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Sentenza

Ottiene autorizzazione per realizzare un deposito interrato, ma realizza un mani...
Ottiene autorizzazione per realizzare un deposito interrato, ma realizza un manifatto due metri fuori terra. No del Consiglio di Stato.
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 9 luglio - 31 ottobre 2013, n. 5253
Presidente Volpe – Estensore Amicuzzi

Fatto

La sig.ra F. V.  proprietaria di un fondo nel Comune di Cicciano, ha impugnato la concessione edilizia n. 229/1997, rilasciata ai confinanti, sigg.ri S. D. S. e G. C., per la costruzione di un deposito “interrato”, presso il T.A.R. Campania, Napoli, che ha accolto il ricorso con la sentenza in epigrafe indicata, ritenendo fondata sia la censura di incompetenza, perché la concessione edilizia impugnata, rilasciata dal Sindaco, risaliva al 10 novembre 1997, quando già, per effetto della l. n. 127/1997, era stato attribuito alla dirigenza amministrativa il potere di adottare detto provvedimento, sia quella relativa alla circostanza che l'edificazione in argomento, che avrebbe dovuto costituire un deposito “interrato”, si ergeva invece illegittimamente fuori terra per circa due metri.
Con il ricorso in appello in esame i suddetti sigg.ri D.S e C  hanno chiesto l'annullamento o la riforma di detta sentenza deducendo i seguenti motivi:
1.- Violazione di legge. Difetto di motivazione. Extrapetizione e/o ultrapetizione. Irricevibilità e/o inammissibilità della censura di incompetenza. Infondatezza nel merito di detta censura.
La censura di incompetenza, condivisa dal Giudice di primo grado, non era stata proposta dalla parte ricorrente nel ricorso introduttivo, né era stata formulata in forma giuridicamente apprezzabile nei motivi aggiunti, peraltro inammissibili per tardività della notifica.
2.- Violazione di legge. Difetto di motivazione. Infondatezza in fatto ed in diritto della censura “relativa al fatto che l'edificazione in argomento avrebbe dovuto costituire un deposito interrato” di cui ai capi sub 3) e seguenti della sentenza.
L'assunto contenuto in sentenza, che la concessione edilizia di cui trattasi è illegittima nella parte in cui ha assentito la edificazione fuori terra, è incondivisibile perché il deposito di cui trattasi era interamente al di sotto della linea di terra definita dalla quota del piano stradale o di sistemazione esterna ex art. 24, sub 10) “Altezza”, del Regolamento Edilizio del Comune di Cicciano.
3.- Violazione di legge. Difetto di motivazione. Infondatezza in fatto ed in diritto del ricorso di primo grado.
E' destituita di fondamento la tesi dell'originario ricorrente che il deposito in questione non sarebbe stato interamente interrato.
E' indimostrata ed infondata la tesi di cui al secondo motivo di ricorso che all'atto del rilascio di altre concessioni edilizie nella stessa zona il Comune aveva fatto riferimento al piano di campagna inteso come piano di calpestio del fondo della ricorrente.
Sono anche incondivisibili le tesi che la concessione edilizia era illegittima per cattiva interpretazione del Piano di fabbricazione del Comune, per violazione delle norme sulle distanze e per contrasto con la destinazione di zona e gli indici di edificabilità di essa.
Era legittimo il provvedimento di revoca dell'ordinanza di sospensione dei lavori, afferendo essi al rilascio di un parere dei VV.FF, non necessario ai fini del rilascio della concessione e comunque poi rilasciato.
4.- Violazione di legge. Difetto di motivazione. Ingiusta condanna alle spese.
E' illegittima la condanna alle spese dei controinteressati, quale conseguenza di una ingiusta soccombenza, non ricorrendone i requisiti.
5.- Violazione di legge. Difetto di motivazione. Irricevibilità del ricorso di primo grado.
Il ricorso è stato notificato quando i lavori erano in fase già avanzata ed era pienamente conoscibile da parte del ricorrente la presunta lamentata violazione delle distanze minime.
6.- Violazione di legge. Difetto di motivazione. Irricevibilità dei motivi aggiunti.
Il Comune ha depositato in data 20.7.2998 la documentazione in riferimento alla quale i motivi aggiunti sono stati notificati tardivamente.
7.- Violazione di legge. Difetto di motivazione. Infondatezza dei motivi aggiunti.
Il parere della C.E. era atto endoprocedimentale neppure comunicato ai controinteressati.
