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Sentenza

Gara di appalto per l'affidamento del servizio di trasporto e trattamento rifiut...
Gara di appalto per l'affidamento del servizio di trasporto e trattamento rifiuti raccolta differenziata. Con interdittiva antimafia la stipula del contratto non può avere luogo.
Consiglio di Stato  sez. III Data: 28/11/2013 ( ud. 17/10/2013 dep.28/11/2013 ) 
Numero:    5697
                             REPUBBLICA ITALIANA                         
                         IN NOME DEL POPOLO ITALIANO                     
                            Il Consiglio di Stato                        
    in sede giurisdizionale (Sezione Terza)                              
    ha pronunciato la presente                                           
                                   SENTENZA                              
    sul ricorso numero di registro generale 3656 del 2013, proposto da:  
    Società  O.  L.  s.r.l.  in persona del legale rappresentante pro
    tempore,  rappresentata e difesa dall'avv. Luigi M. D'Angiolella, con
    domicilio eletto presso Studio Luponio in Roma, via M. Mercati n.51; 
                                    contro                               
    U.T.G.  -  Prefettura  di Caserta, Ministero dell'Economia, Ministero
    della  Difesa,  Ministero  dell'Interno  in  persona  dei  rispettivi
    rappresentati  pro  tempore,  rappresentati  e difesi dall'Avvocatura
    Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.12; 
    nei confronti di                                                     
    I.  A.  s.p.a.  in  persona  del legale rappresentante pro
    tempore,  rappresentata  e  difesa  dagli  avv.  Vincenzo  De Nisco e
    Elisabetta Nardone, con domicilio eletto presso Elisabetta Nardone in
    Roma, piazza Cola di Rienzo, n.92;                                   
    per la riforma                                                       
    della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI SEZIONE I n. 00703/2013  
    Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;                   
    Visti  gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura Di
    Caserta  e  dei Ministeri dell'Economia, Difesa e Interno e di Irpinia
    Ambiente Spa;                                                        
    Viste le memorie difensive;                                          
    Visti tutti gli atti della causa;                                    
    Relatore  nell'udienza  pubblica  del giorno 17 ottobre 2013 il Cons.
    Roberto  Capuzzi  e  uditi  per  le  parti gli avvocati D'Angiolella,
    Nardone e dello Stato Varrone;                                       
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.              


    Fatto

    La società ricorrente, aggiudicataria della gara di appalto per l'affidamento del servizio di trasporto e trattamento rifiuti proveniente dalla raccolta differenziata della provincia di A., impugnava davanti al Tar Campania, sede di Napoli, la nota del 2.7.2012, con cui l'amministratore unico dell'Irpiniambiente s.p.a. le aveva comunicato che la stipula del contratto relativo al suddetto servizio "non sarà perfezionata né avrà più luogo", essendo pervenuta interdittiva antimafia, ai sensi dell'art. 4 d.lgs 490/1994, con atto del 12.6.2012 della Prefettura, Ufficio Territoriale del Governo di Caserta.

    A sostegno della domanda di annullamento delle determinazioni lesive deduceva i seguenti motivi:

    1) violazione e falsa applicazione dell'art.1 e ss. e 7 e ss. della L. 7.8.1990 n.241;

    23) violazione e falsa applicazione dell'art.3 della L. 7.8.1990 n.241 e dell'art.24 Cost., eccesso di potere per carenza di motivazione ed ingiustizia manifesta, assoluto difetto di istruttoria, contraddittorietà;

    4) violazione e falsa applicazione dell'art.4 del D. Lgs. n.490 del 1994, dell'art.10 del d.P.R. 3.6.1998 n.252, dell'art.10 della L. 31.5.1965 n.575 e dell'art.41 Cost., violazione e falsa applicazione delle circolari del Ministero dell'Interno del 14.12.1994, dell'8.1.1996 e del 18.12.1998, eccesso di potere, travisamento, carenza dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione.

    Le amministrazioni intimate si costituivano in giudizio resistendo all'impugnativa e concludendo con richiesta di reiezione del ricorso per l'infondatezza delle censure.

