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Sentenza

Mamma Giudice, il figlio avvocato nello stesso distretto. Nessun illecito se l'a...
Mamma Giudice, il figlio avvocato nello stesso distretto. Nessun illecito se l'attività del figlio avvocato è sporadica.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 23 aprile – 13 maggio 2013, n. 11343
Presidente Rovelli – Relatore Massera

Svolgimento del processo

1 - Con decisione adottata il 12 ottobre 2012 e depositata il successivo 30 ottobre, la Sezione Disciplinare del C.S.M. assolse A..R. , presidente di Sezione del Tribunale di Catanzaro, dall'incolpazione di avere gravemente mancato ai propri doveri di imparzialità e correttezza e di aver tenuto un comportamento che ha compromesso la sua credibilità personale e il prestigio dell'istituzione giudiziaria (artt. 1 e 2, comma 1 lett. b del D.L.vo 23 febbraio 2006, n.109, per avere omesso di comunicare al CSM la sussistenza della situazione di incompatibilità conseguente all'iscrizione del proprio figlio all'albo degli avvocati di Lamezia Terme, sia alla data di presentazione della domanda per il conferimento dell'incarico di presidente di sezione, sia al momento dell'assunzione delle relative funzioni.
2 - La decisione della Sezione Disciplinare affermò: l'obbligo di dichiarare la sussistenza di una situazione di incompatibilità non veniva meno per effetto della precedente dichiarazione resa in relazione ad una differente ipotesi; tuttavia trovava applicazione la disciplina di cui all'art. 3-bis del D.Lgs. n. 109/2006 considerato che la precedente dichiarazione risultava assai prossima alla data di presentazione della domanda per il conferimento del nuovo ufficio e l'assunzione delle nuove funzioni; inoltre, considerata la sporadicità, nel periodo in contestazione, dell'attività professionale del figlio, l'illecito omissivo in cui era incorso l'incolpata appariva di scarsa rilevanza sia sotto l'aspetto della lesione del bene specifico protetto dalla norma sull'incompatibilità, sia sotto quello più generale della lesione del prestigio suo e dell'ordine giudiziario.
3 - Avverso la suddetta sentenza il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione affidato ad unico motivo.
L'intimata ha presentato memoria difensiva.
Il Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione non ha espletato difese.