Ogni impugnativa dell'art. 24, comma 10, del regolamento edilizio (R.E.) comunale è tardiva.
Con atto depositato il 12.12.2001 si è costituito in giudizio il Comune di Cicciano, che ha dedotto la fondatezza dell'appello, sia perché in primo grado non era stato dedotto alcun vizio di competenza dell'atto impugnato (e comunque perché la censura sarebbe stata tardivamente proposta), sia perché il T.A.R. ha pronunciato l'annullamento non per vizi della concessione ma per pretesa attività edificatoria difforme da essa.
Con ordinanza 12 dicembre 2001, n. 6572 la Sezione ha respinto la istanza di sospensione della sentenza impugnata.
Con appello incidentale, notificato il 17 e il 24.12.2001 e depositato il 4.1.2002, il Comune di Cicciano ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado, deducendo i seguenti motivi:
1.- Error in iudicando. Violazione dell'art. 12 del c.p.c.. Ultrapetizione. Inammissibilità dei motivi aggiunti.
Né con il ricorso introduttivo del giudizio né con i motivi aggiunti era stato dedotto il vizio di competenza dell'atto impugnato, essendo insufficiente la generica dizione “incompetenza” contenuta nell'epigrafe di motivi aggiunti, e comunque perché la censura era stata tardivamente proposta.
2.- Error in iudicando. Eccesso di potere. Falso presupposto. Vizio di motivazione.
La concessione edilizia è stata annullata dal primo Giudice per essere stata l'opera edilizia assentita realizzata non in conformità ad essa, quindi non per un vizio di legittimità della concessione.
Non sono state indicate le prescrizioni degli strumenti urbanistici che sarebbero state violate e comunque il locale in questione, alla luce di quanto previsto dall'art. 24 del Regolamento Edilizio del Comune, era da ritenersi interrato.
Con decreto 7 giugno 2012 n. 1487, visto l'art. 1 dell'Allegato 3 al d. lgs. n. 104/2010, il ricorso è stato dichiarato perento.
Con decreto 18 ottobre 2012, n. 2782, visto l'atto con il quale è stata dichiarata la persistenza di interesse alla trattazione della causa, il decreto suddetto è stato revocato ed è stata disposta la reiscrizione del ricorso sul ruolo del merito.
Con memoria depositata l'8.3.2013 si è costituita in giudizio la sig.ra Filomena Vacchiano, che ha eccepito la inammissibilità, la improponibilità e la improcedibilità dell'appello, nonché ne ha dedotto la infondatezza.
Con atto depositato il 29.5.2013 l'avv. Maurizio Renzulli ha dichiarato di rinunciare al mandato conferitogli.
Con memoria depositata il 5.6.2013 il Comune di Cicciano ha ribadito tesi e richieste.
Con memoria depositata il 7.6.2013 la parte resistente ha dedotto la infondatezza delle censure formulate dalle parti appellanti con riguardo al vizio di incompetenza rilevato in sentenza, ha eccepito la inammissibilità dell'appello nella parte in cui censura non detta sentenza ma il ricorso di primo grado, ha dedotto la infondatezza del gravame ed ha riproposto i motivi formulati con l'atto introduttivo del giudizio.
Alla pubblica udienza del 9.7.2013 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

Diritto

1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dai sigg.ri S. De S.e G. C., di annullamento o di riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale è stato accolto il ricorso proposto dalla sig.ra V. F. per l'annullamento della concessione edilizia n. 229 del 10.11.1997 rilasciata dal Comune di Cicciano ai suddetti sigg.ri D.S. e C. per la realizzazione di un deposito interrato, nonché di tutti gli atti connessi, in particolare della nota sindacale di revoca dell'ordinanza di sospensione dei lavori.
2.- Ritiene innanzi tutto la Sezione di poter prescindere dalla disamina delle censure, di cui al primo motivo di appello principale ed incidentale, relative alla ritenuta sussistenza da parte del Giudice di primo grado del vizio di incompetenza, nonostante che non fosse stato proposto dalla parte ricorrente nel ricorso introduttivo e fosse stato solo genericamente accennato nei motivi aggiunti, peraltro inammissibili per tardività della notifica.
Sono infatti infondate le censure rivolte agli ulteriori motivi di appello, quindi l'impugnata pronuncia di annullamento giurisdizionale dell'atto amministrativo censurato in primo grado comunque continua ad essere sorretta dalle ulteriori autonome motivazioni poste a base della stessa, sufficienti a sorreggerne autonomamente il tenore.
