Regione Campania: no ai mafiosi nel Consiglio Regionale, ma è lo Stato che può prevedere cause di incandidabilità.
Corte Costituzionale, sentenza 3 – 5 giugno 2013, n. 118
Presidente Gallo - Redattore Frigo
Sentenza
Nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Campania 11 ottobre 2011, n. 16, recante «Modifica ed integrazione dell'articolo 9 della legge regionale 19 gennaio 2007, n. l (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – legge finanziaria regionale 2007), modifica ed integrazione dell'articolo 9 della legge regionale 27 marzo 2009, n. 4 (Legge elettorale) e modifica ed integrazione dell'articolo 28 della legge regionale 5 giugno 1996, n. 13 (Nuove disposizioni in materia di trattamento indennitario agli eletti alla carica di consigliere regionale della Campania)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 15 dicembre 2011, depositato in cancelleria il 20 dicembre 2011 ed originariamente iscritto al n. 13 del registro conflitti tra enti 2011.
Visti l'atto di costituzione della Regione Campania nonché l'atto di intervento, fuori termine, di Conte Roberto;
udito nell'udienza pubblica del 27 febbraio 2013 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;
uditi l'avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Rosanna Panariello per la Regione Campania.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale il 15 dicembre 2011 e depositato il successivo 20 dicembre, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto che sia dichiarata «la non spettanza alla Regione del potere di legiferare nella materia» oggetto della legge della Regione Campania 11 ottobre 2011, n. 16, recante «Modifica ed integrazione dell'articolo 9 della legge regionale 19 gennaio 2007, n. l (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – legge finanziaria regionale 2007), modifica ed integrazione dell'articolo 9 della legge regionale 27 marzo 2009, n. 4 (Legge elettorale) e modifica ed integrazione dell'articolo 28 della legge regionale 5 giugno 1996, n. 13 (Nuove disposizioni in materia di trattamento indennitario agli eletti alla carica di consigliere regionale della Campania)», trattandosi di materia attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall'articolo 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, e, conseguentemente, che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale della predetta legge regionale.
Il ricorrente rileva come l'art. 1 della legge regionale censurata, modificando l'art. 9 della legge regionale 19 gennaio 2007, n. l (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – legge finanziaria regionale 2007), preveda che i consiglieri regionali che hanno riportato condanna, anche non definitiva, per il delitto di cui all'art. 416-bis del codice penale (associazione di tipo mafioso) restano sospesi dalla carica fino alla sentenza definitiva. I successivi artt. 2 e 3 inseriscono il riferimento a tale previsione normativa, rispettivamente, nell'art. 9 della legge regionale 27 marzo 2009, n. 4 (Legge elettorale) e nell'art. 28 della legge regionale 5 giugno 1996, n. 13 (Nuove disposizioni in materia di trattamento indennitario agli eletti alla carica di consigliere regionale della Campania), stabilendo conseguentemente la sostituzione temporanea del consigliere sospeso e la sospensione della corresponsione dell'indennità inerente alla carica.
Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la legge impugnata – nel prevedere una sospensione di diritto, potenzialmente sine die, dalla carica di consigliere regionale – eccederebbe dall'ambito della competenza legislativa regionale, incidendo sulla materia dell'ordine pubblico e della sicurezza, riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
Il legislatore statale ha, in effetti, disciplinato la materia oggetto della legge regionale in esame con l'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale). Detta disposizione – dopo aver previsto, al comma 1, che non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali e comunali coloro che hanno riportato condanna definitiva per il delitto di associazione di tipo mafioso – al successivo comma 4-bis stabilisce la sospensione di diritto dalla carica consiliare, per un periodo di diciotto mesi, nei confronti di chi abbia riportato una condanna non definitiva per lo stesso reato. La norma aggiunge che la sospensione non cessa se entro il predetto termine interviene una pronuncia, anche non definitiva, di rigetto dell'impugnazione in punto di responsabilità, nel qual caso la sospensione viene meno decorsi dodici mesi dalla sentenza di rigetto.
Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale, la disciplina ora ricordata risponde a finalità di salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica contro i rischi di infiltrazioni delle organizzazioni criminali nelle pubbliche amministrazioni, tutelando, così, interessi fondamentali dello Stato. La legislazione regionale non potrebbe pertanto derogare alle disposizioni statali in questione, né tramite previsioni più favorevoli, né – come nel caso in esame – introducendo norme di maggior rigore.
2.– Si è costituita la Regione Campania, la quale ha chiesto che il ricorso – qualificato dalla difesa regionale come ricorso per conflitto di attribuzione – sia dichiarato inammissibile o infondato, per le ragioni precisate in una successiva memoria.
In particolare, il ricorso sarebbe inammissibile perché il testo dell'art. 1 della legge impugnata ivi riportato corrisponderebbe a quello antecedente all'avviso di rettifica pubblicato nel Bollettino ufficiale della Regione Campania del 25 ottobre 2011, n. 67, e, quindi, non più in vigore già al momento dell'instaurazione del giudizio. Peraltro, anche gli artt. 2 e 3 della medesima legge, i quali richiamano il contenuto del menzionato art. 1, sarebbero comprensibili solo se letti in correlazione alla disposizione emendata.
Nel merito, la resistente assume che le norme censurate costituirebbero integrazione della preesistente normativa regionale e, segnatamente, delle leggi n. 4 del 2009 e n. 13 del 1996, emanate nel rispetto della legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione). Sarebbe, infatti, illogico consentire al legislatore regionale di determinare le cause di ineleggibilità e di incompatibilità dei consiglieri regionali (art. 122, primo comma, Cost.) e non, invece, di disciplinare le conseguenze della sopravvenienza di quelle stesse cause alla nomina.
Con specifico riferimento agli artt. 2 e 3, che regolano la supplenza e il trattamento indennitario in costanza di una causa di sospensione, non potrebbe comunque evocarsi una competenza legislativa statale in materia di ineleggibilità, discutendosi di disposizioni attinenti a meri profili economici e a meccanismi organizzativi interni all'amministrazione regionale.
3.– Con atto depositato il 29 gennaio 2013 è intervenuto il consigliere regionale Roberto Conte, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto che sia dichiarata la «non spettanza alla Regione» Campania «del potere di legiferare» nella materia oggetto della legge regionale 11 ottobre 2011, n. 16, recante «Modifica ed integrazione dell'articolo 9 della legge regionale 19 gennaio 2007, n. l (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – legge finanziaria regionale 2007), modifica ed integrazione dell'articolo 9 della legge regionale 27 marzo 2009, n. 4 (legge elettorale) e modifica ed integrazione dell'articolo 28 della legge regionale 5 giugno 1996, n. 13 (Nuove disposizioni in materia di trattamento indennitario agli eletti alla carica di consigliere regionale della Campania)».
L'art. 1 della legge impugnata, aggiungendo il comma 5 all'articolo 9 della legge regionale 2007, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – legge finanziaria regionale 2007), prevede che i consiglieri regionali che abbiano riportato condanna, anche non definitiva, per il delitto di cui all'art. 416-bis del codice penale restino sospesi dalla carica fino alla sentenza definitiva. I successivi artt. 2 e 3, modificando altre previgenti norme regionali, stabiliscono, rispettivamente, la sostituzione temporanea del consigliere sospeso e la sospensione della corresponsione della relativa indennità.
Secondo il ricorrente, la legge regionale impugnata violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, invadendo la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza: materia alla quale andrebbe ricondotta la prevista ipotesi di sospensione di diritto dei consiglieri regionali, in quanto volta a prevenire e a contrastare le infiltrazioni mafiose nel tessuto regionale.
2.– In via preliminare, va rilevato che – contrariamente a quanto mostra di ritenere la Regione resistente – con il ricorso in esame il Presidente del Consiglio dei ministri ha inteso promuovere una questione di legittimità costituzionale in via principale, e non già un conflitto di attribuzione fra enti: ciò, malgrado l'impropria formulazione del petitum in termini di richiesta della dichiarazione di «non spettanza» alla Regione del potere legislativo esercitato.