    Successivamente la società ricorrente proponeva motivi aggiunti insistendo nella domanda di annullamento degli atti impugnati.

    Il Tar respingeva il ricorso.

    Il Tar evidenziava che il punto nodale della controversia si focalizzava sulla congruità degli elementi posti a sostegno dell'informativa prefettizia censurata con i motivi aggiunti.

    Secondo la tesi della società ricorrente la interdittiva poggerebbe, anzitutto su alcune circostanze poste a base di una precedente informativa, quando il sig. A. F. era socio accomandatario della E. T. s.a.s., società ora in liquidazione, interdittiva annullata dal Consiglio di Stato, sez. VI, con decisione n.6380 del 19.10.2009 in riforma della sentenza del T.A.R. Lazio, sez. I, n.8562 del 25.10.2007.

    Tale interdittiva si fondava sulla pendenza di un procedimento penale per gioco d'azzardo (in concorso con vari soggetti, tra cui un pregiudicato per associazione mafiosa) e la denuncia per reati nel settore dei rifiuti e per truffa, il mero rapporto di parentela con il fratello G. ed i fatti riguardanti quest'ultimo (quali la circostanza di essere stato controllato presso l'abitazione di latitanti pregiudicati, esponenti di associazioni criminali ed il fatto di essere stato indicato da un collaboratore di giustizia come vittima di estorsioni), circostanze tutte, a detta della società ricorrente, reputate non sufficienti a configurare il pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata. Gli ulteriori elementi segnalati dalla Guardia di Finanza e recepiti acriticamente dalla Prefettura, cioè che A.O.(precedente amministratore della O.L.) ed il sig. A F (attuale amministratore) "sono stati oggetto di notizia di reato per trasferimento fraudolento di valori in concorso, ai sensi dell'art.12 quinquies del D.L. 8.6.1992 n. 306" e che la Prefettura di Ferrara ha emesso un provvedimento interdittivo antimafia sul conto di altra società "sulla scorta di collegamenti della stessa con F A" non sarebbero in grado di sovvertire, per la loro irrilevanza, il precedente esito favorevole cui era pervenuta la citata pronuncia.

    Il Tar, dopo avere riepilogato i tratti caratterizzanti l'istituto dell'informativa prefettizia di cui agli artt. 4 del d.lgs. n. 490/1994 e 10 del d.P.R. n. 252/1998, come delineati dalla giurisprudenza, concludeva nel senso che nella fattispecie in esame la rinnovazione della misura interdittiva nei confronti della società ricorrente era giustificata sulla base degli ulteriori elementi indiziari raccolti nel corso dell'istruttoria compiuta dal Prefetto di Caserta.

    Infatti dalla complessiva documentazione versata in giudizio emergeva una fitta rete di collegamenti e di cointeressenze tra l'attuale amministratore della O.L.ed i suoi fratelli. La comunicazione di notizia di reato per trasferimento di valori vedeva coinvolto il sig. A F in concorso (oltre che con altri soggetti, tra i quali la già nominata A O) coi fratelli P. e R. (entrambi soci, ed il primo anche amministratore, del Gruppo F s.r.l.). Gli stretti legami ed i rapporti di affari tra loro intercorrenti si palesavano chiaramente nell'informativa antimafia resa dal Prefetto di Ferrara sul conto di altra società, la E. E.s.r.l. Ivi si evidenziavano, tra l'altro, i rapporti di fornitura di quest'ultima sia con la O. L. che con G.F. (altro fratello dell'attuale amministratore della società ricorrente), l'esecuzione in comune di varie attività (come nel caso dell'emergenza rifiuti nel Comune di Marigliano, attraverso l'utilizzo di automezzi per il trasporto di proprietà, sia della O.L.che del G.F.), i notevoli scambi economicocommerciali tra queste ultime società. In particolare, le verifiche contabili ed i controlli incrociati circa il frequente uso di fatture per operazioni inesistenti, sono state poste a base del sequestro preventivo (disposto dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 2.1.2012) nei confronti delle somme esistenti sui conti correnti bancari del G.F. (sulla base della richiesta della Procura della Repubblica del 16.11.2011).