3.- Con il secondo motivo di appello principale è stato dedotto che l'assunto contenuto in sentenza, che la concessione edilizia di cui trattasi era illegittima nella parte in cui ha assentito la edificazione fuori terra, sarebbe incondivisibile perché il deposito di cui trattasi era interamente al di sotto della linea di terra, definita dalla quota del piano stradale o di sistemazione esterna, ex art. 24, sub 10) “Altezza”, del Regolamento Edilizio del Comune di Cicciano.
Lo stesso Giudice di primo grado ha riconosciuto che il corpo di fabbrica si estendeva alquanto nel sottosuolo e che la più vicina strada carrabile era effettivamente ad una quota superiore rispetto al livello di calpestio del terreno circostante il fabbricato, ciononostante ha ritenuto che la concessione non poteva essere interpretata nel senso di assentire un manufatto suscettibile di estendersi fenomenicamente fuori terra dal momento che era usata la parola “interrato” senza puntualizzazioni ulteriori. La concessione avrebbe dovuto invece essere interpretata nel senso che assentiva un manufatto suscettibile di estendersi fenomenicamente fuori terra, non potendo la espressione “interrato” che intendersi riferita alla linea di terra definita, in base a detto punto del Regolamento Edilizio comunale, dal piano stradale o di sistemazione esterna.
In tal senso, secondo gli appellanti, deponevano anche la nota dell'Ufficio tecnico comunale (U.T.C.) n. 74/95 del 29.7.1997 ed il parere della Commissione edilizia, pure in base ai quali detta concessione avrebbe dovuto essere interpretata.
Sarebbe confusa ed incomprensibile la affermazione del primo Giudice che detta nota afferiva unicamente alla volumetria ed alla altezza dei manufatti destinati a fungere da parcheggio.
3.1.- La Sezione ritiene opportuno preliminarmente puntualizzare che il Giudice di primo grado ha rilevato in proposito che si evinceva dai rilievi fotografici depositati in giudizio che la costruzione in questione si ergeva fenomenicamente fuori terra per circa due metri e che non poteva aderire alla tesi dei controinteressati, che essa era da considerarsi giuridicamente interrata, pena una alterazione dei parametri logici, concettuali ed espressivi riferiti al titolo di assenso edilizio, in cui non erano contenute puntualizzazioni ulteriori rispetto all'espressione “interrato” che potessero lasciare intendere una concessione edilizia suscettibile di estendersi fuori terra; ciò considerato che le indicazioni contenute in una pure impugnata nota dell'U.T.C. (apparentemente idonee a prevedere la possibilità di edificare impegnando anche i volumi intercorsi tra il livello del terreno ed una strada comunale) non erano ripetute nella concessione edilizia e che, essendo relative a manufatti da destinare a parcheggio, avrebbero dovuto coincidere con il livello del terreno preesistente alla realizzazione del deposito sotterraneo.
3.2.- Tanto premesso osserva il Collegio che dette considerazioni sono pienamente condivisibili e non sono censurabili in base alle argomentazioni al riguardo svolte con il motivo di appello in esame.
Le prescrizioni dettate dagli strumenti urbanistici in tema di altezza e di volumetria degli edifici sono dirette a tutelare, in una visione organica e globale della zona, quegli specifici valori urbanistico - edilizi (aria, luce, vista) sui quali incidono tutti i volumi che, sporgendo al di sopra della linea naturale del terreno, modificano in modo permanente la conformazione del suolo e dell'ambiente, per cui va esclusa la computabilità dei volumi sottostanti al naturale piano di campagna, tranne per quei manufatti che vengono a trovarsi fuori terra a seguito di uno sbancamento del terreno.
I limiti alle altezze degli edifici devono essere ancorati a dati certi e oggettivi ricavabili dalla situazione dei luoghi anteriore (Consiglio di Stato, sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4923) e, in linea generale, il computo della misura entro la quale è consentita l'edificazione, va effettuato prendendo come parametro l'originario piano di campagna, cioè il livello naturale del terreno di sedime e non la quota del terreno sistemato, salvo normative regolamentari espresse (Consiglio Stato, sez. IV, 24 aprile 2009, n. 2579).
Aggiungasi che, in assenza di specifiche prescrizioni delle norme urbanistiche sui criteri di calcolo dell'altezza degli edifici, quest'ultima, in caso di costruzione che insista su un'area in pendenza, va misurata rispetto al piano di campagna con riguardo a tutti i lati della costruzione stessa, in modo che il valore fissato dalle norme sia rispettato in ogni punto del fabbricato (Consiglio Stato, sez. V, 14 gennaio 1991, n. 44).