Depongono inequivocamente in tal senso la concorrente, espressa richiesta, contenuta nel corpo del ricorso, di dichiarare l'illegittimità costituzionale della legge regionale impugnata, nonché l'articolazione dei motivi, imperniati sulla violazione del riparto delle competenze legislative. Univoca, d'altro canto, è la delibera con la quale il Consiglio dei ministri ha deciso la proposizione dell'impugnativa nel qualificare la medesima come «questione di legittimità costituzionale».
3.– Sempre in via preliminare, va dichiarata l'inammissibilità dell'intervento ad adiuvandum del consigliere regionale Roberto Conte, sia perché depositato oltre il termine – di natura perentoria (ex plurimis, sentenze n. 190 e n. 108 del 2006) – stabilito dagli artt. 24 e 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), computato secondo quanto previsto dagli artt. 3 e 4 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale; sia perché – per costante giurisprudenza di questa Corte – «il giudizio di costituzionalità delle leggi in via d'azione si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando, per i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle rispettive posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale» (ex plurimis, sentenze n. 33 del 2011 e n. 278 del 2010).
4.– Infondata è l'eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla difesa della Regione, sul rilievo che l'atto riporta, in premessa, il testo dell'art. 1 della legge impugnata nella versione antecedente all'avviso di rettifica pubblicato nel Bollettino ufficiale della Regione del 25 ottobre 2011, n. 67 e, dunque, non più in vigore già al momento dell'instaurazione del giudizio.
Dopo la premessa, il ricorso riproduce, infatti, il testo normativo così come emendato e ad esso riferisce concretamente le censure.
5.– Nel merito, la questione è fondata, nei termini di seguito specificati.
Come rilevato dal ricorrente, la materia su cui incide la legge regionale impugnata è disciplinata, a livello di legislazione statale, dall'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), i cui contenuti risultano attualmente trasfusi, per la parte che interessa, negli artt. 7 e 8 del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190).
In particolare, l'art. 7, comma 1, lettera a), del citato decreto legislativo (corrispondente all'art. 15, comma 1, lettera a, della legge n. 55 del 1990) stabilisce che non possono essere candidati alle elezioni regionali coloro che hanno riportato condanna definitiva per una serie di delitti, tra cui, anzitutto, quello di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis cod. pen.). Correlativamente, il successivo art. 8 del d.lgs. n. 235 del 2012 (corrispondente ai commi 4-bis e seguenti dell'art. 15 della legge n. 55 del 1990) prevede la sospensione di diritto del consigliere regionale che abbia riportato una condanna non definitiva per il medesimo reato (comma 1, lettera a). La sospensione cessa automaticamente di produrre effetti decorsi diciotto mesi, salvo che, entro tale periodo, intervenga una decisione, anche non definitiva, di rigetto dell'impugnazione in punto di responsabilità: nel qual caso, la sospensione cessa di produrre effetti decorso il termine di dodici mesi dalla sentenza di rigetto (comma 4). Il passaggio in giudicato della sentenza di condanna provoca, per converso, la decadenza di diritto dalla carica (comma 6).
Pronunciando sul citato art. 15 della legge n. 55 del 1990, questa Corte ha avuto modo di rilevare in più occasioni come le misure ivi previste – ossia l'incandidabilità alle cariche elettive e la decadenza di diritto dalle medesime a seguito di condanna definitiva per determinati reati, nonché la sospensione automatica in caso di condanna non definitiva (che viene qui specificamente in rilievo) – siano dirette «ad assicurare la salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche allo scopo di fronteggiare una situazione di grave emergenza nazionale coinvolgente gli interessi dell'intera collettività» (sentenze n. 352 del 2008 e n. 288 del 1993). L'obiettivo perseguito è segnatamente la «prevenzione della delinquenza mafiosa o di altre gravi forme di pericolosità sociale fornite di alta capacità di inquinamento degli apparati pubblici» (sentenza n. 25 del 2002), evitando la loro infiltrazione nel tessuto istituzionale locale (sentenze n. 372 del 2008, n. 288 del 1993 e n. 407 del 1992).