    In tale contesto, connotato da intensi vincoli di solidarietà familiare, secondo il Tar si collocava l'episodio più grave ed inquietante che dava luogo al procedimento penale a carico di R. F., indagato per i delitti di cui agli artt. 479 c.p. e 326 c.p., con la specifica aggravante di cui all'art.7 della L. 203/91, "per aver agito al fine di agevolare l'attività dell'associazione mafiosa denominata clan dei casalesi, capeggiata dal latitante Z. M.". Nella specie veniva coinvolto un carabiniere in servizio alla Stazione di S.C.d'A., il quale, "disponendo di notizie d'ufficio segrete in ordine alla procedura diretta al rilascio della certificazione antimafia nei confronti della società "Gruppo F. s.r.l." ed essendo demandato...del rilascio delle informazioni ai "fini antimafia" nei riguardi della società indicata, dei loro amministratori F. P. e F.R. e dei loro familiari, informava indebitamente F.R., previa istigazione di quest'ultimo, della procedura in corso e del relativo oggetto, rivelando notizie riservate e violando i doveri di segretezza sugli atti d'ufficio nonché redigendo l'informativa della Stazione dei C.C. di S.C. D'A. datata 26 maggio 2006, atto pubblico diretto al Comando Provinciale di Caserta e di contenuto rilevante per il rilascio della certificazione antimafia... ed intenzionalmente omettendo ogni riferimento alle risultanze sul conto di F.A.e F. G. fratelli di P. e R., evidenze e rilevanti per la procedura, in particolare dolosamente tacendo le risultanze relative al controllo di F.G.... presso l'abitazione del latitante Z. M., colto all'atto di conversare con Z.V.e P. il 7.10.2001 e obliterando il segnalato rapporto di "amicizia" tra il familiare di F.R.e P.ed il capo latitante del clan dei casalesi, falsamente attestava l'inesistenza di legami di parentela con soggetti riconducibili alla criminalità organizzata e frequentazioni con i medesimi".

    Per il Tar i solidi legami esistenti tra i componenti della famiglia F. possono cogliersi anche nelle vicende che riguardavano la stessa O. L. atteso che il duplice trasferimento realizzato in uno stretto arco temporale (in data 8.4.2009 A.O. acquista la società da P. e R. F. ed il 6.10.2010 la cede ad A.F.) e la circostanza che quest'ultimo già prima si era qualificato come rappresentante della stessa ditta (nel corso di un controllo effettuato in data 11.3.2010, menzionato nel citato rapporto della Guardia di Finanza), erano indici sintomatici di una sostanziale continuità nella gestione delle relative attività oltre che di una finalità elusiva dei controlli previsti dalla legislazione antimafia.

    In definitiva il Tar concludeva rilevando che gli accertamenti posti a base dell'informativa non coincidevano affatto con quelli presi in considerazione nel precedente provvedimento annullato (con la già citata sentenza del Consiglio di Stato n. 6380/2009), essendo emerse nuove circostanze che delineavano un quadro indiziario sufficientemente preciso e concordante assumendo connotazione di indubbia gravità, gettando nuova luce anche sugli elementi fattuali già segnalati in precedenza dalle forze di polizia, così da giustificare la riformulazione di un giudizio di controindicazione ai fini antimafia.

    Se è vero che il rapporto di parentela o di affinità non costituisce in sé indizio sufficiente del tentativo di infiltrazione mafiosa, è altrettanto vero che tale tentativo deve ritenersi sussistente quando al dato dell'appartenenza familiare si accompagni la frequentazione, la convivenza o la comunanza di interessi con vari individui gravitanti nell'orbita delle associazioni criminali, tali da palesare, pertanto, la contiguità con gli ambienti della criminalità (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 29 febbraio 2008 n. 756, 27 giugno 2007 n. 3707 e 2 maggio 2007 n. 1916).

