La compravendita è sottoscritta a margine? E' valida.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 23 aprile – 27 giugno 2013, n. 16256
Presidente Oddo – Relatore Matera
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 21-2-1996 C.L. conveniva dinanzi al Tribunale di Roma S.L. , De.Ma.An. , D.M.R. e D.M.A. , per sentir dichiarare la risoluzione, per fatto dei convenuti, del contratto di compravendita immobiliare del 30-6-1996, con conseguente condanna dei resistenti alla restituzione della somma di L. 25.000.000 agli stessi versati a titolo di acconto, oltre al risarcimento dei danni.
Nel costituirsi, i convenuti contestavano la fondatezza della domanda, sostenendo, in particolare, che ogni vicenda relativa alla compravendita in questione, ivi compreso il versamento degli acconti sul prezzo di vendita, riguardava esclusivamente C.L. e D.M.G. , che chiedevano di chiamare in causa.
Autorizzata la chiamata del terzo, si costituiva D.M.G. , il quale chiedeva in via riconvenzionale la risoluzione del contratto per inadempimento di C.L. , con condanna di quest'ultimo al risarcimento dei danni.
Con sentenza in data 2-2-2002 il Tribunale, qualificato il contratto stipulato dalle parti come compravendita, rigettava la domanda proposta dall'attore e le domande riconvenzionali proposte dai convenuti e dal terzo chiamato, ritenendo che il contratto si era già risolto per effetto del recesso esercitato dal C. , e rilevando che la domanda di restituzione delle somme versate non era stata proposta contro il percettore D.M.G. .
Avverso la predetta decisione proponeva appello l'attore.
Con sentenza in data 30-3-2006 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado e in accoglimento della domanda di restituzione, condannava S.L. , D.M.R. , D.M.A. e De.Ma.An. a pagare al C. la somma di lire 25.000.000, pari ad Euro 13.169,65, oltre agli interessi legali dal 26-1-1996 al saldo.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso S.L. , D.M.R. , D.M.A. e De.Ma.An. , sulla base di due motivi.
C.L. ha resistito con controricorso, mentre De Marca Gennaro non ha svolto attività difensive.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione o falsa applicazione di norme di diritto.
Deducono che la Corte di Appello ha errato nel ritenere che D.M.G. fosse stato autorizzato dai familiari a recepire in loro vece le somme versate da C.L. a titolo di acconto sul prezzo della vendita del 30-6-1993, in quanto dalle emergenze processuali risulta che ogni rapporto relativo alla vendita in questione era intercorso esclusivamente tra il C. e D.M.G. , e i versamenti di denaro erano stati incamerati esclusivamente da quest'ultimo. Sostengono, pertanto, che, stante la nullità della compravendita, nella specie doveva applicarsi la normativa di cui all'art. 2033 c.c., e l'azione di ripetizione doveva essere proposta esclusivamente nei confronti dell'accipiens D.M.G. , quale destinatario dell'indebito pagamento e come tale legittimato passivo nel relativo giudizio. Al contrario, stante la completa estraneità dei ricorrenti in ordine al rapporto giuridico controverso, e non avendo, comunque, gli stessi incamerato alcuna somma di denaro, non poteva imputarsi agli stessi alcun obbligo di restituzione.
Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, ex art. 366 bis cpc, applicabile ratione temporis al ricorso in esame "Dica la Corte adita se nella fattispecie, in base alle argomentazioni suesposte, e alla luce delle risultanze processuali, la domanda di restituzione proposta da C.L. doveva svolgersi esclusivamente contro D.M.G. , ex art. 2033 c.c., quale vero, unico ed effettivo obbligato a restituire le somme versate in conto prezzo di vendita; e, dunque, se nella impugnata sentenza è ravvisabile la violazione di legge per applicazione di diversa n normativa sostanziale in luogo di quella prevista per il caso in esame.
Il motivo è infondato.
La Corte di Appello, con apprezzamento in fatto non sindacabile in questa sede, ha accertato che nel contratto di compravendita, sottoscritto da tutti gli appellati, si precisava che il primo acconto era stato versato a D.M.G. , prevedendosi dunque che il pagamento del prezzo potesse essere effettuato a mani di quest'ultimo, legato da stretti vincoli di parentela con i venditori-appellati, essendo marito della S. e padre degli altri convenuti.
Poiché, dunque, il versamento a mani di D.M.G. era stato autorizzato da tutti i venditori ed era avvenuto nell'interesse comune, legittimamente il giudice del gravame ha ritenuto che, essendo venuta meno la causa di tale attribuzione per effetto del recesso dal contratto esercitato dal C. , rilevato dal Tribunale, sorgesse a carico di tutti i venditori l'obbligazione di restituzione del prezzo e che, trattandosi di obbligazione con pluralità di soggetti passivi, per la quale si presume la solidarietà, il creditore potesse rivalersi per l'intero nei confronti di ogni debitore.
Nella specie, è stata fatta corretta applicazione della presunzione di solidarietà passiva posta dall'art. 1294 c.c., in forza della quale, allorché più debitori sono tenuti per una medesima prestazione, in difetto di una contraria pattuizione questa può essere richiesta dal creditore a ciascuno di essi nella sua interezza.
La situazione non muta ove si tenga conto della causa di nullità del contratto di vendita (per mancanza di concessione edilizia) rilevata dalla Corte di Appello, incombendo anche in tal caso a carico solidale di tutti i venditori l'obbligazione solidale di restituzione delle somme materialmente percepite, nell'interesse comune, da D.M.G. .