Nel caso di specie l'art. 24 del Regolamento edilizio del Comune di Cicciano, al punto 10, con riguardo alla altezza delle pareti esterne, stabiliva che essa è “…la distanza verticale misurata dalla linea di terra (definita dal piano stradale o di sistemazione esterna dell'edificio) alla linea di copertura...”
Al fine di consentire una interpretazione di dette generiche indicazioni (alla cui funzione si rapporta l'esigenza di regolamentare l'altezza degli edifici) in linea con i consolidati principi prima riportati, deve ritenersi che la citata disposizione identificasse la linea di terra con il piano stradale solo con riguardo agli edifici che prospettavano direttamente sulla strada. Invece, con riguardo agli immobili che, come nel caso di specie, erano arretrati rispetto alla via pubblica (e per i quali il parametro dell'altezza ha non solo detta funzione, ma anche quella di regolare i rapporti di vicinato in modo da garantire anche le esigenze di sicurezza e di igiene), detto art. 24, punto 10, del R.E. citato individuava la linea di terra nel piano di sistemazione esterna dell'edificio, da intendersi come quello originario e non quello artificialmente creato dal proprietario.
Costituisce infatti indiscutibile principio logico giuridico che le disposizioni delle norme regolamentari in materia urbanistica debbono essere interpretate nel senso più logico, evitando interpretazioni atte a snaturare l'interesse pubblico che sottendono.
Una interpretazione della citata disposizione diversa da quella sopra prospettata porterebbe inevitabilmente, in caso di costruzioni da realizzare in terreni scoscesi e distanti dal piano stradale, a conseguenze inaccettabili sul piano dell'ordinato sviluppo delle zone urbane perché depositi definiti “interrati”, come quello per il quale è stata richiesta la impugnata concessione edilizia, verrebbero a sporgere anche per rilevante altezza da terra, con elusione delle disposizioni che ne regolano la realizzazione.
Quanto alla dedotta circostanza che anche la nota dell'U.T.C. n. 74/95 del 29.7.1997 ed il parere della Commissione edilizia deponevano nel senso affermato nell'atto di appello, osserva la Sezione, a prescindere dal fatto che con il ricorso introduttivo del giudizio erano stati impugnati anche gli atti presupposti alla concessione edilizia, questa costituiva l'atto conclusivo del procedimento.
Il parere della C.E. non ha natura provvedimentale, come pure le note degli uffici tecnici pregresse alla concessione edilizia non hanno natura endoprocedimentale, sicché, non avendo effetti sulla determinazione conclusiva del procedimento, di spettanza dell'Autorità adita, e non essendo immediatamente lesivi della sfera giuridica del richiedente, seguono la sorte del provvedimento conclusivo.
3.3.- Le censure in esame non possono essere quindi oggetto di positiva valutazione.
4.- Con il terzo motivo di appello principale è stata sostenuta la infondatezza della tesi dell'originaria ricorrente che il deposito in questione non sarebbe stato interamente interrato con riguardo al piano originario di campagna, inteso come piano di calpestio del fondo di sua proprietà, essendo esso di altezza pari a zero rispetto alla linea di terra, o al piano stradale o di sistemazione esterna, con volumetria o cubatura nulla [come da rilievi fotografici, perizia tecnica e art. 24, sub 10) “Altezza” del R.E. comunale]; ciò considerato che il principio generale per il quale l'altezza del fabbricato va calcolata con riguardo all'originario piano di campagna è inapplicabile quando il R.E., come nel caso che occupa, consente di fare riferimento al terreno sistemato e che di norma l'altezza di un edificio sito su un terreno in pendenza deve essere calcolata con riferimento al piano di campagna con riguardo a tutti i lati della costruzione.
Sarebbe indimostrata ed infondata la tesi di cui al secondo motivo di ricorso che all'atto del rilascio di altre concessioni edilizie nella stessa zona il Comune aveva fatto riferimento al piano di campagna inteso come piano di calpestio del fondo della ricorrente.
Sarebbero anche incondivisibili le tesi che la concessione edilizia era illegittima per cattiva interpretazione del Piano di fabbricazione del Comune, per violazione delle norme sulle distanze e per contrasto con la destinazione di zona e gli indici di edificabilità di essa.