    3. Nell'atto di appello la società evidenzia che:

    - il Tar non avrebbe spiegato la rilevanza ai fini della permeabilità mafiosa e camorristica della notizia di reato per trasferimento fraudolento di valori in concorso ai sensi dell'art. 12 quinquies del D.L. 8.6.1992 n.306 che ha riguardato O A e FA;

    - dalla nota del GIA del 18 maggio 2012 della Guardia di Finanza, Compagnia di Caserta, non si ricaverebbe alcun elemento utile in tal senso, dandosi atto semplicemente di avere monitorato una gara aggiudicata alla O L dalla stazione unica appaltante presso la Prefettura e dunque svolta dalla stessa Prefettura;

    - il fatto che il FA sia stato interessato dalla notizia di reato per trasferimento fraudolento di valori non sarebbe significativo ai fini della interdittiva atteso che la gara era stata monitorata dalla Prefettura;

    - al punto 2 della nota della GdF è evidenziata la circostanza che la stessa società O L era stata acquisita dall'attuale socio e amministratore F A da O A nei confronti della quale non si indica alcun pregiudizio o limitazione imprenditoriale;

    non sarebbe significativo il fatto che O A era amministratrice della società al momento di partecipare alla gara presso il Comune di S C di A e che una volta aggiudicata la gara la società sia stata acquistata da F A che nelle more era stato destinatario della sentenza del Consiglio di Stato n.6380/2009, in quanto se l'intento era quello di eludere la normativa antimafia, certamente il F non si sarebbe esposto subentrando nella società come amministratore e socio unico;

    l'informativa emessa a carico della società sarebbe stata preordinata a provocare il sequestro dell'Azienda e l'affidamento della stessa ad amministratore giudiziario, tuttavia il Tribunale del riesame di Napoli, con ordinanza n.2313/12 R.I.M.C., aveva accolto l'appello e disposto il dissequestro richiamando la sentenza del Consiglio di Stato di cui sopra;

    la soc. EE, destinataria di una interdittiva antimafia del Prefetto di Ferrara, era stata in due occasioni in rapporti commerciali con la società appellante, tuttavia le circostanze di fatto sono le stesse che venivano riportate nella istruttoria posta alla base della interdittiva per E t, superate dalla sentenza dl Consiglio di Stato n.6380/2009;

    la sentenza, per sostenere un contiguità di F A con i suoi fratelli, sulla scorta della interdittiva alla E E insiste sulla posizione della azienda O L e della G F , dalla quale tuttavia F  A  è estraneo, menzionando un sequestro preventivo avvenuto ai danni della Gruppo F  circa il frequente uso di fatture per operazioni inesistenti avente al più un rilevo di natura fiscale e comunque conclusosi con un accertamento per adesione;

    l'episodio che coinvolgeva un carabiniere in servizio presso la Stazione di S C vedeva del tutto estraneo F A  interessando il di lui fratello che svolge attività per proprio conto in altro settore imprenditoriale;

    il legame di sangue del F A  con i suoi fratelli non può ritenersi sufficiente per interdire la società appellante;

    la sentenza non avrebbe tenuto conto che gli accertamenti della Direzione Investigativa Antimafia avevano avuto esito negativo;

    il Prefetto si sarebbe appiattito sulle informative di polizia senza esercitare i propri poteri valutativi attribuitigli dalle norme di riferimento in violazione del principio di imparzialità e terzietà;

    sarebbero stati violati gli indirizzi interpretativi introdotti da DPR 252/98, essendo insufficienti gli elementi raccolti dal Prefetto, lo stesso aveva l'obbligo di procedere ad ulteriori più pregnanti accertamenti nelle more consentendo alla impresa sospettata di proseguire la attività.

    Si è costituita l'Avvocatura dello Stato chiedendo con ampia motivazione il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza del Tar.

    Anche la I si è costituita in giudizio sottolineando la inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi di impugnazione avverso la declaratoria di revoca della aggiudicazione e concludendo per il rigetto dell'appello.