L'evidenziato obiettivo vale a collocare il nucleo essenziale della disciplina in questione nell'ambito della materia «ordine pubblico e sicurezza», di competenza legislativa statale esclusiva (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.): materia che, per costante giurisprudenza di questa Corte, si riferisce «all'adozione delle misure relative alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso quest'ultimo quale complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale» (ex plurimis, sentenza n. 35 del 2011).
6.– Alla medesima conclusione si deve pervenire con riguardo alla disposizione dell'art. 1 della legge regionale impugnata, la quale, sovrapponendosi alla ricordata disciplina statale in tema di sospensione di diritto – caratterizzata dalla previsione di termini massimi di durata, in una prospettiva di contemperamento delle esigenze di tutela sottese all'istituto con la presunzione di non colpevolezza (art. 27, secondo comma, Cost.) – introduce una disciplina più rigorosa, a fronte della quale il consigliere regionale condannato con sentenza non definitiva per associazione di tipo mafioso resta sospeso dalla carica sino alla sentenza definitiva (e, dunque, potenzialmente sine die).
Al riguardo, non può condividersi l'assunto della Regione resistente, stando al quale la disposizione in esame ricadrebbe nell'ambito della competenza legislativa regionale concorrente in materia di ineleggibilità e incompatibilità dei consiglieri regionali (art. 122, primo comma, Cost.): e ciò, anche riconoscendo che detta competenza comprenda la disciplina delle decadenze connesse alla sopravvenienza delle cause di ineleggibilità dopo l'assunzione del mandato, come pure la disciplina delle ipotesi di sospensione automatica dalla carica collegate, in funzione cautelare e preventiva, alle cause di decadenza. Resta, infatti, dirimente il rilievo che le ragioni che stanno nella contingenza alla base della prevista sospensione di diritto – evitare, come detto, anomale interferenze nel governo regionale dovute a fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata, segnatamente di tipo mafioso – ascrivono comunque il nucleo essenziale della disciplina, sulla base del criterio della prevalenza, alla già indicata materia di competenza statale esclusiva «ordine pubblico e sicurezza».
7.– Le disposizioni degli artt. 2 e 3, comma 1, lettera a), della legge impugnata sono strettamente consequenziali a quella dell'art. 1.
Modificando norme regionali previgenti – rispettivamente, l'art. 9, comma 1, della legge regionale 27 marzo 2009, n. 4 (Legge elettorale) e l'art. 28, comma 1, della legge regionale 5 giugno 1996, n. 13 (Nuove disposizioni in materia di trattamento indennitario agli eletti alla carica di consigliere regionale) – le citate disposizioni prevedono, infatti, la sostituzione temporanea del consigliere regionale e la sospensione della corresponsione della relativa indennità anche con riguardo alla nuova ipotesi di sospensione di diritto dalla carica introdotta dal citato art. 1, la quale viene aggiunta ai casi in precedenza richiamati.
Presenta, per converso, autonomi margini di operatività la lettera b) dell'art. 3, comma 1, della legge impugnata, che – modificando l'art. 28, comma 3, della legge reg. n. 13 del 1996 – introduce una nuova disciplina dell'affidamento della supplenza, riferibile alla generalità delle ipotesi di sospensione del consigliere regionale ivi considerate, anche diverse da quella oggetto dell'odierno scrutinio: disciplina che resta estranea alle censure del ricorrente.
8.– La legge della Regione Campania n. 16 del 2011 va dichiarata, pertanto, costituzionalmente illegittima con riguardo alle previsioni degli artt. 1, 2 e 3, comma 1, lettera a).
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile l'intervento spiegato dal consigliere regionale Roberto Conte;
2) dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2 e 3, limitatamente alla lettera a) del comma 1, della legge della Regione Campania 11 ottobre 2011, n. 16, recante «Modifica ed integrazione dell'articolo 9 della legge regionale 19 gennaio 2007, n. l (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – legge finanziaria regionale 2007), modifica ed integrazione dell'articolo 9 della legge regionale 27 marzo 2009, n. 4 (Legge elettorale) e modifica ed integrazione dell'articolo 28 della legge regionale 5 giugno 1996, n. 13 (Nuove disposizioni in materia di trattamento indennitario agli eletti alla carica di consigliere regionale della Campania)».
08-06-2013 08:31
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