Era legittimo il provvedimento di revoca dell'ordinanza di sospensione dei lavori, afferendo essi al rilascio di un parere dei VV.FF, non necessario ai fini del rilascio della concessione e comunque poi rilasciato.
4.1.- La Sezione ritiene inammissibili le censure sopra riportate, rivolte non alla sentenza ma al ricorso di primo grado, perché, ai sensi dell'art. 101 del c.p.a., nel processo innanzi al Consiglio di Stato il ricorrente è tenuto ad indicare, nell'atto di appello, le critiche che egli rivolge contro i capi della sentenza gravata e le ragioni per le quali le conclusioni, cui il primo Giudice è pervenuto, non sono condivisibili; è quindi inammissibile il mero richiamo delle censure prospettate con il ricorso di primo grado o la pedissequa riproposizione delle questioni e delle eccezioni articolate in quel grado.
Aggiungasi che esse sono anche infondate perché, con riguardo alla asserzione che il manufatto realizzato era da considerarsi di altezza pari a zero rispetto alla linea di terra, o al piano stradale o di sistemazione esterna [in base a rilievi fotografici, a perizia tecnica e all'art. 24, sub 10) del R.E. comunale], va rilevato che, dall'esame dei rilievi fotografici e dalla perizia tecnica prodotti risulta che la copertura della costruzione in questione non superava il piano stradale, ma superava di circa due metri la linea di terra, sicché, in base alla sopra prospettata interpretazione di detta norma regolamentare, la concessione che la aveva assentita era da considerarsi illegittima.
Quanto ai motivi di ricorso implicitamente assorbiti o comunque non valutati in primo grado è consentito al Giudice di appello di esaminarli, se riproposti, solo nell'ipotesi che la sentenza impugnata sia da riformare con riguardo all'assorbente motivo accolto in primo grado; in difetto è inammissibile per difetto di interesse la loro riproposizione ed è inutile la loro disamina essendo il motivo di accoglimento del ricorso di primo grado idoneo a sorreggere comunque l'annullamento del provvedimento impugnato.
In conclusione le censure in esame sono insuscettibili di condivisione.
5.- Con il quarto motivo di appello principale è stata dedotta la illegittimità della condanna alle spese dei controinteressati, quale conseguenza di una ingiusta soccombenza, non ricorrendone i requisiti.
5.1.- Osserva la Sezione che la condanna alle spese del giudizio è espressione di un ampio potere valutativo del Giudice di primo grado, per cui il sindacato del Giudice d'appello è circoscritto in limiti assai ristretti, ravvisabili essenzialmente in violazioni di legge, come ad esempio nel caso di condanna alle spese a carico della parte vittoriosa o quando l'ampio potere di apprezzamento spettante al Giudice sia affetto da evidente irragionevolezza.
Quando, come nel caso che occupa, detto vizio non sussiste, solo incidendo sul giudizio di primo grado e mutandolo il Giudice di appello ha pieno titolo per tornare sulla decisione relativa alle spese di giudizio in primo grado atteso che in tal modo modifica radicalmente l'intera vicenda processuale e non interviene sulle spese in primo grado ma sulle spese complessive del giudizio quantificandole e distribuendole tra le parti.
Nel caso di specie la decisione di primo grado va confermata, sicché il motivo in esame è insuscettibile di accoglimento.
6.- Con il quinto motivo di appello principale è stata sostenuta la irricevibilità del ricorso di primo grado perché il ricorso è stato notificato in data 21.5.1998, quando i lavori erano in fase già avanzata ed era pienamente conoscibile da parte del ricorrente la presunta lamentata violazione delle distanze minime.
6.1.- Va osservato al riguardo che il termine per impugnare i titoli edilizi decorre, per i terzi, dalla data di piena conoscenza del provvedimento, che s'intende avvenuta, alternativamente, al momento del rilascio della copia degli stessi, inclusi i documenti di progetto, ovvero al completamento delle opere, salvo che non sia data la prova rigorosa di una conoscenza anteriore o che siano dedotte censure di inedificabilità assoluta.
Nel caso che occupa il termine decadenziale per ricorrere avverso gli atti abilitativi all'edificazione, non essendo stata dedotta la piena conoscenza da parte dell'originaria ricorrente del titolo edilizio, né avendo la stessa dedotto un vizio di inedificabilità assoluta, decorreva dalla piena ed effettiva conoscenza di detti atti, che coincideva con l'ultimazione dei lavori, perché solo in quel momento si potevano apprezzare le dimensioni e le caratteristiche dell'opera e, quindi, l'entità delle violazioni urbanistiche ed edilizie derivanti dal provvedimento impugnando.