    Alla pubblica udienza del 17 ottobre 2013 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
    Diritto

    1. Deve premettersi che con riferimento alla cd. interdittiva antimafia "tipica", prevista dall'art. 4 del D. Lgs. n. 490 del 1994 e dall'art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 (ed oggi dagli articoli 91 e segg. del D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione) questa Sezione (con sentenze 23 febbraio 2012 n.1068, n. 5995 del 12 novembre 2011 e n. 5130 del 14 settembre 2011) ha affermato:

    - che l'interdittiva prefettizia antimafia costituisce una misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione;

    - che, trattandosi di una misura a carattere preventivo, l'interdittiva prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell'esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;

    - che tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;

    - che, essendo il potere esercitato, espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazione malavitose e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità organizzata;

    - che, anche se occorre che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l'instaurazione di un rapporto dell'impresa con la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo, l'interdittiva, fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l'ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo;

    - che di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell'impresa), ma occorre che l'informativa antimafia indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l'autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l'impresa esercitata da loro congiunti;

    - che, infine, gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

    2. Ritiene la Sezione che il Tar abbia effettuato le proprie valutazioni in coerenza con i principi sopra esposti, principi che ha correttamente richiamato prima dell'analitico esame degli aspetti fattuali della vicenda contenziosa.

    La società appellante lamenta il fatto che si sarebbe fatto riferimento ad una notizia di reato che vede coinvolto il suo rappresentante legale e i suoi fratelli per trasferimento di valuta all'estero, che non avrebbe alcun rilievo di fini della permeabilità mafiosa o camorristica della impresa.

    Inoltre l'interdittiva poggerebbe su fatti già scrutinati dal Consiglio di Stato e ritenuti irrilevanti con sentenza VI Sez. n.6380/2009 quando il signor F  era socio accomandatario ed amministratore della società ET.

    Si sarebbe data infine grande enfasi a notizie relative ad altre aziende facenti capo ai fratelli F  tuttavia in alcun modo collegabili con l'amministratore della O L .

    Occorre sottolineare che il riferimento del primo giudice alla predetta vicenda penale che vedeva coimputati i fratelli F , nella motivazione della sentenza era preordinato al fine di dare conto della circostanza, di assoluto e assorbente rilievo nel ragionamento sviluppato, diretto a ricostruire il quadro complessivo in cui si svolgeva l'attività della impresa rappresentata dalla fitta rete di collegamenti affaristici e cointeressenze esistenti tra i fratelli F  che la difesa della ricorrente aveva tentato di negare e sminuire. La Prefettura di Caserta evidenziava al riguardo che anche il fatto che i fratelli erano cointeressati in un procedimento penale era sintomatico dello svolgimento, da parte di essi, di attività in comune con cointeressenze di ordine economico commerciale. Uno dei fratelli era stato indagato nell'ambito delle indagini coordinate dalla D.D.A. di Napoli in relazione al procedimento penale n.57027/07 P.M. e n.51054/08 G.I.P. con la contestazione dell'aggravante di cui all'art.7 della legge 203/91 per avere agito al fine di agevolare l'attività del "clan dei casalesi", a carico di altro fratello vi erano segnalazioni per truffa, gioco d'azzardo, traffico illecito di rifiuti e associazione a delinquere.

    Il giudice di prime cure analizzava quindi "gli stretti legami e i rapporti di affari intercorrenti" quali si palesavano chiaramente dalla informativa antimafia resa dal Prefetto di Ferrara e dunque effettuava un puntuale apprezzamento su tutte le risultanze della istruttoria espletate della Prefettura che, contrariamente a quanto sostenuto in appello, non si esaurivano nel parere reso dal GIA e nella documentazione in esso richiamata.

    Anche le vicende del pacchetto azionario della società appellante che durante la gara presso il Comune di S c  risultava intestata ad una prestanome, mancante delle risorse finanziarie necessarie per l'acquisto della società, avvaloravano i sospetti della Prefettura lasciando trapelare che mai il F A  aveva perso il controllo della società che ancor prima era stata di proprietà di altri due fratelli del F  e, d'altro canto, risultando evidente l'inserimento dello stesso F  A in un contesto familiare e socio economico contiguo ad una delle più pericolose consorterie criminali di stampo mafioso operante nel territorio casertano ed in particolare attivo nel settore economico di immediato interesse della società (quello dei rifiuti) per il tramite di società operanti in stretto rapporto tra di loro.

