori diversa da quella desunta dagli indirizzi della Cassazione, non sembra superabile il limite costituito dal positivo e definitivo accertamento della mancanza di responsabilità dei soggetti che hanno sostenuto le spese legali.
La giurisprudenza amministrativa, dissentendo parzialmente dall'indirizzo espresso dal giudice ordinario è orientata nel senso che la pretesa al rimborso delle spese legali sostenute dagli amministratori nel corso di giudizi penali, per fatti connessi all'espletamento dell'incarico, va riconosciuta, quanto meno nei casi in cui l'imputato sia prosciolto con la formula più liberatoria ("perché il fatto non sussiste") (Cons. Stato III, 13 febbraio 1996, n. 69).
E la giurisprudenza ordinaria e contabile non ha mai riconosciuto il rimborso delle spese processuali sostenute dagli amministratori nel caso di proscioglimento con formule meramente processuali, non liberatorie, ammettendo solo il rilievo della assoluzione intervenuta in fase istruttoria (Pret. Trani 5 febbraio 1996; Corte Conti, Sez. Reg. Puglia, 17 dicembre 1993 n. 95).
Nel caso di specie, il proscioglimento degli imputati per intervenuta oblazione (derivante da una autonoma scelta volontaria compiuta dagli interessati), non ha consentito di appurare l'effettiva mancanza di colpa. Né emergono altri elementi, estranei al giudizio penale, che dimostrano la mancanza di responsabilità.
Dunque, non si vede per quale ragione l'amministrazione comunale dovrebbe farsi carico di spese sostenute dagli interessati, derivanti da vicende a loro imputabili.
Non potrebbe giovare al comune la previsione dell'articolo 67, comma secondo del D.P.R. n. 268/1987, in forza del quale "in caso di sentenza di condanna esecutiva per fatti commessi con dolo o colpa grave, l'ente ripeterà dal dipendente tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa in ogni grado di giudizio".
Al riguardo, occorre considerare non solo che la norma si riferisce ai soli dipendenti e non anche agli amministratori, ma soprattutto che essa presuppone la preventiva scelta dell'ente di assumere la difesa in giudizio del dipendente. In altri termini, la norma esclude la ripetibilità nei confronti del dipendente delle spese, anticipate dal comune, in tutti i casi di proscioglimento, ma non stabilisce affatto che l'interessato possa ottenere dall'amministrazione il rimborso delle spese legali da lui affrontate.
Non assume peso nemmeno l'argomento fondato sull'articolo 3, comma 2bis del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, il quale prevede il rimborso delle spese processuali sostenute nel corso del giudizio contabile, in ipotesi di proscioglimento definitivo dall'addebito, indipendentemente dalla formula adottata.
Si tratta di una normativa intervenuta in epoca largamente successiva a quella dei fatti per cui è causa e che, comunque, ha un ambito applicativo puntualmente delimitato al giudizio contabile, caratterizzato da presupposti sostanziali e da regole procedurali del tutto peculiari.
9. Non si può trascurare, poi, il dato evidenziato nell'appello concernente il mancato rispetto delle regole procedurali che governano l'assunzione, da parte dell'amministrazione, delle spese legali. È pur vero che detto profilo di illegittimità non potrebbe essere esaminato in questa sede, perché non rilevato dal provvedimento di controllo impugnato in primo grado. Tuttavia, il profilo evidenzia la sostanziale eccezionalità del rimborso delle spese legali, necessariamente circondata da garanzie procedimentali che non hanno valore puramente formale, ma mirano ad accertare la presenza dei necessari presupposti sostanziali della pretesa, la quale, in ultima analisi, postula l'accertamento dell'assenza di responsabilità dell'amministratore in relazione al fatto generatore dell'esborso anticipato nel giudizio penale.
10. L'assetto normativo che ne deriva non è sospettabile di illegittimità cosituzionale, per asserita disparità di trattamento tra amministratori e dipendenti locali. Infatti, la posizione dell'amministratore locale è comunque tutelata secondo la tesi, fatta propria dall'organo di controllo, in forza della quale, in ogni caso, la pretesa al rimborso dovrebbe essere accolta nelle ipotesi di riconosciuta infondatezza dell'accusa.
Inoltre, la sostanziale assimilazione tra dipendenti ed amministratori, riferita al profilo della responsabilità, non cancella la permanente differenziazione di status giuridico ed economico, che rende coerente la diversificata applicazione delle norme in materia di definizione dei rapporti patrimoniali con l'ente di appartenenza.
L'accoglimento di questi profili assorbenti dell'appello, rende priva di concreto rilievo la censura concernente il computo delle somme versate a titolo di oblazione nell'ambito delle spese rimborsabili dall'ente.
In definitiva, quindi, l'appello deve essere accolto, con il conseguente rigetto del ricorso di primo grado.
Le spese possono essere compensate.
PQM
PER QUESTI MOTIVI
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l'appello, compensando le spese;
per l'effetto, in riforma dell'impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado;
ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15 febbraio 2000, con l'intervento dei signori:
SALVATORE ROSA - Presidente
STEFANO BACCARINI - Consigliere
MARCELLO BORIONI - Consigliere
CLAUDIO MARCHITIELLO - Consigliere
MARCO LIPARI - Consigliere Estensore.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 14 APR. 2000.
28-12-2013 14:32
Richiedi una Consulenza