Quanto alla avvenuta piena conoscenza della pure dedotta violazione delle distanze minime se ne deve rilevare la irrilevanza nel concreto caso di specie, essendo stata detta censura sostanzialmente assorbita dall'accoglimento in primo grado di diversa censura.
Neppure i profili critici in esame sono quindi suscettibili di assenso.
7.- Con la sesta censura di appello principale è stato dedotto che il Comune ha depositato in data 20.7.2998 la documentazione, in riferimento alla quale sono stati poi notificati i motivi aggiunti solo in data 17.11.1998, quindi tardivamente.
La tesi, a prescindere dalla effettività della lesività di detta documentazione, non è condivisa dalla Sezione perché la conoscenza degli atti prodotti dall'altra parte del giudizio è riferibile al solo difensore, con il corollario che dall'avvenuto deposito degli stessi non si può far discendere "ex se" una presunzione di conoscenza in capo alla parte ricorrente.
8.- Con il settimo motivo di appello principale è stato asserito, quanto ai motivi aggiunti, che l'impugnato parere della C.E. era atto edoprocedimentale neppure comunicato ai controinteressati e che ogni impugnativa dell'art. 24, comma 10, del R.E. comunale era tardiva.
8.1.- Dette censure sono insuscettibili di condivisione sia perché è stata tempestivamente impugnata la concessione edilizia conclusiva del procedimento e sia perché in caso di norme edilizie regolamentari, contenenti, come nel caso di specie previsioni astratte, che non si traducono in una immediata incisione della sfera giuridica degli amministrati, ma disciplinanti l'azione che l'Amministrazione dovrà avere in futuro, la concreta lesione deriva dall'adozione dell'atto applicativo, per cui la norma regolamentare non deve essere oggetto di autonoma impugnazione, ma deve essere impugnata a seguito del provvedimento applicativo di cui costituisce l'atto presupposto.
Peraltro nel caso di specie detta disposizione regolamentare intesa correttamente non era affatto lesiva degli interessi dell'originario ricorrente, sicché non era indispensabile la sua impugnazione ai fini dell'ammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio.
9.- L'appello principale deve essere quindi respinto.
10.- Con il secondo motivo di appello incidentale del Comune è stato dedotto che la concessione edilizia è stata annullata per essere stata l'opera edilizia assentita realizzata non in conformità ad essa, quindi non per un vizio di legittimità della concessione.
Non sarebbero state indicate le prescrizioni degli strumenti urbanistici che sarebbero state violate.
Comunque il locale in questione sarebbe stato da ritenere interrato, alla luce di quanto previsto dall'art. 24 del Regolamento Edilizio del Comune, secondo il quale ai fini della misurazione dell'altezza degli edifici la linea di terra è definita dal piano stradale.
10.1.- Osserva in proposito la Sezione che la concessione edilizia impugnata è stata annullata dal primo Giudice perché essa e “la pur impugnata nota dell'U.T.C. devono intendersi illegittimi nella parte in cui fossero intesi come idonei a legittimare una edificazione fuori terra” e non perché l'opera assentita era stata realizzata non in conformità ad essa.
Va ribadito, quindi, che la concessione edilizia impugnata in primo grado, rilasciata espressamente per la realizzazione di un “deposito interrato”, non poteva interpretarsi nel senso di consentire una costruzione fuori terra.
Quanto alle ulteriori censure esse sono insuscettibili di positiva valutazione per le considerazioni in precedenza espresse circa la effettiva interpretazione che di detto art. 24, punto 10, del R.E. del Comune in questione doveva e poteva effettuarsi.
10.2.- Il motivo in esame non è quindi suscettibile di condivisione.
11.- Gli appelli principale ed incidentale in esame devono essere conclusivamente respinti e deve essere confermata la prima decisione.
12.- Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidati come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, respinge l'appello principale e quello incidentale in esame.
Pone in solido a carico degli appellanti D.S. S., C. G. e Comune di Cicciano, con ripartizione interna in parti uguali, le spese e gli onorari del presente grado, liquidate a favore della resistente V.F. nella misura di € 3.000,00 (tremila/00), di cui € 500,00 (cinquecento/00) per esborsi, oltre ai dovuti accessori di legge (I.V.A. e C.P.A.).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Avv. Antonino Sugamele

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