    Sulla pronunzia del Tribunale del riesame deve osservarsi che lo stesso era chiamato solo a valutare se esistevano i presupposti per il sequestro preventivo della società appellante e non per valutare i pericoli di infiltrazione mafiosa nella società, accertamento, questo, demandato al Prefetto secondo regole peculiari legislativamente disciplinate. In ogni caso la lettura del provvedimento del Tribunale del riesame evidenzia che lo stesso si basa per lo più sulle considerazioni svolte dal Consiglio di Stato senza conoscere le risultanze della istruttoria sulle quali si è venuta a fondare la informativa impugnata.

    Né possono condividersi le argomentazioni dell'appellante dirette al fine di accreditare la tesi che la informativa si poggiava su quella assunta dalla Prefettura di Ferrara, a sua volta fondata sulla informativa emessa nei confronti di altra società amministrata da A F e annullata dal Consiglio di Stato

    Ed infatti, tanto la informativa adottata dalla Prefettura di Ferrara nei confronti della E En , quanto la informativa adottata nei confronti della appellante, si sono fondate su altre circostanze rispetto a quelle prese a fondamento della informativa emessa nei confronti della E T, mentre il giudice di prime cure ha ritenuto di condividere le conclusioni cui era pervenuta la Prefettura di Caserta, non in relazione al fatto che la O L aveva intrattenuto rapporti con la E E , ma in relazione al fatto che anche dal predetto provvedimento della Prefettura di Ferrara emergevano circostanze significative che dimostravano la esistenza di un circuito affaristico di cui erano protagonisti i fratelli F  e le imprese di cui si servivano per lo svolgimento di svariate attività di notevole rilievo economico.

    Nell'appello si criticano le considerazioni del Tar per avere ritenuto rilevante la notizia di reato riguardante R F, uno dei fratelli dell'amministratore delegato della società appellante, indagato per i delitti di cui agli artt. 479 c.p. e 326 c.p. con aggravante di cui all'art.7 della legge 203/91 "per avere agito al fine di agevolare l'attività dell'associazione mafiosa denominata clan dei casalesi capeggiata dal latitante Z  M ".

    Ribadito che nella economia della sentenza il riferimento a tale episodio risulta effettuato al fine ricostruire il quadro in cui si collocava l'attività della società e i collegamenti esistenti con le società dei fratelli F , non è irrilevante il fatto che dal procedimento penale avviato nei confronti di R  F  emerge che l'episodio riguardante l'attività dal medesimo posta in essere con l'ausilio di un militare appartenente all'Arma dei Carabinieri, mirante alla alterazione delle notizie che andavano fornite alla Prefettura, implicava la induzione dell'esponente dell'Arma ad omettere informazioni anche sul conto di A F.

    Si assume ancora che il sequestro preventivo per false fatturazioni riguardante la società del "Gruppo F" non poteva assumere alcun rilievo non essendo indicativo di alcun collegamento della predetta società con la criminalità organizzata.

    Sennonché, anche qui l'episodio viene riportato per ricostruire il tipo di rapporti esistenti tra i fratelli F considerato che le fatture risultate false risultavano tutte emesse nei confronti di società controllate da uno o più esponenti del gruppo familiare e evidenziavano la esistenza di intensi legami familiari.

    La sentenza del Tar quindi appare coerente nei suoi sviluppi argomentativi e condivisibile nelle conclusioni là dove ha rilevato che in relazione ai legami familiari, al contesto socio economico in cui operava la società ed in relazione alle circostanze così come ricostruite dalla istruttoria, sussisteva un forte pericolo di condizionamento mafioso della società ricorrente.

    L'appello quindi deve essere respinto mentre le spese del giudizio, per la peculiarità della fattispecie, possono essere compensate.
    PQM
    P.Q.M.

    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

    definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,

    lo respinge.

    Spese compensate.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:

    Giuseppe Romeo, Presidente

    Bruno Rosario Polito, Consigliere

    Vittorio Stelo, Consigliere

    Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore

    Dante D'Alessio, Consigliere

    DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 28 NOV. 2013
Avv. Antonino Sugamele

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