Motivi della decisione

1.1 - La resistente eccepisce l'inammissibilità del ricorso, sotto il profilo della tardività.
Premette che la sentenza gravata è stata depositata il 30 ottobre 2012, quindi entro il termine di trenta giorni dall'udienza, celebrata il precedente 12 ottobre, previsto dall'art. 19 D.lgs. 109/2006. Aggiunge che, a norma del comma 3 dell'articolo predetto, il ricorso doveva essere proposto nel termine di trenta giorni decorrente dalla data di comunicazione del deposito della sentenza, nella specie avvenuta in data 6 novembre 2012. Pertanto afferma che il termine utile per il deposito del ricorso presso la Segreteria del CSM è scaduto il 6 dicembre 2012, mentre la presentazione effettiva è avvenuta solo in data 11 dicembre 2012, quindi tardivamente.
1.2 - L'eccezione è infondata. Come riferito dalla stessa R. , l'art. 24 D. Lgs. 109/2006 richiama esplicitamente, ai fini dei termini utili per ricorrere avverso le sentenze della Sezione disciplinare del CSM, l'art. 585 cod. proc. pen. Detto articolo, al comma 1, lett. b), in combinato disposto con l'art. 19 D.lgs. 109/2006, stabilisce che il termine per impugnare è di trenta giorni nel caso che la sentenza venga depositata entro trenta giorni dal giorno della pronuncia. Il successivo comma 2, lett. c) ne prescrive la decorrenza dalla scadenza del termine stabilito dalla legge per il deposito della sentenza.
Nella specie la sentenza è stata pronunciata il 12 ottobre 2012, per cui il termine per il deposito è scaduto in data 11 novembre 2012 e da tale data è iniziato il decorso del termine utile per l'impugnazione; esso è, dunque, scaduto in data 11 dicembre 2012, giorno in cui il ricorso risulta depositato presso la Segreteria del CSM.
Nel senso indicato si pone la sentenza 11 luglio 2008, n. 19279, erroneamente indicata dalla resistente a conforto della propria eccezione. Infatti essa ha stabilito che il ricorso per cassazione avverso le sentenze della Sezione disciplinare del Consiglio Sup. Magistratura, che, secondo la disciplina introdotta dall'art. 24 del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, come modificato dall'art. 1, comma 3, della legge n. 269 del 2006, va proposto "nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale", deve essere presentato o fatto pervenire presso la cancelleria della Sezione disciplinare, ai sensi degli artt. 582 e 583 cod. proc. pen., nel termine di trenta giorni, stabilito dall'art. 585, primo comma, lett. b) cod. proc. pen, decorrente dalla scadenza del termine per il deposito stabilito dall'art. 19, comma 2, del citato d.lgs., o dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione del relativo avviso, se il deposito è avvenuto successivamente, ovvero ancora, con le medesime decorrenze, nel termine di quarantacinque giorni, stabilito dall'art. 585, primo comma, lett. c) cod. proc. pen., qualora la Sezione disciplinare, essendo la stesura della motivazione di particolare complessità per il numero delle parti o per il numero o la gravità delle imputazioni, si sia avvalsa della facoltà, prevista dall'art. 544, terzo comma, cod. proc. pen., di indicare nel dispositivo un termine più lungo per il deposito, non eccedente comunque il novantesimo giorno.
Ne consegue che occorre avere riguardo alla data di comunicazione del deposito della sentenza solo ove essa sia stata depositata oltre il termine di trenta giorni dalla data della pronuncia.
2 - Il ricorrente adduce motivazione omessa, illogica e/o contraddittoria in relazione alla ritenuta "scarsa rilevanza" della condotta ascritta all'incolpata - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen..
Assume che la sentenza impugnata ha riconosciuto la sussistenza dell'illecito, ma ha affermato in modo apodittico che la precedente comunicazione, seppure inidonea ad elidere l'obbligo omesso, potesse tuttavia essere valutata come significativa per ritenere il fatto scarsamente rilevante.
Inoltre sostiene che, nella sua laconicità e insufficienza, la motivazione censurata si rivela priva di qualsiasi argomentazione in ordine all'assenza di pregiudizi al magistrato, sebbene dagli atti del procedimento disciplinare risultasse che la condotta della R. aveva formato oggetto di due interrogazioni parlamentari, con particolare riferimento alla sua partecipazione come presidente relatore al Tribunale del Riesame che aveva annullato l'ordinanza di applicazione di misure cautelari nei confronti di alcuni indagati di un clan mafioso, uno dei quali, nell'ambito di altro giudizio e per alcuni mesi, era stato assistito dal figlio della R. e malgrado l'invito ad astenersi per ragioni di opportunità inviatole dalla Procura della Repubblica.
3 - Queste Sezioni Unite hanno già ripetutamente affermato (confronta Cass. Sez. Un. 23 aprile 2012 n. 6327; 5 luglio 2011 n. 14665) che l'esimente di cui all'art. 3-bis del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, secondo la quale l'illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza, è applicabile, sia per il tenore letterale della disposizione e sia per la sua collocazione sistematica, a tutte le ipotesi previste negli artt. 2 e 3 del medesimo decreto, anche quando la gravità del comportamento è elemento costitutivo del fatto tipico, e impone al giudice di procedere ad una valutazione di ufficio, sulla base dei fatti acquisiti al procedimento e prendendo in considerazione le caratteristiche e le circostanze oggettive della vicenda addebitata, anche riferibili al comportamento dell'incolpato, purché strettamente attinenti allo stesso Hanno altresì affermato (Cass. Sez. Un. 30 marzo 2011, n. 7194) che la norma di cui all'art. 3-bis introduce sostanzialmente nella materia disciplinare il principio di offensività, proprio del diritto penale, secondo il quale la sussistenza dell'illecito va comunque riscontrata alla luce della lesione o messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma, con accertamento in concreto effettuato ex post. Il legislatore può introdurre, nell'ambito della sua discrezionalità, una soglia minima sotto la quale il fatto non ha rilevanza ai fini sanzionatori (cfr. art. 316 ter c.p., comma 2; Cass. pen., Sez. 5A, 26/06/2009, n. 31909). In questa sede il bene giuridico, nell'attuale quadro di tipizzazione dell'illecito disciplinare, va considerato unico per tutte le ipotesi di illecito disciplinare ed è identificabile nella compromissione dell'immagine del magistrato e dell'ordine giudiziario, da ritenersi il bene giuridico in definitiva tutelato dalle norme disciplinari ed a cui lo stesso decreto legislativo fa esplicito riferimento all'art. 3, lett. b), ed all'art. 4, lett. d).
4 - L'applicazione al caso concreto dei principi sopra enunciati comporta il rigetto del ricorso.
La sentenza impugnata ha fatto ad essi esplicito riferimento. Il contenuto decisorio della sentenza non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità.
Per costante insegnamento giurisprudenziale, i vizi di omessa e di insufficiente motivazione ricorrono soltanto in presenza di argomentazioni da cui non sia possibile desumere la ratio decidendi sottesa alla decisione ovvero qualora risultino carenti od omessi l'esame e la valutazione di elementi di rilievo tale che, ove fossero stati opportunamente considerati, la decisione sarebbe stata necessariamente diversa. Il vizio di contraddittorietà è denunciabile nella sola ipotesi in cui nel tessuto motivazionale del provvedimento siano ravvisabili affermazioni tra loro così contrastanti da rendere ancora una volta indecifrabile la ratio decidendi.
Nella specie non è presente nessuna delle situazioni sopra rappresentate. La Sezione disciplinare è pervenuta alla statuizione censurata facendo sostanzialmente leva su due considerazioni: a) la prossimità temporale tra la dichiarazione in precedenza resa dall'incolpata sulla sussistenza di una situazione di incompatibilità e la presentazione della domanda per il conferimento del nuovo ufficio e l'assunzione delle relative funzioni; b) la sporadicità, nel periodo in contestazione, dell'attività professionale del figlio, iscritto all'albo degli avvocati di Lamezia Terme. Tali puntualizzazioni risultano esenti da vizi motivazionali. Per contro per quanto riguarda, in particolare, il secondo punto sopra indicato sub b), le argomentazioni del ricorrente non censurano la valutazione di scarsa presenza nel Foro del figlio dell'incolpata, ma si limitano ad addurre considerazioni basate su situazione di fatto che non è stata presa in considerazione nel capo d'incolpazione.
5 - Pertanto il ricorso è rigettato. Le spese seguono il criterio della soccombenza. La liquidazione avviene come in dispositivo alla stregua dei soli parametri di cui al D.M. n. 140/2012 sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro. 2.700,00, di cui Euro. 2.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

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