2) Con il secondo motivo, articolato in due censure (A e B), i ricorrenti lamentano l'omessa e insufficiente motivazione.
Sostengono, in primo luogo, che la Corte di Appello ha omesso di valutare una serie di circostanze prospettate dalle parti e risultanti dal materiale probatorio acquisito, da cui emergeva che ogni rapporto contrattuale era intercorso esclusivamente tra C.L. , quale acquirente, e D.M.G. , quale unico ed effettivo venditore e percettore del corrispettivo; laddove i ricorrenti non hanno mai manifestato alcuna volontà negoziale, né la volontà di acquisire le somme versate dal C. . In particolare, rilevano che D.M.A. non ha apposto alcuna firma nella scrittura del 30-6-2003, mentre gli altri convenuti hanno apposto la loro firma solo "a margine", successivamente al 30-6-1993.
In secondo luogo, deducono che, contrariamente a quanto affermato dal giudice del gravame, non vi è alcuna prova dell'autorizzazione data dei ricorrenti a D.M.G. per la ricezione, in loro vece, dei versamenti eseguiti dal C. , avendo D.M.G. agito sempre in nome e per conto proprio, senza alcun mandato o rappresentanza. Rilevano che tale situazione era ben nota al C. , il quale, infatti, ha formalizzato il recesso solo nei confronti di D.M.G. e ha chiesto la restituzione solo a quest'ultimo.
Il motivo è infondato.
Si rileva, in particolare, che, poiché nella sentenza impugnata è stato dato espressamente atto che il contratto di compravendita per cui è causa è stato sottoscritto da tutti gli appellati, l'affermazione dei ricorrenti, secondo cui D.M.A. non avrebbe apposto alcuna firma alla scrittura privata del 30-6-1993, si sostanzia nella denuncia di un errore di fatto che avrebbe dovuto eventualmente fatto valere come motivo di revocazione ai sensi dell'art. 395 n. 4 c.p.c..
Quanto all'ulteriore affermazione, secondo cui la scrittura privata in esame sarebbe stata sottoscritta in calce solo da D.M.G. , laddove S.L. , D.M.A. e D.M.R. avrebbero apposto la loro firma solo a margine, si osserva che, anche se, normalmente, la sottoscrizione di un documento viene apposta in calce allo stesso, per esprimere la volontà del sottoscrittore di approvarne il contenuto, non si può negare, "sic et simpliciter", rilevanza alla sottoscrizione apposta non già in calce ma in margine al documento stesso, dovendosi presumere, in mancanza di prova contraria, che essa sia l'espressione di analoga volontà di adesione della parte, che il giudice dovrà, se occorre, interpretare per stabilirne la portata ed i limiti in relazione alla fattispecie concreta (Cass. 12-7-1991 n. 7764).
Nel caso in esame, pertanto, anche a voler dar credito all'assunto dei ricorrenti, deve ritenersi che la Corte di Appello, nel dare atto che il contratto era stato sottoscritto da tutti gli appellati, e nell'attribuire ai medesimi la qualità di contraenti, ha implicitamente ritenuto che con l'apposizione delle loro firme i convenuti avessero inteso manifestare la loro adesione contrattuale. Il fatto, poi, che tali firme possano essere stata apposte in una data successiva al 30-6-1996, potrebbe valere solo a spostare il momento dell'incontro delle volontà negoziali e del perfezionamento del contratto.
Per il resto, attraverso la formale denuncia di vizi di motivazione, i ricorrenti propongono sostanziali censure di merito avverso le valutazioni espresse dal giudice del gravame, il quale, con apprezzamento non sindacabile in questa sede, in quanto sorretto da una motivazione immune da vizi logici, ha accertato che tutti gli appellati erano contraenti del contratto di compravendita immobiliare, dagli stessi sottoscritto, e che i medesimi con tale contratto avevano autorizzato D.M.G. a ricevere il pagamento del prezzo.
È appena il caso di rammentare che i vizi di motivazione denunciabili in cassazione ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c. non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, perché spetta solo a quel giudice individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova (tra le tante v. Cass. 14-10-2010 n. 21224; Cass. 5-3-2007 n. 5066; Cass. 21-4-2006 n. 9368; Cass. 20-4-2006 n. 9234; Cass. 16-2-2006 n. 3436; Cass. 20-10-2005 n. 20322). L'onere di adeguatezza della motivazione, inoltre, non comporta che il giudice del merito debba occuparsi di tutte le allegazioni delle parti, né che egli debba prendere in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni da queste svolte. È, infatti, sufficiente che il giudice esponga, anche in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'iter argomentativo seguito (tra le tante v. Cass. 20-11-2009 n. 24542; Cass. 12-1-2006 n. 407; Cass. 2 agosto 2001, n. 10569).
Nella specie, la Corte di Appello ha correttamente basato le proprie valutazioni sulla scrittura privata di compravendita sottoscritta dalle parti, negando, sia pure implicitamente, ogni valore alle tesi difensive che si ponevano in contrasto con la volontà negoziale consacrata in tale atto.
3) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal resistente C.L. nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo. Nei confronti di C.G. , che non ha svolto alcuna attività difensiva, non vi è pronuncia sulle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal resistente, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
30-06-2013 18:38
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